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Autore: Ellie_x3    25/08/2014    2 recensioni
"Aya, hai davanti a te un uomo che ha disperatamente bisogno di capire l'amore. Non posso cantarlo ignorando che cosa significhi e temo, ormai, che senza aiuto non ci riuscirò più."
[Dal Primo Capitolo]
Tomoyui Aya ha ventotto anni, un gatto, un lavoro da impiegata e due amiche in cui crede fermamente. Vive a Tokyo, ma non ha mai capito come questo dovrebbe implicare per forza una vita avventurosa.
Ryosotsukoi Yuu sa quali opportunità può offrire la capitale: con lui è stata più che generosa. All'alba dei trent'anni è il frontman della band più famosa del momento anche se spesso, per non dire sempre, i suoi problemi urlano più forte del successo.
Potrebbero piacersi, se non ci fosse solo un piccolo problema: tutti sanno che la vita non è un manga per ragazze.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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IV

 

A Tokyo non fa mai davvero freddo.
E' come vivere costantemente nelle viscere di un vulcano: 
ribolle di lava anche negli inverni più bianchi.
Mi piace pensare di essere una creatura a sangue freddo, come le lucertole,
e per questo non sono ancora bruciata.”

-Aya

 

 

Mirai aveva detto 'ci credo' troppe volte.
Vedeva in rosa, alle volte, ed altre in nero -mai senza filtri, però, perché la sua quotidianità si nutriva di emozioni da romanzo. Distribuiva seconde possibilità a tutti, anche ai casi patologici e agli amanti infedeli, anche se finiva sempre per pentirsene.
Amava con forza, odiava raramente.
Sapendo che tipo fosse la sua migliore amica, Aya non aveva dubbi che avrebbero spostato il loro appuntamento senza troppi problemi. Anzi, forse Mirai sarebbe stata addirittura contenta di sapere che, per incastrare gli impegni presi con lei, Aya era disposta a saltare il lavoro.
Questa sì che è una novità!” avrebbe detto.
Perchè Mirai era innamorata della vita e per questo Aya la invidiava da impazzire.

Il Perla era uno degli Hostess Club più in voga dell'ambiente di Minato, un piccolo centro di grandi possibilità, di grandi sogni, di grandi somme. A tema parigino, l'intera sala circolare a gradoni risplendeva di vernice bianca e oro vivo: in un ambiente patinato che ricordava Las Vegas più che Parigi, gli avventori si lasciavano la realtà alle spalle.
Era il posto giusto per Mirai, si era sempre detta Aya. Cos'altro puoi vendere se non l'amore, quando in corpo ne hai troppo? Mirai veniva pagata dalle sette a mezzanotte per essere gentile ed offrire da bere, cosa che le usciva sin troppo bene.
Se poi ci si aggiungeva Riiko, che passava tutto il suo tempo a incollare retini e inchiostrare tavole...beh, erano un trio particolare.
Forse, un giorno, Aya ne avrebbe parlato anche a Yuu.
Gli avrebbe raccontato dei sogni che avevano al liceo, dell'inferno dell'università, della disperazione provata quando si erano rese conto di essere cadute negli standard che volevano evitare da sempre: come la caslinga, l'attrice e la scienziata erano morte per lasciare il posto a Mirai l'hostess, Aya la segretaria e Riiko la mangaka.
Gli avrebbe spiegato che erano state tre donne che si erano promesse di non cambiare mai e che invece avevano mutato pelle come i serpenti a primavera.
Forse lui, che cantava di libertà, avrebbe capito.
Ma per adesso erano ancora sconosciuti l'uno con l'email dell'altra, ed era tutto ciò che li legava.

