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Autore: Roxar    26/08/2014    4 recensioni
“Ringrazi troppo spesso, ultimamente.”
James rise, rassettando il bavero storto della tutina di Harry, che, come un’anguilla, si divincolava tra le braccia del suo padrino, reclamando il pavimento.
“Sto diventando grande, Sirius.”
“No, stai diventando noioso, James,” rimbeccò velocemente, sistemandosi meglio il bambino tra le braccia.

[Slash | Sirius/James]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Potter, Sirius Black | Coppie: James Potter/Sirius Black, James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie '27/8'
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Warnings

Warnings: Slash, Angst (accennato)

Crew&Ship: James Potter, Sirius Black | James/Sirius, Lily/James (accennato)

Note: nata come James/Lily comico-demenziale, finita per essere Sirius/James ai limiti dell'angst e del demenziale. Non chiedetemi come; non ne ho la più pallida idea.

Comunque, è un regalo di compleanno, quindi spero che la festeggiata possa gradirla ugualmente. ♥

 

 

____

 

 

 

 

 

A te,

mio miracolo quotidiano;

mia Nuvola Bianca;

mio Respiro.

 

 

____

 

 

 

 

“Grazie per essere venuto.”

Il viso di Sirius si contrasse in una smorfia vagamente annoiata.

“Ringrazi troppo spesso, ultimamente.”

James rise, rassettando il bavero storto della tutina di Harry, che, come un’anguilla, si divincolava tra le braccia del suo padrino, reclamando il pavimento.

“Sto diventando grande, Sirius.”

“No, stai diventando noioso, James,” rimbeccò velocemente, sistemandosi meglio il bambino tra le braccia.

James si strinse nelle spalle, come a lasciar intendere che lui non poteva farci nulla.

“Be’, allora ciao,” salutò l’altro, spalancando la porta.

“Non stai dimenticando nulla?”

Un bagliore malizioso illuminò gli occhi di Sirius, mentre allungava le dita per posarle sotto al mento dell’amico.

“Vuoi il bacio della buonanotte?” sussurrò, sensuale e suadente, così vicino che James riuscì a sentire il suo respiro scivolare sulle proprie labbra.

Rise ancora, tirandosi indietro.

“No, idiota, voglio mio figlio.”

“Frigido. Noioso e frigido. Un tempo avresti pagato fior di galeoni per un mio bacio.”

James si riappropriò di Harry, che prese a divincolarsi in una maniera tale da costringerlo a posarlo sul pavimento, dove voleva essere libero di scorazzare per la casa, esplorandola anfratto ad anfratto, alla ricerca di posticini nuovi in cui nascondersi.

“Vai a casa, Sirius; sei ubriaco,” lo spinse giocosamente e l’altro replicò con un pugno morbido sul petto, sventolando poi la mano mentre l’altra s’infilava sotto al mantello, serrandosi sulla bacchetta. Gli indirizzò un ultimo cenno del mento prima che uno schiocco secco lo portasse via, scaraventandolo a centinaia di chilometri da lì.

La solitudine, che per tutto il tempo se ne era rimasta a debita distanza di sicurezza, tornò ad abbarbicarsi alla sua schiena, pesante e viscida e collosa; un peso di cui diventava sempre più difficile liberarsi.

Come ogni volta, decise di focalizzarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse la costrizione dell’Incanto, che era calata sulla loro vita come una patina collosa, opprimente, che soffocava ogni movimento, ogni buona intenzione, ogni arbitrio.

Un’occhiata all’orologio che portava al polso gli ricordò che per Harry era ora del bagnetto serale prima della lunga dormita notturna.

Sollevando le braccia sulla testa per sgranchirle, tornò in salotto, chiamando suo figlio a gran voce. Harry tollerava la solitudine ancor meno di lui e non capitava mai che si nascondesse per più di qualche minuto, spuntando poi fuori con uno strilletto eccitato mentre cercava di arrampicarsi sulle gambe del genitore di turno.

“Harry,” cantilenò, passandosi la mano tra i capelli. “La vuoi vedere una nuova magia? Harry? Vieni fuori, piccolo Potter,” continuò, scrutando dietro al divano, sotto al tavolo e dietro le tende – controllando, in definitiva, quelli che erano i suoi nascondigli preferiti.

Trovò solo spazio vuoto.

