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Autore: Melabanana_    25/08/2014    2 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Grazie alla mia ohana di avermi betato il capitolo ♥






-Midorikawa, siediti.
Per quanto si sforzasse di essere gentile ed ospitale, gli inviti di Gazel non erano mai molto incoraggianti, probabilmente perché non riuscivo a tralasciare il dettaglio che fossero sedute costrittive: se osavo non presentarmi, infatti, Gazel mi costringeva letteralmente, a costo di trascinarmi di peso. Non era proprio il tipo da compromessi o mezzi termini, era più che altro dell’idea che le cose si dovessero fare a modo suo, senza se e senza ma. Non si sedeva mai su una sedia, preferiva accomodarsi sulla propria scrivania, come un gatto, e manteneva sempre una certa distanza da me, come se il contatto fisico lo disgustasse. Il tono che usava per le domande era calmo e distaccato: sebbene ogni tanto si lasciasse andare a sbuffi d’impazienza, stava sempre ben attento a tradire pochissime emozioni.
-Riprendiamo dai tuoi sogni. Non mi hai ancora raccontato nulla di specifico. Cosa ti succede, in quest’incubo? Raccontami i dettagli- disse. Anche questa volta, non aveva preso la questione alla larga; non lo faceva mai. –Ehi, ci sei?- Richiamò la mia attenzione con uno schiocco di dita.
Annuii, tentando di ignorare il fatto che la sola vista del suo blocchetto mi mettesse ansia, e gli descrissi brevemente il mio sogno. Non ero molto propenso a scendere nei particolari e quasi mi aspettavo che Gazel mi rimproverasse, invece lui ascoltò tutto in silenzio, con attenzione, senza interrompermi nemmeno una volta.
Alla fine, quando mi fermai, aspettò qualche secondo per accertarsi che avessi effettivamente terminato, poi intervenne con una domanda:- Cosa c’è dietro la porta?
Sospirai e mi buttai indietro sulla sedia, alzando lo sguardo al soffitto.
-Non lo so... Mi sveglio sempre nell’istante in cui sto per aprirla, perciò non so cosa ci sia dietro.
Quando tornai a fronteggiare il mio interlocutore, mi accorsi che aveva iniziato a scarabocchiare note sul taccuino, freneticamente, come se la sua mano fosse posseduta da una forza misteriosa. Mi soffermai ad osservarlo. Gazel era mancino e amava arrotolarsi le maniche della maglia fino all’altezza delle spalle, vestiva sempre come se ci fossero stati una trentina di gradi, nonostante il condizionatore della stanza segnasse solo nove gradi sopra lo zero; le sue braccia, nude e lisce, del colore del caffelatte, sussultavano leggermente seguendo i gesti rapidi della scrittura.
Una volta terminato di appuntare qualunque cosa lo avesse colpito della mia descrizione, rimase a fissare la pagina, immobile se non per qualche movimento impercettibile delle labbra, poi, all’improvviso allontanò il blocchetto dal proprio viso.
-È una “stanza 101”disse. Nel suo sguardo si era accesa una luce. Sapevo cosa voleva dire, quella luce. Era una consapevolezza, un’idea: naturalmente aveva elaborato una qualche ipotesi che sfuggiva alla mia comprensione.
-Scusa, non ti seguo- fui costretto ad ammettere. 
Lui sbuffò, quasi risentito della mia ignoranza. -Dicevo che la porta potrebbe essere come la “stanza 101” di Orwell. È una metafora, un luogo dov’è contenuto tutto il male del mondo- spiegò, sbrigativo, senza soffermarsi a spiegare in dettaglio cosa c’entrasse Orwell.
-Da quanto mi hai detto, la porta del sogno potrebbe essere la tua “stanza 101”, cioè contiene ciò che più ti terrorizza al mondo. Il motivo per cui ti svegli sempre prima di aprirla è che tu non vuoi vedere ciò che c’è dietro. È il tuo sistema nervoso che ti ordina di svegliarti. Mi segui?
Annuii, constatando quasi incredulo che tutto ciò aveva un senso.
–Non hai niente da dire? Nessun commento da fare? Sicuro di aver capito sul serio quello che ti ho detto?- Gazel mi interrogò, scettico.
-Ho capito!- Avvampai di vergogna. -Stavo soltanto pensando che… che sei davvero intelligente. Io non avrei mai capito tutto questo da solo…- notai. –Mi chiedo come mai tu non abbia fatto progressi riguardo i tuoi stessi ricordi…
Lo osservai mentre girava il taccuino e tamburellava la penna su una nuova pagina bianca, facendo scattare il meccanismo di chiusura-apertura della penna (clic, clic, clic).
–Anche io potrei aver paura- ammise, riluttante, a bassa voce. –A volte siamo così bravi a fingere che vada tutto bene, che la nostra mente ci convince davvero che sia così... Selezioniamo sempre e solo le realtà che ci piacciono di più.- (Clic, clic.) -Forse è anche per questo che fatichiamo così tanto a capire cosa passa per la testa degli altri.
–Sai che l’idea che tu possa diventare davvero uno psicologo mi terrorizza, vero?- Feci una mezza risata, ma non scherzavo. Gazel scrollò le spalle come se la ritenesse un’osservazione banale, evitò il mio sguardo e si sporse verso il telecomando del condizionatore.
-Non fa un po’ caldo qui dentro?- disse
-Forse per gli orsi polari sì, fa un po’ caldo- obiettai, sarcastico.
Lui mi ignorò e abbassò la temperatura di qualche grado. Quando tornò a sedersi normalmente, si passò una mano tra i capelli e aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu subito interrotto da un improvviso vociare proveniente da fuori. Gazel sbuffò, irritato, e si alzò: probabilmente aveva intenzione di dire a chiunque stesse facendo quella confusione di andare altrove, tuttavia non appena aperta la porta parve calmarsi di colpo.
