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Autore: Defective Queen    20/09/2008    3 recensioni
Due ragazze, con diverse personalità e passato, si incontrano e diventano amiche, anche se sono entrambe due bugiarde e il loro rapporto non è mai quello che sembra.
Kate è straordinariamente bella, viziata, popolare con il sesso opposto e la reginetta (solo apparentemente) superficiale della scuola. Si dimostra gentile e amichevole con tutti, ma in realtà cova dentro di sè rancore verso gran parte delle persone e una glaciale freddezza nei rapporti umani. Roxanne ama disegnare ed essere eccentrica. Imbranata, testarda e sensibile, appena trasferitasi dalla Florida conquista al primo colpo tutti gli amici di Kate, e quest'ultima non può fare a meno di sentirsi minacciata dalla sua crescente popolarità.
Una volta che Roxanne entra nella sua vita, però, Kate cerca più di ogni altra cosa di continuare ad odiarla, ma i suoi sforzi ben presto si rivelano vani.
Questo, e molto altro, è "Beauty is the Beast".
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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17 aprile

17 aprile

 

 

Stasera sera sono stata a cena con Nick. Lui, come al solito impeccabile e galante, mi ha portato in un ristorante italiano, famoso per le pietanze assolutamente squisite.

Per tutta la sera mi ha lusingato con carinerie di ogni genere, aprendomi la portella della macchina, oppure sistemandomi la sedia nel ristorante.

Per un momento mi sono sentita davvero importante: una regina, molto più di una principessa, come mi apostrofa sempre nei bigliettini mandati insieme ai bouquet di fiori.

Ciò che non mi aspettavo, però, è che arrivassimo così in fretta al dopo-cena, per essere precisi appena usciti dal ristorante e per giunta in macchina…

Diciamo che la frenesia non aiuta molto il romanticismo.

Mentre guardavo il tettuccio della macchina che si muoveva all’unisono con i nostri sospiri, m’è piombata improvvisamente addosso una malinconia indescrivibile.

Ho girato la testa, disgustata quasi, per non vederlo più in faccia, sebbene sia esteticamente un bel ragazzo.

Ma non era lui il problema, a dire il vero, il problema sono solo io.

Di solito in momenti del genere non penso mai, cogliendo totalmente l’attimo e perdendomi in questo, come l’antico proverbio latino insegna a fare, ma stavolta non ce l’ho fatta.

Una voce nella mia testa, superando i gemiti di Nick, ha gridato in un modo impossibile da ignorare.

“E’ davvero questo quello che vuoi, Kate?”

E mi sono arrabbiata. Ho incrociato le gambe sulla schiena di Nick e l’ho attirato di più a me per un bacio. Mi sono cibata delle sue labbra, le ho morse, divorate, affondandoci i denti. Volevo affogare quegli stupidi pensieri, ma poi ho capito che l’unica cosa che stavo tentando davvero di affogare era la mia coscienza.

Sono bella, non mi faccio scrupoli e sono capace di ottenere tutto dalla vita, tranne la capacità di essere a posto con me stessa.

 

Non mi perdonerò mai di aver scritto questo, credo, ma non voglio nemmeno cancellarlo del tutto perché è la pura verità. Pensandoci bene, questo è l’unico posto dove non sono costretta a mentire. Il mio diario è diventato un qualcosa di sacro. Penso che ne morirei se qualcuno lo trovasse; nemmeno io oso rileggere le pagine una seconda volta, dopo aver cancellato qualche errore di punteggiatura.

L’uso di ogni pagina dura solo pochi minuti, giusto il tempo di scrivere, poi che ci sia o meno ha poca importanza, ma il ruolo che assume in quel minuscolo lasso di tempo, per me è vitale.

 

Kate.

 

21 aprile

 

 

Ho avuto un po’ di impegni in questi ultimi giorni, ma cercherò di riassumerli tutti qui brevemente.

Lunedì, appena tornata a scuola, ho evitato Mike ( il batterista), facendo in modo che né Jeff, né Jason sapessero che mi aveva invitata al ballo, anche se io non gli avevo dato una risposta definitiva.

Manca poco più di una settimana al tanto atteso evento e sembra che sia già scoppiata una guerra nell’invitare le ragazze più gettonate. Logicamente, la prima di tutte sono io.

