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Autore: _haribooinlove    26/08/2014    7 recensioni
Ace è stata sempre per conto suo, oscurata dal suo ombetto nero e vogliosa di lasciare il suo paese.
Cameron ha un sogno: diventare un fotografo, e questo lo porterà a vivere un'avventura nella città dove niente è irrealizzabile.
Ma cosa succederà quando questi due ragazzi si scontreranno nel bel mezzo dell'aereoporto, diretti a New York, facendo nascere tra loro una profonda attrazione?
E poi, si sa, c'è gente che con un solo sguardo ti cattura, a volte per sempre. Ed Harry Styles, componente di una band famosa, ha intrigato Ace.
Ma a chi appartiene veramente il suo cuore?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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3. Three
 
-China Town è sempre così affollata?- domandò Ace, passando tra la folla con gli occhi a mandorla nel quartiere cinese di New York.
Avevano lasciato il motorino in qualche stradina ed erano partite all’avventura, addentrandosi a Little Italy, Greenwich Village e infine China Town.
-sempre. E la cosa più divertente è che senti tutte queste persone parlare in una lingua aliena. Sai che in alcune scuole, qui a New York, si studia il cinese?-
Ace ricordò la sua brutta scuola, con tutte quelle persone che la guardavano male e la denigrarono, solo perché non si era già sverginata o non andava in giro mezza nuda. Al giorno d’oggi era la gente normale ad essere etichettata come strana.
Un po’, però, le dispiaceva averla lasciata. Per le materie che studiava, naturalmente. Le piaceva molto l’italiano e sapeva che avrebbe perso tutto il programma di quarto, quinto e non si sarebbe nemmeno diplomata, il suo più grande obiettivo al momento. E le dispiaceva moltissimo. Però si era ripromessa di riprendere gli studi da privata quando si fosse rimessa in carreggiata nella città nuova. Non morirò ignorante, si borbottava nella mente, come promemoria.
D’un tratto Becka si bloccò ed Ace le andò a sbattere sopra, arruffandosi tutti i capelli già elettrici e annodati.
-ma cosa…-
Becka serrò i pugni e rivolse uno sguardo assassino ad un gruppetto di ragazzine poco vestite e con fasce fosforescenti in testa, che canticchiavano canzoncine che Ace aveva già sentito alla radio.
-non le sopporto più- biasciò Becka, riprendendo a camminare, anzi, calpestando i piedi per terra come se pensasse che fossero le teste di quelle bambinette.
Ace, arrancando, la fiancheggiò.
-chi sono quelle?- mormorò, per non farsi sentire dalle sottoscritte che passavano proprio di loro accanto a loro, cacciando urletti e Ace giurò di aver visto perfino una di loro che piangeva.
Le è morto il gatto o cosa…? Pensò la ragazza.
-quelle sono le directioners- sibilò Becka, roteando gli occhi all’ultima parola.
-perché cavolo piangevano?- domandò Ace, con gli occhi di fuori.
-perché sono delle piccole sceme!- sbottò allargando le braccia –e i loro idoli sono qui a New York in questi giorni. E’ da giorni che le sento sghignazzare come delle cretine, manco mio fratello Alex mentre ascolta Madonna e imita i suoi balletti! Ti giuro, quelle ragazzine mi assalgono. In pizzeria. Nella metro. Fra un po’ me le ritrovo sotto il letto!-
Ace ridacchiò e scosse la testa -speriamo di non incontrarle più in giro- disse, girandosi per vedere se erano ancora lì.
-impossibile non incontrarle- Becka si avvicinò un po’ –quelle sono ovunque. Pensi che siano sparite e poi puff e te le ritrovi accanto che cantano- si fermò per qualche secondo e poi ripartì a raffica –che sono pure stonate, d’altronde!-
-Becka, che sarà mai? Fra qualche giorno i loro dei andranno via e ritornerà tutto come prima- ridacchiò Ace, ammirando la vetrina di un negozio.
-auspico in qualche miracolo- borbottò l’altra più a bassa voce.
 