Quando la telecamera si accese, lasciando intravedere un angolo del salotto di Mirai e l'amica in pigiama e fascetta per capelli, Aya non potè fare a meno di ringraziare mentalmente chiunque avesse inventato le webcam.
“Ciao, celebrità.” la salutò, con un gesto della mano. Dall'altra parte Mirai batté le mani, con un sorriso sul volto struccato.
“Ayacchin! La stellina più brillante del firmamento delle scartoffie...indovina indovina? La tua Mirai ha un nuovo abituè.”
A sentire un saluto così entusiasta, Aya rise forte.
I clienti abituali' di Mirai andavano e venivano con regolarità, richiedendola per gli ottimi cocktail e la conversazione divertente, ed erano sicuramente più stabili degli ultimi uomini che aveva frequentato fuori dal Perla.
Aya sapeva che Mirai li considerava come amici e che non sarebbe mai uscita con loro fuori dal lavoro. Non li avrebbe mai toccati.
Ma essere carina con loro era un giochetto, per lei che era così dolce.
“Ah sì? Mi fa piacere.”
“Si chiama Myeong Sun, ed è carino. Più del solito. Sai, non è solo un colletto bianco...lavorava a Seul e si è trasferito da poco.” Mirai sospirò, volgendo lo sguardo fuori dal quadro della telecamera. “Ho una bella sensazione, potrebbe piacermi davvero.”
Aya storse il naso.
“Un coreano? Mirai!”
“Che c'è? Non è mica un criminale.” replicò lei, offesa “Questi pregiudizi sono da campagnoli, Ayacchin.”
“Sì, va' a dirlo a tua madre nel Kanto. Le verrà un colpo se frequenterai un ragazzo del genere.”
“Se ne farà una ragione, anche se dovessi uscire con un americano!”
“Ah, quello la renderebbe felice: com'è che ci diceva? I gaijin portano soldi anche se sono sporchi e rumorosi.”
Mirai le lanciò un'occhiataccia, sollevando un sopracciglio.
“Parli come una vecchia, Aya. Non ti facevo così giudicona.”
Aya scosse la testa, togliendosi una ciocca di capelli dal viso e lanciando uno sguardo distratto a Ringo che, con un rumore ovattato, era atterrato sul tavolo dalla mensola della cucina. Gatto suicida.
“Sono quello che mi hanno insegnato ad essere, tesoro.” replicò, con semplicità “E so che frequentare un coreano ti darà non pochi problemi, quindi...dammi retta, va bene? Lascia perdere.”
“E se mi innamorassi?”
Ah.
Quello sarebbe stato un bel problema...e lo diceva proprio a lei, poi, che se lo chiedeva da trent'anni.
“Non dirlo come se fosse una possibiltà, Mirai. Non sai neanche se chiederà ancora di te.”
Mirai, di nuovo, le scoccò un'occhiata severa.
Nel suo appartamento tutto era quieto, mentre in quello di Aya l'ombra di Ringo continuava ad apparire ingigantita sulla parete color crema. Come doveva essere bello vivere a Minato, in mezzo ad un isolotto di gente interessante sempre illuminato a giorno, vicine al paradiso ma non troppo.
Lei, sull'orlo della periferia, vedeva sin troppe ombre.
“Non tutti gli uomini sono bugiardi, Ayacchin.” sbottò Mirai, incrociando le braccia al petto.
“Lo so.”
“E non sono disposta a giudicare qualcuno perché non è inserito in questa stupida società bigotta.” proseguì, più gentilmente ma senza perdere quel piglio serio che faceva intuire quanto ritenesse importante il discorso. “Siamo nel ventunesimo secolo.”
“Voglio davvero vedere come farai quando il mondo ti guarderà storto per colpa di una scelta fatta col cuore.”
“Che si fotta, il mondo. Ci farò l'abitudine.”
Aya annuì, in parte d'accordo con le parole di Mirai: continuavano ad avercela con gli altri in quel modo passivo aggressivo che aveva già causato troppi problemi, ma la società non faceva proprio niente per rendere le cose più facili.
Prese un respiro, per calmarsi, e scrollò le spalle come se potesse togliersi tutto il peso di dosso.
“Hai ragione, scusami. Parlavo come mamma.”
“Mi chiedo come tu faccia ad essere così fredda, Ayacchin.” mormorò Mirai, con una nota di preoccupazione nella voce “Ti voglio bene, ma tutta questa razionalità non ti aiuterà di certo.”
Aya scosse la testa, di nuovo, incapace di trovare una risposta.
Valutava i pro ed i contro, ma non prendeva mai una decisione.
“Lo so.”
“Se vuoi, giovedì ti mostrerò le foto che ho scattato con Sun-dono. Magari cambierai idea su di lui.”
Lei lo sperava davvero, perchè aveva fiducia nella sua amica, ma non poteva fare a meno di chiedersi come potesse assumersi il rischio di far arrabbiare i suoi genitori per amore.
Era come lasciare il porto sicuro per andarsene a largo su una barchetta perchè si è scorto lo spettro dell'arcobaleno in lontanaza: non si sa mai davvero dove si finisce, né quando e in che modo orribile si affonderà.
“Senti, parlando di questo-” esitò “Giovedì ho un impegno di lavoro. Ti dispiacerebbe tanto se spostassimo la nostra cena a Venerdì?”
Mirai si morse il labbro, pensandoci su; lanciava occhiate alla telecamera come per controllare il proprio aspetto, piuttosto che guardare l'amica dall'altra parte, e continuava a scompigliarsi i capelli.
Era nervosa, ma Aya non capiva per cosa.
L'aveva forse offesa, con la storia della relazione?
“Hm. Devo lavorare dopo le undici, venerdì.” le comunicò, ancora assorta.
“Possiamo mangiare e poi ti accompagno in macchina al club, se ti va.”
Ringo, santo animale, scelse giusto quel momento per far cadere una lampada.
Aya, per come si stava evolvendo il discorso, non fu mai tanto felice di liberarsi dall'imbarazzo e di salutare Mirai: non poteva fare a meno di chiedersi perché non aveva neanche lontanamente accennato a Yuu.


