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Autore: KikiShadow93    26/08/2014    10 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Piccolo avvertimento: dalla separazione di Akemi sono trascorsi 21 giorni (ebbene si, lo metterò tutte le volte. Penso anche che farò dei salti temporali notevoli le prossime volte, ma questi son dettagli).
Personaggi originali di questo capitolo:

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1

La sensazione di essere costantemente osservata non l'abbandona neanche per un secondo. Spesso, quando alza furtivamente gli occhi sui compagni, si rende conto che non è solo una sensazione. I loro occhi più volte sono posati sulla sua figura, e la scrutano con un certo interesse.
Babbei.” pensa ogni volta che li becca inflagrante, non riuscendo a capire per quale ragione adesso la guardino con così tanta sorpresa. Per un attimo aveva preso in considerazione l'idea che non sapessero che è una donna a tutti gli effetti, ma ha scartato velocemente l'ipotesi. Perché loro hanno sempre saputo di quale sesso facesse parte, solo che non pensavano che potesse prendersi un compagno.
Halta non riesce a spiegarsi il perché, ma non le importa poi molto. Certo, le dà incredibilmente fastidio essere osservata dopo aver rivelato la sua relazione sentimentale con il sedicesimo comandante, ma alla fine non le importa. È sempre troppo impegnata a leggere lo strambo libro di Ace per prestarci realmente attenzione.
I mostri più potenti presentano caratteristiche che, contravvedendo alle leggi naturali e della fisica, dovrebbero a rigor di logica essere impossibili. Tra queste, le più comuni fin dai tempi antichi sono l'immortalità, l'invulnerabilità e un elenco piuttosto lungo di poteri sovrannaturali, in vari casi legati a percezioni extrasensoriali.
Legge per l'ennesima volta quelle righe sbiadite, le annotazioni laterali scritte a matita, e per l'ennesima volta non riesce a non pensare a lei. Aveva cominciato, giorni addietro, a leggere quel libro per avere una prospettiva più ampia di ciò che la circonda, per poter così difendere la propria famiglia in caso di un nuovo attacco, ma non aveva preso in considerazione che ogni singola frase le avrebbe fatto male come una pugnalata nello stomaco.
Il mostro può essere o meno in grado di riprodursi, presentandosi -secondo i casi- o come un esemplare unico o come una specie vera e propria, diffusa su un territorio nel quale prende più o meno parte alle dinamiche della catena alimentare, di generazione in generazione.
La sua migliore amica, la sua sorellina, la piccola trovatella che hanno accolto con amore tra loro, altro non è che un mostro. Che tipo di mostro ancora non lo sa, ma lentamente se ne sta facendo un'idea a furia di leggere quelle pagine ingiallite. Tanti piccoli indizi che la giovane comandante riesce a cogliere e mettere insieme, riuscendo lentamente a costruire un quadro sempre più preciso della situazione. Ha cominciato a farsi un'idea leggendo le pagine riguardanti i vampiri, poiché voleva inquadrare meglio Mimì e sapere quanto il fratello sia stato realmente in pericolo. Le legge anche ora, sempre con una punta di incredulità.
Il vampiro è un essere leggendario che si nutre dell'essenza vitale di altre creature.” già questa riga le ha fatto capire che Akemi è, seppur in parte, appartenente a questa specie. Ricorda infatti il suo scattare sull'attenti all'odore del sangue, a quanto quel liquido caldo e denso la incantasse.
Nonostante sia difficile dare un'unica, definitiva descrizione del vampiro, vi sono tuttavia alcuni elementi che sono comuni a molte leggende: vengono generalmente descritti come affascinanti ed estremamente belli, dalla personalità suadente e carismatica, con la pelle pallida e gli occhi chiarissimi. Le zanne (gli incisivi superiori e inferiori) sono lunghi e affilati.” ha fatto leggere pure ad Izo questo pezzo, trovandolo d'accordo con la sua teoria. Certo, per quanto riguarda la personalità e i denti ha da controbattere, ma per il resto ci rientra abbastanza.
Solitamente un vampiro è molto veloce, agile e aggressivo. Molte leggende narrano che può trasformarsi in un pipistrello, per volare o passare per punti angusti. Ci sono delle teorie anche sul loro rapporto con la luce del Sole: alcune affermano che è per loro letale, altre che li rendono più deboli e gli causa dei problemi alla vista.” altro punto che le ha dato molto da pensare. Certo, non l'ha mai vista trasformarsi in un pipistretto o particolarmente indebolita dalla luce solare, ma sa bene quanto le desse fastidio agli occhi.
Ma è il punto seguente che le ha fatto capire che Akemi non appartiene ad una sola specie, ma che bensì è un incrocio tra due creature totalmente diverse. Non sa spiegarsi come sia possibile, visto che ha letto che i vampiri non possono avere figli, ma sa che è così.
Sempre secondo le leggende, i vampiri hanno dei fedeli compagni d'armi, i licantropi, esseri umani condannati da una maledizione a trasformarsi in bestie feroci e mangiatrici di uomini ad ogni plenilunio. Questo genere di creatura è in grado di trasmettere la sua maledizione tramite un morso.
[…] A volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe e conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto per la carne fresca.

Queste caratteristiche le hanno ricordato incredibilmente la sorella. Ricorda come vedesse bene al buio, come gustasse la carne cruda, ancora grondante di sangue, ma soprattutto ricorda come cominciasse a perdere il controllo di sé ad ogni plenilunio. Certo, la descrizione mostruosa di quelle bestie non combacia con quella che ha visto, però, se ci pensa bene, può dire con una certa sicurezza che ci fosse una somiglianza. Quanto meno per quanto riguardava la postura e per il muso animalesco.
Chiude con un gesto stizzito il libro, massaggiandosi poi le tempie. Tutte quelle informazioni le rimbombano in testa, e a queste si aggiungono poi tutte le altre che era riuscita a raccimolare nel tempo, senza però riuscire a venire a capo del fastidioso enigma.
Izo le si avvicina piano, mettendosi a sedere al suo fianco. Aspira una lunga boccata di fumo dalla sigaretta che tiene stretta tra le dita. Anche lui si accorge degli sguardi dei compagni, ma decide di non badarci. Preferisce invece passare scherzosamente una mano tra i capelli arruffati di Halta, ricevendo in risposta una linguaccia. Perché, per quanto la situazione possa andar male, almeno loro due possono dirsi fortunati: sono ancora insieme e nessuna entità maligna pare averli presi particolarmente di mira.
I News coo si avvicinano veloci alla Moby Dick, starnazzando a pieni polmoni per annunciare il proprio arrivo. I vari pirati alzano appena lo sguardo su di loro. Quando il giornale cade con un tonfo secco sul ponte della nave, solo Fossa compie l'enorme sforzo di avvicinarsi per raccattarlo, aprendono e leggendo disinteressatamente le notizie in prima pagina. Sfoglia poi le varie pagine, leggendo velocemente alcuni inserti, trovando, in fondo alla sesta pagina, un articolo a dir poco sconcertante.
Legge più volte il titolo, incredulo, arrivando a fissare con maniacale insistenza la fotografia allegata all'articolo, provando a trovare un qualsiasi appiglio per poter smentire quell'orribile notizia, non trovandolo.
«Non è vero...» la voce gli esce a stento dalle labbra, i suoi occhi trasudano sconcerto e orrore. Le mani stringono con forza le pagine sottili del giornale, accartocciandolo.
Gli occhi del capitano si posano inevitabilmente su di lui, ma non fa in tempo a chiedere spiegazioni che l'uomo gli si avvicina. Gli porge il giornale, ripiegato su quella pagina dannata, e il gigante lo prende, portandoselo davanti al viso per poter capire cosa lo abbia turbato tanto. E il suo cuore, per un istante, si blocca.

