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Autore: Audrey_e_Marilyn    27/08/2014    2 recensioni
Gli uomini sognano, ma i sogni non hanno alcun valore quaggiù e ciò che prima era un luminoso raggio di speranza, adesso è una lunga notte d'agonia. Questo è il principio della fine, è stato concesso tempo a sufficienza, ma nei meandri della terra ancora giace in attesa l'eredità degli angeli, un'eredità macchiata di sangue e bruciata dal fuoco.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Atto Secondo: Il  rubino maledetto
 

Clelia era seduta in attesa di sentire la chiamata per il suo volo, il suo cuore batteva a mille per l’eccitazione, non aveva mai disubbidito a suo zio! Mai! Sentiva l’adrenalina percorrerle le vene, sentiva di poter fare qualunque cosa. Sentì l’altoparlante annunciare il suo volo, andò velocemente al suo posto e si mise a guardare il finestrino. La musica era alta e batteva sui timpani come un martello, rallegrandola o rattristandola a seconda del ritmo. Più ascoltava quella canzone più la sentiva vicina, il suono caldo e malinconico della chitarra, la profonda voce del cantante che, in quei versi, descriveva bene gli ultimi avvenimenti della sua vita. Gli Incobus non la facevano impazzire, ma Drive la ascoltava ripetutamente!
Guardava dal finestrino assorta nei suoi pensieri, nel mentre la hostess dava gli ultimi avvertimenti sui casi d’emergenza.

L’aereo decollò e guardò la terra farsi più piccola. Quando fu possibile slacciarsi le cinture notò di sbieco un ragazzo con un’aria familiare, costui sorrise e si parò davanti al posto vuoto affianco a lei.
 «È il mio posto» alzò lo sguardo e vide il ragazzo di Venezia, con quel suo sguardo furbo e accattivante, stava lì e metteva in mostra il suo sorriso scaltro.
  «Trovatene un altro.»
«Sono numerati dolcezza» mise il bagaglio sopra la sua testa e si sedette affianco a lei.
  «Senti io non ho bisogno della guardia del corpo, sei pregato di andartene!» esclamò lei prendendolo per il colletto «io non necessito di alcun aiuto e non ti voglio fra i piedi»  lo lasciò e lui batté contro il sedile.
Scoppiò a ridere: «dolcezza, io non sono la guardia del corpo di nessuno!»
  «E allora perché cavolo mi segui come un’ombra? Chi diavolo sei e che vuoi da me?»
«Queste sono già domande più sensate» borbottò, gli porse la mano «Samuele.» Gli strinse la mano e lui sorrise cordiale «tu invece sei Clelia.»
 «Aspetta, come fai a saperlo?»
«So molte cose che neppure immagini» sorrise scaltro e la guardò negli occhi «Clelia io non sono qui per farti da balia… io e te, d’ora in avanti, dovremmo collaborare.»
 «Che? No credo tu abbia sbagliato persona, io lavoro da sola.»
«Anche io… fino ad ora. Senti, io credo che insieme potremmo fare grandi cose, basta guardare il risultato che abbiamo ottenuto a Venezia! Siamo i due migliori e siamo gli unici che lavorano da soli, okay io… io sono stato diciamo “costretto” a scegliere un partner, ma mi fido del mio mentore e se mi dice che sua nipote è una grande guerriera, e che mi avrebbe dato filo da torcere, beh…  non potevo certo tirarmi indietro.»
  «FRENA!» esclamò «è stato mio zio ad abbinarti a me?!»
«Sì, credevo te lo avesse detto...» capì cos’era quello che i suoi zii le stavano nascondendo, loro volevano farla collaborare! Volevano trovarle un partner, no, lei lavorava da sola e avrebbe continuato su quella strada.
  «Credo tu possa tornartene da dove vieni, io non lo voglio un compagno, so cavarmela da sola!»
«Clelia credo che tu non abbia ben chiaro chi sono davvero…»
  «Un fracassa coglioni?»
«No, io vengo da Roma e credo tu abbia sentito parlare molto di me.»
 «Io credo il contrario.»
«Ah quindi dell’angelo della morte non ne hai mai sentito parlare?»
 «Sì e allora?»
«Allora ce l’hai davanti.»
Scoppiò in una risata fragorosa: «certo e io sono la regina d’Inghilterra.»

