Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: Shine phantomhive    25/08/2014    3 recensioni
Sempre più grigi, sempre più cupi furono i mattini; doloranti, esausti, i miei arti desideravano un solo attimo di pace. Debole, fioco, fu l’ultimo respiro che egli, riuscì a catturare.
Tremante, debellato, esanime, come una di quelle sfiorite foglie, fu il mio corpo tra le sue calde mani, fra le sue spente speranze.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Distressing Hope


 

Un  ameno, piacevole, venticello spazzò via, in un solo attimo, tutto ciò che raccolsi poco prima; innalzò le foglie, ormai morte, ed una leggera polvere in un turbine brioso. Caos e confusione predominavano ormai su quel polveroso terreno. Rimasi stregato dalla danza delle foglie, rimasi stregato nel vedere come, in un solo attimo, ore di duro sacrificio vennero  brutalmente cancellate…rimasi quasi sconfortato quando accostai il teatrino venutosi a creare alla vita di noi soldati; sentii mancare il respiro, un greve vuoto mi catturò il petto, una vertigine stravolse il mio essere. Stavo lì, testa china, in preda ai dolorosi ricordi, quando inspiegabilmente la mia mente ricondusse quel caos, profano dell’ordine, al corpo giacente, troncato, umiliato di Marco. Sentii i battiti del cuore risuonarmi in testa, sentii il respiro assente, per poco non persi l’equilibrio; avanzai di un passo schiacciando involontariamente una delle foglie, la raccolsi stranito, alienato, incurante di ciò che stessi facendo, quasi come se il mio stesso corpo mi fosse estraneo. La puntai con lo sguardo, ma non la osservai veramente, non osservai nulla, nei miei occhi era ancora riflessa la figura del mio compagno caduto. Il vento impetuoso, prepotente, soffiò più forte proiettando lontano da me il fogliame;  riemerse nei miei pensieri, davanti i miei occhi, dentro il mio cuore quel fuoco, rosso, crudele, disumano che avido consumava, bruciava, divorava i resti dei nostri compagni. Nulla rimase, nulla se non cenere, eccetto quel frammento d’osso che ingenuamente mi convinsi a credere fosse di Marco. Nessuno muore veramente se vivo nei nostri ricordi, eppure, avere quel falso ma concreto frammento, recava in me una squallida tranquillità. Alzai gli occhi all’empireo, sospirai affranto; il cielo azzurro macchiato da sporadiche nuvole bianche, apparì caliginoso. Lacrime cercarono di liberarsi, cercarono di soggiogare  il mio vuoto sguardo; ghermii tra le mani quell’ormai esamine foglia, tremai, cercai di scrollare via dal mio essere quel torrido ricordo che spesso veniva a far visita, divorando, di volta in volta un pezzo della mia volontà, della mia felicità, della mia speranza. Spesso pensai che servisse per tenermi i piedi per terra, per non alludere ad un futuro che, forse, non sarebbe mai sopraggiunto. Una voragine d’emozioni, mi stravolse; portai una mano alla testa, dolente pulsava, decisi di cessare il lavoro che mi era stato affidato e mi recai, con svogliati passi, al capanno per riporre la granata (scopa).
Posai alla meglio l’arnese. Mi sentii un mostro poiché, per l’ennesima volta, ringraziai il cielo che tra quelle fiamme, non ci fosse il mio corpo;  sentii le gambe farsi pensanti come se, improvvisamente, la gravità avesse deciso di schiacciarmi. Sospirai e decisi di lasciarmi andare.
-Accidenti!- Fui afferrato prima che potessi toccare terra.
Le sue mani erano sempre incredibilmente calde, continuai a trovarla una sensazione sgradevole, ma nonostante ciò ne dipendevo; mi facevano sentire vivo. Mi limitai ad un sordo, indistinto, verso e mi rialzai.