“Rinvenuto il cadavere di Akemi l'Angelo Demoniaco.”

Rimane immobile, le labbra dischiuse per lo sconcerto e gli occhi sgranati intenti a fissare quell'orrenda fotografia, che ritrae la sua bambina stesa sulla sabbia. Le labbra sono livide, il viso più pallido del solito, gli occhi vitrei, vuoti, morti.
“Il corpo senza vita e completamente nudo della ricercata è stato trovato da un gruppo di ragazzi che passeggiavano per la spiaggia dell'isola Saona, collocata nella seconda metà della Rotta Maggiore. La causa del decesso, secondo l'autopsia del medico legale, è l'annegamento. Si suppone che sia caduta dalla nave durante la tempesta riscontrata a largo delle coste nelle settimane scorse e che i compagni non siano stati in grado di ritrovare il corpo.
Il cadavere della giovane novellina, la cui taglia era in continuo aumento a causa delle sue scorribande e degli efferati omicidi, è stato trafugato la notte scorsa.
Sulla sinistra la fotografia del ritrovamento.”
Gli bastano quelle poche righe per sentirsi crollare nuovamente il mondo addosso. L'idea che fosse al sicuro da qualche parte, nascosta ai loro occhi, gli faceva provare un vago senso di gioia. Pensare che stasse bene, che magari fosse in compagnia dei suoi simili, era una specie di illusione a cui aggrapparsi.
Pensava che magari un giorno l'avrebbe ritrovata sul suo cammino, che avrebbe potuto intravederla felice tra la folla. Ma adesso non può più aggrapparsi a questa speranza. La sua bambina è morta, il suo sorriso si è spento per sempre.
La notizia fa velocemente il giro completo della nave, diffondendosi a macchia d'olio come un virus, scatenando tra i pirati diverse reazioni. C'è chi gioisce per la sua morte, chi rimane totalmente indifferente e scrolla le spalle mormorando “che mi frega?”, chi prova un profondo senso di tristezza.
A quest'ultima categoria appartiene Halta, che rimane immobile con le braccia stese lungo i fianchi. L'espressione è vuota, persa. I suoni le arrivano ovattati alle orecchie dal momento in cui le hanno detto del decesso. Pure la sua pelle pare essere diventata insensibile, poiché non si accorge nemmeno delle mani forti del compagno che le si posano sulle spalle.
«Vuoi andare a stenderti?» la voce di Izo è gentile, seppur vagamente tremante. Non ha idea di come aiutarla, non ha idea di come muoversi. Vorrebbe consolare i suoi amici, i suoi fratelli, il capitano che si è ritirato nuovamente nella sua stanza, ma non ha la minima idea di come farlo. Non può andare da loro e dirgli “le mie condoglianze” o “è stata davvero una grave perdita, ne sono molto addolorato”. Passerebbe da imbecille, e neanche poco. Il massimo che si sente di fare è stringere le braccia attorno ad Halta, tenerla stretta a sé, fregandosene delle possibili occhiate allibite dei compagni. In un momento così, in fondo, si può anche mettere da parte l'orgoglio.
Alzando gli occhi, sente una nuova ondata di tristezza travolgerlo completamente. Non credeva possibile che avrebbe visto ancora una volta Marco, sempre così fastidiosamente apatico nei confronti del mondo, piegarsi al dolore. Una volta ci può stare, soprattutto se sei appena uscito da un coma di quasi due settimane e scopri che a buttarti nel braccio della morte è stata la ragazza di cui sei innamorato, ma la seconda no. Almeno, non con lui.
Ma Marco è lì davanti a lui, chino con i gomiti appoggiati sul parapetto e la testa ciondoloni. Vorrebbe consolare pure lui, dirgli che passerà, come ogni cosa, ma non se la sente proprio.
Per l'ennesima volta ripensa a quando, al suo risveglio, Barbabianca ha voluto sapere per quale ragione la Fenice stesse urlando tanto, perché si fosse inginocchiato a terra e stesse piangendo. È stato lui, quasi in preda al panico, a farsi avanti per dare una spiegazione. E non ha mai parlato tanto in vita sua...
È partito da lontano, dicendo che era cominciato tutto mesi addietro. Per provare a deviare un minimo la sua completa attenzione da Marco, gli ha pure detto che ha una relazione stabile con Halta, e lui ne è stato felice, borbottando che poi avrebbero festeggiato l'evento. Ma poi, con voce sollenne, ha domandato di nuovo cos'avesse Marco, perché si stesse disperando in quel modo. E lui ha guardato Marco. L'ha guardato per secondi interminabili, e per un attimo gli è venuto da piangere.
Ricorda che i suoi compagni si erano ammassati alla porta, e per qualche minuto si è sentito in imbarazzo da morire. Poi, semplicemente, ha confessato ciò che sapeva da tempo. Gli ha rivelato che Marco e Akemi si erano innamorati, che passavano le notti insieme e si svegliavano la mattina fianco a fianco.
Edward Newgate ha pianto. Ha pianto mentre si accovacciava di fianco al biondo comandante, stringendogli un braccio attorno alle spalle per infondergli la forza necessaria per andare avanti, per voltare pagina. C'è passato anche lui, Edward Negate, a dover dire addio ad una persona che amava con tutto sé stesso. L'ha dovuta guardare da lontano mentre riprendeva il mare, mentre lo salutava in lacrime dalla cima della scogliera. Non ha più avuto sue notizie da allora, ma non passa giorno in cui non la pensi, in cui il suo cuore non si sciolga al ricordo del suo sorriso.
Tutti sono stati sorpresi da quella rivelazione: Ace era il più felice di tutti, come un bambino la mattina di Natale, mentre gli altri erano semplicemente sorpresi. Ma Ace... Ace sorrideva, sprizzava gioia da ogni poro, pur sapendo cosa ha fatto Akemi. Non gli importa molto. “Lei ci aveva avvertiti” lo pensa davvero, non riuscendo ad incolparla di niente.
Fossa, più saggio del giovane comandante, l'ha preso per una spalla e l'ha portato via. Non voleva che assistesse al dolore di Marco, al suo cedimento, e soprattutto a quello del loro capitano.
Anche gli altri se ne sono andati, lasciandoli da soli.
Poi Marco si è semplicemente calmato. Le lacrime hanno cessato di scendere, e lui si è alzato. Si è passato il dorso della mano sulle guance per ripulirle dalle lacrime ed ha aiutato il genitore a rimettersi in piedi. Si sono guardati a lungo negli occhi, in silenzio. Barbabianca avrebbe voluto dirgli che aveva fatto un'ottima scelta, che avrebbe voluto saperlo prima da loro, ma ha evitato. Non voleva rigirare il coltello nella piaga.
Tutt'ora non hanno affrontato l'argomento. Newgate aspetta che sia Marco ad andare a parlargliene, che sia lui a dirgli come è cominciata, come si è evoluta la loro relazione. Non che sia mai stato un tipo a cui interessano questo genere di cose, ma si tratta pur sempre dei suoi adorati figli che hanno scoperto di amarsi reciprocamente, e vuole sapere come sia successo. Certo, qualche sospetto ce l'aveva, ma non ci aveva dato molto peso. Era più convinto che la ragazza avesse una cotta per Ace.
Adesso, come ormai avviene da giorni, Marco semplicemente si è estraniato da tutto quello. Non li vede. Non li vuole sentire. La sua mente è altrove, lontana. Si sofferma su quei giorni di pace vissuti con lei, quando tutto andava bene e poteva definirsi davvero felice.
Un venticello leggero gli rinfresca la pelle surriscaldata. Solo fino a poche settimane prima ci sarebbe stata anche Akemi a godere della brezza assieme a lui. Si sarebbero allontanati da occhi indiscreti e avrebbero fatto dondolare i piedi dal parapetto, chiacchierando e ridendo delle battute stupide che la ragazza riusciva sempre a tirare fuori.