Aggrottando la fronte, si guardò intorno, focalizzandosi, per qualche ragione, sullo schienale del divano. C’era qualcosa di profondamente sbagliato, che gli strinse le viscere, torcendole dolorosamente. Ma cosa? Strinse gli occhi, massaggiandosi la fronte. Quando realizzò cosa ci fosse di sbagliato, cosa mancasse, si sentì quasi svenire.

Era stato così impegnato a fare l’imbecille con Sirius che non aveva prestato la dovuta attenzione, disobbedendo al primo imperativo di Lily: mai lasciare oggetti potenzialmente pericolosi in luoghi facilmente accessibili al bambino.

Oggetti come la sua bacchetta, per esempio. O il suo Mantello dell’Invisibilità.

Affondando le dita tra i capelli, chiuse gli occhi, scuotendo piano la testa.

Era nella merda fino al collo.

I due oggetti mancavano entrambi all’appello.

 

 

“Harry? Harry, vieni qui; papà ti fa vedere una cosa,” gridò, faticando a simulare un tono allettante. Riusciva solo a pensare al dramma che si sarebbe consumato se Lily fosse rientrata prima di aver rintracciato il bambino.

“Harry,” cantilenò ancora, ma la sua voce tradiva una nota di nervosismo, accentuata dai denti stretti o dal nome che venne fuori come in un ringhio.

Se solo avesse trovato la sua bacchetta. Se solo anche quella sera Sirius avesse dimenticato qualcosa. Se solo avesse potuto contattare Remus, sempre così buono, così comprensivo e così intelligente...

“Ma io posso,” sbottò, sorridendo incredulo. Pregando tutti gli dèi babbani che Harry non combinasse qualche guaio, qualche grosso guaio, salì tre gradini alla volta, spalancando la porta dello stanzino in cui solevano tenere i loro due gufi.

Lady, che gli era stata regalata da suo padre anni prima, chiurlava nervosamente. Strappò un pezzo di carta da un blocco posato su un tavolo e scribacchiò furiosamente una richiesta d’aiuto, che infine appuntò alla zampa del suo uccello, aprendo la gabbia, sussurrando il nome di Sirius e permettendole di prendere il volo oltre la finestra.

Aveva pensato di contattare Remus, ma aveva ricordato che, oltre ad essere buono, comprensivo e intelligente, era anche un inguaribile sincero, geneticamente incapace di mentire.

E se James aveva bisogno di una menzogna ben costruita e dell’annesso silenzio cameratesco, il destinatario della sua missiva poteva allora essere solo Sirius.

 

 

Quando Sirius prese a premere furiosamente il campanello di casa Potter, James aveva già ispezionato l’abitazione palmo a palmo, arrivando perfino a scoprire posti ai quali non aveva mai fatto caso, o trovando cose che credeva perdute per sempre.

(Come gli slip gialli di Lily, che avevano cercato invano quella volta dopo aver fatto l’amore sul divano e che solo adesso aveva rinvenuto sotto i cuscini del divano).

James ebbe appena il tempo di ruotare la maniglia che la porta quasi lo investì, tanto forte Sirius la spalancò, mandandola a sbattere contro il muro. Lo afferrò per le spalle, scrutandolo con occhi febbrili, quasi folli, come in cerca di qualche ferita sanguinante o altre gravi lesioni. Le sue dita non smettevano di saggiargli il collo, il viso, le tempie.

“Cosa? Cosa? Che succede?” gridò, allarmato, affannato.

Le spalle di James si afflosciarono un poco. Ammetterlo ad alta voce lo avrebbe fatto sentire ancora più inetto, più inadeguato. Il peggior padre di sempre, che era riuscito a perdersi il figlio di un anno e che non era ancora riuscito a trovarlo.

Inoltre, poteva capire l’agitazione di Sirius. Il biglietto che gli aveva spedito via gufo diceva solo, «È successa una tragedia una catastrofe vieni subito adesso».

Stringendogli i polsi, riuscì a riacquistare la calma necessaria a spiegargli che Harry, mentre loro facevano «gli imbecilli» e si salutavano, si era impadronito del suo Mantello e della sua bacchetta, nascondendosi chissà dove. Lasciandosi sfuggire un sospiro sollevato, le spalle di Sirius si afflosciarono un po’, accompagnate da un sorriso carico di divertita disapprovazione.