Erano le nove di sera e Aya non riusciva a non darsi dell'idiota.
Inizialmente si era messa un vestito occidentale, leggero, che però aveva scartato: ricordava di aver letto su una rivista che Yuu amava la cucina giapponese e gli ambienti tradizionali, il che spiegava perfettamente la scelta di Kyoubei, quindi aveva optato per un kimono.
L'aveva fatto per essere gentile, ma lui aveva riso.
“Di solito non ci si presenta ben vestite, alle cene?” domandò Aya, aggrottando la fronte.
Non che lei lo sapesse, visto che Riiko non usciva praticamente mai e Mirai era di certo un esempio un po' troppo estremo, quindi era andata a sentimento.
Yuu, che l'attendeva sotto casa tenendole aperta la portella di un grosso fuoristrada nero, diede in un'altra risata.
“Beh, sì.” asserì “Ma solitamente va benissimo un vestitino.”
“Ho pensato che fosse più indicato il kimono, visto il ristorante dell'altra volta.” rispose lei, fermandosi a pochi passi dal frontman. Mentre al lavoro indossava tacchi, ora che aveva le infradito percepiva tutta la differenza d'altezza che intercorreva tra loro.
Le si strinse lo stomaco per l'ansia e l'imbarazzo, chiedendosi cosa mai ci facesse lì: Yuu aveva proprio riposto fiducia nella persona sbagliata, no? Una che non riusciva neanche a vestirsi a dovere.
“Naturalmente.” replicò lui, dopo averci pensato su un momento. “Forse hai avuto più coscienza di me, in effetti.”
Yuu indossava un completo in grigio e bianco, a righe verticali, che ricordava sin troppo quello di Jack Skellington in quel film degli anni novanta, Nightmare before Christmas; proprio come il protagonista di un film in stop motion, Yuu era qualcosa di raro e bizzarro.
Aveva cambiato lenti a contatto, che questa volta erano d'un verde penetrante, ma l'anello che portava alla mano destra era sempre quello- nero, grande e metallico.
E lei era stata così idiota da uscire in kimono!
“Posso salire a cambiarmi.” si offrì Aya, accennando ad avviarsi vverso il portone d'ingresso “Non ci metterò molto.”
Tuttavia Yuu era davvero in grado di stupirla, prendendole la mano nella propria e spingendola delicatamente verso di sé. In questo modo Aya si voltò a guardarlo, con le labbra dischiuse per la sorpresa.
“No. Stai benissimo.”
“Ma-”
Lui le sorrise.
“Passiamo in sartoria, se non hai troppa fame.” decise, con quella sua voce fredda e roca, come se venisse direttamente da un altro mondo. “Voglio un kimono anch'io.”

 