Di nuovo quella sensazione di umido agli occhi e dello stomaco che si stringe insopportabilmente. Scuote la testa, stringendosi le braccia attorno all'addome. Si sente fisicamente male, non riesce a credere che tutto ciò che sta succedendo sia reale.
La parte più irrazionale della sua mente prova a convincersi che si tratti solo di un brutto incubo, che quando finalmente riaprirà gli occhi avrà Akemi al suo fianco a dormire serena, raggomitolata tra le lenzuola e con un filo di bavetta alla bocca come al solito. Ma la parte razionale della sua mente, quella che non riesce mai a far tacere, gli dice che è tutto vero, che lei è un mostro e che ha provato ad ucciderli per mangiarli, e che no, non tornerà mai più.
«È solo un bene che sia morta.» non riesce ad evitare che la voce gracchiante di Teach gli arrivi alle orecchie. Voleva evitare qualsiasi discorso, lasciare che quell'argomento cadesse nel dimenticatoio, ma non ci è riuscito. Lo sente benissimo mentre afferma che era soltanto un mostro da eliminare, che avrebbero dovuto lasciarla alla deriva, quel giorno lontano in cui la trovarono.
Gli viene da vomitare, da urlare, e le mani gli prudono per la voglia che ha di picchiarlo a sangue. È vero che è stato mutilato da Akemi, che ancora sta in piedi a fatica e spesso ha la febbre alta, come se avesse un qualche tipo di infezione, ma non può sopportare di sentire discorsi simili su di lei. Perché, comunque la si metta, lei è stata l'unica ragazza che è riuscita a scalfire il ghiaccio che avvolgeva il suo cuore.
Con un moto di stizza si gira e se ne va, camminando per la nave con l'intenzione di sbollire la rabbia che lo sta corrodendo. Vedere alcuni dei suoi sottoposti guardarlo con compassione lo manda semplicemente in bestia, motivo per cui ogni volta accelera il passo, fino a ritrovarsi a poppa della nave.
Si appoggia al parapetto, fissando con astio i gabbiani che vede volare all'orizzonte. Magari, in mezzo a quel chiassoso stormo, c'è anche il maledetto corvo che li seguiva, quella piccola spia dal piumaggio nero.
Un rumore fuori posto gli arriva debolmente alle orecchie, come di un vetro che coccia duramente sul pavimento, e immediatamente si volta, pronto a cacciare chiunque abbia pensato di infastidirlo in quel momento delicato. Quando poi si accorge chi è stato a provocare quel rumore, sbattendo una bottiglia di rum sul pavimento, si morde la lingua per trattenersi dal dire qualsiasi cosa.
Satch se ne sta seduto nel giardinetto, lo sguardo perso ed appannato che punta il niente, e il corpo completamente abbandonato contro una corteccia. È abituato a vederlo con le braccia conserte e un sorriso smagliante sulle labbra. Da giorni invece è cupo, il sorriso sparito. Gli si spezza il cuore nel vederlo così abbattuto, soprattutto per la consapevolezza che in parte è colpa sua. Doveva accorgersi di qualcosa, doveva fare qualcosa, impedire che il mostro prendesse il sopravvento e quasi lo ammazzasse.
Forse, se le avessi dato più attenzioni, non sarebbe successo niente.” lo pensa costantemente, inconsapevole del fatto che nessun licantropo purosangue può evitare di trasformarsi alla prima muta. Nessuna esclusione. Alcuni non tornano neanche indietro, a dirla tutta. Ma lui questo non lo sa. Non sa nemmeno che la sua ex-ragazza per metà ha il sangue infetto di un lupo mannaro che le scorre nelle vene. Non lo sa, e per questo s'incolpa di quanto accaduto.
Adesso guarda Satch, seduto con le gambe incrociate sotto l'ombra dell'albero più grande del giardinetto, e il cuore gli si stringe.
Non lo posso toccare, non mi posso avvicinare...
Ma può. E deve, se non ha intenzione di vederlo crollare psicologicamente. E del resto a che cos'altro serve un fratello maggiore, specie uno non tanto maggiore da impedire un evento tanto triste?
Con passo incerto lo avvicina e si siede al suo fianco, senza aprire bocca per svariati minuti. Il compagno neanche si volta a guardarlo, pur essendo consapevole di averlo vicino. Continua a fissare il vuoto con la bottiglia di rum ben stretta nella mano.
«Mi dispiace...» la sua voce, quando gli esce dalla bocca, trema così forte che a stento Satch riesce a riconoscerla «Se non fossi stato accecato dall'affetto che ci legava, mi sarei accorto che c'era qualcosa di veramente pericoloso in lei. Me ne sarei accorto e avrei potuto fare qualcosa. Invece non ho fatto niente...»
Arriva per tutti il momento in cui la diga cede. E questo è il momento di Marco. Si lascia andare ad un pianto silenzioso, di quelli senza speranza, mentre il volto deformato della bestia gli torna vivido nella mente. La testa gli cade in avanti, le mani l'afferrano e la stringono, respirando convulsamente e cercando di non scoppiare in un pianto troppo rumoroso. Sono loro due da soli, è vero, ma non vuole farsi sentire neanche da lui.
A straziarlo più ogni altra cosa, in realtà, è la consapevolezza che la porta che si è chiusa tra loro non si riaprirà mai. Non vedrà più Akemi la mattina appena sveglia con il trucco colato e i capelli arruffati. Non gli chiederà più di dormire insieme, e non la vedrà più fare qualche scherzo ai compagni e poi scoppiare a ridere come una bambina.
«Non è stata colpa tua, Marco.» afferma con voce ferma Satch, poggiandogli una mano sulla spalla con forza «Nessuno si è mai realmente reso conto di niente. Anche se lo avesse fatto, comunque, non ci ha voluto credere.»
Si guardano a lungo negli occhi, consolandosi silenziosamente a vicenda. Satch tenta di sorridere, riuscendo solo a fare una smorfia che non convincerebbe mai nessuno, ma a Marco basta.
Si trattiene ancora per un momento accanto al fratello, con le mani strette alle cosce, mentre lotta di nuovo per tenere a bada le emozioni. Quando si sente più sicuro di sé, si alza in piedi e si massaggia le tempie.
«Credi che sia in un posto migliore?» domanda con un filo di voce, alzando di nuovo gli occhi sull'orizzone. C'è un gabbiano nero in mezzo allo stormo, più piccolo e deforme, che sta attaccando i suoi simili per poi farli cadere morti in mare. Per quanto la cosa sia anomala, non gli vuole dar peso, voltandosi semplicemente verso il compagno e guardandolo con sguardo serio.
«Può darsi che sia finita in quel posto tanto bello di cui ogni tanto mi parlava. Oddio, come si chiamava?» ci pensa attentamente, Satch, stringendo gli occhi e colpendosi piano sulla fronte per ricordare qual'era il nome preciso di quel luogo magnifico che la minore tanto elogiava «Ah, si! Il Valhalla. Diceva che lì i guerrieri banchettano con gli dèi. Sai, gli strani dèi di cui le parlava quel tipo nella sua testa...»
«Forte.» commenta semplicemente Marco, passandosi una mano dietro al collo. Ricorda che gliene parlò anche a lui, ma non le diede peso. Adesso si pente di non aver dato peso a tante sue chiacchiere, a tante piccole cose che adesso vorrebbe sapere «Dici che è davvero lì?»
Satch annuisce convinto, sorridendo per la prima volta da giorni. Si alza in piedi abbastanza fermamente malgrado la generosa dose di alcol ingerita e si avvicina al compagno, mettendogli una mano sulla spalla per sorreggersi «Era una donna guerriro, Marco. È sicuramente lì, adesso.»