-Cam?- chiamò Ethan, sentendo la porta sbattere –sei tu?-
-chi deve essere, sennò?- borbottò lui, entrando e togliendosi il giubbotto impregnato di qualche batuffolo di neve.
Si scompigliò i capelli e si buttò a peso morto sul divano, accanto a Ethan.
-che guardi di bello?- gli chiese, facendo attenzione alla tv.
 -ti piacciono i programmi di cucina?- domandò poi, aggrottando la fronte. Ethan non sapeva cuocere nemmeno le uova!
-mi piace la gnoccona che presenta! Ha un culo perfetto e chissà perché il cameramen lo inquadra di continuo-
Cameron scoppiò a ridere e si sistemò più comodo sul divano, contemplando la vista.
-sì- assentì –davvero niente male-
Ethan lo scrutò e poi sorrise sornione –un po’ come quello della tua amichetta, davvero niente male nemmeno quello!- sghignazzò, osservando la reazione dell’altro.
Cam s’irrigidì leggermente, ma poi si rilassò e sorrise, quasi esasperato. Si voltò verso Ethan –già- sospirò.
L’ultimò batté una mano sul cuscino, facendo svolazzare qualche piuma, e si girò verso Cameron –ma andiamo! Mi dici solo “già”? Scommetto che il tuo amichetto delle zone a sud non è d’accordo con il tuo misero “già”-
-Ethan? Evita, ti prego- sbottò l’altro, alzandosi per versarsi un po’ di succo d’arancia.
-ti piace, e lo sai!- insistette Ethan, puntandogli l’indice contro.
-la conosco solo da due giorni!- rise Cameron –come faccio a sapere se mi piace se so a malapena il suo nome?!-
-beh- procedette, ostinato, Ethan –io so che sorridi quando parli di lei e ti si illuminano gli occhi quando lei ti guarda…ecco! Che dicevo? Stai sorridendo!-
 -mi stai facendo sorridere tu, idiota, con i tuoi commenti assurdi!- si autodifese, cercando di uscire fuori dalla situazione imbarazzante che si era creata.
-certo- rispose Ethan, sornione –ti lascio stare, mr. Sorrisone-Sulle-Labbra, ma sappi che indagherò sulla questione!-
E con questo ritornò con lo sguardo sul sed…programma di cucina.
Cameron andò in camera da letto, posando la fotocamera sul suo comodino e scrutando le pareti spoglie e ingrigite dal tempo. Nella sua camera, a Londra, le pareti erano accese e al muro erano appese tantissime foto, erano tutti i ricordi di Cam, che adesso sembravano essere persi. Si fermò davanti alla finestra e ammirò il paesaggio circostante. Anche se la casa era molto piccola il panorama era da mozzare il fiato. La sua camera dava proprio sul bacino e oltre il mare si poteva vedere bene la Statua della Libertà, che guardava imponente tutto ciò che c’era sotto di lei.
Si sedette sul letto, che cigolò, e prese il cellulare, componendo il numero di casa.
-Cam! Finalmente hai chiamato, come stai tesoro?- rispose la madre, cinguettando come un usignolo.
-sto bene, mamma- ridacchiò lui, raccontandogli di Ace, lo stupido Ethan e il primo giorno allo stage. Parlò poi col padre, molto contento anche lui di sentirlo.
-va bene…- concluse con un sorriso sulle labbra –ci sentiamo domani, ciao papà. Salutami la mamma-
Chiuse la chiamata e rimase qualche minuto a fissare lo schermo nero del cellulare, chiedendosi che fine avesse fatto Ace.
Sapeva di aver parlato con lei da prima di pranzo, ma, accidenti, erano le due passate e non si era proprio fatta sentire!
Compose il numero e si portò il cellulare all’orecchio, attendendo.
-Cameron?- rispose lei, un po’ affannata. Si sentiva tanto rumore, suoni di clacson, voci in una strana lingua e chiasso.
-ma dove diavolo sei?- borbottò lui, aggrottando la fronte.
-a China Town, c’è un tale casino qui! Ho conosciuto una ragazza e ora stiamo facendo un giro-
-ah, va bene…allora divertiti. Torni dopo, vero?- non sapeva cosa dire, voleva raccomandarsi o chiederle se stesse bene, ma avevano troppa poca conoscenza e non voleva sembrare una specie di maniaco iperprotettivo, anche se nella sua mente era preoccupato. Ace, così piccola e graziosa, in mezzo a tanti cinesini dalla faccia scorbutica, in una metropoli come New York.
-se sono la benvenuta…- ridacchiò lei.
-mi casa es tu casa- rispose lui sorridente, anche se lei non poteva vederlo.
-a dopo, Cam- lo salutò, chiudendo.
-Perché stai sorridendo?- chiese maliziosa Becka, che camminava al suo fianco.