 Samuele alzò gli occhi al cielo e prese un respiro, tirò su la manica della maglia e le mostrò un tatuaggio. Sembrava un tatuaggio normale, ma Clelia sapeva che lo facevano solo ai membri più importanti dell’ordine. Era una croce lambita da un paio di ali d’angelo, lo si faceva ai grandi assassini e ai temuti, a quelli detti angeli caduti. Per quanto ne sapeva nessuno era stato più considerato un angelo caduto, beh… da almeno tre secoli. «Ora ci credi?»
«Perché collaborare con me? Perché abbassarsi a tanto?»
  «Perché siamo della stessa pasta Clelia, condividiamo qualcosa di più grande che una semplice appartenenza ad un Ordine... Anche se tu sei ben sotto al mio livello.»
«E cosa?» domandò trattenendosi dal saltargli alla gola.
 Sorrise: «credo che tu lo sappia. Tu hai bisogno di me ed io di te, siamo legati ora.»
«Nella tua testa, non nella mia» si voltò dall’altra parte e lo ignorò.
Una hostess passò con il carrello del  cibo, gli andò affianco, lei e Samuele si guardarono storto un attimo, una fulminea e raggelante occhiata.
La notte scese con fatica e Clelia, che non aveva sonno, ne approfittò per cercare informazioni sulla visone dello schiavo. Samuele dormiva profondamente e lei prese un vecchio libro sulla catalogazione dei mostri, trovò poco e nulla, niente che potesse servirle. Rimase alzata tutta la notte, pensando in continuazione al suo nuovo compagno. Come aveva potuto suo zio? Lei non aveva bisogno di un angelo caduto per combattere e quando sarebbe tornata a Siena di certo avrebbe litigato con lui.

L’alba sorse piano sulle giungle dello Yucatan, lambendo le fronde verde smeraldo con una luce rosea. L’hostess di prima venne e sistemò il sedile del suo compagno, questo si svegliò di colpo e la guardò male, prese il suo bagaglio e lo lanciò in testa alla donna. Prese il braccio di Clelia e la sua sacca.
 «Ma sei fuori?!» sibilò lei.
«No, ma ora corri!»
Corsero alla coda dell’aereo, le passò la sua borsa e un paracadute. La hostess li inseguì, ma non era sola, anzi! Con lei ce n’erano altri e tutti avevano sul collo il tatuaggio di un drago nero, un drago che le parve familiare. Samuele aprì la porta dell’aereo.
 «Chi sono quelli?» chiese lei al ragazzo.
   «Non lo so, ma di sicuro non vogliono offrirci un tè!»
 «Dopo di te!» gridò Clelia guardando la foresta sotto di lei.
«Prima le donne!»
  «È una cazzata quella!»
«No è galateo!»