2


In realtà la loro presunta deceduta sorella si trova su di un isola che, se vista dall'alto, appare quasi come un cuore rudemente intagliato in un pezzo di mare.
Helheimer è un'isola quasi interamente ricoperta di verde, un verde brillante e rigoglioso. Foreste, paludi e praterie dominano parte della scena. Nella zona est è situata una fascia desertica, usata principalmente per allenare al meglio le nuove leve in un clima totalmente sfavorevole e renderle così più forti.
Il bosco, che si estende dal centro dell'isola per moltissime miglia, è attraversato dal Fiume Bianco, le cui acque sembrano brillare ogni qual volta baciate dali raggi del Sole o della Luna. Risalendo il fiume si può arrivare alla cascata Fyssirse. Uno spettacolo. L'acqua pare quasi scendere lentamente, docilmente, fermarsi nell'aria e poi abbandonarsi al mare che bagna gli scogli sottostanti, cadendo con un fracasso assordante. La scogliera corre lungo tutto il bordo dell'isola in modo da tenere i fedeli ma pericolosi abitanti delle acque lontani dalle coste.
Il posto in assoluto prediletto da tutti gli abitanti dell'isola resta, senza ombra di dubbio, la grande spiaggia situata nella parte nord. Assolutamente perfetta con la sua sabbia calda e dorata.
In quel preciso istante, per sua enorme sfortuna, Akemi non si trova su quella spiagga. Si trova per l'ennesima volta sotto il Sole cocente nell'ampia zona desertica, in compagnia del suo simpaticissimo tutore Freki. In ben otto giorni non ha fatto altro che farla correre sotto quel maledetto Sole, sotto temperature così alte da farla quasi svenire, trottandole di fianco e parlandole allegramente dei loro dèi. Gli ha parlato anche delle loro tradizioni, delle loro feste, della cerimonia che a breve si terrà anche per lei. Ha provato a chiedere spiegazioni, Akemi, ma il lupo è stato ben muto su questo argomento.
Oggi, stranamente, non pare avere alcuna intenzione di farla correre come una dannata per tutto quel maledetto deserto. Rimane di fronte a lei con le braccia conserte al petto, lo sguardo duro che la scruta da capo a piedi e con Hunnin, il corvo immortale di Fenrir, poggiato sulla spalla.
Dopo qualche minuto di silenzio, in cui Akemi ha maledetto la madre in tutte le lingue che conosce per averla mollata ad un pazzo del genere, il lupo comincia a frugarsi nelle tasche dei pantaloni vecchi e rattoppati, perfetti per gli allenamenti. Ne estrae due fialette contenenti un liquido violaceo.
«Bevi.» ordina porgendogliene una, bevendo la propria alla goccia, riducendo poi il viso ad una smorfia di puro disgusto.
«Che roba è?» sibila diffidente, scostando la sua mano in un gesto brusco di cui si pente immediatamente.
«È un infuso di aconito. Ridurrà notevolmente le nostre capacità di guarigione, in modo tale da costringerti ad impegnarti seriamente.» le spiega con tono calmo e quasi cortese, per poi riprendersi e continuare «È stato tuo zio ad insistere a dartela. Per quanto mi riguarda, sarebbe stato meglio di no, visto che ti farò a pezzi.»
La lancia ai piedi una spada di legno, costretto dal proprio Sire ad insegnarle ogni cosa, anche le più scontete.
«Styrke, kjerring!»
Akemi ringhia in risposta, ormai completamente capace di tradurre quell'antica lingua come se la parlasse da sempre, e di slancio si lancia sulla spada ai propri piedi e prova ad attaccare il nemico. E Freki risponde senza esitazioni, giocando con lei come fa con i cuccioli dei propri compagni, quando insegna loro come maneggiare una spada. Perché Freki, pur non ricordandolo con esattezza, è sempre stato un abile guerriero anche da umano, forse uno dei più temibili con una spada in mano.
Prova ad affondare più volte, Akemi, senza però riuscire mai a centrare il bersaglio. L'avversario continua a farle dei giochi di gambe a cui non riesce a star dietro, ritrovandosi così costretta ad esitare negli affondi e ad indietreggiare.
«Aldri nøle.» le ricorda con tono fermo, imparziale, bloccando la finta spada a pochi centimetri dal suo zigomo. Se avesse affondato sul serio, adesso Akemi si ritroverebbe con il volto ricoperto di sangue.
La corvina, decisa a sferrargli un buon colpo, riparte all'attacco, tentando un affondo nello stomaco, che però va nuovamente a vuoto. Non vuole arrendersi però, ne va del suo orgoglio. Così comincia a correre per quella distesa desertica, provando inutilmente a mettere un poco di distanza tra di loro, dovendosi rigirare al volo quando lo sente troppo vicino, venendo di nuovo bloccata con la spada puntata alla gola.
«Petrified.» la sfotte ghignando il maggiore, piegandole con cattiveria il polso per farle mollare l'arma.
Akemi, in tutta risposta, gli sferra un gancio sinistro nella mandibola, facendolo pietrificare per la rabbia.
Si guardano per qualche istante, furiosi come solo due bestie possono esserlo, e Freki, seppur per un istante, si lascia andare. Blocca immediatamente il nuovo gancio che la ragazza prova a sferrargli e oppone un diretto alla guancia sinistra, ribaltandole la testa. Non ci ha messo forza a sufficienza però, quindi l'avversaria è ancora in piedi, cosa che gli permette di continuare: una botta nelle costole, blocca il suo sinistro, le indebolisce la mascella con un gomitata, finendo con un colpo di tacco al diaframma.
Akemi annaspa sempre di più, tenendosi le braccia attorno all'addome. Vede tutto lento, quasi privo di senso. Ma lui è lì. Lo vede e lo sente, con quell'insopportabile sguardo colmo di ironia e puro divertimento.