Mi è capitato di tutto: meglio fare un bel respiro ed elencare tutto non stop.

Sono stata sommersa di fiori, biglietti e regali da sconosciuti (anche se alcuni facevano davvero pena…cosa vi fa pensare che io sia una ragazza alla quale piacciano gli orsetti di peluche? Bah!), occhiate invidiose e a volte anche maligne (prontamente ricambiate da me) da parte della componente femminile, reclami da parte dei professori che vogliono sapere costantemente a che punto sono i preparativi per l’accoglienza degli studenti e telefonate isteriche da parte di qualcuna delle Gallinelle che mi hanno chiamato in panico perché le aiutassi a trovare il vestito perfetto per il ballo (alle loro telefonate, aggiungerei anche quelle di Patty Mason, quella fan girl che pare ossessionata da me).

Ma una cosa “buona” -  in tutto questo marasma di cose che ho riportato nello stesso modo caotico in cui mi sono successe – c’è: abbiamo trovato un disegnatore con cui rimpiazzare il povero (?) infortunato Simon Lebrosky. E volete sapere chi è? Ma niente meno che Roxanne Miller!

Ormai non è più un mistero come sia diventata così popolare, è praticamente impossibile e dico impossibile (e mi costa tanto pure ammetterlo) non parlare di lei.

E’ gentile, educata, intelligente, sa disegnare, ha ottimi voti a scuola ed è adorata dalle masse. Tutti credono che sarà solo grazie a lei se riusciremo ad organizzarci in tempo per l’inizio di maggio e mettere in piedi una festa decente, malgrado tutti i preparativi lasciati a metà o in eterna sospensione.

Non si legge ironia nelle mie parole? Anche se è impossibile trasmettere il suono sarcastico della mia voce tramite il foglio, immagino si sia capito. E se non s’era capito, lo scrivo esplicitamente.

Dopo la mia visita a casa sua non abbiamo parlato poi molto. Roxanne è stata sempre molto impegnata, anche se talvolta la scopro a fissarmi un tantino preoccupata, mentre mi intrattengo con altre persone.

Suppongo tema che sveli il segreto sulla sua famiglia, facendo decadere tutta la sua reputazione di perfezione assoluta.

Chiunque la veda per la prima volta, affermerebbe che in lei l’unica cosa imperfetta è proprio quell’assurda trecciolina con cui raccoglie i suoi capelli mogano.

Ma gli altri non conoscono la verità che io ho intenzione di rendere nota, e ciò non ha niente a che fare con padri scomparsi in Australia, madri che vivono con un compagno più giovane o sorelle lavoratrici, ma con la dimostrazione che in tutto quello che fa, soprattutto nelle sue attività perbenistiche, Roxanne non è altro che una sporca bugiarda.

Dunque può stare tranquilla, se ha paura che io voglia svelare qualcosa di quello che mi ha raccontato a casa sua. Le informazioni di guerra rivelate dal nemico in territorio ostile possono essere anche inaffidabili. Chi mi dice che quella fosse la verità?

Non l’ho sempre considerata una persona falsa e ipocrita?

Non esiste la perfezione. Qui parla una che si è sentita rivolgere quell’attributo più volte.

Posso essere perfetta nell’aspetto esteriore, con i miei capelli biondi e il sorriso seducente di chi ha il mondo in pugno, ma se sono qui a progettare i miei piani contro Roxanne, questo vuol dire che una faccia d’angelo non garantisce necessariamente un buon carattere.

Proprio come la disponibilità di Roxanne non coincide con le sue reali aspirazioni.

Nella mia lunga esperienza con i pettegolezzi (acquistata dopo essere stata la protagonista di troppe vicende, immediatamente insabbiate da bestioni di mia conoscenza, pronti a malmenare chiunque sparlasse su di me) ho imparato a divulgarne solo di veri, mostrando al pubblico tutte le prove accumulate, lasciando che lo scandalo si scateni una volta sola e per bene, in maniera che non venga scordato tanto presto.

Farò così anche con Roxanne, sebbene al momento le prove accumulate in sua accusa siano a quota zero.