-sorridendo? Io? Macchè…è solo il freddo che mi ha congelato la mascella- rispose Ace divertita.
Però non poteva crederci, e sentiva qualcosa di strano all’altezza dello stomaco. Cameron l’aveva chiamata, ancora una volta, e sembrava preoccupato per lei, ancora una volta? Era una cosa che faceva stare Ace troppo, troppo bene.
-ti va di entrare?- chiese Becka, indicando uno Starbucks di fronte a loro –non mi sento più i piedi, penso che qualche dito si sia staccato-
Ace rise e annuì, aveva proprio voglia di qualcosa di caldo.
Becka ordinò una cioccolata calda con doppio strato di panna ed Ace un cappuccino con caramello.
Si andarono a sedere al secondo piano, che ospitava tanti divanetti imbottiti e confortevoli e tavolini rotondi con la vista sulle grandi vetrate.
Si sistemarono su un sofà e iniziarono a gustare la loro bevanda.
-fa proprio freddo lì fuori, eh!- commentò Ace, ancora intirizzita.
-puoi dirlo forte!- rispose Becka, prendendo un altro sorso di cioccolata calda.
-mi togli una curiosità?- continuò.
Ace annuì.
-a che si deve il nome “Ace”? Bellissimo, ma alquanto insolito. Almeno, qui a New York non è diffuso, non so lì in Gran Bretagna-
-ah figurati- rise Ace –nemmeno lì, è tutto merito della mente contorta di mia madre-
A Becka venne in mente la strana conversazione che aveva ridotto Ace quasi in lacrime e le venne una domanda spontanea da farle.
-hai buoni rapporti con i tuoi?- chiese di punto in bianco.
Ace rimase qualche secondo spiazzata, con il bicchierone lasciato a qualche centimetro dalle labbra semiaperte.
Becka si rese conto della sua troppa sfacciataggine e abbassò la testa, ridacchiando dalla vergogna –s-scusa, non dovevo chiedertelo…-
Ace sembrò riprendersi. Strizzò gli occhi –oh, no, non preoccuparti. Solo che non mi piace parlarne, tutto qui- mugugnò, assaggiando un altro po’ di cappuccino e riscaldandosi bene.
-certo, lo comprendo- sussurrò Becka.
-sul serio a tuo fratello piace Madonna?- domandò Ace dopo pochi minuti di silenzio, ridendo sotto i baffi.
-oh, la venera! Ha la stanza tappezzata di suoi poster e ti giuro, mi viene il ribrezzo quando lo vedo canticchiare in tono infemminato “girl gone wild”-
Ace rise sonoramente, seguita da Becka, che imitava la faccia del fratello.
-una volta l’ho beccato, quando aveva circa quattordici anni, che si era messo il mio tutù rosa e, con polsini e gambaletti abbinati, si era messo a cantare “material girl”, con una spazzola a mo’ di microfono!-
-oh mio dio!- esclamò l’altra, non riuscendo a trattenere le risate.
-cristo- sospirò Becka, scuotendo la testa –quel ragazzo è un gay nato-
-ma quanti anni ha?-
-quasi ventitre!- rispose, con tono melodrammatico.
Ace rise ancora. Becka le sembrava una ragazza semplice e simatica. Era molto chiacchierona e aveva pepe, niente peli sulla lingua. Era divertente parlare con lei, le sembrava di avere un comico accanto. La faceva ridere ed era premurosa nei suoi confronti, era felice di averla conosciuta.
Rimasero a chiacchierare per quelli che sembravano pochi minuti, ma quando Becka diede uno sguardo al cellulare quasi saltò dal divano.
-oh cristo, sono quasi le otto! I miei mi daranno per scomparsa, chi lo spiega alla polizia della mia inaspettata riapparizione?- esclamò sarcastica, alzandosi e mettendosi il giubbotto. Ace capì che era l’ora di andare.
-scusa se ti sto praticamente trascinando fuori di qui, ti assicuro che è molto più piacevole per me rimanere al calduccio a parlare con te, però, sul serio, quando arrivo a casa i miei chissà quante me ne diranno- farfugliò, prendendo sciarpa, cappello e guanti.
Ace ridacchiò e, in fretta e furia, uscirono dal locale.
Dovettero camminare per un bel po’ di isolati prima di ritrovare il motorino di Becka e saltarci sopra.
-allora- disse quest’ultima, prima di partire –dove di porto?-
Eh, bella domanda. Ace corrugò la fronte e cercò di ricordare dove si trovava la casa di Cameron.
-penso che potresti lasciarmi alla pizzeria, se non è troppo lontano da casa tua, da li credo di riuscirmi ad orientare-
-ah- esclamò Becka, accendendo il motore –io abito al piano di sopra-
E partirono.
 