La sua mente, poi, le tira un brutto colpo, facendole ricordare di tutte quelle persone -quei semplici umani, come li chiamano i suoi simili- a cui ha voluto davvero bene. Ripensa alle sue chiacchierate con Halta e Satch mentre mangiavano dolciumi. Ricorda i baci passionali di Marco, dati di nascosto in qualsiasi occasione. Le manca acciambellarsi sulle gambe di suo padre ed innervosirlo perché gli rubava costantemente il cibo. Le mancano tutti loro.
Ma quello non è il momento per pensare ai fatti propri, e lo capisce benissimo non appena sente un nuovo pugno smaciullarle la faccia.
«Bastardo!» latra in uno spasmodico colpo di tosse vaporizzato di sangue, incapace di trattenersi. Il lupo sembra non accorgersi nemmeno di essere stato insultato. Le gira attorno con la testa abbassata e tamburella lievemente sulle proprie ossa del bacino lasciate scoperte. La sua respirazione è gutturale e ansimante e per un attimo Akemi si chiede se la stia canzonando.
Spero che sia asma.” pensa, pur essendo consapevole dell'impossibilità degli immortali di contrarre anche la più innocua delle patologie “E spero che tu crepi strozzato!
E senza avere visto o intuito nulla, si sente improvvisamente esplodere nella testa un'argentea, possente vampata di dolore. Si rende conto di vacillare all'indietro con le mani premute sulla faccia e sul sangue caldo che le sgorga tra le dita, di annaspare in cerca di equilibrio, di pensare non è niente, non cascherò, non è niente, e finalmente di essere distesa su un fianco nella sabbia a gridare alla volta azzurra del cielo.
«In piedi!» urla il lupo, prima di sferrarle un calcio alla coscia sinistra. Il dolore la invade come una colata di acido e le pietrifica i muscoli portanti della gamba. Freki non le dà neanche il tempo di imprecare che subito le sferra un'altro calcio al sedere, in alto, a livello del coccige.
Questa volta il dolore è smisurato e insopportabile. È sicura che tra pochi secondi sverrà. Invece no. Continua a dibattersi e strisciare nella sabbia, gridando e sanguinando dal naso rotto.
«Su» comanda il lupo «In piedi, piccola Lothbrook.»
«Non posso...» farfuglia la ragazza, portandosi le gambe al torace e allacciandosi le braccia sul ventre in posizione difensiva «Non ce la faccio, mi hai spezzato la gamba. Gesù Cristo, mi hai massacrata...»
«La gamba non è rotta e non ti ho massacrata. Adesso alzati.»
«Non posso. Davvero non-»
Il ringhio di Freki è assordante e feroce, e Akemi si trova magicamente in piedi ancor prima di sentirsi sicura al cento per cento di non essere morta dalla paura. La parte inferiore della faccia è ricoperta di sangue. Vi si è anche appiccicata della sabbia che le ha disegnato riccioli e virgole sulle labbra, le guance e il mento.
«Visto che ci riesci?» la sfotte Freki, incrociando le possenti braccia al petto e guardandola con arroganza crescente.
Akemi lo polverizza con lo sguardo, massaggiandosi delicatamente il sedere ancora quasi del tutto intorpidito. Le sembra quasi di avere un taglio di manzo surgelato appeso alla schiena. Ritiene di doversi rallegrare, tutto consideraro: se col secondo calcio l'avesse colpita un po' più su, forse ora sarebbe paralizzata. Certo, la sua guarigione accelerata magari l'avrebbe salvata da quell'orrenda fine, ma non ne è poi così sicura.
Freki le dà le spalle senza problemi, incamminandosi verso la strada di casa. È stato un allenamento molto breve, ne è consapevole, ma ci è andato troppo pesante, e sa benissimo che la ragazza non muoverà più un muscolo per il resto della giornata.
«Muoviti, principessa.» ordina in tono svogliato senza degnarla neanche di uno sguardo.
«Dove mi porti?»
«Secondo te dove dovrei portare un'incapace rammollita che non sa reggersi in piedi?» Akemi lo guarda con aria interrogativa, terrorizzata dalle mille possibili risposte che l'uomo potrebbe darle «Ti porto in infermeria, cogliona. Così ti danno una ripulita e io posso andare a mangiare.»
Vorrebbe davvero attaccarlo. Vorrebbe saltargli addosso, prenderlo di spalle e staccargli la testa dal collo a morsi, ma non ci prova neanche. Il corpo le fa male, tanto da impedirle di camminare, e lui è decisamente troppo grosso, troppo forte e troppo veloce. Non credeva neanche possibile che uno della sua stazza potesse essere così veloce.
Freki, resosi conto che la ragazza non lo sta seguendo come le ha ordinato, volta un poco la testa, trovandola rannicchiata a terra con le braccia al petto come scudo. Vederla così arrendevole, docile e quasi supplichevole gli dà semplicemente la nausea, ma non infierisce. Non ora, per lo meno.
«Ce la fai a camminare?» c'è del grottesco nella premura del suo tono.
Akemi alza gli occhi ricolmi di lacrime su di lui, negando debolmente con la testa. Si sente umiliata nel profondo, e l'unica cosa che desidera fare è sparire.
Invece di prendere a male parole la ragazza per aver ceduto così facilmente, o punirla per averlo fatto, il lupo la stringe per qualche secondo con un braccio solo. Un abbraccio cameratesco. Senza darsene una ragione, Akemi trova quel piccolo e apparentemente sincero gesto d'affetto più inquietante di tutta la violenza che ha subito fino a pochi istanti prima.
«Reggiti forte.» le ordina semplicemente prima di issarsela in braccio, tenendola stretta a sé come se fosse un cucciolo smarrito che ha urgente bisogno di cure «Quatta quatta, chiotta chiotta, come una lumachina nella sua chiocciola.»

