CAPITOLO 2
Tim arrivò ad Arus in una mattina
bella e serena.
La sua fuga dall’oasi era durata 4
giorni.
L’ultimo margine di deserto che lo
separava dalle fertili terre vicino alla grande città di Arus lo aveva percorso
col cammello, poi si era cambiato d’abito, si era recato in una locanda dove
aveva potuto cambiare il cammello con un buon cavallo ed aveva ripreso il
percorso senza mai fermarsi.
L’obiettivo era uno solo; giungere ad
Arus il più presto possibile ed allertare la guarnigione di soldati che
presidiavano la città.
Tim stava percorrendo l’ultimo tratto
di strada principale, che consisteva in un lungo e largo rettilineo lastricato.
Arus si mostrava in tutta la sua
magnificenza davanti a Tim; era una bella città, situata tra l’altro molto vicino
all’oceano e disponeva di un molo fortificato e ben protetto.
Le mura erano imponenti, altissime e
pressoché invalicabili, anche se in alcuni tratti mostravano segni d’incuria,
dovuti ad un lungo periodo di pace. La strada principale era piena di gente che
voleva entrare in città; ma presto Tim si accorse che le guardie alle porte
facevano entrare solo personaggi importanti o militari.
Così, migliaia di profughi in fuga
dalla guerra che stava dilagando nelle campagne vicine si trovavano accalcati e
rissosi di fronte alle porte cittadine, che erano state parzialmente chiuse per
facilitare il controllo del traffico umano in entrata nella città. Tim in
effetti era stato, per così dire, inseguito dalla guerra.
I Popoli Sconosciuti, di cui nessuno
conosceva il nome, parevano invincibili, ed erano ben presto divenuti migliaia
grazie a nuovi rinforzi giunti dal deserto.
Disponendo ora anche di una ristretta
cavalleria, erano riusciti a devastare i piccoli centri rurali e le campagne.
Arus era la città più importante della zona e l’unica con mura consistenti e
con un discreto numero di soldati a disposizione. I nemici non avevano trovato
alcuna resistenza nelle campagne e avevano conquistato territori senza avere
neppure una perdita, devastando e distruggendo ogni cosa, come se al loro
passaggio volessero cancellare ogni ricordo dei conquistati. Ormai erano giunti
alle porte di Arus, e secondo alcuni profughi, il loro accampamento era situato
nelle basse colline boscose a sole due ore di cavallo dalla grande città.
Tim si fece largo tra l’assembramento
di gente che protestava di fronte alle porte della città, e grazie al fatto che
era a cavallo, spintonò via i profughi rissosi, sordo alle imprecazioni che
riceveva. Mostrò il suo lasciapassare militare, e i soldati di guardia non gli
diedero problemi a farlo entrare.
Appena entrò, provò sensazioni
contrastanti; si era ritrovato sulla strada principale, ben lastricata ma
sporca e piena di mendicanti. In lontananza si potevano scorgere grandi e
sfarzosi palazzi, che superavano in altezza le altre dimore, molto più umili.
L’odore di sporco, di rifiuti alimentari e di ogni genere, arrivava alle narici
di Tim, lasciandolo un po’ schifato, anche se sapeva che era un odore tipico
delle città, mentre restava senza parole guardandosi attorno a sé.
C’era tantissima gente lungo la
strada, con a fianco bancarelle con generi di prime necessità, che venivano
venduti a prezzi sempre più elevati, poiché la città ben presto sarebbe stata
messa sotto assedio. Le urla e gli schiamazzi di mercanti e clienti erano, nel
complesso, a dir poco assordanti.
Tim continuò a camminare per un po’,
immerso nei suoi pensieri, poi si riscosse. Si fece indicare da un rozzo
mercante la strada da percorrere per giungere al presidio militare, poi con
passo svelto continuò il suo cammino spintonandosi con le altre persone.
Dopo pochi minuti la via lastricata
sfociava in una vasta e spaziosa piazza centrale, e subito notò il presidio,
grazie allo stemma dell’Impero che aveva affisso sopra la porta d’ingresso.