Una cosa però è certa: non accenderò solo un fuocherello, ma appiccherò un incendio che lascerà dietro di sé solo terra bruciata.

E’ come se fosse una sorta di vendetta, anche se non so precisamente contro di chi. Non è tanto per Roxanne, quanto per quello che rappresenta. Probabilmente è una vendetta contro me stessa.

Se davvero scoprissi che esiste per davvero qualcuno come Roxanne (no, non qualcuno come lei…uno che non faccia finta), se ci fosse davvero, credo ne sarei distrutta.

Non è che non abbia mai saputo cosa sono i rimorsi o i sensi di colpa; a volte anche io mi sono pentita di qualche azione disonesta, ma ho sempre avuto la consolazione che il mondo è spietato. Se tu non attacchi per primo, hai la sicurezza che prima o poi verrai attaccato a tua volta.

E’ per questo che io ho deciso di essere la predatrice. Ho spezzato facilmente i cuori delle mie prede con la stessa destrezza con cui una leonessa azzanna una gazzella. Ho lasciato dietro di me uomini o ragazzi che mi imploravano di non abbandonarli, proprio come gli orsi, ghiotti di carne fresca, ignorano i cadaveri morti ormai da giorni.

C’è una ragione per cui ferisco, ed è che non voglio essere ferita.

Avere sotto gli occhi, ma reale ed in carne ed ossa, qualcuno con un cuore grande così, proprio come quello di Heidi, non è affatto consolante.

“Nessuno fa niente per niente”: credo me l’abbia detto mia madre, cercando di insegnarmi il giusto uso della fiducia. Peccato che io non abbia mai concesso la mia a nessuno, tradendo spesse volte, invece, quella degli altri.

In ogni caso, questo non è il momento di ricordare gli insegnamenti di quasi quindici anni fa. Non mi sono mai lasciata influenzare dagli altri, perché ho deciso che se mai avessi dovuto incolpare qualcuno di qualcosa, sarei stata solo io. D’altra parte, però, è sempre impossibile incolpare me stessa, visto che si tratterebbe di un’inutile perdita di tempo.

I miei sbagli, in quanto opera mia, hanno stile.

E’ come una sorta di marchio di fabbrica, come un tatuaggio o una cicatrice impressi per sempre sulla pelle.
Per sempre.

 

 

23 aprile

 

 

Ieri mi sono trattenuta dopo le lezioni pomeridiane con Roxanne Miller, in palestra, e mi sono fermata ad osservare il suo lavoro. Ero seduta su dei materassini ripiegati, a nemmeno mezzo metro di distanza, mentre lei se ne stava in piedi di fronte ad un pannello bianco. Stava tratteggiando delle scritte con il carboncino.

A causa della scarsità del tempo a disposizione, non riusciremmo mai a rifare tutti i cartelloni già iniziati da Simon Lebrosky in tempo. Dovremmo perciò “integrarli” a quelli di Roxanne, sperando che non si colga troppo la differenza.

«Mi raccomando, però, niente murales», ho puntualizzato, mentre lei premeva con forza il carboncino per calcare di più delle linee nere.

Ho sentito Roxanne sorridere, senza girarsi verso di me: «Anche volendo non ne sarei capace» ha risposto, restando sempre concentrata sul suo lavoro «il mio stile è molto più classico».

«E cioè?», le ho chiesto.

«Di solito disegno paesaggi o ritratti, anche se preferisco i ritratti. Ma è difficile trovare dei buoni soggetti, a volte.»

«Perché? Con che criterio scegli le persone da disegnare?», ho indagato, un po’ incuriosita da tutto quel mistero. Che fosse una disegnatrice così appassionata non l’avevo mai saputo.

«Beh…perché se il soggetto non mi ispira, non riesco a disegnare. Quando ottengo un buon risultato alla fine non penso mai che sia merito mio, ma piuttosto di quelli che hanno posato per me. Se in loro c’è quel nonsoché di speciale, allora il successo è assicurato. Non so con quale criterio io scelga chi ritrarre: è semplicemente una questione di occhio.»

«Quindi è giusto una questione di bellezza», ho ribadito, piuttosto annoiata. Perché usare tutti quei giri di parole quando la verità era semplice ed immediata?