-Oh- mormorò. Incuriositomi, lo raggiunsi e feci capolino dalla porta, trovandomi di fronte una ragazza con un caschetto blu e grandi occhi dello stesso colore.
Dietro di lei, quattro persone che ben conoscevo.
-Reize!- IC urlò e mi lanciò le braccia al collo, alzandosi sulle punte per potermi abbracciare con più comodità. -Che fortuna incontrarti subito! Pensavamo di doverti far chiamare!
Non li avevo mai visti vestiti così di tutto punto: erano in divisa, una che comprendeva pantaloni al ginocchio, cravatte e giacche aperte, il tutto blu notte, e camice bianche, dai cui taschini spuntavano i distintivi.
-Ragazzi… che ci fate qui?- chiesi, un po’ stordito. Nepper scrollò le spalle e IQ si sistemò gli occhiali sul naso, serio.
-Non hai sentito? Dopo le ultime novità su Garshield, è stata indetta una riunione d’emergenza in cui sono state coinvolte le undici Spy Eleven e le loro squadre. Seijirou Kira ha offerto la propria base come luogo di raccolta- spiegò.
-Il che vuol dire che questo posto si riempirà in breve tempo. Dannazione, non si può proprio stare in pace qui…- brontolò Gazel, che forse pensava di poter stare tranquillo una volta liberatosi di Burn. -Avrei dovuto immaginarlo che si sarebbe sollevato un polverone- aggiunse sottovoce.
Si voltò verso la ragazza che non conoscevo.
-Kurakake, come stai? Mi sembri in salute- disse, con una gentilezza che mi colpì molto. Raramente Gazel era così affabile. Guardai la ragazza con aria interrogativa e IC se ne accorse.
-Reize, lei è Clara. È l'unica del nostro team che non conosci, vero?- disse.
-Per forza. Clara è andata a Tokyo quando Reize è venuto da noi, ricordi?- osservò Heat.
La ragazza si accorse di essere al centro dell'attenzione e le sue guance si tinsero di rosso. Fece un piccolo inchino per dissimulare l'imbarazzo. Gazel stava per dire qualcosa, ma in quel momento IQ si frappose di colpo tra lui e Clara, facendola sobbalzare.
-Ho sentito dire che molte delle intercettazioni sono state merito vostro. Vi faccio le mie più sentite congratulazioni- esclamò. Per la prima volta da quando lo conoscevo sembrava in soggezione, ma i suoi occhi brillavano di ammirazione. Il suo volto si illuminò, possibilmente, ancora di più quando Gazel acconsentì a stringergli la mano.
-Intercettazioni? Quali intercettazioni?- intervenni, sorpreso.
IQ si sistemò gli occhiali sul naso e mi guardò con sufficienza.
-Come puoi non saperne niente, tu che lavori qui?!- mi rimbeccò. –Non solo la vostra postazione è riuscita per ben due volte a respingere gli attacchi del nemico, ma ha saputo sfruttare l’infiltrazione di dati esterni per rilevare la posizione dei pirati informatici ed intercettare dati utili al fine di smascherare i loro piani. È stato un lavoro di tutto rispetto!
Si voltò verso Gazel con sguardo profondamente ammirato, come per cercare conferma, ma l’altro si limitò a scrollare le spalle ed infilarsi le mani in tasca con la consueta inespressività.
-Facciamo del nostro meglio- disse, vago.
Avevo la sensazione che sminuisse i suoi meriti per non avere scocciature, ma al contempo il lieve sorriso che gli era comparso sul volto tradiva un certo compiacimento. Sospettavo anche che, oltre ad un valido contributo alla missione, il suo impegno nelle intercettazioni fosse stata la sua personale rivincita contro l’attacco di Garshield ai suoi archivi informatici.
Sì, Gazel odiava decisamente perdere.
Mentre IQ continuava a inondare Gazel di complimenti e chiacchiere su roba elettronica di cui non capivo assolutamente niente, IC si staccò da me e mi rivolse un gran sorriso.
-Sai, Diam non vedeva l’ora di vederti e appena arrivato è corso subito dentro! Ah, se sapesse che ti abbiamo visto prima noi…- Si portò una mano alle labbra e ridacchiò.
Quindi c’era anche Diam. Ovviamente c’era anche Diam.
Al solo sentire il suo nome, sentii lo stomaco annodarsi per il nervosismo. Che diavolo gli era saltato in mente? Ora chissà dove avrei dovuto cercarlo… Ero impaziente di vederlo, e mi chiesi se fosse davvero possibile perdersi nella nostra sede.
-Dai, non preoccuparti. Prima o poi salterà fuori- ghignò Nepper. –In fondo è solo colpa sua e della sua testa calda… E poi Zell l’ha seguito per accertarsi che non facesse guai.
-Almeno sapete che direzione ha preso?- lo interruppi, non potendo evitare un tono speranzoso, quasi urgente. I ragazzi assunsero un’espressione pensosa, poi Heat indicò con sicurezza la fine del corridoio, e più precisamente le scale: doveva essere salito di sopra. Mi voltai verso Gazel e lui mi fece un cenno d’assenso, il che voleva dire che per il momento mi lasciava andare.
Salii le scale due gradini alla volta, di corsa, senza curarmi del rumore che facevo, e con un ultimo slancio saltai sul pianerottolo del primo piano.
Naturalmente, mi era capitato di pensare a Diam nei mesi in cui non l’avevo visto. Non avevamo promesso di sentirci in alcun modo ed entrambi avevamo avuto altro da fare; io ero stato molto preso dalla faccenda di Fudou, poi da Hiroto e da Kazemaru.