Rimase estremamente deluso; notò
infatti che l’edificio dei soldati era praticamente impossibile da notare. Di
fronte ad esso, decine di mendicanti stavano stesi, protetti dal piccolo
loggiato senza intonaco e pericolante. Sì, pericolante proprio come l’intero
edificio, un grande casolare con crepe e tutto trasandato immerso in un
contorno di lusso sfrenato rappresentato dalle ville signorili che lo
stringevano tutt’attorno, come a volerlo umiliare. Le grandi case signorili
avevano tutte i battenti chiusi; indubbiamente chi poteva aveva già abbandonato
la città.
Con un occhiata rapida, seguì il
percorso dell’altra strada che partiva esattamente di fronte a lui. Vide che
giungeva al grande molo, che si spingeva nell’oceano senza paure, affrontandone
le tempeste più infernali, notando però, da distanza, che non c’erano
imbarcazioni noleggiate. Chiunque ne aveva una, aveva già lasciato anzitempo la
città. Con un sorriso amaro leggermente abbozzato, Tim spintonò un mendicante
ed entrò con circospezione nell’edificio militare.
Nessuno lo fermò, nessuno gli chiese
chi era e cosa voleva, permettendogli quindi di girovagare all’interno
dell’edificio, percorrendone un lungo corridoio dove i pochi soldati presenti
non lo notarono neppure. Sempre più sbalordito dalla situazione in cui versava
l’esercito imperiale, non si rese conto che però, sull’ingresso di un grande
stanzone, un giovane soldato lo stava guardando. Tim si sentì afferrare da
dietro.
‘’Chi sei?’’ gli chiese una voce.
‘’Sono un soldato proprio come te, ma provengo
da un altro distaccamento. Vorrei parlare con il comandante’’ ,disse Tim tutto
d’un fiato. Il ragazzo mollò la presa dal braccio di Tim ma gli puntò un
coltello alle costole.’’Una piccola precauzione’’ gli disse il giovane con un
sorriso da ebete sul volto. Lo condusse proprio all’interno dello stanzone che
vigilava fino a poco prima dell’arrivo di Tim. La prima cosa che Tim notò fu il
disordine; fogli e volumi giacevano abbandonati ovunque. Un uomo maturo e
brizzolato se ne stava seduto placidamente su una sedia di legno gridando
ordini a un imbranato sottoposto che non era in grado di sistemare
correttamente due registri. Quando vide i due nuovi arrivati l’uomo fece un
grande sorriso. Aveva il viso arrossato e in mano aveva un bicchiere ancora
mezzo pieno di birra, ed era visibilmente alticcio. Fu introdotto dal suo
accompagnatore.
’’ Signore, questo qui l’ho beccato
poco fa a gironzolare per l’edificio. Sostiene di essere un soldato e vuole
parlare con lei’’. Con il volto contratto in una smorfia incomprensibile, il
comandante lanciò il bicchiere a terra, facendo sussultare tutti i presenti
nella stanza, e con un gesto congedò il sodato imbranato e colui che aveva
accompagnato Tim.
‘’ Resta sulla porta Sergej’’ disse
poi al soldato che era di guardia. Poi si risistemò ben seduto in una posa
strana e interpellò Tim guardandolo dritto negli occhi.
’’Allora? sei muto? Volevi parlarmi.
Dimmi’’ Non gli lasciò il tempo di rispondere, e continuò.
‘’Sei un soldato a quanto dici. Da
dove provieni? Porti dei messaggi?’’. Ora gli diede il tempo di rispondere.
Tim, cauto, iniziò a parlare, prima
però deglutì.
‘’Sono un soldato di frontiera. Ero
stato assegnato al piccolo distaccamento dell’oasi di Sulamba, e sono riuscito
a salvarmi dalla strage dei miei compagni. Volevo parlarle poiché, visto che
non appartengo più a un distaccamento, vorrei far parte del vostro e fornire un
aiuto contro gli invasori. Li ho visti in azione e potrei darvi informazioni
utili…..’’. A quel punto lo sguardo
iroso del comandante si abbattè su di lui, e lo interruppe.