Roxanne si è voltata di scatto. I suoi occhi blu erano accesi, ma indossava in volto una maschera di cortesia. Mi ha guardato per qualche secondo senza dire nulla, poi ha sorriso in modo mesto, scuotendo lievemente il capo.

«Direi di no, Kate

E ha ripreso in mano il carboncino, tornando a disegnare.

Ho fissato a lungo la sua schiena, i ciuffi che spuntavano dalla treccia disordinata, le sue spalle minute, la felpa da maschiaccio, le gambe snelle fasciate da jeans.

Dentro di me vibrava qualcosa: una parte di me si sentiva strana, perché era la prima volta che lei aveva pronunciato il mio nome, mentre l’altra era offesa, perché mi aveva trattato come una bambinetta che non è in grado di capire, e mi aveva liquidata in quel modo.

Eppure, la sensazione più forte che stavo provando era quella di averla in pugno. Mi stavo avvicinando alla comprensione. Stava finalmente cedendo alla sua vera natura. Non sarebbe riuscita a continuare a lungo con quella farsa della ragazza buona e gentile.

Dopo qualche altro minuto trascorso in silenzio, mi sono messa in piedi, ho girato i tacchi e ho iniziato a cercare l’uscita della palestra. Quell’atmosfera era opprimente e io mi sentivo vacillare un po’.

Eppure non potevo permettermi di certo di perdere la calma, specialmente in una situazione così delicata. Meglio fuggire via per ritornare in un momento migliore, visto che anche Roxanne sembrava totalmente assorbita dal suo compito.

Tuttavia, nel mio cammino verso l’uscita della palestra, sono incappata in un album gettato nel bel mezzo del pavimento.

Mi sono chinata a raccoglierlo, leggendo quasi per caso sulla copertina il nome ‘Roxanne Miller’.

«E’ tuo questo?»

«Oh sì,», ha detto Roxanne, indirizzando un ciuffo di capelli sfuggente, dietro l’orecchio sinistro.

Io ho preso l’album in mano e l’ho portato accanto a lei. Sentivo che c’erano vari fogli accumulati all’interno.

«Grazie», ha detto lei, «Oh! Eri ancora qui?»

Io ho stretto le labbra in una linea sottile per un secondo.

«Ahahaha.», ho riso in modo isterico. Calma. Sorridi, sbatti gli occhi e non restare rigida. «Certo sì, ero qui. Per tutto il tempo. Volevo vedere come procedeva il lavoro.»

«Ah bene!», mi ha risposto lei, «puoi restare a guardare se vuoi, non mi dà fastidio.»

Allora lei si è voltata nuovamente e io ho potuto lasciare che le mie sopracciglia si incurvassero verso il basso in un’occhiata di puro odio.

“Zitta. Sta’ calma. Non ti agitare, non ci pensare”, ho ripetuto queste parole nella mia testa come se fossero un mantra karmico, nella speranza di non lasciar trapelare la mia indignazione. Era infantile essere arrabbiata con Roxanne, solo perché si era dimenticata di me. Eravamo in silenzio da diversi minuti e lei pensava che io fossi andata via. E’ una cosa assolutamente comprensibile, allora…perché mi dava così fastidio?

Sono sempre stata circondata da persone tremendamente consapevoli della mia presenza. Persone che al mio cospetto erano talmente nervose da rasentare quasi l’isterismo.

La Miller, invece, plebea venuta da chissà dove, si permetteva addirittura di ignorarmi, quando io non facevo che trastullarmi con pensieri su di lei.

Non è un qualcosa a cui sono abituata ed io, in genere, odio le novità, a meno che non si tratti di bei ragazzi.

A proposito di bei ragazzi, comunque, meglio cambiare argomento. Ho conosciuto un tipo piuttosto interessante. E’ un fascinoso commesso in una libreria in centro, di nome Nathan Harcroff. Ha dei begli occhi verdi dal taglio quasi orientale e la battuta sempre pronta. Probabilmente domenica lo vedrò di nuovo alla festa dei Lansom o magari visiterò la libreria semplicemente perché è divertente e io voglio trovare una scappatoia alla monotonia di queste giornate.

Stare con gli altri ragazzi a scuola è diventato uno stress, perché sono tutti gelosi l’uno dell’altro e io non voglio che facciano scenate in un luogo pubblico.