Ma erano le piccole cose a ricordarmi di lui, occasionalmente: un odore particolare, o i colori, o anche il modo di allacciarsi le scarpe, dettagli che durante la convivenza non mi ero accorto di aver assimilato. Avevo pensato spesso a lui, ma fu solo quando lo vidi, in carne ed ossa, davanti a me, che mi resi conto di quanto mi fosse mancato.
Sebbene indossasse un'anonima divisa blu, Diam aveva trovato ugualmente il modo di distinguersi. Si era legato in vita la giacca e aveva arrotolato le maniche della camicia fino agli avanbracci. Al polso destro portava un polsino verde. Guardai i suoi piedi: i lacci delle scarpe erano di due colori diversi, annodati due volte, con le punte infilate dentro. Mi venne spontaneo sorridere. 
Diam stava parlando animatamente con Maki. Quando mi avvicinai, lei si girò e mi salutò con la mano alzata.
-Ah, Midorin! Qui c’è un ragazzo che ti cerca, un tipo spassosissimo!- esclamò.
Diam si voltò nella mia direzione e nello stesso momento mi gettai ad abbracciarlo. Ci stringemmo a vicenda.
-Ehi, Reize! Dov’eri finito?
Scossi il capo e affondai il viso nella sua spalla, respirando il familiare profumo di limoni.
-Io ero fermo al piano di sotto, scemo. Sei tu che sei andato girando- lo accusai, scherzoso, e lui scoppiò in una fragorosa risata.
-Ops. Scusa. Ah, sei diventato più alto, o sbaglio? Però non hai cambiato pettinatura.- Si scostò per osservarmi meglio. –Uh, non sei stato lontano dai guai, direi… Sai, secondo me hai un bel viso, è un vero peccato continuare a sfregiarti così. Dovresti starci più attento- aggiunse, imbronciato, quando riuscì a vedermi bene in faccia. Il livido fattomi da Kazemaru aveva cambiato colore, passando da violaceo a rosso.
Diam sospirò, quasi rassegnato, e mi attirò di nuovo tra le sue braccia. Al contrario di me, non era cresciuto in altezza ed ora era più basso di me di almeno cinque centimetri.
-Mi sei mancato- mormorai, sincero. Lui si scostò e mi scoccò un bacio appiccicoso sulla guancia
-Anche tu, Reize, anche tu- rispose. Il suo volto era ridente e luminoso, i capelli castano scuro erano legati in una specie di coda di cavallo e l’orecchino di sua madre pendeva dal lobo sinistro, ben visibile a tutti. I suoi occhi s’immersero nei miei, ipnotici come sempre, e mi mozzarono il fiato per qualche istante: sapevo cosa stava per succedere.
-Midorikawa?- Qualcuno chiamò il mio nome alle mie spalle.
Schiaffai le mani sulla bocca di Diam e lo spinsi via con decisione, poi mi voltai di scatto sperando di non essere arrossito in modo troppo evidente.
-Ouch, Reize, ma che ti è…- Diam, per una volta, si zittì da solo: lui aveva visto Hiroto, che stava a pochi metri da noi.
-Mm? Che succede, che succede?- Maki ruppe il silenzio, sporgendosi curiosa verso di noi per capire come mai ci fossimo improvvisamente bloccati tutti. A quel punto, Hiroto sospirò, si passò una mano dietro la nuca e sorrise in modo incerto.
-Midorikawa- ripeté il mio nome lentamente, quasi accarezzandolo, poi aggiunse:– Uh… buongiorno… Interrompo qualcosa?- Lanciò un’occhiata verso Diam e il sorriso si affievolì.
-N-no, nulla! Buongiorno!- risposi, con una voce lievemente stridula. Non aveva visto Diam che tentava di baciarmi, vero?! Oddio, ma quando era arrivato? Avrei voluto scomparire!
-Ehilà- salutò Diam, facendo capolino alle mie spalle. Lui e Hiroto si stavano ancora studiando, tranquilli: non sembrava esserci nessuna ostilità tra loro, solo una certa tensione e della naturale curiosità.
-Uhm… Hiroto, lui è Diam. Diam è stato il mio…
-…partner in Hokkaido- finì Hiroto. -Lo so. Ho sentito dire… molte cose su di lui.
-Non molto lusinghiere, mi sa- osservò Diam serenamente.
-No, infatti- ammise Hiroto. Io e Maki spostavamo lo sguardo dall’uno all’altro, curiosi di sapere come si sarebbe risolto quello strano scontro psicologico, mentre Reina pareva del tutto disinteressata. In verità, era molto immersa in una conversazione con Zell: non l’avevo notato prima, ma, come aveva detto Nepper, doveva aver seguito Diam e ora si trovava anche lui lì, un po’ per caso. La cosa più strana era che lui e Reina parevano conoscersi. Avrei indagato più tardi.
-Ma questo non importa- aggiunse Hiroto dopo un po’. –So che sei importante per Midorikawa… tutto il resto non conta.
La tensione nell’aria diminuì di colpo. Hiroto scrollò le spalle e tese la mano in avanti. Diam la guardò sorpreso, poi la sua bocca si allargò in un gran sorriso: afferrò al volo l’occasione con gioia.
-Giusto, giusto! Allora, io sono Diam, come hai sentito- esclamò –mentre tu sei…?
-Kiyama. Kiyama Hiroto. E sono…- Mi lanciò uno sguardo e arrossì impercettibilmente. -…venuto a cercare Midorikawa per dirgli una cosa-. Tossicchiò e mi fece cenno di avvicinarmi.
 Annuii, confuso dal suo comportamento, e lui mi afferrò per un braccio e mi trascinò in un angolo. –Allora, Zell, fatto colpo?- Sentii Diam ridere amabilmente alle nostre spalle, e poi Zell balbettare qualcosa di incomprensibile. Ero del tutto certo che fosse arrossito.