“Sinceramente, trovo che Mirai si fidi troppo." sbottò Aya una volta che furono seduti sui cuscini damascati d'un elegante ristorante tradizionale, ben introdotti in una conversazione piacevole in cui la ragazza si era sfogata riguardo le intenzioni dell'amica.
Si sentiva una bambina, in balia di reazioni stupide che mai aveva avuto prima, ma Yuu pareva divertirsi ad assecondarla.
E poi, di certo, senza la sua gaffe sui kimono non avrebbe mai scoperto quanto fascino avessero gli hakama addosso a Yuu. Così, almeno, esorcizzava l'imbarazzo provato solo qualche ora prima.
“Credo che invece tua madre sarebbe fiera di te.” replicò lui, portandosi alla bocca un pezzo di tagliata “Anche la mia era molto tradizionalista.”
No, ok.
Aya non ce la vedeva proprio, una donna tradizionalista con un figlio...beh, del genere.
“Eppure sei, beh, molto...molto particolare.” lo riprese, perplessa “Come ha accettato?”
Yuu scosse le spalle, tracciando uno svolazzo in aria con le bacchette.
“Non l'ha fatto.”
“Come? E come-”
“Parliamo poco e lei non fa mai domande. Fine del discorso.” tagliò corto lui, lanciandole un'occhiata di sottecchi. Qualcosa sembrava voler davvero dire piantala, è una cosa di cui non parlo. Aya, che voleva essere tutto meno che invadente, ritenne saggio riempirsi la bocca di vino rosso ed evitare domande.
Piuttosto, poteva essere una buona idea aprirsi per prima.
“Io e mia madre siamo molto unite.” buttò lì, casualmente “è una di quelle donne che piangono tantissimo e per stupidaggini, come nei film, ma stiamo bene. Mio padre, invece, non mi parla da anni.”
Yuu inarcò il sopracciglio, alzando gli occhi dalla tagliata.
“Non ti parla?”
“Da anni, ormai.” asserì lei, serena “E' strano, vero? Con tutte quelle storie sulle principessine di papà...beh, naturalmente il mio patrigno mi ha viziata un po', per quel che poteva. E non farmi quell'occhiata.” lo redarguì, notando il suo sguardo sfuggente.
Era un misto di sincera curiosità e di finta noncuranza, che nei più tradiva una certa paura nell'affrontare una questione delicata. Se solo avessero saputo quanta poca importanza rivestiva per lei suo padre, probabilmente molti si sarebbero risparmiati quel giochetto di delicatezze e sarebbero passati a farsi raccontare tutta la storia.
Yuu, non diverso da molti altri, le stava rifilando proprio quell'occhiata da chiedo-non-chiedo che Aya detestava; naturalmente finse di non capire. Ma, ancora una volta, in molti usavano quella tecnica.
Oramai Aya vantava una certa esperienza in discorsi di divorzio, suo malgrado.
“I miei genitori si sono separati e, ecco, credo capiti ormai in molte famiglie. Ero in sesta elementare, se ci tieni ai dettagli, e a guardarmi indietro credo di aver sempre sospettato che mamma avesse un altro uomo. Se non altro, era abbastanza chiaro che lei e mio padre non si amassero.”
Con uno timido cenno del capo, Yuu annuì.
“So cosa vuoi dire. Per quel che ne so dei miei genitori, è chiaro che il tempo aveva logorato il loro rapporto.” mormorò, prima di lasciarsi sfuggire una risata “Se non altro, sicuramente ha azzerato i rapporti con mia madre.”
Aya chinò il capo, lanciando uno sguardo distratto al tavolo ma non vedendolo davvero. Pensava a sua madre e a suo marito nella loro villetta di periferia, al loro idilliaco paradiso di quotidianità e scherzetti e baci. Erano meravigliosi da vedere, anche se un po' soffocanti.
Tuttavia quella non era la sua famiglia, non al cento percento; un angolo nero, una chiazza di sporco e ricordi distorti, rimaneva sempre.
Ascoltando le parole di Yuu le venne in mente sua madre.
'Non ho mai amato papà, piccola. Mi spiace.' Le aveva detto un giorno che, in effetti, non era più così piccola da non capire le sue parole. Era l'estate della seconda superiore e sua madre, risposandosi, aveva creduto doveroso spiegarle le motivazioni di quella decisione.
Chissà perché, poi: Aya vedeva il patrigno come un padre naturale. Non si sarebbe mai sognata di chiedere nulla.
Eppure le risposte vengono se non cercate, non richieste.
Né tuo padre ha mai amato me.
Ora si ritrovava a domandarsi se non fosse una bugia, quella: se non si fossero amati una volta e quel sentimento fosse sfumato.
“Il tempo rovina molte cose, se ci pensi, no?”
“Altre le preserva.” osservò Yuu, cautamente, e lei si chiese se per caso non si stesse riferendo ai To Bara. Sapeva che erano insieme dalle superiori, ma non molto era stato divulgato sulla loro carriera di cover band.
“Già.”
La tensione era palpabile, ma fortunatamente Yuu non era il tipo da farsi scoraggiare: riempì il bicchiere di Aya col vino e le rivolse un sorriso allegro.
“Ma parliamo del presente: frequenti qualcuno, al momento?”
Per poco la ragazza non sputò il sushi che aveva appena mangiato, divenendo rossa in viso per l'imbarazzo.
“Ma che domande sono?” chiese, con la voce resa stridula dalla sorpresa “Proprio a me lo chiedi, poi! E adesso!
“Beh, non si può mai sapere.”
Aya sospirò, posandosi una mano sul cuore. Batteva all'impazzata.
Andavano bene le domande personali, ok...ma quella non se la sarebbe mai aspettata.
“No, ovviamente.” rispose, prendendosi il suo tempo per calmarsi. Ne aveva decisamente bisogno.