“Sei un coglione,” lo punzecchiò, spintonandolo giocosamente per poi estrarre la propria bacchetta ed effettuare un Homenum Revelio; la punta dell’oggetto sfarfallò piano, acquistando maggiore intensità quando Sirius la puntò verso il soggiorno, come una bussola che puntasse a nord. Lasciandosi guidare dal bagliore provvidenziale, misero insieme i passi necessari a raggiungere una nicchia stretta e ombrosa dove Lily, qualche tempo prima, vi aveva sistemato una pianta artificiale. La bacchetta emise come un sibilo, prima di spegnersi. Fatto il suo lavoro, a James non restò che allungare cautamente la mano, tastando l’aria apparentemente vuota e immobile, fino a toccare quella che doveva essere la testa di Harry, riuscendo a percepire sotto la pelle la stoffa come acquosa del Mantello.

Lo sollevò lentamente e quello che videro li portò a scambiarsi un’occhiata di intesa e un sorriso intenerito. Harry dormiva seduto contro il muro, le manine raccolte in grembo e la bacchetta di James tra le gambine divaricate. La testa posava su una spalla e i capelli gli erano scivolati sulla fronte, disordinati come la sua tutina, tutta spiegazzata e storta.

“Ma guardalo,” mormorò Sirius, allungando istintivamente le dita per scostargli i capelli dalla fronte; c’era così tanto insolito amore, in quel gesto, che James lo fissò stranito, come se gli fosse appena spuntata una seconda testa. Perfino i suoi occhi grigi erano illuminati da un bagliore morbido, pregno di dolcezza. James provò, e non per la prima volta, l’impulso di carezzargli la guancia, di spingere via le ciocche nere che se ne stavano sugli occhi, senza dargli apparentemente alcun fastidio.

E, altrettanto non per la prima volta, provò l’annessa fitta di paura e imbarazzo, sentendosi un traditore nei confronti di Lily. Non era lecito né giusto provare quel genere di sentimenti verso il suo migliore amico, chiedendosi, però, se esistesse poi qualcosa di lecito e giusto nei sentimenti stessi.

Sirius dovette realizzare la fissità del suo sguardo, perché volse lentamente la testa, riservandogli un’occhiata perplessa alla quale James replicò con un sorriso abbozzato.

Aveva sempre paura che Sirius potesse leggergli dentro e disprezzarlo per quelle emozioni guaste che gli ribollivano nello stomaco. E James avrebbe accettato di perdere ogni cosa, ma non Sirius.
Mai Sirius.

“Lo porto nella culla,” bisbigliò, più per rompere quella strana atmosfera che per reale volere, passando le braccia attorno al corpicino addormentato di suo figlio, che si agitò un poco, senza tuttavia svegliarsi.

Si attardò più del necessario e non fu affatto un caso, ma quando esaurì le cose inutili da controllare – come il pannolino, controllato tre volte, e le copertine, e il cuscino, e i peluche, e la quantità di borotalco rimasto nel barattolo azzurro – non ebbe altra scelta che tornare dabbasso, dove Sirius lo attendeva sul divano, con i piedi sfacciatamente posati sul tavolino di vetro dal quale Lily era ossessionata – e guai a scorgervi anche solo un’impronta, una macchia o una patina di polvere: era guerra aperta contro l’incuria e ogni atomo di sporcizia.

Ma Sirius, che godeva di un perverso divertimento nel far arrabbiare Lily, mantenne la posizione, nonostante l’occhiata di disapprovazione di James, che si lasciò cadere accanto a lui, posando la testa contro lo schienale e chiudendo gli occhi.

“James, sul serio, sei di una sbadataggine tale che–”

“Oh, taci; è stata colpa tua. Tu, con le tue stronzate sui baci e sui galeoni,” tagliò corto James, lamentandosi un poco della gomitata non poi così delicata che Sirius gli rifilò nelle costole.

“Ho detto un sacco di stronzate, ma tu ricordi solo quella del bacio. C’è qualcosa che vorresti dirmi, James?” lo provocò, colpendolo nuovamente, ma non meno foga.

Fu una battuta, fu chiaramente una battuta, ma James avvertì ugualmente un rivolo di sudore colare lungo la schiena, accompagnandosi ad un brivido freddo. Sirius era così pericolosamente vicino alla verità che James non sapeva come venirne fuori senza risultare falso o bugiardo.