Le diede una spintarella, lei perse l’equilibrio e cadde. Imprecò furiosa e lo vide buttarsi a capofitto nella giungla subito dopo di lei. Aprirono i paracaduti e atterrarono nel bel mezzo della foresta tropicale, l’umidità era terribile e il caldo straziante. Clelia si diede una piccola sberla sul collo per uccidere un insetto, probabilmente una zanzara. Tirarono fuori le loro armi, buttarono a terra le giacche e iniziarono a guardarsi intorno.
«Che cosa volevano?»
«Non lo so, ma credo che lo scopriremo a breve.»
 Clelia si arrampicò su un albero, per avere una visione chiara di dove fossero. Lei sapeva che doveva cercare il rubino, ma non aveva idea da dove cominciare. Intorno c’erano solo alberi e un fiume poco lontano, con una strana baracca in legno. Capì che doveva andare verso di essa. Scese dall’albero e raggiunse il suo “partner”.
 «Qui le nostre strade si dividono, addio.»
 Fece per andare, ma le parole del ragazzo la fecero voltare: «vai dolcezza, non sai neppure da dove cominciare per cercare il rubino»
 «Tu come sai del rubino?» domandò sbalordita.
«Te l’ho detto che non condividevamo solo l’appartenenza ad un Ordine… Tu cerchi quello che cerco io e abbiamo bisogno l’uno dell’altra, è qualcosa che non si può compiere da soli.»
  «È un bluff.»
«Credi che ti direi una cazzata? Sono serio, tu cerchi il pomo di una spada, una spada che assorbe le fiamme.»
  «Io ho raccontato solo a mio zio di queste visioni…»
«Ora capisci?»
  «Lui mi ha vietato di cercare la spada.»
«Anche a me, ma la stiamo cercando lo stesso.»
  «Noi non siamo partner, siamo uniti solo da strane coincidenze e dopo questa gita tu non ti farai più vedere o ti giuro che ti strappo la lingua e la do in pasto ai cani! Sono stata chiara?»
«Chiara» rispose atono. «Qui nei dintorni vive un mio amico, lui saprà aiutarci…» disse scroccando le dita.
Attraversarono la giungla in quasi una mattina, finché non arrivarono al fiume che lei aveva visto dalla cima dell’albero e notò dall’altra sponda una baracca, costruita su un albero. Sembrava un nido d’uccello che sarebbe potuto crollare da un momento all’altro.
 «È questa?» domandò Clelia scettica.
   «Sì, non c’è nessuno che conosca queste foreste come Pedro… è il migliore.»

Entrarono in quella casa, alle pareti innumerevoli foto che ritraevano le bellezze della foresta, per terra una pelliccia di giaguaro che faceva da tappeto, sugli scaffali barattoli pieni di roba indistinta e al fondo della traballante catapecchia un uomo, seduto alla sua scrivania, intento a scribacchiare con un gracchiante pappagallo sulla spalla.
 «Ehilà Pedro!» esclamò il ragazzo sorridente.
L’uomo alzò lo sguardo e sorrise sorpreso: «Sam! Quanto tempo che non ti vedo!» la voce era macchiata da un forte accento spagnolo. Si alzò e andò ad abbracciarlo.
 «Sì, da che ho dovuto uccidere il demone giaguaro… fu molto divertente.»
  «Amigo! Che bello rivederti!» guardò il volto di quel Pedro e fissò per parecchio tempo la cicatrice che gli percorreva l’occhio, un occhio che era vitreo.
«Vedo che l’occhio fortunato è ancora lì» scherzò Samuele dandogli una pacca sulla schiena.
  «Esatto e vede meglio di quello vero, per esempio…» si mise a fissarla e poi la indicò «esta bellissima señorita es tu novia
«Mi novia… eh?! No!»
  «Ah! Sam sei il solito latin lover.»
«Credo ci sia un malinteso» si intromise lei comprendendo che “novia” in spagnolo significava fidanzata.
 «Sì, è tutto un equivoco…»
  «Certo, un malinteso… e io non mi chiamo Pedro Salvador Marcelo Juan Suarez Ramirez!» rise lui battendo le mani sulla grossa pancia «allora amigo, come mai sei qui? Che ti porta dal vecchio Pedro?»
 «Un affare, stiamo cercando un rubino…»
«Rubino? Samuele io non traffico più gemme.»
  «Questo lo so bene, ma non si tratta di una gemma qualsiasi, si tratta del rubino maledetto.»
 L’uomo sussultò, andò a sbattere contro una mensola e fece cadere qualche vasetto. Si frantumarono i mille pezzi e lasciarono che il loro contenuto viscido si spargesse per il tappeto.
«No! Io non ti dirò mai nulla su quel rubino!» gridò spaventato.
   «Sei l’unico che può aiutarci a trovarlo e lo sai.»
«Se è morte ciò che cerchi…»
  «Pedro è una questione vitale.»
Esalò un sospiro affranto: «è nascosto, in una grotta,  il suo guardiano è una bestia sanguinolenta e brutale. Andai anche io alla ricerca di quella gemma da giovane e quel brutto bastardo… a lui devo il mio occhio fortunato» indicò il suo occhio vitreo. «Noi lo chiamiamo Ahuizotl, il divoratore di occhi…  è una bestia piccola, ma crudele e scaltra, usa ogni tranello per farti cadere nelle sue grinfie; gioca con le sue prede come il gatto gioca col gomitolo e quando si stufa… gli salta addosso e mangia gli occhi, i denti e le unghie della sua preda, gustandole a fondo.» Clelia sussultò e lo guardò intensamente, quell’uomo aveva paura di quel mostro e temeva di rincontrarlo. «È una belva demoniaca, è cattiva e gode nel procurare dolore… non scorderò mai quei suoi occhi rossi, i suoi artigli affilati quando mi strapparono l’occhio e quel ghigno malefico disegnato sulla sua bocca canina…»
 «Non vogliamo che tu venga con noi, dicci solo dove poterlo trovare» disse Clelia scorgendo il velo di terrore nei suoi occhi.
   «Alla fonte del fiume, vi darò una giuda… la foresta è molto più pericolosa di quanto sembri.»
«Grazie Pedro, sei un amico» lo ringraziò Samuele dandogli una pacca sulla schiena.
 «Se sentite piangere, scappate.»
Lo guardarono confusi, chi poteva piangere nella giungla?