Mi volsi verso Hiroto e lo sorpresi a fissare Diam di soppiatto.
-Qualcosa non va? Cosa volevi dirmi?- chiesi, dandogli una spintarella. Lui sussultò e mi guardò, smarrito, come se non avesse capito la domanda. Capitava sempre, quand’era immerso nelle proprie riflessioni. Sospirai, impaziente. 
-Non dovevi dirmi qualcosa?
-Oh. Sì- disse, scosse il capo per liberarsi da altri pensieri.
-La tua camera è stata sistemata… Tu e Kazemaru potete tornarci quando volete.
-Ah, okay… fantastico- replicai senza entusiasmo. Hiroto mi offrì un debole sorriso.
-Immagino che al momento non ti vada di dividere la stanza con Kazemaru… Magari potresti continuare a stare da me, mentre Endou andrà di là. Solo finché le acque non si calmano… cosa che noi tutti speriamo accada presto- propose.
-Va bene- acconsentii, imbronciato.
-Non fare quella smorfia. Sai cosa voglio dire- mi rimproverò –e hai sentito quel che ha detto mio padre. È un momento difficile, e noi dobbiamo restare uniti… Anche tu vorrai far pace, no? Non dirmi che sei ancora arrabbiato?
-No- brontolai –ma questo non basta a sistemare le cose.
Hiroto mi pizzicò una guancia con affetto.
-Comunque, non volevo dirti solo questo. Uhm, sono venuto a prenderti-. Guardò verso il quartetto a qualche metro da noi. Diam fu il primo ad accorgersi del suo sguardo; in realtà, avevo l’impressione che non avesse mai smesso di osservarci.
-Ragazzi, di qui a poco arriveranno altri ospiti… importanti- disse Hiroto. Gettò un’occhiata all’orologio che aveva al polso. –Dovremo tornare di sotto. Mia sorella ci aspetta nella sala riunioni, e sapete che a lei non piace aspettare.
-Importanti? Quanto importanti?- esclamò Zell. –Tipo il primo ministro?
Hiroto sorrise. –Be', non proprio, ma ci sei vicino- disse.
-Wow. Avevo capito che si trattava di qualcosa di grosso… è la prima volta, da quando sono in servizio, che vengono chiamate tutte le Spy Eleven- proseguì il ragazzo dai capelli bianchi. Diam gli diede un colpetto tra le scapole, facendolo sobbalzare.
-Oh oh, sì, non cambiare discorso. Devi ancora dirmi come mai conosci queste due belle ragazze, simpaticone- scherzò. Scoppiò a ridere quando vide l’altro arrossire furiosamente, ma Maki lo precedette.
-Veniamo dallo stesso centro di addestramento, o meglio Zell c’è stato solo per qualche mese. Eravamo molto amici e mi sono sempre stupita che non abbia mai chiesto a Reina di uscire, visto che è palesemente…- Non finì la frase perché Zell le tappò la bocca con una mano e la fulminò con lo sguardo. Purtroppo per lui, questo servì solo a scatenare l’ilarità generale. Diam e Maki erano sulla stessa lunghezza d’onda, e più Zell cercava di giustificarsi, più loro parevano trovarlo divertente. Ebbi un po’ pietà di lui e decisi di sviare il discorso.
-Sai che non sapevo nemmeno avessimo una sala riunioni? Di solito ci vediamo tutti nell’ufficio di tuo padre- osservai.
-Beh, non la usiamo spesso. Voglio dire, è enorme e, che io sappia, è passato moltissimo tempo dall’ultima volta che tutte le Spy Eleven si sono riunite. Spy Eleven con squadre annesse, peraltro. Sembra che la sala riunioni sarà riaperta apposta per l’evento.
-Sì, ma… dov’è?- Avevo girato e rigirato quell’edificio da capo a fondo; era impossibile che una sala del genere mi fosse sfuggita.
-Vedrai.- La voce di Hiroto era piena di promesse, il suo sorriso misterioso. Notai che i suoi occhi brillavano come quelli di un ragazzino.
-Sembri divertirti- commentai.
-Beh, non è che non ci sia mai stato- ammise –ma è passato tanto tempo. Da bambino era uno dei miei posti preferiti… Sai, con tutta quella roba da sala riunioni… è esattamente come nei film, file di sedie e le scalinate e lo schermo gigante…! Ah, adoravamo giocare lì dentro.- La sua voce era carica di entusiasmo e nostalgia.
-Adoravamo? Tu e Hitomiko?
Hiroto non mi rispose. Mi girai a studiare la sua espressione e notai che la scintilla che avevo intravisto nei suoi occhi era scomparsa: d’un tratto era nervoso, in qualche modo tormentato, e si mordicchiava il labbro inferiore mentre guardava fisso avanti.
Entrammo nel corridoio del piano inferiore e Hiroto affrettò un po’ il passo quando ci trovammo a superare la fila di uffici, compreso quello di Gazel. Si fermò davanti all’ultima porta, bussò e ci venne ad aprire Fumiko: indossava la sua divisa in modo impeccabile, con i fitti boccoli rosa che le contornavano deliziosamente il viso scuro, facendo risaltare il colore dei suoi occhi. Era così curata, così elegante, che sembrava quasi voler far colpo su qualcuno. Rivolse un sorriso fugace a Reina e Maki e bisbigliò qualcosa a Hiroto, che annuì e richiuse la porta alle nostre spalle.
A quel punto, la ragazza tornò verso l’interno della stanza, fece il giro di una delle scrivanie e si fermò davanti a quello che sembrava un archivio di ferro, tozzo e rettangolare. Ma non lo era. Era una porta massiccia che, quando Hiroto poggiò una mano su quello che mi era parso un cassetto, si illuminò di una fluorescenza verdognola, tremò e si aprì.