“Sei stato tu a tirare fuori la cosa, forse sei tu che vorresti dirmi qualcosa,” replicò con disinvoltura, sforzandosi di scoccargli un’occhiata in tralice che fosse naturale e credibile abbastanza.

Sirius aggrottò la fronte, fissandolo con aria pensierosa, come se fosse impegnato a risolvere un’importante equazione matematica.

“Amico,” sbottò infine, flettendo le labbra in quel suo sorriso furbesco, “se vuoi un mio bacio, non hai che da dirlo. Lo sai che non dico mai no alle nuove esperienze,” buttò là, ammiccando verso di lui e strappandogli la prima, vera risata della serata.

James sollevò la mano sinistra, sventolandogliela davanti al viso.

“Sono leggermente impegnato, tu dovresti ricordarlo meglio di chiunque altro.”

La fede nuziale riverberò, catturando la luce del lampadario, ma Sirius ne sminuì l’importanza con una scrollata di spalle. Per lui, ogni cosa seria o cattiva, si risolveva in una scrollata di spalle, una patina di rammarico spazzata via con un movimento secco; molti lo biasimavano, ma James lo invidiava, riscoprendosi smanioso di poter anche liquidare una situazione difficile con un gesto così blando.

“È quello il problema?” domandò e strinse la mano nella sua, sfilando l’anello. “Adesso non lo è più.”

Sorrise sornione prima di stringere la fede in pugno e scaraventarsi su James, una mano sotto al mento per tenerlo fermo e le labbra premute con forza sulle sue.

James sentì gli occhiali scivolare via e cadere sul pavimento e improvvisamente fu consapevole di Sirius, di tutto Sirius: del suo corpo premuto al proprio, della cedevolezza della sua bocca, modellata alla sua, delle dita che allentarono la presa e cambiarono soggetto, adagiandosi al lato del suo collo, il pollice dietro l’orecchio e l’unghia che incideva piano una mezzaluna nella pelle morbida.

Ma fu parimenti consapevole di se stesso, del suo braccio che raggiungeva le spalle di Sirius, non per allontanarlo, ma per tenerlo più vicino; della sua bocca che si schiuse con esitazione, incerta se prolungare il bacio o stroncarlo con una protesta; del suo respiro che suonava rotto e irregolare contro le labbra di Sirius; della sua mano incastrata tra i loro corpi che tremava incontrollata.

E poi, veloce e rapido come era iniziato, finì.

Sirius si tirò un po’ indietro, si leccò le labbra e sorrise compiaciuto, recuperando gli occhiali dal pavimento per rimetterli delicatamente al suo posto.

“È stato interessante,” si limitò a dire, ridendo infine dell’espressione sconvolta di James, delle sue guance arrossate e della nuca che sembrava sul punto di avvampare.

James si raddrizzò, sistemando gli occhiali e stropicciandosi il viso con le mani.

“Sei un–”

“Modernista?”

“–coglione,” terminò, e per qualche motivo il solo guardarlo lo fece ridere, mentre i rimasugli del bacio ribollivano nella pancia.

“È stato un piacere anche per me, James,” sussurrò con voce roca e sensuale, chinandosi per mormorarglielo all’orecchio. Gli costò un cuscino scaraventato sul viso e il relativo gemito di dolore – James non aveva bisogno di essere torturato ulteriormente.

“Colpisci l’avversario nel momento di vulnerabilità, giochi sporco!” protestò, elargendogli un calcio non troppo amichevole.

“Ma senti un po’,” lo derise. “Il piccolo Sirius si è forse fatto male? Vuole forse un bacetto sulla bua?” continuò, allungando la mano per toccargli il naso, che Sirius schiaffeggiò immediatamente.

Fece per dire qualcosa – qualcosa che sarebbe suonato come un insulto, a giudicare dall’aria torva – ma la porta si spalancò e la voce melodiosa di Lily giunse sino a loro, anticipandone la figura snella e pesantemente avvolta nel mantello spruzzato di neve.

Il sorriso vacillò d’incertezza e perplessità quando realizzò Sirius inginocchiato sul divano, il cuscino ancora tra le mani.

“Sirius? Sei ancora qui?”

“Ah, Evans,” balzò in piedi, raggiungendola per cingerle le spalle con un braccio. Lily non notò la mano serrata.

“Ci sei mancata, splendore. Sono successe tante di quelle cose!”