Si sentì il campanello suonare e Cameron, accartocciato sulla poltrona che guardava la tv assieme al coinquilino, sfrecciò verso la porta, prima che Ethan potesse anche solo dire “apri tu?”.
Scosse la testa e tornò a guardare lo schermo –avevo ragione io- sospirò orgoglioso, posando i piedi sul tavolino di legno di fronte a lui.
Cameron tirò giù la catenella e girò il pomello, aprendo la porta. Ace era davanti a lui, con un sorrisone di scuse e una grande scatola in mano, come omaggio per il suo ritardo. Sul cartone c’era il logo di Slices.
Si fermò sulla soglia, scrutandola divertito, e poi si scostò per farla passare –se non avessi quell’invitante scatola non ti avrei fatta entrare- dichiarò.
-si cena?- domandò Ethan, sentendo dalla sua postazione l’odore di fritto e condito.
-alette di pollo fritte e patatine per farmi perdonare- esclamò lei, posando la cena sul tavolo e sistemando il giubbotto sull’attaccapanni.
Si sedettero e mangiarono come dei veri porci, soprattutto Ethan, che sembrava un vichingo lasciato a digiuno da cent’anni.
Il ragazzo concluse il suo pasto con un sonoro rutto e poi si accarezzò la pancia, soddisfatto.
-qualcosa mi dice che ti sia piaciuto il pollo- azzardò Ace, con una smorfia disgustosa in viso.
Ethan arricciò le labbra –mh, buono- disse con aria di sufficienza, alzando le spalle.
Si alzò e ritornò sul divano, accendendo di nuovo la tv. Quel sofà sembrava una calamita e il culo di quel ragazzo il ferro. Com’è possibile che rimane fermo lì tutto il giorno? A scaccolarsi di continuo, poi!
L’idea di un’enorme caccola verde/gialla che volava magicamente dal dito di Ethan al tessuto del divano, dove lei si sarebbe dovuta stendere per dormire, la fece rabbrividire e, con una scossa del capo, cestinò quello schifoso pensiero.
-Cameron…- iniziò, cercando di pensare a cose più serie. Il ragazzo alzò lo sguardo e si accese come una scintilla nei suoi occhi –ti sono immensamente grata per ospitarmi qui, ma so quanti sacrifici hai fatto per venire a New York e non voglio assolutamente essere un peso. Aspetto il conto per la mia parte dell’affitto, a fine mese - lo avvisò.
Cameron drizzò la schiena –no, Ace, non preoccuparti. Io…-
Lei gli posò una piccola mano sul braccio –insisto-
Lui ricadde con la schiena contro la sedia –e va bene- acconsentì, con un sorriso stanco.
Ace gli sorrise grata e poi decise di cambiare discorso –allora, quando hai intenzione di iniziare con gli scatti per il concorso?-
-già da domani- rispose –ho intenzione di svegliarmi presto per riprendere i migliori momenti all’alba e farò lo stesso al tramonto-
-fantastico!- commentò la ragazza –sono sicura che le tue foto siano molto belle-
Cameron le sorrise di nuovo e poi guardò l’orologio. Erano appena le nove passate.
Calò un momento di silenzio tra i due, ma continuavano a lanciarsi sguardi fugaci.
-ehi, ehi, ehi- esclamò Ethan il guastafeste, interrompendo quel momento di pace e tranquillità che si era creato –cosa succede lì in cucina? Devo chiamare qualcuno per farvi staccare?-
Allungò il collo e sembrò essere deluso dal fatto che i due non si stavano pomiciando e non erano avvinghiati sul tavolo, come la sua mente perversa immaginava.
-vedi troppi porno, tu- sbottò Cameron.
 
 
 
 
 *MY CORNER*
Mio dio ragazze, scusatemi tremendamente per il ritardo.
Sul serio, non so che mi è preso! 
Scusatemi, non so davvero come farmi perdonare:c
Mi ero completamente "dimenticata" di efp e tutto, sono stata
presa dalle feste, il mare, gli amici...sapete com'è, l'estate diventiamo tutti più sciroccati:')
E il tempo, e la voglia, di scrivere si riducono a zero:(
Anyway, nuovo capitolo! Spero vi piaccia.
Primo incontro con le directioners (per i ragazzi dovrete aspettare un altro paio di capitoli) 
Becka le odia, Ace pensa solo siano infantili, stupide.
Voi che ne dite?
Fatemi sapere se il capitolo vi sia piaciuto ed anche la storia, con una piccola recensione magari!!
Un bacione xx



 
 
   
 
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