Hiroto e Fumiko entrarono per primi e si misero ai lati della scalinata che scendeva vertiginosamente verso il basso. La sala riunioni era esattamente come Hiroto l’aveva descritta, ma vederla di persona mi gonfiò il petto d’emozione; i miei occhi non riuscivano a saziarsi della bellezza delle colonne di marmo, del pavimento perlaceo, dei tappeti rossi, delle sedie rivestite di velluto brillante e certamente soffice, delle scrivanie di legno dorato addossate ai muri. Lanciai un’occhiata al mio fianco e vidi che Diam, Zell, Maki e Reina osservavano la stanza con la stessa eccitazione. Tornai a guardare avanti e, solo allora, notai le figure che si stagliavano davanti allo schermo al plasma.
Hiroto scese le scale e si affiancò a Hitomiko, Saginuma e Seijirou. Fumiko uscì dalla camera e rientrò, pochi minuti dopo, accompagnando Gazel, Burn, Endou, Kazemaru (Kidou e Gouenji, probabilmente occupati con i Fubuki, erano gli unici dei nostri agenti operativi a mancare all’appello), e poi naturalmente la squadra di Saginuma.
-Questa sala si riempirà molto presto- commentò Seijirou con un lieve sorriso.
-Ma, prima che questo accada, ci sono alcune persone che vorrei presentarvi.
Si fecero avanti quattro persone, un uomo alto e stempiato con un paio di occhialini scuri e tre ragazze che non potevano avere più di vent’anni.
-Prima di tutto, mi sembra d’obbligo che conosciate il signor Raimon. Lavorava nella zona di Tokyo, ma in seguito è stato trasferito in Europa; attualmente è la Spy Eleven di stazionamento in Francia. Sua figlia Natsumi lo accompagna nel suo lavoro e si occuperà del vostro programma di addestramento in questo momento di difficili, ma necessarie, preparazioni. Vi chiedo di affidarvi completamente a lei; sa quel che fa, nonostante la giovane età.
Natsumi Raimon fece un leggero inchino e, quando si raddrizzò, notai i suoi occhi fieri, dello stesso colore nocciola dei capelli lunghi e ondulati. Si girò e indicò le altre due ragazze che erano con lei.
-Aki Kino e Haruna Otonashi fanno parte della mia squadra- disse. Aveva una voce chiara e limpida e il suo giapponese era perfetto, si capiva che era nata e cresciuta qui.
Kino, che indossava una lunga gonna verde pino, lo stesso colore dei suoi capelli e occhi, ci fece un sorriso e ci salutò con la mano, mentre Otonashi si alzò gli occhiali rossi sulla frangia ed esclamò, allegra:- Piacere di conoscervi! Spero che lavoreremo bene insieme!
Hitomiko batté le mani per richiamare l’attenzione su di lei.
-Bene, è ora di andare avanti. Ieri abbiamo ricevuto una chiamata dal primo ministro, che, in via del tutto eccezionale, ci ha chiesto il favore di partecipare alle indagini… con un tramite- disse.
Oltre a quelle della squadra di Raimon, c’erano altre due ragazze in sala. Una delle due, vestita in giacca e cravatta, interamente di nero, si avvicinò con passo sicuro e determinato.
-Il mio nome è Touko Zaizen. Prenderò personalmente parte alla missione contro Garshield, per questo motivo io e la mia guardia del corpo staremo qui per un po’- disse, accennando alla tipa dai capelli azzurri che stava comodamente seduta a gambe incrociate su una scrivania. -Spero di poter lavorare bene con tutti voi!- aggiunse e fece un veloce inchino.
Zaizen… il cognome non mi era nuovo, poi ebbi un flash.
Era la figlia del primo ministro. Non avevo idea che fosse così giovane, né che s’interessasse a queste faccende, ma il suo volto da ragazzina aveva già la fierezza di una guerriera: dava la sensazione, a pelle, di una persona pronta a gettarsi in un baratro al tuo posto, pur di salvarti. Già sapevo che le avrei affidato la vita senza pensarci due volte.
-Hiroto, speravo che tu potessi portare la signorina Zaizen, la signorina Urabe, la signorina Raimon, la signorina Kino e la signorina Otonashi a fare un giro dell’edificio- disse Seijirou, serio.
-Mi piacerebbe vedere dove vi allenate- osservò Natsumi. Hiroto annuì.
-Potete contare su di me- rispose, con un rapido inchino.
Fremevo d’eccitazione: ora che gli ingranaggi erano in moto, non volevo perdermi nulla. Mi girai verso Diam e dalla sua espressione capii che anche lui non vedeva l’ora di cominciare a darsi da fare. –Possiamo venire anche noi?- domandò, infatti, anticipandomi di poco.
Né Hiroto né altri ebbero nulla in contrario.

 
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Delle cinque ragazze che camminavano con noi, solo Natsumi era difficile da approcciare: era sempre immersa nel suo taccuino e non dava a nessuno l’occasione di parlarle, o se lo faceva le sue risposte erano brevi e fredde. Sembrava che ci tenesse molto a creare un’immagine di sé calma, composta e rispettabile.
-È timida. Non conosce nessuno qui- mi disse Kino, indovinando i miei pensieri. –Certo, sarebbe diverso se ci fosse almeno qualcuno della squadra americana… o i ragazzi dell’Africa centrale.
-Oh, sì, soprattutto quelli dell’Africa Centrale-. Otonashi ridacchiò e scambiò un’occhiata eloquente con Kino, che sapeva bene di cosa stesse parlando. Al contrario, io e Diam ci guardammo confusi.
