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Autore: Nuel    27/08/2014    2 recensioni
Appena giunta nella città santa, Elmara Kestal viene coinvolta negli intrighi della sua nuova Casata di appartenenza. Personaggi potenti e misteriosi si muovono attorno a lei che, come un abile ragno, dovrà riuscire a sopravvivere tra le insidie del palazzo. Forse, come dice sempre sua madre, il Buio è vivo, e ha fame...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guallidurth'
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Cap VIII

Voci si insinuarono nella reverie di Elmara Kestal, seduta a gambe incrociate su una stuoia, nella propria stanza.
    Stava rivivendo lo scontro nei sobborghi della città, l’inseguimento del carro, l’incontro con la yathtallar, le minacce del Maestro d’Armi: sempre più rapidamente, da angolazioni diverse, analizzando, esplorando con quel distacco concesso unicamente dalla reverie, perché gli Ilythiiri non dormivano mai, ma potevano rivivere centinaia di volte ogni singolo dettaglio del loro vissuto così da elaborarlo, plasmarlo, superarlo, dopo averne fatto tesoro.
    In quei ricordi che si susseguivano velocemente c’era un filo conduttore; stava a lei trovarlo.

    Se non fossero davvero drider?

    Un'ipotesi interessante

    Bladen'kerst

    Non troveremo i drider fuori dalla città 

    Confermare i nostri sospetti

    Starei più attento a dove mette i piedi

    È una fortuna che vi sottovaluti



    Aprì gli occhi quando un’esplosione risuonò in fondo al corridoio.
    C’erano voci, il cozzare del metallo sul metallo... un combattimento!
Stavano combattendo all’interno del castello, probabilmente a pochi corridoi dalla sua stanza o non avrebbe sentito nulla.
    Scattò in piedi, stringendo nel pugno il simbolo sacro che portava al collo, invocando il potere dell’Unica su di sé, perché la preservasse dal pericolo ed afferrò la mazza che teneva accanto, a portata di mano, correndo fuori dalla porta: non era prudente restare nella propria stanza, col rischio di restare intrappolata, meglio combattere, se c’era da combattere... o trovare una via di fuga.
    Nella sua mente, intanto, prendeva forma un pensiero, dapprima nebuloso, poi sempre più chiaro: la yathtallar e lo jabbuk sapevano ed avevano usato Gulvelven e lei perché erano insospettabili: troppo giovani, troppo estranei per essere coinvolti in una congiura di palazzo. Una sacerdotessa, no, non una: Bladen’kerst, la sorella della yathtallar e... il Qu’el Saruk: loro erano i responsabili.
    Mano a mano che si avvicinava all’origine dello scontro, Elmara Kestal si rendeva conto di avvicinarsi ai quartieri degli allievi combattenti: il Maestro d’Armi aveva raccolto tra loro i consensi per il piano. Loro avevano aggredito Jys’arra. 
Bladen’kerst aveva tramutato loro in drider? O i figli del casato dovevano solo fornire la scorta al carro che recava armi ed armature senza stemmi nel loro nascondiglio?
    Quando arrivò sul luogo dello scontro, i traditori erano accerchiati e non c’era differenza tra loro e gli assalitori: stesse armi, stesso stile di combattimento. Sembrava quasi di assistere alle mortali competizioni in cui venivano spinti i bambini, perché imparassero la differenza tra vivere e morire, perché solo ai più forti ed astuti era concesso di vivere fino al ciclo successivo.
    « Jalil! » una voce riscosse Elmara Kestal che, rimasta nelle retrovie, dato che ormai i giochi erano fatti, riconobbe in fretta Gulvelven che avanzava verso di lei, armatura immacolata, spade nei foderi: nemmeno lui aveva partecipato allo scontro.
    « So cos’è successo! » si affrettò a sussurrargli, guardandolo dritto negli occhi, sorprendendosi di trovarvi rabbia ed agitazione.
    « Dopo! Lo jabbuk vuole che andiamo immediatamente da lui! » nemmeno il tempo di fermarsi, Gulvelven la sospinse verso il corridoio da cui era giunta.
    « Ma cosa...? » tentò, parlando con voce tanto bassa da essere a mala pena udibile, ma il maschio le fece un cenno, intimandole di tacere fino a quando non fossero stati più lontani.
    « Dei cacciatori hanno trovato un carro abbandonato nelle grotte fuori dalla città. C’erano delle armi Mizz’rinturl » le scoccò un’occhiata significativa ed Elmara Kestal si morse il labbro inferiore: le armi che avevano visto loro non portavano alcun glifo.
    « Perché lo jabbuk vuole vederci? ».
    Gulvelven tacque, ma aumentò l’andatura; il casato era in fermento: anche le altre aree del castello brulicavano di vita nonostante la morte nera fosse passata da almeno un paio di frazioni. Ovunque c’erano guardie e sacerdotesse armate, accompagnate da arcanisti.
    « Non ti fermare! » le sussurrò il maschio mentre si infilava in un gruppo di ancelle dall’aria minacciosa che marciavano verso la cappella. Una di loro cercò di afferrare Gulvelven, sibilando per il suo atteggiamento irrispettoso ed un’altra cercò di trattenere Elmara Kestal: « Dobbiamo recarci alla cappella! » le ringhiò contro vedendola procedere nella direzione opposta, ma lei non si fermò, il cuore ormai in gola.