’’Nessuno, se non un codardo, è mai
uscito vivo dallo scontro con gli Sconosciuti. Non so chi sei e non voglio
fidarmi di te. Qui resti solo intruso’’ e, continuando imperterrito dopo una
breve pausa aggiunse;’’Verrai sfamato oggi qui presso il nostro presidio, ma
domani te ne andrai. Sarebbe meglio oggi stesso, vedi tu. Abbandonerai la
città, anche a costo di essere gettato tra le braccia del nemico. Non voglio
problemi, disertore. Sappiamo già tutto dei nemici, non c’è alcun bisogno delle
tue informazioni. Ora vai, fatti dare un giaciglio da Sergej, questa notte
dormirai con i mendicanti, potrai spartire con noi solo il pranzo. E ora non
disturbarmi più’’ Il fiume di parole del comandante avevano lasciato un Tim a
dir poco sbalordito.
Sergej giunse da dietro e gli prese un
braccio, e lo strattonò fino all’uscita dell’edificio. Sul suo volto aleggiava
un sorriso soddisfatto, come se godesse della brutta figura di
quell’insignificante che si era presentato lì quella mattina. Non gli assegnò
neanche un giaciglio.
Tim riprese a camminare, ancora
frastornato dall’accaduto.
Girò in lungo e in largo la città per
tutto l’arco della giornata. Con i pochi soldi rimasti, quelli del piccolo
forziere, si ricomprò un cavallo nuovo e un po’ di cibo. Era pomeriggio
inoltrato ormai, e si affrettò a raggiungere la porta della città per uscire ed
andarsene.
Percorse distrattamente una buona
parte del percorso che conduceva alla porta principale, pensando a cosa avrebbe
fatto ora, allontanato anche dai suoi commilitoni. Poi, improvvisamente , si
trovò nel bel mezzo di una calca. Una donna urlava come una disperata. Tim non
ne capiva la causa; attorno a lui apparivano solo persone sconcertate che
formavano capannelli ai margini delle strade, mentre improvvisamente i mercanti
con le ormai rare merci rimaste invendute si gettavano a raccogliere e ad
andarsene.
Di lì a pochi istanti il caos quotidiano di
Arus era concluso. La gente se ne andava velocemente verso le loro dimore. Poi
per Tim ci fu l’ultima sorpresa. Le porte cittadine iniziarono a richiudersi,
sta volta definitivamente, mentre i soldati tutti concitati si gridavano
direttive tra loro, mentre saliva un rumore incessante al di là delle mura.
Erano grida di battaglia.
Tim improvvisamente ebbe un dubbio,
ma non ci volle credere. Si avvicinò ad un anziano mercante che stava per
abbandonare il suo posto di lavoro, che lo ignorò totalmente, tanto era
impegnato. Tim gli si avvicinò e gli chiese che cosa stava succedendo, mentre
dal di fuori delle mura si alzavano grida sempre più forti e la gente che aveva
intorno fino a pochi attimi fa spariva rapidamente. Con gli occhi fuori dalle
orbite per la rabbia di dover rispondere a una domanda così sciocca, il
mercante fissò per un secondo Tim prima di rispondergli.
‘’Stupido d’un ragazzo, che starà mai
succedendo? Sono arrivati i nemici’’, disse, prima di raccogliere il fagotto
dei suoi oggetti e sparire in una viuzza laterale, quasi inghiottito dalle
viscere della città, lasciando Tim disperato. Era in trappola, inerme, nel bel
mezzo del putiferio che sarebbe scoppiato di lì a poco. Per ora, si sentivano
riecheggiare le urla dei profughi che
erano stati lasciati fuori città, mentre venivano massacrati dagli invasori.
La notte aveva avvolto con le sue
tenebre la città di Arus. Tim era riuscito a malapena a trovarsi un giaciglio
per la notte. Mentre nella città regnava un silenzio tombale, al di là delle
mura i nemici facevano baldoria. Grida di scherno e urla spaventose giungevano
in città, spaventandone gli abitanti che non riuscivano neppure a dormire.
Tim stava sdraiato sulla paglia
sporca e piena di pulci, in un giaciglio di una sudicia locanda sul porto.
Dalla potenza del rumore, ora poteva capire che i nemici dovevano essere
migliaia, e non solo le poche decine che aveva incontrato all’oasi.
Probabilmente erano solo le avanguardie di un esercito molto più grande.
Era strano che l’esercito nemico
stesse sveglio tutta la notte, se il giorno successivo metteva in conto di combattere.
O era un esercito immenso, oppure…. Era notte fonda e la mente di Tim abbandonò
progressivamente la lucidità facendolo scivolare in un sonno agitato, turbato
dalle urla nemiche.