Hiroto camminava in testa alla fila, fianco a fianco con Natsumi, Touko e la sua guardia del corpo, Rika Urabe; a chiudere, invece, c’erano Endou e Kazemaru che, non so quando né per quale motivo, avevano deciso di unirsi al gruppo. Come al solito, confabulavano ed erano in un mondo tutto loro. Mi facevano una gran rabbia solo a guardarli…
-Ehi, Reize, il tuo partner è il ragazzo coi capelli azzurri, vero?- esclamò Diam all’improvviso. Parlava a voce alta, abbastanza alta perché l’interessato lo sentisse, ma non pareva importargli; lui non dava mai molto peso alle opinioni altrui.
-Sì.- Speravo che la mia reticenza gli facesse capire che non ero in vena di affrontare l’argomento.
Ma, naturalmente, Diam non capì il messaggio, o meglio lo capì e lo ignorò.
-Uh, non c’è una bella aria- osservò, spostando lo sguardo da me a lui. Poi, improvvisamente, mi buttò un braccio intorno alle spalle e mi strinse forte.
-Forse ti conviene davvero riprendermi come partner. Io e te ci divertiamo insieme, vero?
Ripensai alla nostra ultima missione insieme: essere legato ad un palo con delle manette non era esattamente ciò che avrei definito divertente.
-Credo di doverti regalare un vocabolario per cercare il verbo ‘divertirsi’.
-Ah, ah, sicuro. Mi accerterò di cercare anche ‘noioso’: ti sarà utile, musone.
Gli tirai un pugno nella spalla e lui ricambiò schioccandomi un altro bacio umido sulla guancia, poi cominciammo a ridere come degli idioti finché Natsumi e Hiroto non si voltarono a guardarci e, allora, ci ammutolimmo per l’imbarazzo, continuando però a ghignare sotto i baffi. Cercai di ricordare l’ultima volta che avevo scherzato così con qualcuno, spensierati come bambini. Probabilmente era stato con Kazemaru; era sempre stato lui, il mio compagno di giochi. La considerazione fu come un pugno nello stomaco e la mia allegria si affievolì un po’.
Nel frattempo, però, eravamo arrivati: al di là delle scale, c’erano le porte scorrevoli, a vetri, che ci separavano dal cortile chiuso in cui ci allenavamo nei tempi morti, vale a dire quando non avevamo missioni né lavori d’ufficio da svolgere.
Era grande, con una forma vagamente trapezoidale, e diviso in due parti: subito appena entrati si poggiavano i piedi su una morbida distesa d’erba, sulle quali in genere si tenevano allenamenti di scontri corpo a corpo o le arti marziali; in fondo a tutto, invece, si estendeva il poligono di tiro, un addestramento nel quale potevamo usare sia le armi da fuoco che i nostri doni. Io preferivo spesso le pistole, per non umiliarmi mostrando al mondo quanto il mio potere fosse debole e grezzo.
-Wow, carino. È più grande della nostra stanza, direi- commentò Diam. I suoi occhi brillavano di determinazione, di voglia di mettersi alla prova.
-Sì, non è male- concesse Natsumi, fece un paio di passi verso l’interno e si guardò intorno. Un sorriso soddisfatto le comparve sul viso, rendendola ancora più graziosa. –Tutto questo spazio è perfetto per quello che ho in mente…
-E cos’hai in mente, se posso chiederlo?- le chiese Touko, educata. Non si dava alcun’aria di superiorità, mi piaceva proprio tanto.
Natsumi le rispose con altrettanta cortesia. –Allenamenti a coppia. Ho studiato a lungo i doni delle persone, e credo che ognuno di noi potrebbe aiutare l’altro a tirare fuori il meglio di sé… Lavorando insieme ce la faremo senza dubbio- spiegò. –Piazzeremo i bersagli qui- avanzò in avanti saltellando e indicò lo spiazzo centrale d’erba –e le coppie dovranno abbatterli collaborando.
-Sembra divertente! Non vedo l’ora!- esclamò Diam. Natsumi lo guardò sorridendo.
-Magari potremo provare a fare un primo esperimento- suggerì, cercò lo sguardo di Hiroto e Touko per cercare una conferma e i due annuirono rapidamente. Natsumi si voltò nuovamente verso Diam.
-Perfetto. Allora, vieni tu, visto che sei così entusiasta?
-Ci puoi scommettere!- Diam saltò in avanti e mi tese la mano. –Ehi, Reize! Facciamo un giro sulla giostra insieme?- propose. Stavo per rispondere quando qualcuno mi anticipò cogliendoci tutti di sorpresa.
-No, posso provarci io?
Era Kazemaru.
Lo fissai sorpreso mentre si faceva largo tra Kino e Otonashi e si piazzava di fianco a Diam. Natsumi non parve notare la strana agitazione nell’aria e continuò a dare istruzioni a tutti i presenti, troppo immersa nel suo lavoro per far caso ad inutili dettagli.
-Aki, Haruna, prenderete nota di tempi, punti deboli, punti forti, eventuali problemi da segnalare. Kiyama.. e voi- fece segno ad Endou e a me -potreste aiutarmi a spostare quei bersagli qui nel centro? Grazie.
Tutti scattammo ad obbedire ai suoi ordini senza darci troppo pensiero e, dopo aver spostato i burattini nel campo di battaglia, raggiungemmo le ragazze ai bordi, dietro lo steccato del poligono, dove saremmo stati al riparo e, al contempo, capaci d’intervenire subito in caso d’emergenza. Mentre osservavo Diam e Kazemaru –i miei due partner- sentii un nodo in gola. Prima che me ne accorgessi, Hiroto ed Endou erano al mio fianco; il castano guardava fisso il campo con la mascella e i pugni contratti, teso come una corda di violino.
-Siete pronti? Potete attaccare i tre bersagli come volete. Cominciate!- gridò Natsumi. La sua voce alta e squillante, proprio vicino al mio orecchio, mi fece sussultare.
Kazemaru fu il primo a cominciare.
