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Autore: Leo96    25/08/2014    6 recensioni
Esiste madre natura? C'è davvero qualcuno capace di dominare la natura? Forse. Ma se in realtà la natura fosse più forte dell'uomo? Siamo sicuri che sia la natura a farsi dominare e non il contrario? Gli uomini hanno parlato a lungo del rapporto con l'ambiente circostante e, sin dall'antichità, i filosofi hanno discusso a proposito di quello che rappresentano il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra. Perché parlarne? Beh, siamo sempre curiosi verso ciò che non si conosce, no? Ricordiamoci solo che la natura rimarrà sempre qualcosa da...temere.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Settembre stava per finire. Mancavano ormai poche manciate di giorni ad Ottobre e Marco si consolava con questo. Sì, perché vedere le foglie degli alberi cambiare colore e cadere lo consolava, sopratutto quando toccavano il terreno e si inzuppavano d’acqua, dilaniandosi. Anche il cielo gli sembrava vicino. Erano giorni che i temporali non cessavano. Le strade erano a rischio di intasamento e le persone quasi evitavano di uscire. Ma lui era contento di ciò, perché, forse, almeno la natura lo aveva capito. I genitori non osavano chiedere. Avevano compreso il dolore lancinante del figlio e, pur di proteggerlo, preferivano restare in silenzio. 

Marco era stato accolto dalla solitudine, l’unica amica sincera che avesse. Aveva concentrato l’attenzione sulla scuola e lo studio, nient’altro. Non disegnava, non scriveva, non faceva nemmeno volontariato come era suo solito. Del resto come poteva far sorridere dei bambini, quando lui stesso non trovava una ragione per incurvare le labbra? Sì, aveva abbandonato anche la sua creatività, ma non perché quest’ultima lo avesse lasciato, ma solo perché in questo momento era nera. Tutto ciò che poteva creare era scuro, buio, vuoto…così come si sentiva lui. Tradimento, era questo quello che provava? No, c’era di più. Delusione forse? Ancora di più. Frustrazione? Senz’altro, quella non mancava. Lo accompagnava dovunque, tanto da poter essere considerata la sua ombra. Ma come poteva essere altrimenti? Il rapporto con Sarah non era stato lungo, ma intenso…almeno questo valeva per lui. Tutto ciò lo disturbava, lo irritava, troppo. Aveva aperto le porte della sua mente a quella ragazza, l’aveva invitata a cibarsi delle sue idee e a bere le sue parole. L’aveva fatta entrare nella sua creatività, le aveva dato accesso alle sue emozioni. Le aveva dato se stesso e non importa se per giorni, settimane, mesi o anni, ma lo aveva fatto. Eppure non riusciva a capire, a comprendere fino in fondo quel gesto, quella ripugnanza avuta. Come potevano essere così opposti, come era potuto accadere? Marco era sicuro di aver trovato in lei una sensibilità particolare, che, seppur diversa dalla sua, era degna di esser chiamata tale. Ma era forse rimasto abbagliato dal fascino di quella ragazza? Aveva forse fatto lui un errore di giudizio? E poi…al di là di tutto ciò, come aveva fatto lei a sputare nel piatto in cui aveva mangiato? Così, senza esitazione, senza batter ciglio? Aveva pronunciato quelle parole con la consapevolezza del suo gesto o non aveva capito cosa Marco avesse fatto per lei?

Questa seconda possibilità lo attanagliava dentro, gli mandava in tilt il cervello.

 Aveva sempre riflettuto riguardo le lingue delle persone. Ognuno, si sa, ha modi diversi di esprimersi. Purtroppo non è detto che ciò che per noi risulta importante lo sia anche per altri. Era forse andata così? Quei pomeriggi passati insieme erano forse stati per Sarah solo dei momenti di svago, in compagnia di un coetaneo che frequentava la sua scuola? Ma no! No! No! Non era possibile. Come poteva non rendersene conto? Come poteva non vedere che le stava dando tutto quello che aveva, tutto quello che aveva di più caro al mondo? Solo una persona insensibile, piatta e superficiale avrebbe potuto, ma Sarah non era così, lui ne era sicuro. Avrebbe voluto riprovarci, avrebbe voluto andare da lei e chiederle semplicemente “perché?”, ma non ne aveva il coraggio, la forza e, peggio ancora, ne era consapevole.