Lily rise, lasciando una carezza automatica tra i capelli di Sirius; era un gesto meccanico e affettuoso, che ormai compiva senza pensarci, ma che a James bruciava dentro, innescando una bomba di gelosia che lo terrorizzò, perché proprio non avrebbe saputo dire a chi fosse indirizzata.

“Ah sì?” domandò Lily, scostandosi dal mezzo abbraccio di Sirius per liberarsi del mantello e della sciarpa. “Tipo?”

“Ci siamo persi Harry sotto il Mantello dell’Invisibilità e poi ci siamo baciati, proprio lì, sul divano.”

Il viso di James impallidì istantaneamente e i suoi occhi si sgranarono.

Lily, al contrario, sbottò in una risata divertita.

“Wow, avrei voluto esserci,” replicò, nel tentativo di appoggiare lo scherzo di Sirius – almeno, quello che lei riteneva essere uno scherzo.
James aveva scelto di chiamare Sirius per poter contare sulla sua arte della menzogna; aveva però dimenticato che Sirius era abituato a mentire dicendo la verità con un tono tale da svalorizzarla e sminuirla, sino a renderla una falsità.

E sebbene Lily avesse abboccato senza indugio, sentì comunque un rivolo di sudore gelido colare sulla schiena.

“Harry?” domandò lei, guardandosi attorno.

“Dorme come un angioletto,” rispose James frettolosamente, prima che Sirius potesse prendere parola. “Sirius, non te ne stavi andando?” domandò eloquentemente, piegando un poco la testa.

“No.”

Lily rise nuovamente, salutando Sirius con un bacio sulla guancia per congedarsi e andare a dormire, perché era davvero «esausta oltre ogni dire». James attese che anche l’ultimo scalino scricchiolasse come di consuetudine prima di afferrare Sirius per un braccio e trascinarlo nell’ingresso, guardandosi cautamente indietro.

“Ti sei fottuto il cervello?!” sibilò inviperito, scuotendolo un poco.

“Ah, rilassati. È stato tutto così assurdo che è difficile crederci davvero,” lo blandì, battendogli una pacca sulla spalla. James scosse la testa, sfregandosi la fronte con le dita e infossandole poi tra i capelli spettinati.

La verità era che si era aspettato qualcosa, ma non aveva idea di cosa.

Restava, acquattato sullo stomaco, un senso di aspettativa delusa, come un desiderio mancato.

Una candelina sulla torta di compleanno che qualcun altro aveva spento per lui.

“Piuttosto,” sussurrò Sirius, restituendolo al presente. A quell’ingresso in penombra, che adesso a James sembrava troppo stretto, che li costringeva a stare troppo vicini. Non era sicuro di volerlo.

Non era sicuro di non volerlo.

“Questo è tuo,” e schiuse il pugno, rivelando la vera nuziale. Così come gliel’aveva tolta, allo stesso modo la infilò all’anulare. I suoi occhi la fissarono a lungo e la sua stretta durò più del necessario.

“Forse è così che sarebbe dovuta andare,” borbottò e il cuore di James si produsse in un movimento rigido e disarticolato, dolente e bruciante.

Eppure, quando Sirius sollevò la testa, c’era un sorriso tagliente e ironico sulle sue labbra.

“Animo, animo! Stavo solo scherzando,” rise, battendogli un pugno sul petto mentre apriva la porta e scendeva i gradini quel tanto che bastava ad eludere l’Incanto Fidelius.

Esitò per qualche secondo, voltandosi lentamente. Anche se si affrettò a Smaterializzarsi, a James non sfuggì l’espressione seria e vagamente ferita sul suo viso.

Aprì la bocca per chiamarlo, o anche solo respirare – era diventato così complicato – ma una sferzata di neve lo schiaffeggiò in pieno viso, costringendolo alla ritirata, al calore confortante della casa.

Chiudendo la porta, sollevò la mano sinistra, fissando l’anello.

Per la prima volta da che lo indossava, sembrava risplendere con minor intensità, come appannato da una patina che non venne via neppure dopo che vi sfregò sopra l’indice.

Per la prima volta da che si era sposato, quella notte si finse addormentato e si sottrasse alle attenzioni di Lily, che si accoccolò contro la sua schiena, al sicuro dai pensieri che ronzavano e pulsavano nella mente di James e che, per la prima volta da anni, non la riguardavano affatto.

   
 
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