Fece un respiro profondo, allargò le braccia e nelle sue mani iniziò a raccogliersi il vento. Era incredibile e, anche se ero arrabbiato con lui, non potevo non provare ammirazione: l’aria si avvolgeva nelle sue mani come una matassa di fili argentei che si attorcigliavano su se stessi, sempre più numerosi e sempre più spessi, fino  a formare dei veri e propri piccoli tornado. Kazemaru li scagliò sul burattino più vicino con un movimento incrociato delle braccia, colpendo con efficacia il torace e facendolo crollare all’indietro.
Diam fischiò ammirato. –Bello! Ora mi do da fare anche io, però- disse. Si scrocchiò le dita e il collo, poi lasciò ciondolare le braccia. –Fossi in te, mi coprirei le orecchie!- aggiunse, in tono d’avvertimento. Kazemaru alzò un sopracciglio e lo guardò confuso. L’altro scrollò le spalle.
-Uomo avvisato, mezzo salvato- mormorò, prima di aprire la bocca e prendere quanta più aria possibile: onde ad alta frequenza invasero lo spiazzo erboso, inghiottendo con la loro intensità qualunque cosa ci fosse a meno di cinque metri da lui. Sapevo che non stava usando il massimo della propria forza (quella di cui io avevo avuto, mio malgrado, un bell’assaggio), ma vedere l’espressione di Kazemaru trasformarsi in pura sofferenza mi fece rabbrividire ugualmente.
Il ragazzo dai capelli azzurri si portò subito le mani alla testa e le premette sulle orecchie, gridando a Diam di smetterla. Endou, accanto a me, si mosse di scatto per correre da lui, ma Hiroto lo trattenne; cercai di leggere la sua espressione, ma era indecifrabile. Prima ancora di rendermene conto, mi sporsi sullo steccato; stavo per balzare in campo per mettere fine all’esercitazione, quando improvvisamente Kazemaru lanciò un grido.
-Smettila! Smettila subito!- Lo vidi allargare le braccia e il movimento generò una specie di bolla d’aria, un muro contro cui le onde sonore di Diam sbatterono con violenza prima di cambiare bruscamente direzione, sbalzate via: virarono a destra e mandarono in tilt i due burattini restanti.
Calò il silenzio totale e Diam e Kazemaru rimasero a fissarsi, increduli.
Natsumi iniziò a battere le mani con fervore.
-Perfetto! È stato… fantastico! Proprio quello che speravo!- si complimentò con i due ragazzi. Diam le scoccò un’occhiata basita, mentre Kazemaru la ignorò: guardava le proprie mani come se non le avesse mai viste prima.
-Ma insomma, che vi prende? Non vi rendete conto di ciò che è successo?- sbuffò Natsumi, spazientita dalla loro mancanza di entusiasmo. L’unico a risponderle, però, fu Hiroto.
Aveva un’aria pensosa e d’un tratto il suo viso si illuminò.
-Capisco… Kazemaru ha creato un vuoto d’aria! Il potere di Diam consiste nel creare onde sonore, ma queste non si diffondono nel vuoto, perciò… in un certo senso, Kazemaru ha costretto il suono a cambiare direzione di propagazione- parlò lentamente, poi si girò verso Natsumi. –Giusto?
Lei annuì con fierezza. -Allenamenti a coppia- ripeté, orgogliosa della propria idea. Era stata davvero in grado di tirare fuori il potenziale di Diam e Kazemaru allo stesso tempo, e in quel momento la mia ammirazione per lei sarebbe stata sconfinata se non fossi stato troppo offuscato dalla preoccupazione e dalla rabbia per il fatto che avesse messo in pericolo i miei amici.
Spinto da questi sentimenti, feci un paio di passi in avanti, verso Kazemaru, e tesi la mano verso la sua spalla: mi sarebbero bastati pochi centimetri per toccarlo, eravamo così vicini…
Ma, mentre ero distratto, Endou mi era passato avanti.
Abbracciò Kazemaru in modo goffo ed irruento, a rischio di soffocarlo.
-Ichirouta, stai bene?!- domandò, con una voce decisamente più alta del necessario.
-Sì… è tutto okay. Niente di rotto- rispose Kazemaru. Guardò oltre la spalla del suo ragazzo e, per caso, i nostri occhi s’incrociarono.
Avere la sua totale attenzione mi innervosì. Il rancore si sciolse lasciando posto solo alla tenerezza. Kazemaru era stordito e sembrava sul punto di dire qualcosa: sapevo che sarebbe bastata una parola, una sola parola, perché lo perdonassi (perché io l’avrei perdonato, naturalmente), e per un attimo credetti che tutto sarebbe tornato a posto.
Ma un secondo dopo Endou si chinò a dirgli qualcosa all’orecchio, Kazemaru abbassò lo sguardo e quel momento scivolò via come polvere. Mentre lasciavo che la speranza che avevo provato mi morisse dentro, mi resi conto che avevo ancora la mano sollevata e, d’un tratto, mi sentii molto stupido. Mi girai e rientrai nell’edificio a passo spedito, poi correndo.
 
xxx
 
Nella nostra nuova stanza c’era ancora un forte odore di calce misto a colla, quella che avevano usato per attaccare la carta da parati; la cosa buffa era che era stata ricostruita esattamente identica a quella precedente, e tuttavia non riuscivo a sentirla come mia. Le pareti con quella deliziosa carta a righe bianche e azzurre, i letti fatti, le scrivanie in ordine, non c’era nulla che mi desse un senso di familiarità e calore, qualcosa che dicesse: sei a casa.
Ero entrato senza chiedere il permesso a nessuno e mi ero buttato su una delle sedie girevoli, scivolando pian piano fino a raggomitolarmi a terra. Il bruciore che avevo nel petto potevo essere un vecchio amico, oppure no: ormai non ero più tanto sicuro dei miei sentimenti.