 Non poteva fingersi forte, non lo era mai stato. Aveva sempre lasciato che le persone lo criticassero per i suoi modi strani, per il suo sguardo pieno di giudizi nascosti e le sue parole sempre ambigue. Ora, da dove poteva attingere l’energia per ricominciare da zero? Non solo senza Sarah, senza nessuno. Era stato a lungo solo, migliorando e affinando le proprie capacità intellettive, ma adesso aveva provato cosa volesse dire sentirsi capiti, anche per pochi secondi. Gli tornava difficile rassegnarsi, ma sapeva di doverlo fare. Perché la condotta di prima era quella giusta, lo aveva sempre tenuto al sicuro. Aveva sbagliato a lasciarla, a pensare di aver trovato la persona giusta. Aveva sbagliato a ricredere, anche solo per un attimo, a quell’utopia, a quel santo principio che possedeva, a quel sentimento insito tanto nel suo cuore quanto nella sua mente, a quella dannata cosa chiamata amicizia. 

Adesso basta. Doveva capirlo. Doveva accettare la sconfitta, con onore, con la testa alta. Doveva guardare bene, doveva tenere lo sguardo fisso verso ciò che gli era accaduto. Doveva sentire il rombo dovuto ad un’aspettativa caduta, doveva sentire lo scricchiolio di un sentimento che si crepa, doveva assaporare lo strano sapore che ha un desiderio perso, sentire l’odore di un’ambizione infranta, vedere il proprio sogno annientato. Era giunto il momento di dimostrarsi forte, violento, freddo. Avrebbe alzato le paratie, ma, al contrario di Sarah, che cercava di proteggersi dagli altri, lui si difendeva da se stesso. Era bravo con le parole, lo sapeva…era cosciente di avere la capacità di ferire, casomai ce ne fosse stato il bisogno. Avrebbe spento le sue emozioni, lasciandosi in balìa della sola mente.

 

Sarah non riusciva a rendersi conto di quello che era accaduto o, forse e più probabilmente, semplicemente non voleva. La verità l’aveva colpita in un momento di fragilità, ma era riuscita a respingerla in maniera piuttosto egregia. Tuttavia la traccia era stata lasciata e non sembrava voler scomparire. Sapeva di aver detto delle mostruosità, ma non era pentimento quello che provava. Le dispiaceva aver fatto così male a Marco, ma credeva nella legge del più forte, nella sopravvivenza. Era diventata così cinica con il tempo, ma era necessario per lei, per la sua persona. Aveva imparato con l’esperienza che esporsi fa male, sempre. Aveva capito che il mondo che la circondava era povero di fantasia e di idee, ma temeva la solitudine. Voleva essere circondata da persone che la stimassero, che la considerassero, che l’accettassero. Era forse chiedere troppo? Aveva alzato le barriere per evitare che altri vedessero quel suo lato nascosto, quel lato umano, pieno di sentimento, di passione.

 Per questa ragione era rimasta così sconvolta e affascinata da Marco e dalla sua personalità. Lui aveva, forse, la stessa capacità di meravigliarsi di fronte al mondo e alle sue bellezze, la stessa capacità di astrazione e riflessione, anche se dimostrava di voler affrontare il tutto in maniera completamente opposta. Aveva deciso di isolarsi e sopportare il peso del pregiudizio su di sé e ciò gli conferiva una forza inimmaginabile, perlomeno di volontà. Ma Sarah non ce l’avrebbe fatta e lo sapeva. Se avesse potuto, avrebbe evitato di ferire Marco…ma non esistevano altri modi per salvarsi. Aveva solo cercato di volersi bene, di non subire condanne. Era forse da colpevolizzare? 