-Sei uno stupido, non riesci nemmeno a reggerti in piedi, e credi di poter combattere?-
-Zitto idiota- risposi.
Era l’unico a sapere cosa mi tormentasse tanto,  ed era questo il suo, sgradevole, modo di aiutarmi; finimmo per litigare, come sempre. Sotto braccio mi portò al muro, la fredda parete accolse le mie spalle; una piacevole scossa mi percorse il tramortito corpo, risvegliandolo leggermente, sussultai lievemente. Esaminai con fugace sguardo Eren; dentro di me lo ringraziai per avermi sistemato vicino la finestra, dove potermi sentire libero nonostante fossi rinchiuso in quel recondito capanno. Si sedette alla mia destra, restò a guardare dritto davanti a lui, nonostante non ci fosse nulla. Illuminati dalla fioca luce di un freddo mattino, i suoi tersi occhi, sembravano trasparire come immense distese d’acqua, dove sogni e speranze,
vorticavano liberi da ogni inibizione. Voltai il capo nella direzione opposta, oltrepassai con lo sguardo, con la mente, con tutto me stesso il paesaggio che, quieto, traspariva da quell’impolverata finestra; riuscii a vedere oltre le mura, vidi le immense terre, le grandi acque, l’incommensurabile cielo  che  avvolgeva, con un fare quasi materno, quella terra a me ancora sconosciuta. Ne percepii, sognante, gli odori ed ogni sorta di trambusto, suono, strepitio, vocio. Non lo confessai ancora ad Eren, ne mai pensai di doverlo fare, ma conoscere il mondo esterno divenne uno dei miei più fiduciosi sogni. Socchiusi gli occhi simultaneamente ad un torbido sospiro, scossi la testa e cipiglio contemplai nuovamente la figura di Eren. Sbocciarono, come fiori in piena primavera, ricordi di battaglie; aiuti disperati tra l’aspro sapore di strazianti lacrime, affranti urli soffocati in sordi gorgoglii e orripilanti visioni di corpi tramortiti, umiliati, percossi…ormai privi di vita, privi di ogni più pura speranza. Era forse questo lacerante presente ad unire due tipi come noi. Udii risuonarmi fin dentro la testa, la voce e le urla cariche di sgomento, di rabbia, di paura di Eren e rimembrai di tutte quelle volte in cui cercai di calmarlo nonostante dentro fossi vuoto. Sempre più volte, l’unico mio aiuto, fu un pianto strangolato ed un’immane ricerca di sguardi.  Amavo, ormai da tempo, considerarlo come un circolo vizioso: riuscivo a trarre forza da lui e viceversa lui da me, sebbene fossimo privi d’animo. Rimembrai il corpo mio, madido delle sue lacrime, in quelle calde sere dove l’intrecciarsi dei nostri corpi, invocava quell’incessante brama di tranquillità. Sussultai avviluppandomi le mani al collo come se, improvvisamente, un’ingiusta morte avesse deciso di soffocarmi per condurmi nel tranquillo abisso di un sonno eterno. Sgraziato volsi un tormentato sguardo alla figura che, ancora, stava alla mia destra; sperai con tutto me stesso, in un’illogica supplica a Dio, di essere il primo tra noi due ad andar via. Per una sola volta nella mia vita, crebbe in me la speranza, quasi la volontà, di uccidermi se solo Eren fosse stato prossimo alla morte prima di me. Non seppi mai se fu solamente l’ennesimo atto di codardia, od un semplice desiderio; un’immorale smania d’abbandonare questo mondo con il sorriso sulle labbra, non importa quale sofferta morte mi fosse stata predestinata.


N.d.A.

Salve ^ ^
Premetto che questa è la prima FF che faccio su questa coppia; doveva uscirne qualcosa di più allegro, ma vabbè…Che lo spirito di Isayama mi abbia posseduto? D:
Qualsiasi errore, correzione e pensiero -sia positivo che negativo- siete liberi di esporlo (-> w <-)
Grazie a tutti

Shine
 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Shine phantomhive