Sempre più spesso mi sono ritrovata a preferire la compagnia delle Gallinelle a quella di Jason o Jeff. Mike, il batterista, mi cerca, ogni volta che arriva per le prove con la sua band, ma ormai sono diventata abbastanza brava nel dileguarmi a tempo debito.

Oggi ho usato persino Roxanne Miller per scappare da lui e, considerando la frase di ieri che non le avevo ancora perdonato, questo spiega quanto ero disperata.

«Vai a disegnare, vero? Vengo con te: mi piace stare a guardare.», ho dichiarato tempestiva, raccogliendo la borsa e allontanandomi dal campo visivo del batterista, trascinando con me Roxanne.

Lei è sembrata lusingata dal mio interessamento e ha annuito.

C’è qualcosa di lei che ancora non riesco a comprendere, ma penso dipenda dal fatto che non l’ho ancora smascherata una volta per tutte.

In palestra, io mi sono stravaccata nuovamente sui materassini e lei è andata a posizionarsi di fronte ai cartelloni da terminare, come il giorno precedente. Il suo stile era chiaramente diverso da quello grezzo e bigotto di Simon: il tratto era raffinato ed elegante. Ho visto Roxanne prendere in mano la tempera gialla e rossa, per ricreare il colore infuocato del tramonto. I disegni di Simon avevano come sfondo un arancio acceso, perciò Roxanne aveva pensato di fare in modo che i vari cartelloni fossero accumunati almeno dai colori, in modo da sembrare creati da una stessa mano.

«Ottima idea», ho detto allora. Mi riesce difficile non esprimere il mio giudizio, per buono o brutto che sia.

Lei si è voltata verso di me, mischiando allo stesso tempo i colori in un barattolo e aggiungendovi un po’ d’acqua.

«Grazie. Mi è sembrato l’unico modo in cui poter continuare il lavoro di Simon, senza trovarmi costretta a disegnare murales.»

A una piccola distanza dai miei piedi, sempre gettato a terra, c’era il suo album da disegno che avevo raccolto il giorno prima. «Posso?», ho chiesto, indicando la copertina lercia.

«Certo, fa pure». E poi un sorriso gentile.

Ho preso l’album in mano, appoggiandolo sul materassino dov’ero seduta. Non volevo metterlo in grembo per non sporcarmi i pantaloni di lino.

«Non pensavo fossi così disposta a farmelo vedere…sai com’è, di solito tutti gli artisti sono un po’ restii nel mostrare il loro lavoro a qualcuno», ho commentato, con voce scherzosa. In realtà, ero davvero sorpresa: pensavo fosse una persona più riservata e gelosa della sua privacy.

Roxanne si è stretta nelle spalle, immergendo il pennello più volte nella tempera mischiata per controllarne la densità.

«Dicono spesso che nei disegni c’è l’anima di chi li realizza. Chi ha paura di mostrarli, ha paura di mostrare la propria anima, ma io non ho alcun problema a far vedere la mia. Disegno per una mia soddisfazione, certo, ma mi piace sapere cosa ne pensano gli altri. Mi aiuta a capire anche qualcosa in più su me stessa.», ha detto.

Ho alzato lo sguardo nella sua direzione, ma lei stava guardando da un’altra parte. Così ho preso in mano il primo disegno custodito nell’album.

Era un paesaggio: un mare acquerellato, sul quale si librava un gabbiano dal becco giallo e l’estremità delle ali nere. Tutto era in prospettiva rispetto agli scogli sui quali stava appollaiato un pescatore, appena accennato. Il cielo era grigio e tetro, come se fosse in arrivo una tempesta.

In seguito, sono passata al secondo disegno. Non era colorato, ma era semplicemente lo schizzo di una donna di colore dal labbro sporgente e dagli occhi sorridenti. Il terzo e il quarto foglio, rappresentavano degli aquiloni, aeroplanini di carta, o disegni di altri foglietti ripiegati come degli origami. Erano tracciati con tante linee imprecise che sembravano quasi fare emergere quegli oggetti dal foglio. A quanto pare il suo repertorio non si limitava solo a paesaggi e ritratti, come mi aveva detto. Dopo il foglio con gli schizzi degli origami, c’era un altro ritratto, questa volta a colori, curato e dallo stile impeccabile. Mi ha fatto restare a bocca aperta. L’ho guardato a lungo, cercando nelle ciglia della giovane ritratta, o negli zigomi alti, o nei suoi occhi neri e luminosi, qualche imperfezione. Non ce n’era nessuna.