È in uno stato spaventoso, con la faccia gonfia e rossa di sangue, come un peso massimo che le ha prese per dodici round senza interruzioni. Non riesce a star seduta, le fa troppo male, così si è appoggiata sulla coscia destra, con una mano posata con delicatezza sul naso dolorante. Se lo sente vivo e malevolo, un parassita che le conficca nelle carni pungiglioni velenosi. Ma con l'arrivo di Kakashi, non può più pensarci. Non sia mai che le sue mancate attenzioni al vampiro le procurino altre ferite simili!
«Hai un aspetto orrendo.» afferma scrutandola con aria critica, lasciandosi poi andare ad un sorriso allegro «È cazzuto Freki, mh?»
«Direi al massimo che è un pezzo di merda.»
«Nahhh. È solo molto forte.» controbatte prontamente il biondo in difesa del cognato, passandosi entrambe le mani nei capelli per ravvivarli «Credimi, col tempo imparerai ad apprezzarlo e grazie alla sua violenza gratuita sarai perfettamente in grado di difenderti da qualsiasi pericolo.»
«Ho un forte mal di testa.» cambia velocemente argomento Akemi, concentrandosi come meglio può per non sentire il dolore che le sta folgorando il cervello.
«Ti cerco qualcosa.» decreta con aria annoiata il vampiro, cominciando subito a mettere le mani un po' ovunque, alla ricerca quasi disperata di analgesici «C'è dell'aspirina... paracetamolo... ibuprofene... un calmante molto blando...» le mostra una pillola rosso scuro, sorridendo allegramente «Queste sono illegali.»
«Ehm... fantastico?»
«In questo posto andiamo pazzi per le pillole!» dice, rivolgendole uno sguardo improvvisamente intenso «Le adoriamo
Le porge tre compresse verdi e, dopo parecchi tentativi, riesce a trovare un bicchiere di plastica.
«Ecco fatto. Queste ammazzeranno qualsiasi tipo di mal di testa.» le versa dell'acqua fredda e le porge il bicchiere «Bevila tutta.»
«Grazie.» mormora, ingoiando le compresse con una smorfia.
Il biondo vampiro comincia a parlare a raffica del più e del meno, informandola che la madre e lo zio se ne sono andati a fare una battuta di pesca per tutto il pomeriggio e che non torneranno prima di tarda notte, facendola sbuffare. Avrebbe voluto passare un po' di tempo in compagnia della madre, magari supplicandola per l'ennesima volta di cambiare idea riguardo Freki e metterla in coppia con chiunque altro.
Mentre i due discutono su quanto il lupo sia più o meno stronzo, una creatura di grosse dimensioni -almeno tre metri di altezza e un paio di larghezza-, scheletrica, emaciata e ricoperta di peluria, con labbra insufficientemente grandi per coprire gli enormi denti, si affaccia alla porta, facendola trasalire.
«Tua sorella ti cerca.» pare quasi fare i gargarismi mentre parla, cosa che spaventa ancora di più la giovane immortale, che mai avrebbe pensato di vedere una cosa del genere. Può infatti accettare con una certa tranquillità l'esistenza di lupi mannari, vampiri o cose simili, ma non aveva mai calcolato l'esistenza di una creatura tanto orrenda e spaventosa. Il modo in cui la guarda, poi, le fa semplicemente accapponare la pelle.
«Se per caso la incontri, dille che arrivo tra poco. Accompagno lei in camera, prima.» gli riconde cortesemente il giovane vampiro, sorridendo cordiale.
La creatura semplicemente annuisce e se ne va, diretto verso il laboratorio dove praticamente vive Wulfric. Vuole aiutarlo per la probabile guerra in cui s'imbatteranno a breve, e di certo il suo aiuto non verrà ignorato: lui può toccare l'argento.
«Che cazzo era quello?!» non è in preda al panico, Akemi, ma nemmeno tranquilla. La voce per sua fortuna è rimasta piuttosto ferma, quasi pacata, ma l'espressione di paura che ha dipinta in volto la tradisce. Un'espressione che muove quasi a compassione.
«Un Windigo.» risponde Kakashi, indugiando per qualche istante sulla sua espressione adesso completamente smarrita. “È ovvio che non sappia cosa sia. Non sapeva neanche cosa sono io quando ci siamo incontrati!
«Un demone maligno divoratore di uomini. Sono cacciatori eccezionali di giorno, insuperabili di notte. Ti dirò, li ho sempre ammirati per la loro tecnica: inseguono la loro preda per lunghi tratti finché non cade a terra stremata o impazzisce, per poi trascinarla nella tana per mangiarla viva.» mentre le fornisce questa breve e coincisa spiegazione sulla natura del suo vecchio amico, la voce si riempie di ammirazione profonda.
Le sorride dolcemente, con quell'aria da bambino innocente che solo lui sa tirar fuori, e con delicatezza l'aiuta ad alzarsi. Sa bene cosa vuol dire prenderne da Freki, e sa ancora meglio cosa significhi doversi riprendere da una sua scarica di botte, quindi non vuole metterle fretta. La aiuterà ad arrivare alla sua stanza con calma, tenendola tra le mani come si farebbe con un passerotto ferito, e poi le darà un calmante per dormire qualche ora.
«Si possono ammazzare? Sai, se mai dovessi trovarmi nei casini...» domanda timidamente la corvina mentre si dirige con passo malfermo verso il corridoio, tenendo un braccio attorno alle spalle dell'amico.
«Che io sappia bisogna sciogliere il loro cuore con il fuoco.» gli ci è voluto qualche secondo prima di ricordarsi la procedura, ma gli è tornata di colpo in mente al ricordo di Astrid che ne faceva fuori un quartetto. “Quella donna ha troppo stile.” pensa sorridendo tra sé, tornando poi a concentrarsi sulla ragazza che tiene tra le braccia «Non dovrai mai farlo, comunque: sono molto pacifici con noi.»
Camminano in silenzio per i corridoi, tenendosi stretti l'uno all'altra, assorti nei propri pensieri. Kakashi si domanda per quale ragione la ragazza non riesca ancora ad accettare del tutto la realtà. Da parte sua, avrebbe dato tutto ciò che possiede per essere al suo posto: figlia dei due tra i più importanti e potenti immortali mai esistiti prima, con un potere latente che aspetta solo di essere sprigionato, libera dal timore della morte. Non che a lui gli faccia paura, tutt'altro, però l'idea di non poter morire se non per decapitazione -e anche a in quel caso non è certo che la ragazza incontrerebbe la vera morte- lo alletta parecchio. Gli sarebbe piaciuto avere il sangue di Týr che gli scorre nelle vene, gli sarebbe piaciuto avere tutte le possibilità che ha lei. L'idea che non lo capisca, lo innervosisce un poco.
Akemi, invece, si sente sempre persa in mezzo a quelle persone. Anche durante le cene, durante le quali la madre le ricorda costantemente di tenere una postura composta, di mangiare con calma, di comportarsi come una principessa qual è, si sente sempre dannatamente fuori luogo. Anche solo indossare i vestiti che le ha dato lei la fa sentire a disagio. Sempre coperta, con i segni della sua storia che con tanto orgoglio ha marchiati sulla pelle sempre ben celati sotto quelle vistose e pregiate vesti. Lei è un pirata nell'animo, ha bisogno di navigare per quei pericolosi mari e scoprire nuove terre. Ha bisogno della sua grande famiglia che la stringa a sé per un'ultima volta e le dica “andrà tutto bene, ragazzina, sei al sicuro adesso”.
Si lascia scivolare priva di forze sul suntuoso letto, mentre la sua mente comincia a farsi offuscata a causa delle pillole che le sono state somministrate. Tutto diventa incolore, inodore. Vede a malapena il volto di Kakashi che le sorride, sente la sua mano sulla sua guancia come se fosse una farfalla ad accarezzarla.
«Dormi, piccola Lothbook. Ti sentirai meglio più tardi.»