 Scesero dalla catapecchia e li raggiunse un tipo smilzo, alto e allampanato, dai capelli lunghi e lo sguardo spento. Lo salutarono, ma Clelia non poteva nascondere di essere un po’ perplessa, non sembrava proprio una guida eccellente, tanto meno uno pronto a tutto.
  «Ciao, io sono Tiago Torres» borbottò in tono annoiato, gli porse svogliatamente la mano.
«Noi siamo Samuele e Clelia… » lui gli strinse la mano ossuta e callosa «tanto piacere.»
  «Tiago piantala con queste cazzate e accompagnali alla grotta Tika-Tika!» ordinò severo Pedro consegnando ai due ragazzi delle provvisti e un vecchio liquore invecchiato.
«Dove?! … No… No signore! Io in quella buca maledetta non ci vado! Non ho firmato il contratto per…» il suo capo gli puntò la pistola in mezzo agli occhi. Il giovane deglutì sonoramente.
  «Ho detto: accompagnali alla grotta. Se non lo farai, non solo non ti pagherò più, ti pianto anche un proiettile nel cervello… a te scegliere Tiago.»
«Ho capito! Ho capito!» mugugnò lui in tono lamentoso e scostò piano la pistola con l’indice « ci vado…»
  «Bravo giovinastro.»
«Odio la mia vita…» si lamentò lui tra sé e sé.

Fece loro cenno di seguirlo, i due ringraziarono Pedro velocemente e seguirono Tiago che si era già incamminato. Per tutto il cammino il giovane non fece che compiangersi e polemizzare su quanto Pedro lo pagasse poco, su quanto fosse brutto vivere in un ripostiglio e altre scemenze che Clelia e Samuele, dopo un’ora e mezza, avevano smesso di ascoltare. Lei proprio non capiva, se la sua vita era tanto insoddisfacente perché non alzava le chiappe e non si dava da fare per cambiarla? Troppa pigrizia? O semplicemente nessuna capacità? Lo osservò nella sua barcollante e goffa andatura, era chiaro che la seconda opzione lo rispecchiava maggiormente;  lei si disse che, per un tipo come quello, vivere in un fienile invece che con la madre poteva considerarsi una vittoria. Al calare della sera Tiago si fermò e si sedette su una roccia.
  «Perché ti fermi? C’è ancora della strada da fare» lo intimò Samuele.
«Sei scemo? Andare in giro nella foresta di notte?»
 «Sì, non vedo dove sia il problema.»
«Il problema è che sei fuori di mela amico. Regola numero uno da queste parti: mai, e ripeto, mai viaggiare di notte.»
  «Va bene, abbiamo tutto il tempo di questo mondo e poi la grotta è lontana, ci farà bene riposare un po’» disse Clelia mettendo una mano sulla spalla al compare.
«Vedi? La ragazza è saggia, ascoltala.»
 «Vedi questo? Si chiama pugno e se non taci ti arriva nel naso!» sibilò il ragazzo. Buttò il suo zaino per terra, si sdraiò e ci poggiò la testa.