Quando la porta si aprì, piano ma con un insopportabile rumore di lavagna graffiata, non alzai il volto dalle ginocchia per vedere chi entrava: speravo soltanto che non fosse Kazemaru.
La voce spumeggiante di Diam mi diede un certo sollievo.
-Stiamo avendo una piccola crisi di identità?- mi chiese, schietto. Lo sentii chiudere la porta e sedersi sulla sedia che avevo abbandonato. Le sue dita ossute afferrarono la mia coda di cavallo e la tirarono senza forza.
-Sai che non gli avrei fatto del male- continuò. –Be', certo, ammetto che a volte le cose mi sfuggono un po’ di mano…
-A volte?- mormorai, scettico. Diam non sembrò per niente colpito.
-Ah, allora non hai deciso di fare il gioco del silenzio. Mi tieni il broncio?
Sospirai, allentai la presa sulle ginocchia e mi lasciai leggermente andare. Alzai il volto e sbattei la nuca contro il muro dietro di me.
-Sono così stanco di essere arrabbiato con gli altri, Diam- risposi, guardandolo serio. Lui chinò la testa di lato e mi osservò con la curiosità genuina di un bambino.
-Mmh, ho notato che tu e il tuo partner non andate d'accordo come credevo. Ero piuttosto geloso di lui, sai?- disse. -Quello che non capisco è perché fingi che non t'importi di lui.
-Perché sono arrabbiato con lui- sbottai, nervoso, poi però scossi il capo. –O forse no. Non lo so. Non so più cosa sta succedendo, ad essere sincero. Ha tradito la mia fiducia, ma sarei pronto a fidarmi di nuovo. Anche io non sono stato molto onesto, con lui. Gli ho nascosto tante cose.
-Tutti hanno bisogno di mantenere dei segreti. Se sapessimo tutto di tutti, passeremmo molto più tempo ad ammazzarci l’un l’altro- osservò Diam con grande serenità, come se non avesse appena detto una cosa di atroce.
Lo guardai e d’un tratto mi sentii davvero, davvero esausto.
-Ma io sono stanco di avere segreti, Diam- dissi.
–C’è un blocco nella mia testa e sono stanco di provare ad abbatterlo. Una parte di me sa che devo farlo, se voglio diventare più forte. Sono stanco di ferire gli altri, di vederli morire. Ma, dall’altra parte, c’è qualcosa che mi impedisce di andare avanti, e diventa sempre peggio ogni volta che gli altri cercano di aiutarmi. Non so perché sia così. Mi sento tanto solo... Non so nemmeno perché ce l’ho con Kazemaru. È la mia famiglia e il mio migliore amico, e so che mi vuole bene, ma…
Sentii le lacrime affiorarmi agli occhi e affondai la testa tra le ginocchia.
-Ma perché questo non mi basta...?- aggiunsi in un bisbiglio.
Diam rimuginò un po’ prima di rispondermi, poi mi diede una leggera pacca sulla spalla.
-Sei solo geloso. Dai, non è così grave, mi sembra normale. Prima non dovevi condividerlo con nessuno, giusto? Una volta compreso questo, non resta che capire se è nato prima l’uovo o la gallina- disse. Alzai lo sguardo, accigliato.
-Cosa vuoi dire?
-Be', ti sei arrabbiato con lui perché ti sentivi solo, o piuttosto ti senti solo perché avete litigato? Se capirai questo, allora saprai anche perché ce l’hai con lui- rispose Diam. Mi tese le mani per rialzarmi: le accettai senza esitare e lasciai che mi tirasse su.
-Caspita, con tutti questi problemi che ti fai credevo che voi due foste come minimo fidanzati!- esclamò dopo. -Invece poi vengo a scoprire che te la fai con Kiyama. Oh, non fare quella faccia sorpresa, me l’ha detto la tua amica carina… Mmh, Sumeragi, penso?
Dovevo avere un’espressione davvero stranita, o forse contrariata, perché lui iniziò a ridere dopo averci dato una sola occhiata. Non riuscii ad esserne offeso; la sua risata mi riempì di forza e calore e capii che non avrei voluto nessun altro al mio fianco in quel momento, nemmeno Hiroto. Era Diam quello che mi serviva, con la sua schiettezza, il suo essere fuori dagli schemi. Persino la sua mancanza di tatto mi sollevava il morale, perché non mi trattava come un oggetto fragile. Diam sapeva che ero più forte di così e, siccome lui ci credeva, iniziai a crederci anch’io.
Gli afferrai un braccio e lo strinsi.
-Sono contento che tu sia qui- dissi, sincero.
Il suo sorriso si allargò ancora di più.
-Be', guarda che coincidenza- rispose. –Anche io sono contento di essere qui.



 
**Angolo dell'AutriceH**
Buonasera~
Sono contenta di essere arrivata a scrivere questo capitolo. Mi sono divertita a rimettere in scena Diam e il resto della squadra di Hokkaido, mi erano mancati molto! Il rapporto che Midorikawa ha con Diam è molto diverso da quello che ha con Kazemaru, ma ne ha ugualmente bisogno, soprattutto in questo momento, mentre è in rotta con Kazemaru. Ad un certo punto, mentre scrivevo, mi sono resa conto che Midorikawa e Kazemaru sembravano sul punto di fare pace, ma la cosa mi appriva innaturale, come se stesse succedendo troppo presto, per cui alla fine l'ho spezzata a metà. Finché Midorikawa non farà chiarezza nella sua testa, non potrà riappacificarsi con Kazemaru. 
Introdurre nuovi personaggi è sempre difficile, ma spero che non sia risultata troppo noiosa (?). Da questo capitolo in poi, ne appariranno molti altri! Insomma, undici Spy Eleven (più altrettante squadre) è un sacco di gente. XD
Bacioni,
      Roby
   
 
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