    Finalmente arrivarono all’alloggio dello jabbuk. Gulvelven bussò rapidamente e la porta si aprì all’istante. Lo jabbuk li fece entrare e guardò rapidamente all’esterno, prima di chiudere la porta.
    « Hanno cercato di fermarvi? » chiese attraversando la stanza rapidamente, per raggiungere la scrivania.
    « Solo alcune ancelle: volevano che la jalil andasse con loro alla cappella » Gulvelven rispose per entrambi. Il suo tono tradiva il nervosismo.
    « Cosa è successo, malla jabbuk? » chiese invece Elmara Kestal, avvicinandosi alla scrivania: qualcosa in lei la spingeva ad esigere quella risposta con quella autorità derivante dal genere, dall’essere femmina e promessa alla Dea.
    Lo jabbuk la guardò intensamente per qualche istante e poi distolse lo sguardo. « Meno di due frazioni fa la somma Bladen’kerst è stata accusata di tradimento. La Santa Madre ha decretato la sua uccisione e ora la sua testa è infilata sul camminamento sopra il cancello, dove tutti possono vederla » la osservò di sottecchi, apparentemente senza stupirsi al cenno affermativo di lei. Alle sue spalle, invece, Gulvelven si era irrigidito. « La stessa accusa è stata rivolta al Qu’el Saruk ».
    « Mio fratello? » chiese Elmara Kestal, con tono freddo, fintamente disinteressato.
    « Salvo » le rispose senza entusiasmo. « Tutti i figli di Mizz’rinturl che hanno sostenuto la traditrice contro la yathtallar stanno venendo rastrellati in questo momento. Le loro teste andranno a fare compagnia a quella di Bladen’kerst ».
    « E gli altri? Sappiamo se aveva alleati al di fuori del casato? » era stata di nuovo Elmara Kestal a parlare e lo jabbuk la fissò di nuovo, pensieroso.
    « Con l’inizio del nuovo ciclo il suo nome diventerà tabù e a nessun figlio del casato sarà più permesso di nominarla. Altri si occuperanno dei nemici esterni del casato ».
    « Altri? ».
    « Alleati ».
    Non c’era bisogno di scendere nei dettagli: Mizz’rinturl aveva molti alleati, ma Jys’arra aveva dichiarato, pochi cicli prima, proprio in quella stanza, che si sarebbe recata a Lil’Phalar.
Cacciatori, aveva detto prima Gulvelven. 
Cacciatori che avevano trovato armi contrassegnate. Sembrava il genere di prova falsa che piaceva costruire a sua madre.
    « Noi? » chiese quindi la jalil, comprendendo che qualcosa li riguardava da vicino, se erano stati chiamati con tanta urgenza.
    Lo jabbuk si lasciò sfuggire un respiro pesante ed aprì un cassetto della propria scrivania, raddrizzando la schiena. « Gulvelven, avvicinati! » ordinò « Come nuovo Qu’el Saruk... » cominciò con tono solenne, quando lo jaluk si fu avvicinato « ti giudico pronto ad entrare nelle truppe del casato con la qualifica di sargtlin » gli tese una pergamena e Gulvelven, incredulo, allungò una mano per prenderla. « Il tempo dell’addestramento è finito. Consegnerai questi ordini al tuo comandante, dopo di che  obbedirai a lui in qualità di combattente effettivo di Mizz’rinturl ».
    « Sì, malla jab... Qu’el Saruk » si corresse al volo, ancora stranito.
    « Jalil... » per un momento parve imbarazzato « … per ordine della somma Jys’arra e per le qualità che avete dimostrato durante questo incarico... ritenete concluso il vostro apprendistato. La malla yathtallar mi ha incaricato di chiedervi... »
    « Cosa vuol dire che il mio apprendistato è concluso? » chiese lei, interrompendolo.
    Il nuovo Maestro d’Armi non osò alzare gli occhi sul suo viso ed ad Elmara Kestal si bloccò il respiro in gola.
    « Malla yathrin, la somma Jys’arra vi chiede di prepararvi e raggiungerla nella cappella, dove officerete i riti di ringraziamento offerti dalla prima figlia, accanto a lei ».
    Un gemito al suo fianco, confermò ad Elmara Kestal che i suoi timori erano fondati: al pari di Gulvelven era stata promossa sul campo, ma le cose non erano così semplici per un’ancella, non bastava aver superato le prove imposte dai maestri: era la Madre Oscura l’ultimo giudice e solo a lei competeva scegliere una nuova serva, innalzandola tra le allieve.
    Guardò lo jabbuk e poi Gulvelven che non osava più alzare gli occhi su di lei e si rese conto che nessuno dei due avrebbe potuto rispondere alle sue domande. Impiegò un istante a decidere cosa fare. Un istante per masticare un « Aluvè a jal » e lasciare lo studio. Non doveva più chiedere il permesso, non doveva più obbedire a nessuno se non alle sue consorelle più anziane, ma il suo nuovo potere poteva essere destinato a durare solo pochi cicli di clessidra: nella cappella, la somma Jys’arra l’attendeva presso l’altare.
    Solo una porta chiusa su cui erano disegnati tre cerchi concentrici la separava dalla Prova, quella che avrebbe fatto di lei una sacerdotessa od un cadavere. 
I giochi, ormai, erano fatti. Il suo destino, da lì in avanti, era nelle mani della Madre Oscura.