Clelia tirò fuori le cibarie datale da Pedro e le passò ai due ragazzi, che ancora si guardavano in cagnesco. Iniziò a mangiare il panino, in silenzio,  come tutti gli altri. Lanciò uno sguardo al cielo e nella sua vita non aveva mai visto così tante stelle. Erano così splendenti e luminose, così lontane e seppur così vicine che le sembrò di poterle toccare con un dito. Tiago stappò il liquore e lo annusò.
«Puro nettare» sospirò inebriato, ne bevve un lungo sorso « quel panzone una cosa buona la fa… il liquore»
Samuele accese un fuoco e si sedette affianco a Clelia, che osservava disgustata la loro guida ubriacarsi. Non avrebbe retto tutto quell’alcol, dopo la seconda sorsata già barcollava.
  «Che imbecille…» constatò il ragazzo ridendo.
«Non sfotterlo poverino, ha bisogno di conforto vista la sua schifosa e misera vita» sorrise divertita lei.
  «Hai ragione… tanto tra dieci minuti crolla, sei a uno.»
Samuele fu profetico, esattamente dieci minuti dopo Tiago crollò con ben stretta tra le braccia la bottiglia, parlottava di tanto in tano qualche scempiaggine e poi tornava a russare fragorosamente.
 «Come hai conosciuto Pedro?» gli domandò Clelia curiosa. Era interessata, quello era un uomo particolare e di certo non si trovavano tipi del genere per le strade.
«Un paio d’anni fa, avevo interrotto un suo traffico di legalità discutibile e… beh, mi minacciò di tagliarmi…»
  «La testa?» azzardò lei.
«Ehm, no…»
 «La mano allora»
  «Ancora no, lui… voleva tagliarmi… » guardò in basso verso la patta dei pantaloni «fu tutto un equivoco… Comunque riuscimmo ad allearci, lui recuperò un grosso tesoro e io salvai le popolazioni native da un demone giaguaro.»
Rise: «Ah beh, ti sei fatto conoscere.»
  «Eccome!» le mise una mano sulla spalla «credo sia meglio riposare, lo hai detto tu stessa, domani abbiamo ancora della strada e dovremmo essere preparati.»
«Giusto, il guardiano… credo sia meglio fare i turni, questa foresta ha occhi.»
 Samuele si guardò intorno: «hai ragione. Per ora sto io, poi mi dai il cambio… »  guardò Tiago e sospirò. «Ovviamente su di lui non possiamo contare.»
 «Ovviamente… quando non ce la fai più dammi una scrollata» si sistemò con la testa sulla borsa e prese subito sonno, dato che in aereo il tempo non lo aveva sprecato a dormire.
 