Mentre usciva dalla sua aula per tornare a casa, vide il ragazzo protagonista dei suoi pensieri passarle vicino. Aveva il cappuccio di felpa, lo zaino solo sulla spalla destra e le solite cuffie nell’orecchio, ma lo avrebbe riconosciuto dovunque. Non solo perché ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma per la sensazione di freddezza che l’aveva attraversata. Come se quel corpo emanasse energia negativa, avversa. Un’impulso la portò a corrergli dietro, sebbene nemmeno lei sapesse la reale ragione di questa decisione. 

Come aveva già fatto in precedenza, gli arrivò alle spalle e, con ancora il fiato assente, afferrò il suo polso. Immediatamente una scossa la percosse, portandola ad essere a disagio come mai prima.

Marco si girò lentamente, in maniera totalmente apatica ed inchiodò quegli occhi sulla ragazza davanti a lui. Sarah iniziò a tremare dentro per quello sguardo, pieno di disprezzo. I brividi l’attraversarono, facendole sentire l’assenza del pavimento sotto di lei. Solo in quel momento si rese conto della pericolosità di quel ragazzo. Si ricordò solo allora di ciò che aveva pensato la prima volta che lo aveva visto. Ora voleva scomparire. Dopo essere sfuggita a lungo dai giudizi altrui, si trovava sotto due occhi che la imprigionavano e la facevano affogare in un mare di emozioni. Sentiva di non avere salvagenti, di non avere più ossigeno nei polmoni, quell’ossigeno così vitale per renderla potente e forte.

-Marco…io.- Sussurrò queste parole in un soffio di aiuto, quasi lo stesse implorando. Solo in quel momento si accorse che Marco non si era nemmeno curato di levarsi le cuffie. Solo dopo aver visto la ragazza muovere le labbra, aveva deciso di mettere in pausa.

-Potevi ascoltarmi…- continuò lei, cercando di trovare uno scoglio al quale tenersi.

-Perché hai ancora qualcosa da dirmi? Davvero?- rispose Marco, veloce, schietto.

-Sai la musica ti parla, ma almeno non ferisce- concluse, vedendo che non otteneva risposte. Detto ciò si girò per andarsene. Quando era ormai distante pochi metri, Sarah decise di provare ancora, riavvicinandosi.

-Io, io non credevo…-

-Sarah, stai zitta. Con me non rimedierai e vuoi forse rovinarti la tua reputazione così? Non ti conviene, lo dico per te.-

La conversazione finì lì, senza che un’altra parola uscisse dalla bocca della ragazza, ormai sprofondata in quell’abisso senza fine. Questa volta servì qualche minuto a Sarah per ritrovare la compostezza iniziale e la forza di rialzare la testa e, cancellando ogni espressione dal viso, si diresse verso l’uscita, con quel passo tipico di chi vorrebbe correre per scappare.

Si fermò solamente quando riuscì a varcare la porta e a respirare all’aria aperta. Sentiva di esser fuggita da quell’edifico diventato improvvisamente troppo piccolo. Immediatamente aprì lo zaino e tirò fuori una sigaretta. Era diventata la priorità assoluta in quell’istante. Mentre, a gran velocità, iniziava a consumare i pochi centimetri di tabacco, si accorse che poco lontano da lei c’era Elena. La vide discutere in maniera animata con un ragazzo, ma non lo conosceva e, in più, questo era di spalle. Anche lui era coperto in viso e sembrava dare poca importanza a ciò che la ragazza le stesse dicendo. Senza rendersene nemmeno conto, Sarah si ritrovò ad origliare quel poco che riusciva a captare della conversazione.

-Ti andava? Ma sei matto o cosa?- urlava Elena, con tono quasi minaccioso.

-Avevo bisogno di sparire per un po’, non volevo più restare in quel modo…- si scusava lui, gesticolando freneticamente, come se potesse aiutarlo ad esprimersi.