 

Prima di tutto, devo scusarmi con chi ha letto questo racconto mesi e mesi fa perché da cinque mesi non lo aggiornavo e che i lettori fossero pochi non è una giustificazione!
Mi sono persa per altri lidi, ma non ho mai dimenticato “Oscure trame”, tanto che, pochi giorni fa, ho reinserito i vecchi capitoli, rivisti e corretti.
La trama è sempre la stessa, ma sicuramente la forma è migliore.
Ho ritenuto di doverlo fare, prima di dare il via libera a quest’ultimo capitolo perché non ero soddisfatta della stesura precedente e perché, nel frattempo, si sono aggiunti due racconti brevi che parlano degli antefatti a questa storia.
Altri seguiranno e, per rendere il tutto più facilmente reperibile, ho deciso di inserire questo e gli altri due racconti in una “serie”, come avrete forse notato in alto.
Il progetto “Guallidurth” cresce, lentamente come le cose preziose, perché è quello che è e, pertanto, merita tutta la cura e l’amore del caso.
Vi ringrazio di aver avuto pazienza e di aver letto questo capitolo finale che, come certamente avrete compreso, non chiude la storia, ma ne inizia un’altra, perché nessuna storia finisce, finché si è in vita.
    Aluvè a jal. Spero di rincontrarvi a Guallidurth!
    Nuel



 
   
 
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