Samuele alimentò il fuoco e attese in silenzio, con le orecchie tese e con attenzione perenne a ciò che lo circondava. Dopo un paio d’ore sentì degli strani rumori in lontananza, come un lamento, il pianto di un bambino, e si facevano sempre più vicini, oltre che insistenti. Scrollò Clelia.
 «Svegliati dolcezza.»
Lei si stropicciò un po’ gli occhi, scroccò la schiena e mugugnò: «tranquillo, ora ti do il cambio… »
 Le tappò la bocca: «ascolta…» sussurrò. 
Clelia gli scostò la mano malamente e poi tese le orecchie, subito sentì il silenzio, ma poi un forte e martoriato pianto si fece più vicino. Si alzò di scatto, prese la sua borsa e le varie attrezzature, lanciò a Samuele le sue e le prese al volo. Il ragazzo estrasse la sua sciabola, mentre Clelia tentò di svegliare Tiago dal suo sonno, senza successo. Prese l bottiglia di liquore e la spaccò, al rumore di vetri infranti la guida si rianimò.
  «Dov’è il liquore?» domandò terrorizzato guardandosi intorno.
«A puttane e ora zittisciti imbecille!» sibilò Samuele infastidito.
Tiago si nascose dietro a Clelia, già armata e pronta, le strinse forte la vita e cominciò a piagnucolare come un bambino: «cosa sono questi rumori?»
  «Samuele perché devo badare io a lui? Non puoi tenerlo tu?»
«No, altrimenti gli faccio ingoiare tutti i denti finché non sta zitto.»
I pianti si fecero più vicini e insistenti, mancava poco: «voglio la mamma…» bisbigliò spaventato stringendo la vita della ragazza.
 «Posso dargli un pugno?» sibilò lei esasperata.
«No, purtroppo ci serve vivo.»
  «Che palle…» lo guardò fredda e gli fece segno di star zitto.
«C-Come volete capo…» il giovane si ammutolì e si inginocchio nascondendosi dietro alle gambe della ragazza.
Finalmente ritrovato il silenzio, videro delle fronde muoversi e lamentarsi. I due si guardarono e si avvicinarono alle frasche, con cautela e la guardia della spada alta sui loro volti.
  «Clelia non mi abbandonare qui da solo…» mugugnò Tiago sottovoce.

La ragazza alzò gli occhi al cielo, prese respiro e si trattenne dal tranciargli la gola. Si avvicinò al cespuglio, fece per infilzarlo, ma ne uscì fuori una bestia. Non era grande più di una lontra, il suo pelo era nero e lucido come fosse bagnato; le zampe erano quelle di un procione, ma gli artigli erano grandi e acuminati come quelli di un’aquila, le zanne comparivano imponenti dalla bocca lunga e sottile che assomigliava molto a quella di un lupo, gli occhi rossi come il sangue e desiderosi di esso; ma la cosa che più attirò i due ragazzi fu la coda, una coda che aveva per apice una mano umana e ben stretto in essa un rubino.
 «È il guardiano… » sussurrò Clelia tenendo la guardia alta e guardando il rubino.
«È vero…» bisbigliò di rimando lui.
 «Un… un rubino vero!» esclamò Tiago, cose verso la belva pronto per strappargli il rubino dalla mano.
«NO!» esclamarono in coro i due cavalieri, ma vanamente.