-Non ti azzardare più a sparire Lorenzo, intesi?-

-Mi fa effetto quando mi chiami così…- disse piano il ragazzo, quasi bisbigliando, tanto che Sarah fece fatica a capirlo. -E poi scusa…tu ti rendi conto del casino che hai fatto?-

-Senti, non volevo…non pensavo sarebbe scoppiato un disastro simile…non era mia intenzione, almeno non fino a questo punto…- si giustificò Elena, massaggiandosi la fronte come chi ha molte cosa a cui pensare.

-Non ti preoccupare, risolveremo anche questa situazione…ci sentiamo presto, Elena- concluse lui, salutandola dolcemente con un bacio alla guancia e sparendo tra i gruppi di ragazzi, creatisi per l’orario di uscita. La ragazza si guardò per qualche minuto intorno e, dopo essersi assicurata che tutto fosse normale, si avviò verso casa.

Sarah rimase colpita da quella conversazione, non credeva che la sua amica avesse continuato a vedere il ragazzo della discoteca, ma, da un lato, ne era contenta. Almeno forse poteva diventare una cosa seria. Tuttavia aveva trovato quel dialogo altamente inquietante, ma lei aveva altre cose a cui pensare.

 

Marco, sebbene stesse morendo dentro, era soddisfatto del suo incontro con Sarah. Era riuscito a dominare, a paralizzarla ed era ciò che voleva. Era riuscito a fingersi forte, a fare il freddo ed il duro proprio come lei era abituata a fare con tutti gli altri. Almeno adesso anche lei avrebbe provato il dolore che possono infliggere delle parole, la ferocia di uno sguardo. Forse niente sarebbe stato paragonabile a quello che aveva subito lui, ma era un inizio. 

Mentre si dirigeva verso casa, Marco si ricordò di dover fare delle fotocopie per sua madre. Cambiò strada velocemente e si avviò verso la copisteria più vicina, quella in cui generalmente andavano tutti gli studenti. Per sua fortuna la trovò quasi vuota e i clienti presenti avevano da svolgere questioni di poco conto.

-Dimmi pure- disse la signora anziana, proprietaria del negozio, a Marco, intento a guardarsi intorno.

-Ah si, volevo fotocopiare queste otto pagine- rispose dopo qualche secondo il ragazzo, ripresosi dal suo tornado di pensieri.

-Certo, te le faccio fronte retro?- domandò la donna, sorridendo. Probabilmente aveva fatto quel lavoro da sempre, ma non sembrava dispiacerle. Vedeva tutti i giorni una marea di ragazzi e questo le faceva piacere. Era sempre molto gentile con gli studenti, sopratutto se si trattava di aiutarli con riduzioni di appunti per copiare durante le verifiche o cose simili. 

-Si, grazie, sarebbe meglio.-

Pochi secondi dopo il tutto era pronto. Marco pagò i pochi centesimi che doveva e si riavviò verso casa, con le fotocopie in mano. Mentre camminava una foglia catturò la sua attenzione. Si muoveva con movimenti circolari sul marciapiede, seguendo il corso di quello che sembrava un leggero mulinello, formatosi in seguito all’incontro di diverse correnti. Rimase a fissare la scena con interesse per qualche secondo, ma il vento cominciò ad alzarsi sempre più, fino a far volare per tutta la strada quei quattro fogli, ancora caldi per la stampa. Tre di questi si fermarono in fretta, andando a scontrarsi contro pareti o altre superfici, oltre le quali non era possibile andare; uno continuò il suo percorso leggermente più a lungo, prima che un ragazzo lo afferrasse al volo, con facilità. Si avvicinò verso Marco, che ancora cercava di raccattare le fotocopie a lui più vicine.

-Tieni!- esclamò lo sconosciuto, con un gran sorriso sul volto.

-Oh, grazie! Scusa…-

-Ma di che! Comunque piacere, io sono Lorenzo.-

-Marco.-

Solo in quel momento Marco alzò lo sguardo verso il suo interlocutore. Gli strinse la mano per formalità e lo ringraziò nuovamente, prima di notare due occhi di un celeste limpido intenti a fissarlo.

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