Tim si risvegliò dopo poche ore, e
constatò che non era cambiato nulla, a parte che albeggiava. Le urla nemiche
continuavano imperterrite. Abbandonò il giaciglio grattandosi vigorosamente, ed
imprecando sottovoce abbandonò la locanda, tanto aveva già pagato in anticipo.
L’aria fresca del mattino, con l’odore di salsedine gli diedero nuova lucidità
ed ora sapeva che fare. Si sarebbe fatto arruolare tra i civili che volevano
aiutare i soldati, e grazie alle sue abilità con le armi avrebbe abbattuto
nemici dall’alto delle mura.
L’intera giornata passò monotona. Non
c’erano molti intervalli nei movimenti ripetitivi dei nemici; brevi attacchi,
avvicinamento alle mura di corsa e poi alle prime frecce, partiva una
frettolosa ritirata. Un atteggiamento molto pavido che aveva riportato il buon
umore nei volontari e nei soldati.
Tutti pensavano ora di vivere in una
città inespugnabile,e pensavano che il nemico non sarebbe mai entrato al suo
interno. Nella città si poteva resistere per mesi, grazie alle scorte di viveri
d’acqua, e nessuno sarebbe mai riuscito a valicare le mura. In effetti le mura
erano molto solide e alte, e le macchine d’assedio nemiche, tra l’altro molto
rudimentali, non ce l’avrebbero mai fatta ad abbatterle. Era quasi sera e per
Tim era finito il suo turno.
Scese dalle mura ed andò diretto al
punto sottostante le mura dove veniva distribuito un magro pasto ai volontari.
Bevve e mangiò da solo, mentre calava un'altra notte, ed i rumori nemici
salivano al cielo sempre più forti, cancellando ogni rumore della città. Aveva
appena finito di consumare il pasto, quando una figura in tenuta militare gli
si avvicinò e gli rivolse la parola all’improvviso.
’’Sei ancora qui? Vedo che hai
veramente voglia di essere utile, visto che dovevi lasciare la città,
possibilmente anche ieri..’’. Così Tim riconobbe chi gli rivolgeva la parola.
Era quell’antipatico che l’aveva sbattuto fuori dal presidio. Come si chiamava
già?.. cercò per un attimo disperatamente nella sua mente lievemente offuscata
dalla stanchezza. Sergej, ecco come si chiama, si disse, e decise di
rispondergli a tono, mentre l’altro si sedeva proprio al suo fianco.
’’uhm,si direbbe che i giorni passino
e che la tua simpatia diminuisca sempre di più. Guarda, me ne sarei andato
subito ieri mattina, ma sono arrivati i nemici e sono rimasto bloccato
dentro…’’. Sergej non lo lasciò concludere.
‘’Sì sì immagino.. Però il
prolungamento del tuo soggiorno potrebbe essere positivo per la comunità. Qui
son pochi quelli che si danno da fare, e sta mattina ti ho visto trasportare carriole
di pietre come un somaro’’ Un sorriso ironico, ma anche lievemente amichevole,
affiorò sulle labbra di Sergej. Magari in un altro posto e situazione saremmo
anche potuti divenire buoni amici, pensò Tim.
‘’Vado a prendere qualche altra birra. Se non
ti dispiace, aspettami qui. Torno tra un attimo, offro io eh!’’ disse bonario
Sergej.
Tim non si sarebbe mai aspettato di
trovare un buon amico in quel ragazzo alto e robusto, di indole taciturna, fino
al punto di apparire scontroso e aggressivo. Decise di aspettarlo.
Infatti, tornò dopo poco con due bei
boccali colmi di birra spumosa.
Ringraziò affettuosamente Sergej, poi
si misero a bere, e bevvero talmente tanto da non ricordarsi neppure ciò che si
erano detti. Il tempo passò in fretta, e il piccolo locale, fin a poco prima
pieno di gente, si andò svuotando, fino al punto di lasciare i due nuovi amici
da soli. Rendendosi conto dell’orario, in un momento di lucidità, Tim si alzò.
Non era molto sbronzo, ma quanto basta da metterlo un filino in difficoltà,
tanto era abituato alle sbornie. Anche il suo amico si alzò. Poi accadde
qualcosa di strano.