Il demone si scaraventò sulla guida e gli sbranò il volto, mangiò i suoi occhi e i suoi denti, ne leccò i residui di sangue finché la sua pelle non fu lucida e scivolosa come il suo pelo. Conficcò con violenza i poderosi artigli nel suo petto e Tiago sime sul colpo di porre resistenza. Era morto. Il mostro si girò e ringhiò loro mostrando i suoi aguzzi denti insanguinati. Prese il rubino dalla sua mano umana e lo strinse in una delle sue zampe con avidità. D’un tratto, con la mano all’estremità della coda afferrò la caviglia di Clelia, trascinandola verso di sé. La ragazza gli sparò in mezzo agli occhi, ma la bestia non morì.
 «L’argento su di lui non funziona!» esclamò lei avvicinandosi alle fauci dell’ Ahuizotl.
«Ha per forza un punto cieco! Tu recupera il rubino io cerco il suo tallone d’Achille… »
Clelia cercava di divincolarsi dalla sua presa e tentare di recuperare il rubino, ma con i suoi artigli il mostro le graffiò il braccio. Samuele invece lo osservava attento alle sue mosse, lo colpì con forza in vari punti ma… ma non lo scalfì nemmeno. L’Ahuizotl scoprì le fauci sul volto della ragazza, lei lo prese sotto il collo e cominciò a stringere la giugulare, allontanando il volto dai suoi denti affilati che gocciolavano sangue sul suo viso.
 «Samuele…» disse con voce strozzata «un aiutino sarebbe gradito…»
Il ragazzo conficcò la sciabola nella sua coda, con forza l’animale si divincolò dalla presa di Clelia e la scaraventò contro di lui. Entrambi caddero a terra, uno sopra l’altro, con i loro volti a pochi centimetri di distanza.
 «La coda…» bisbigliò Samuele sulle sue labbra «è il suo tallone… distrailo e colpisci più volte la coda…»
  «Sta succedendo ancora… carino, non so se lo hai capito, ma io NON sono la tua spalla!» sibilò furiosa, rigirò le posizioni e lo atterrò.
«Ti sembra il momento per parlare di supremazia?!» gridò lui guardando la bestia ruggire.
 «E allora tu non dirmi quello che devo fare!»
«Moriremo se continui a blaterare!»
 «Ma blateri anche tu!»

L’Ahuizotl li attaccò, i due si separarono e corsero in direzioni differenti. Sentì la belva correre alle sue spalle, si fermò e fece, a malincuore, quello che Samuele le aveva detto di fare: tentò di distrarre l’animale e lo colpì alla coda ripetutamente e con forza. Il demone si nascose tra le fronde e si muoveva veloce tra le fronde, gli occhi non potevano aiutarla. Li chiuse. Lo sentì muoversi in tondo intorno a lei, senza attaccarla, voleva solo confonderla. D’un tratto non lo sentì più muoversi, aprì gli occhi di scatto e Samuele era difronte a lei con in una mano la bestia e nell’altra il rubino.
 «Consiglio: tieni anche gli occhi aperti la prossima volta» sorrise scaltro. «Comunque la tecnica è buona…»
   «Bravo… cosa vuoi ora, una medaglia?» gli strappò di mano il rubino e lo guardò con rabbia. Ecco perché voleva lavorare da sola!
«Qualcuno ha la luna storta… prego comunque, è stato un piacere lavorare con te» disse indignato.
 «Sì anche per me» ovviamente lo disse più per le convenzioni sociali, perché lavorare con lui era stato terribile. «Porta la pelle di quella bestiaccia a Pedro, gli farai un favore… Addio.»

Si incamminò nella foresta e si orientò seguendo la stella polare. Camminò tutta la notte e trovò un sito Maya pieno di turisti solo la mattina seguente, si unì ad un gruppo e visitò il tempio come se nulla fosse. Mentre la guida parlava lei ne approfittò per prenotare una camera d’albergo, visto che il biglietto del ritorno già lo aveva.
Si sistemò tranquilla nella sua camera d’albergo e continuò a fissare assorta il rubino che sembrava una grossa mela matura. Si chiese come mai Samuele non avesse fatto una piega quando glielo ebbe strappato di mano, quel ragazzo era un mistero per lei. Era veloce, molto agile e di sicuro molto più scaltro di lei… era sempre un passo avanti. Non dormì quella notte, rimase sveglia, con la flebile luce del rubino che le illuminava il volto.
Era appartata nell’aeroporto di Città del Messico, in una torrida giornata di sole, ad aspettare la chiamata del suo volo. Era lì con la musica a tutto volume e un libro tra le mani, convinta che nulla avrebbe potuto disturbare la sua quiete. Si sbagliava. Con la coda dell’occhio notò la hostess dell’andata, fece finta di nulla e si nascose dietro le pagine del suo libro. Il tatuaggio messo in bella vista sul suo collo le sembrò ancora più familiare e pericoloso. Si diresse verso di lei e la guardò dall’alto al basso con quei suoi occhi corvini così freddi e crudeli, la sua bocca si digrignò in un subdolo sorriso che faceva assomigliare il suo neo ad un’orribile verruca. Una strega travestita da fata, pensò lei guardandola giocare coi suoi capelli rossi.
 «Sai cosa voglio Cavaliere… dammi il rubino e nessuno si farà del male.»
«Io non ho proprio un accidente.»
  «Non metterti contro la Confraternita del Drago Nero ragazzina, potresti non uscirne viva… »