La notte le sembra incredibilmente lunga, chiusa da sola nella sua stanza. Ha dormito poche ore, svegliandosi giusto in tempo per vedere il Sole tramontare e la madre rientrare, parlottando e scherzando con le amiche su un possibile matrimonio.
Il cuore le si è stretto a quell'idea: sua madre, la sua appena ritrovata madre, che si sposa con suo zio, fratello del suo defunto padre, e che magari ci mette su famiglia. Ma sa bene che non può far niente per impedierlo, che non è affar suo alla fine. Non vuole e non può intromettersi nella vita privata di sua madre, anche se avrebbe preferito che gliene parlasse prima di divulgare la notizia.
Sente in lontananza canti antichi che però non riesce realmente a capire. Come si può venerare così tanti dèi? Come si può credere fermamente che ci proteggano e ci aiutino nelle scelte difficili? È l'uomo, con le sue sole forze, a creare il proprio destino.
Ha sentito nominare nuovamente Peter Bàthory, ma non vi ha dato peso. È lontano da loro e, anche se continua a darle la caccia per una ragione che non vuole sapere, non può comunque entrare nell'isola.
Esce con aria stanca dalla doccia, avvolgendosi nella sontuosa veste da notte che la madre le ha personalmente disegnato. Già, perché tra i vari talenti di Astrid Anwend, di certo non manca quello di stilista.
La indossa e si guarda nello specchio, non riconoscendosi: i capelli troppo setosi che le scendono sulla schiena, la veste bianco avorio che le calza a pennello, quasi fosse stata dipinda sul suo corpo. Quella non è lei, non è Akemi l'Angelo Demoniaco.
Quell'Akemi è morta...” pensa, respirando a fondo.
Si appoggia con la schiena contro la parete dura della porta, poi semplicemente le si piegano le ginocchia. Scivola a sedere per terra, le mani protese verso il letto, le guance bagnate dalle lacrime, i capelli bagnati che le ricadono sul collo e sulla fronte.
È tutto così sbagliato...
Lei non dovrebbe essere lì. Dovrebbe essere sulla Moby Dick alla conquista di mari inesplorati, a portare caos e distruzione. Dovrebbe essere al fianco dell'Imperatore Bianco, Edward Newgate, o nel letto di Marco la Fenice.
Sarebbe sbagliato anche questo...
Per quanto odi ammetterlo, il suo posto è ad Helheimr, in mezzo a tutti quei mostri. Deve stare qui, imparare come muoversi, abbracciare le usanze antiche e quelle nuove che le vengono insegnate giorno dopo giorno. Deve aspettare di essere considerata adulta dalla sua gente, di poter partecipare alla sua prima notte. Cosa sia ancora non lo sa, ma non le importa. Vuole farlo, perché è giusto così.
Ma c'è una cosa che non è giusta. Una cosa che non può più tenersi dentro, e di cui non vuole parlare con nessuno. Con nessuno, eccetto l'unica creatura su quell'isola maledetta in grado di capirla.
Si alza svogliatamente da terra e, seguendo l'inconfondibile odore dell'uomo, cammina silenziosamente verso la cucina. Era convinta che l'avrebbe trovato a letto assieme alla compagna, invece no: è in piedi di fronte al frigorifero, i pantaloni della tuta tenuti bassi in modo da mostrare il corpo scolpito e la pelle olivastra che pare quasi strapparsi per lo sforzo di tenere tutto insieme.
Lo guarda per qualche istante come rapita, seguendo con attenzione le linee precise dei suoi addominali, scolpendosi nella mente il tatuaggio sul costato, raffigurante una testa di alce con tre frecce conficcate nel collo. Un giorno gli domanderà il perché se lo sia fatto, ma non è questo il momento adatto.
«Zio?»
Da otto giorni ormai Akemi si rivolge a Fenrir chiamandolo così, ed ogni singola volta il lupo millenario si lascia andare ad un dolce sorriso, di quelli che rivolgeva al fratello quando era di buon umore. In effetti, Fenrir è costantemente di buon umore da quando le due donne della sua vita sono al suo fianco.
«Posso fare qualcosa per te?» le domanda geltilmente, raggiungendola con passo calmo e porgendole pure il suo bicchiere -che poi sembra più un boccale- di succo all'ananas, bevanda di cui è completamente dipendente.
«Dovrei chiederti un favore, se è possibile...» mormora con un certo imbarazzo la ragazza, negando con il capo la gentile offerta del maggiore ed incamminandosi verso la finestra con passo strascicato «È una cosa grossa.»
Inarca un sopracciglio, incuriosito, separandosi dalla propria dolce bevanda e raggiungendola. Si appoggia con una spalla alla parete, osservando con attenzione i tratti dolci del suo viso. La guarda e capisce che è davvero una questione importante per lei, cosa che lo mette in allerta.
«Dimmi tutto.»
«Io... io non voglio essere diversa.» afferma con un filo di voce Akemi, abbassando lo sguardo con imbarazzo. La madre le ha riempito la testa fino a scoppiare sul fatto che lei non è diversa ma speciale, che deve essere fiera di essere quello che è, ma proprio non ci riesce.
«Immaginavo che me lo avresti chiesto.» ridacchia il lupo millenario, passandosi stancamente una mano sul viso mentre comincia già ad escogitare una buona scusa da usare con la compagna. Perché sa bene dove vuole andare a parare la nipote, e Astrid si era già raccomandata di non provarci neanche perché troppo rischioso. Ma come può negarle anche questo, dopo che l'ha strappata alla sua adorata famiglia adottiva?
«Non ti ho ancora chiesto niente!» controbatte prontamente la corvina, voltandosi di scatto verso di lui e guardandolo incerta. Sa per certo che i licantropi non leggono nel pensiero, quindi come fa a sapere cosa vuole?
«Sei come tuo padre: si capisce sempre quando vuoi qualcosa solo dallo sguardo.» risponde in tono pacato Fenrir, scostandosi dal muro e cominciando a camminare nervosamente per la stanza. «Tu senti come se stessi camminando controcorrente da tutta la vita, giusto?» Akemi annuisce, rendendo ancor più reali le sue paure «E vuoi che io ti faccia camminare nella stessa direzione degli altri. O, almeno, di una buona porzione...»
I loro sguardi si incrociano per istanti che sembrano durare secoli. Si guardano e capiscono entrambi che la soluzione è solo una, per quanto sbagliata questa sia. Perché la loro è un'idea stupida, qualcosa che non andrebbe neanche concepito, che non funzionerà neanche del tutto, nel caso funzioni. Ma, in fin dei conti, neanche Akemi doveva essere concepita, quindi... perché non provare?
Le si avvicina con passo lento, Fenrir, mentre le zanne gli si allungano nella bocca e il suo unico occhio diventa vermiglio «Sarà doloroso.»
«Lo so.»
Cammina ancora, estraendo gli artigli e lasciandosi sfuggire un lieve ringhio gutturale, tipico dei predatori come lui quando mettono alle strette la preda «Tua madre andrà in bestia.»
«Lo so...» Akemi per un attimo ha paura. Precisamente ha paura nel momento in cui l'uomo le afferra la gola con la mano possente e la stringe, attirandola a sé. Potrebbe gridare, chiedere aiuto, ma non vuole assolutamente farlo. O il suo piano andrà a buon fine o morirà. In ogni caso, le andrà più che bene.
«Ma io ho promesso di renderti felice.» lo sguardo dell'uomo diventa impossibile da sostenere, la sua forza diviene palpabile. Avvicina di poco le labbra al collo pallido della nipote, sfiorandolo appena con la punta dei canini affilati «Tra pochi istanti, proverai il più forte dolore della tua vita... e dopo, tutto sarà diverso.» detto questo, semplicemente affonda le zanne nella sua pelle. Affonda con violenza, squarciandole la carne ed impregnandole la veste da notte di un rosso cupo, tendente al nero.
Si stacca un attimo prima di spezzare il debole filo che la tiene in vita, reggendola con forza tra le braccia. La guarda adesso, priva di sensi, ancora più pallida, e un sorriso perverso gli increspa le labbra sottili.