“Bene.”
Bene? E ora tutto quello che diceva era bene?
Gli lanciò un'occhiata da segugio, di quelle che aveva imparato da Riiko e che la facevano assomigliare di più ad un cane antidroga che ad una ragazza.
“E tu?”
“Io?”
“Sì, tu. Ce l'hai la ragazza, signor Domande Avventate?”
Yuu scrollò le spalle, sereno: la domanda non l'aveva minimamente toccato.
“No.” rispose. “Aspetta, no, bugia: non ho nessuna ragazza ufficiale. Ma frequento molte donne diverse.”
Aya aggrottò la fronte: non le piaceva indagare in argomenti a lei estranei, ma la curiosità era troppa. Stava ottenendo gossip direttamente dalla fonte, davanti ad un'ottima cena, e qualcosa le diceva che fosse un'occasione più unica che rara.
“Scopamiche?” indagò, cercando di non farlo sembrare un'accusa.
Certo, non che approvasse, ma non erano affari suoi.
Yuu, di nuovo, sembrava felice di poter rispondere a qulle domande, come se fosse tutto un grande giocare a “io non ho mai...”. Una volta preso il passo, qualcosa nel suo sguardo le diceva che sarebbe stato inarrestabile.
“Scopacolleghe.” la corresse “Non sono proprio amiche.”
“Famose?”
“Non sempre...non posso fare nomi ma- oh, al diavolo. Hime delle AkB48, è nel team B, e sono certo che basti a farti capire il genere.”
Per poco, di nuovo, Aya non si strozzò. Questa volta con la sua stessa saliva.
Hime. Hime! Era fra le più carine delle innumerevoli AKB48 girls e di certo fra le popolari. 
Da quel poco che ne leggeva, nelle riviste di gossip, la ragazza stava cercando di sfondare come solista senza l'aiuto delle 'sorelle'.
“Oh mio Dio! No!”
Yuu le rispose con un sorriso radioso e lei non sapeva se prenderla come una sfida a fargli rivelare altre donne, magari altrettanto famose, o una semplice dichiarazione di vittoria.
Ayu allora scelse di cambiare domanda, giusto per non dargli la soddisfazione di fargli stilare la lista delle sue conquiste.
“E la stampa?”
“Ah, copriamo gli scandali.”
Ora Aya era completamente attenta.
“E come?” chiese, affascinata, senza rendersi nemmeno conto di pendere dalle labbra di Yuu. Tra le altre cose, non aveva mai trovato la sua voce bella come in quel momento: a cantare era meraviglioso, ma sentirlo parlare era tutt'altra cosa. In modi diversi, quei due Yuu che -non- conosceva le piacevano molto.
Lui le fece l'occhiolino.
“Rei ne causa più di me, quindi beccano sempre lui.” spiegò, tutto cospiratorio ma terminando con la più bella delle risate.
Era rilassato, ora, e Aya percepiva la differenza come un balsamo.
Pensò che, magari, quando si scioglieva il grande frontman diventava un bambino. Giocava, scherzava, si apriva.
In qualche strano modo ciò portava anche lei a sorridere più apertamente, senza nessuna paura.
“Non ci credo, Rei-Sama ha l'aria così compassata!”
Yuu, suo malgrado, si trovò costretto ad annuire: chissà come appariva serio e posato un tipo come Rei, agli occhi di chi lo vedeva su un palco e non gli aveva mai tenuto la testa mentre dava di stomaco dopo aver bevuto troppo. Nessuna fan avrebbe voluto vederlo arrabbiato, perchè potevano volare sberle e parole pesanti, né si sarebbe mai aspettata di sentirlo fare una delle sue orribili battute. Non sapeva scherzare e reggeva poco l'alcool.
Però, se visto da fuori, era assolutamente un personaggio serio.
“Beh, lo chiamiamo Mamma e ci mette tutti in riga, ma ti assicuro che è tutto fuorché un santo.” sospirò “Fortunatamente, sistema i casini di tutti dimenticando di rattoppare i propri.”
“Credevo che fossero i manager ad occuparsi di questo genere di cose...”
“Non sempre. La nostra assistente personale, Shizuo, si trova praticamente ogni mattina a dover contrattare con Rei un modo per tenere lontane le zampe dei tabloid dal suo casino giornaliero.” spiegò Yuu, prendendo un sorso di vino.
Cominciava a girargli un po' la testa perché, nonostante prendesse tanto in giro i suoi amici, nemmeno lui reggeva poi così bene gli alcolici. Si era sempre difeso che era nella natura di un giapponese non poter bere, che non era certo una novità, ma la realtà era che non riusciva mai a regolarsi. “Anche se il livello della band non sarà sempre così elevato, per adesso ci consigliano di tenere un basso profilo e cercare di non accelerare l'inevitabile.”
Aya sbatté le palpebre, confusa.
“Inevitabile?” gli fece eco, senza capire cosa mai ci potesse essere di così fatale e tragico nell'essere un gruppo famoso. Insomma, a vederla così non sembrava poi tanto male.
“Il declino degli ascolti; non tutti siamo come i Sex Pistols.”
Ma voi avete fatto la storia, avrebbe voluto replicare lei, piccata. Non le piaceva che Yuu parlasse così, come se fosse tutto un sogno destinato a finire in un battito di ciglia, perché era del loro sogno che stavano parlando. Dei To Bara, sì, ma anche di milioni di fan.
Si sentì come se Yuu stesse sgualcendo quella meravigliosa illusione che lui stesso aveva creato per loro e la sensazione fu tutto fuorché piacevole.
Allora, istintivamente, Aya si immusonì e sbottò in un:
“Beh, allora è il caso che vi impegnate a non farlo finire troppo presto. C'è gente là fuori che conta su di voi.”