Sentì l’ultima chiamata per il suo volo, diede uno spintone alla donna e corse appena in tempo nell’aereo. Si voltò e la hostess chiuse velocemente le porte, lasciando fuori la donna. Il Drago Nero… le venne subito in mente il drago del suo sogno. Era chiaro, una partita a scacchi non si può giocare da soli e lei aveva appena trovato il suo avversario.
 Arrivata all’aeroporto, accese il motore della sua moto e tornò a casa in fretta e furia. Quando arrivò era notte e pioveva a dirotto, quando aprì la porta rimase scioccata e venne invasa da una profonda rabbia. Le sue disavventure sembravano non avere più fine.
 «Ciao Clelia, finalmente sei arrivata, ti stavamo aspettando» sorrise Samuele dal divano.
«Perché cazzo sei in casa mia brutto…»
  «CLELIA!» intervenne suo zio indignato. «Tratta bene il nostro ospite»
Prese un profondo respiro e si morse il labbro con forza: «proprio tu zio parli?... Io non voglio un partner, puoi scordartelo, io lavoro da sola.»
  «Sarai costretta a lavorare con me ragazzina» disse il ragazzo.
«Ordini dai piani alti» continuò suo zio.
 «Che? E da quando gliene frega qualcosa dei Cavalieri a quelli!»
«Ragazzi, si fredda…» si intromise la zia notando l’aria di tensione.

Ognuno si sedette al proprio posto, mangiarono in silenzio finché Samuele e suo zio non ruppero il silenzio riprendendo il discorso di prima.
 «E quindi il cardinale ti ha dato l’ultimatum, eh?» disse Vasco tagliando la carne.
«Purtroppo… dice che la vera virtù dei Cavalieri è l’essere discreti, dice che i miei modi di lavorare lasciano troppo il segno, dice che faccio le cose al contrario e che dovrei imparare un po’ d’umiltà.»
 «Oh tranquillo, un po’ di umiltà non ti farebbe male per niente» Clelia non ne poté più, si alzò dalla tavola indignata e salì in camera sua. Notò con la coda dell’occhio la camere degli ospiti piena di valigie e venne invasa da un’ulteriore e più profonda ira.
 
Il suo gatto, Aramis, giocava tranquillo con il suo gomitolo, ma quando la vide varcare la porta della stanza corse verso di lei a farle le fusa. Era uno dei gatti più intelligenti che lei avesse mai visto, più che intelligente, era più corretto dire empatico. Erano in perfetta simbiosi l’uno con l’altro e lui capiva sempre quando qualcosa non andava. Lo prese in braccio e accarezzò il suo pelo pezzato. Era un gatto bianco con macchie nere e rosse, oltre ad essere una grossa palla di pelo.
 «Clelia…» la voce di Samuele alle sue spalle la fece sussultare.
«Che cosa diavolo vuoi?» domandò tagliente.
 «Mi dispiace averti invaso la casa, ma…»
«Invaso la casa? No, tu hai invaso la mia vita! Sei uno dei pochi che riesce ad urtare il mio sistema nervoso in modo penetrante e l’unico che mi fa vibrare le corde dell’omicidio! Ora, se permetti, me ne torno in camera dove tu non ci sei!» gli sbatté la porta sul muso e si buttò sul letto.

La sua vita era stata cambiata in meno di una settimana da uno stupido e presuntuoso ragazzo. Sarebbe stato un incubo. Pianse per il nervoso e crollò subito dopo per la troppa stanchezza, sperando che il mattino dopo tutto fosse normale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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