«Buona notte, lupacchiotta...»



Angolo dell'autrice:
E qui si sbazzaaaaa! Gente, serio: sono chiusa in casa da un fottutissimo mese! Sono al limite della sopportazione umana!
Però ci siete voi, Yellow Canadair, Lucyvanplet93, Portgas D SaRa, Monkey_D_Alyce, KuRaMa faN, Okami D Anima, Chie_Haruka, ankoku e Keyra Hanako D Hono, che con le vostre bellissime recensioni mi avete tirato considerevolmente su di morale ♥ (e non lo dico tanto per dire).
Beh, che altro dire? Sulla Moby sono giustamente depressi. Akemi è viva e vegeta (anche se mi fa l'idea per poco se continuo così). Freki si diverte a picchiarla. Kakashi è pazzo. Fenrir è dipendente dal succo all'ananas e si diverte a mordicchiare la gente :3
Che bella famiglia!
Non penserete mica che mi sono dimenticata di Edward Newgate, ehhh?! No, per lui ho in mente un capitolo a sé nella raccolta “Ti dedico una canzone”, se a qualcuno di voi può interessare,
Beh, che altro dire... presto (si, perché farò dei tagli, è deciso) ci saranno tanti colpi di scena: Peter che impazzisce, tutti che fanno sesso con tutti, morti che non sono poi così morti, una gravidanza inaspettata, Akemi che dà fuori di testa! Insomma: il caos! (come piace a me ♥)

Beh, direi anche basta! Per il prossimo capitolo ho già in mente uno special abbastanza splatter :D
A presto, un bacione
Kiki ♥

PS: tanto per mettere tutto come sempre (perché sono una pignola insopportabile), ecco a voi il tatuaggio di Fenrir: http://it.tinypic.com/r/2meuvf9/8
E l'isola da me disegnata (fa schifo, lo so, ma è per farsi un'idea): http://it.tinypic.com/r/rcpp3q/8

Angolo traduzione:
Come al solito Google traduttore fa un po' come gli pare e, per quanto io lo aggiusti, ogni tanto non viene proprio come vorrei. Però noi prendiamolo per buono, ok? ;)
Styrke, kjerring! <--- forza, cagnetta!
Aldri nøle. <--- mai esitare.
Petrified <---Pietrificata.

  
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