Ho esaminato il ritratto ancora per un po’ e poi…

«E’ Madison? E’ tua sorella?»

Roxanne ha sorriso e annuito, sfregandosi distrattamente la guancia con una mano sporca di colore.

«Oh no! Ho tutta la tempera in faccia adesso!», si è lamentata e io non sono riuscita a trattenermi dal ridere.

Il viso di Roxanne si è aperto in un gran sorrisone, identico a quello dello Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie. Sembrava che non le importasse di essersi sporcata, ma avesse finto di scandalizzarsi solo per farmi divertire. Non è corsa in bagno come avrei fatto io, quindi suppongo fosse proprio quello il suo scopo.

Non la capisco, a volte.

Dopodiché, Roxanne ha continuato a stendere il colore sul pannello e io ho visto qualche altro disegno contenuto nell’album. Gli ho trovati tutti molto belli e accurati, ma non le ho detto niente. Lei, in ogni caso, non sembrava aspettarsi alcun complimento.

L’ultimo disegno, sommerso da ogni sorta di schizzo, in fondo all’album, era quello di un uomo: portava gli  occhiali, aveva un sorriso gioviale, la mascella pronunciata e i denti dritti. Era meno particolareggiato di quello di Madison, ma altrettanto ben fatto.

«E lui, chi è?», ho domandato, sempre stando attenta che lei non si scordasse di me, come aveva fatto il giorno precedente.

Roxanne non si è voltata, come se sapesse già a cosa mi riferissi, senza bisogno di assicurarsene con i propri occhi.

«Il compagno di mia madre», è stata la sua risposta lapidaria.

La sua voce aveva un che di tetro.
A parte qualche commento breve e fugace sul tempo che andava peggiorando, Roxanne non ha aperto più bocca.
Reazione strana, davvero, mi converrà approfondire l’argomento un giorno o l’altro.

Più tardi, ho salvato la mia messa in piega dalla grandinata che è scoppiata all’uscita di scuola, grazie al passaggio di Jason. Avrei potuto chiamare mio padre per farmi venire a prendere, o un taxi come faccio di solito, oppure andare con una delle Gallinelle, ma ho accettato la sua proposta.

Sembrerà una cosa stupida, ma non ho ancora preso la patente, visto che non ho nessuna intenzione di mettermi a guidare una macchina, al momento. Ne sono terrorizzata e non so nemmeno il perché, è assurdo! Temo sia una fobia come quella dei ragni o degli spazi chiusi, anche se non ho alcun problema ad andare in auto con qualcuno, l’importante è che non sia io a guidare. Non ci ho mai provato nemmeno per gioco.

Lungo la strada, ho visto correre Roxanne Miller che tornava evidentemente a casa a piedi. La grandine, per quanto non fosse molto forte, le ha distrutto l’ombrello. Mi è quasi, e ripeto quasi, dispiaciuto per lei, ma non mi sono fermata ad aiutarla, perché sapevo che Jason sarebbe stato felice di accompagnarla (la ammira molto per le sue buone qualità, a quanto ne so) e io, invece, volevo che si concentrasse solo su di me.

Mi chiedo se sia arrivata a casa sana e salva…ma non sono cose che mi riguardano, comunque.

 

Kate

 

 

***

Nuovo capitolo…ho voluto postarlo oggi, perché domani di sicuro sarò impegnata e non volevo lasciare il week-end senza aggiornamenti!

Ringrazio molto Pigna e Laprinc per aver detto che la storia sembra reale (a parte quel piccolo fraintendimento ;) ). Se da una parte questo mi stupisce (perché ho sempre l’impressione di esagerare nello scrivere di Kate, a volte), dall’altra mi rende enormemente entusiasta di scrivere e continuare la storia. Spero sempre che continuiate a seguirmi ^__^!

 

Saluti!

 

Angela

 

   
 
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