Un tonfo risuonò per un istante nel
sottosuolo.
Tim fissò Sergej; anche lui lo guardava,
anche lui aveva sentito.
‘’Abbiamo pure le stesse
allucinazioni, amico..’’ disse ridendo Sergej.
Tim non era tanto sicuro che fosse
frutto della sbornia, non gli era mai capitata un cosa simile. Poi, dal
sottosuolo si udì, appena percepibile nel frastuono dei nemici che facevano
festa, un grido di dolore. Tim non aspettò un altro attimo. Con difficoltà, si
stese al suolo e con le orecchie cercò di ascoltare ciò che succedeva lì sotto.
Nonostante la vista gli facesse brutti scherzi e tutto vorticasse attorno a
lui, anche Sergej lo imitò. Quello che si poteva udire, anche se un po’
smorzato, era il rumore di pale e persone che scavavano. Incredibile! I nemici
non avrebbero perso tempo a mettere sotto assedio la città. Stavano scavando
tunnel nel sottosuolo, ed erano proprio sotto di loro, pronti a sbucare a
momenti.
Non c’erano bisogno di parole.
Anche Sergej aveva capito.
Si alzarono, e , traballando
lievemente, raggiunsero un barile d’acqua fresca poco distante. Tim prese un
secchio, lo riempì e se lo rovesciò addosso, poi ne gettò un altro sull’amico.
Un vero toccasana; i due ritrovarono quasi tutti i loro riflessi.
‘’Ora che facciamo?’’ chiese Tim. Di
risposta ricevette uno sguardo un po’ vacuo, ma una risposta sicura;’’Ovvio, andiamo
ad avvisare il comandante’’.
Il percorso fino al presidio fu un
po’ lungo ma i due amici percorsero la via principale molto rapidamente, e si
presentarono al soldato di guardia, chiedendo del comandante. Il ragazzo fese
cenno di no con la testa, non l’avrebbe svegliato per nessun motivo, non voleva
mica esser gettato dalle mura l’indomani. Fu solo riconoscendo Sergej, il
braccio destro del comandante, che il soldato si decise ad andarlo a svegliare.
Il comandante si presentò tutto arruffato e insonnolito. E anche molto
arrabbiato.
‘’Ancora tu! Ti ho detto che non
voglio seccature’’ disse rivolto a Tim, per poi rivolgersi a Sergej,’’ Anche tu
ora ti metti a far baldoria la notte e a fare l’ubriacone con un disertore? Male,
male. Andatevene a letto’’, concluse, e fece per girarsi e tornare dentro.
Sergej, disperato, gli urlò dietro.
’’Comandante, i nemici sono sotto di
noi; hanno scavato gallerie e tra poco saranno in città e la conquisteranno.
Deve svegliare subito i soldati, sennò saranno impreparati…’’. Il comandante li
fissò per un istante con gli occhi fuori dalle orbite.
’’Fuori di qui, ubriachi! Andate a
smaltire la vostra sbronza da un'altra parte’’ Disse in tono risoluto il
comandante, che si ritirò facendo cenno alla sentinella di cacciarli. La
sentinella, brandendo la spada si avvicinò.’’Mi dispiace ragazzi, siete troppo
ubriachi..’’.
Tim e Sergej si allontanarono un po’,
poi si fissarono. ‘’E ora? Nessuno ci crede, che facciamo? ‘’ disse deluso Tim.
‘’Ovvio’’ rispose l’amico, ‘’Lasciamo la città’’.
Era freddo e l’acqua puzzolente e
stagnante della via di fuga segreta conosciuta solo da Sergej e pochi altri era
veramente schifosa. Tim seguiva l’amico, stando attento a non perderlo.
Dovevano essere passate in paio d’ore da quando era iniziata la loro fuga. Ma
avevano la libertà ad un soffio. Di lì a poco la fogna abbandonata sfociò
all’aria aperta, al di là delle mura e, fortunatamente, dalle parte opposta
dell’accampamento nemico. Velocemente nella notte i due si dileguarono,
correndo attraverso i campi ora incolti, senza avere, momentaneamente, una meta
precisa. Dalla città di Arus si levavano urla di terrore e le case erano in
fiamme.
L’inferno era iniziato.