Un mondo senza gli aggiornamenti dei suoi cantanti preferiti, senza nuove emozioni, sarebbe stato davvero triste. Non voleva pensare ad una realtà dove la voce di Yuu sarebbe stata dimenticata, calpestata da innumerevoli altre note.
Forse, si disse, devo trovarmi un altro hobby.
Il fatto era, e non ci aveva mai pensato prima, che la musica era parte integrante di quella normalità a cui teneva così tanto: faceva da colonna sonora ed era ovunque. Che avesse preso vita in quel ragazzo che parlava con tanta disinvoltura dello spezzarsi di qualcosa di bello, beh, aveva davvero poca importanza.

“Senti, Aya, ti va di andare da qualche parte dopo la cena?”
Ok. Ok. Questa non se l'aspettava.
Cos'era, una specie di proposta velata? Eppure credeva di essere stata chiara.
A disagio, scosse le spalle e decise che prenderla larga era la scelta più saggia: dopotutto non le aveva ancora chiesto nulla, no? Anche se era ovvio. Gli uomini erano sempre ovvi.
“Tipo?” replicò, il più vagamente possibile.
Yuu ridacchiò e qualcosa, nel fondo dei suoi occhi verdi, lo fece sembrare incredibilmente giovane -un ragazzino, poco più, che ancora si compiaceva di scherzetti infantili e spacconate.
“Beh, io in realtà pensavo al karaoke.”

All'epoca, Aya non aveva ancora capito: quella persona amava cantare più di ogni altra cosa.




@Note

Ah, ritardo! 
Beh, il capitolo è tipo infinito quindi spero di essermi fatta perdonare (hahaha!) e che mi vogliate ancora bene! 
Vorrei solo precisare che le AkB48 sono un vero, enorme, gruppo diviso in team. Non mi pare esista nessuna Hime nel Team B, ho preferito evitare di coinvolgere veri personaggi famosi mantenendo, però, un contesto quanto più realistico possibile. 
Indi per cui, Aya non incontrerà mai Johnny Depp. Peeeeeeccato. 
Tenetemi d'occhio Mye Sun, che  non è stato solo un pretesto per inserire un po' di vecchia frizione raziale made in Tokugawa (anche qui, i pensieri di Aya sono la classica mentalità giapponese, dove i coreani sono ancora molto discriminati, ma io come autrice non sono d'accordo. Amo la corea e i coreani, ma ignorare alcune cose sarebbe come dire che Hitler non ha mai invaso la Polonia). 

E dopo tutte queste note me la filo, ho un sacco di cose arretrate e /aaah/ sono in ritardo.
Ja na <3
Ellie

 

   
 
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