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Autore: GalwayRain    28/08/2014    4 recensioni
[STORIA TEMPORANEAMENTE SOSPESA CAUSA REVISIONE]
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«Hai avuto un incidente in macchina e sei ferito, quindi devi restare immobile finché non arriva il medico» gli disse poggiando delicatamente il panno sulla ferita, «ma cosa diavolo ci fai tu qui?»
Lui la guardò perplesso. «Tu chi sei?»
«Ma cosa dici? Sono Luna, non mi riconosci?» domandò di rimando puntando gli occhi nei suoi. Un sospetto le nacque dentro, stringendole la bocca dello stomaco. «Sai dirmi come ti chiami?»
«Io...io sono...» cercò di mettere in fila qualche parola ma lo sforzo di pensare sembrava molto più doloroso della ferita stessa.
«Come ti chiami?» domandò ancora lei col cuore in gola.
«Non lo so.»
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Luna Lovegood | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Luna
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Disclaimer: I personaggi qui citati sono di proprietà di J.K.Rowling, quindi non miei. Tutto ciò che è scritto è frutto della mia fantasia e non è né a scopo di lucro né diffamatorio.


 
Tell all the truth but tell it slant —
Success in Circuit lies
Too bright for our infirm Delight
The Truth's superb surprise
As Lightning to the Children eased
With explanation kind
The Truth must dazzle gradually
Or every man be blind.

Emily Dickinson, "Tell all the truth but tell it slant"





02. Ignoto 12





-Si riprenderà?- domandò Luna e l‘ansietà nella sua voce era quasi palpabile.

Aveva cercato di impedirsi di parlare, limitandosi ad osservare il medico mentre visitava l’uomo disteso sul suo divano, ma il silenzio nella stanza, interrotto solo dai tuoni e lo scrosciare della pioggia, si era fatto troppo denso. Sembrava una patina appiccicosa sulla pelle. Nutriva la ferma convinzione che il dottor Jeremy O'Niel, cinquant’anni portati piuttosto male e un dubbio gusto nel vestire, stesse diabolicamente prendendo tempo solo per farla impazzire nella staticità della stanza.

Il medico non le rispose per un lungo momento, terminando di oscultare il cuore di Draco. McRyan si avvicinò alla ragazza e le posò una calda e morbida coperta sulle spalle. Non ci aveva più fatto caso, ma indossava ancora i vestiti fradici e i lunghi capelli biondi, grondanti acqua a loro volta, non aiutavano di certo il suo corpo a scaldarsi, nonostante il camino acceso. Durante la corsa verso i fari il cappuccio le era scivolato giù dal capo, lasciando i capelli esposti all'intemperie. Non ci avevano messo molto ad inzupparsi come il mantello e il resto dei suoi abiti.

Mormorò un ringraziamento all'anziano pescatore e prese i due lembi della coperta con una mano, stringendo il tessuto fra le dita. Solo quando fu presente al contrasto fra la pelle gelida delle mani e il tessuto morbido si rese conto di quanto avesse freddo. Di quanto stesse tremando. Sospirò abbassando il volto: avrebbe voluto andare a cambiarsi, concedersi un lungo bagno bollente e fingere che Draco Malfoy non fosse steso sul suo divano, inerme, probabilmente privo di memoria.

Il crepitio della legna divorata lentamente dal fuoco riempiva lo spazio nel salotto quasi come se fosse qualcosa di fisico e ingombrante. Non riusciva più a sopportarlo. Desiderava poter scappare, uscire sotto la pioggia e correre fino a non avere più fiato. Fino a non sapere più dove si trovava. Forse solo allora sarebbe stata libera.

Alla fine, dopo minuti che le parvero ore, il dottore rimise tutti i propri strumenti nella borsa con lentezza snervante, calcolata. Quando si alzò, tolse gli occhiali per pulirli con un lembo della propria giacca. Solo in quel momento posò lo sguardo su Luna.

-Dovrebbe cambiarsi, si prenderà qualcosa tenendo addosso quei vestiti bagnati- le disse con tono pacato. Un'ovvietà. Lei lo ignorò.

-Come sta?- domandò lei di rimando, il cuore che quasi le frantumava le costole. Sapeva benissimo che si sarebbe raffreddata, ma in quel preciso istante non poteva importargliene di meno.

-Non posso dirle nulla con precisione, devo prima sottoporlo ad ulteriori analisi e per fare ciò deve essere immediatamente trasportato al Charity Hospital*- rispose inforcando gli occhiali dalla spessa montatura. Senza aggiungere altro prese il proprio cellulare dalla borsa medica e compose il numero dell’ospedale di Clifden. Con voce neutra ordinò di mandare un’ambulanza all’indirizzo di Luna e diede brevi informazioni sul paziente di modo che tutto fosse pronto al loro arrivo.

-Speravo che riprendesse conoscenza durante la visita per potergli fare alcune domande- mormorò l’uomo, ed era evidente che non si stesse rivolgendo a nessuno in particolare. -Le ha per caso detto qualcosa? E’ mai stato lucido da quando l'ha trovato?-

Luna esitò, solo un secondo.

-Sì, ma era molto confuso-

L’uomo annuì mentre McRyan accarezzava maldestramente la schiena della biondina nel tentativo, forse, di scaldarla e darle conforto. Così bagnata e ingobbita, quasi a volersi raggomitolare su se stessa, le sembrava più piccola e innocente che mai.

-Le ha detto come si chiama o da dove viene?-

Lei schiuse le labbra per rispondere ma non trovò nessuna parola pronta a lasciarle. Lei lo conosceva, lo conosceva molto bene, ma poteva dirglielo? Doveva dirglielo? Non era rilevante ai fini della diagnosi che avessero frequentato la stessa scuola, che avessero affrontato la stessa guerra. E se avesse detto che si conoscevano, cosa sarebbe successo? Le avrebbero affidato l'incarico di rintracciare i genitori per avvisarli dell'accaduto? E lei cosa avrebbe fatto? O detto? E se il medico avesse voluto premurarsi di persona di contattarli?

"Certo, può mandar loro un gufo anche subito! Saranno felicissimi di sapere che il loro prezioso unico erede purosangue si trova a casa di Lunatica Lovegood, in Irlanda. Come dite? Numero di telefono? Obsoleti babbani, noi maghi comunichiamo solo via gufo".

No, decisamente non avrebbe potuto dire la verità. Solo un gufo poteva metterla in contatto con i Malfoy e loro non erano certo famosi per il loro perfetto modo di mescolarsi ai babbani senza dare nell'occhio. L'avrebbero fatta scoprire e tutto sarebbe andato in fumo. Senza contare che aveva la netta sensazione che qualsiasi gufo non di proprietà di qualche prestigiosa famiglia venisse impallinato a vista nei pressi del Manor. Non se la sentiva di avere un povero pennuto sulla coscienza.

-Signorina Lovegood?-

-Come, scusi?-

-Sono domande importanti, signorina, potrebbero aiutarmi a capire se ha un’emorragia cerebrale-

-Emorragia cerebrale?- domandò Luna sgranando leggermente gli occhi. Le dita che artigliavano la coperta, pallide. Non aveva idea di cosa fosse, ma non suonava per niente bene. Proprio per niente.

L'uomo si limitò ad osservarla, ancora in attesa di una risposta. La calma che aveva addosso rifletteva i lunghi anni di esperienza e gavetta. Chiunque, in quella situazione, avrebbe perso la calma e agito in modo frettoloso -lei stava quasi per farlo- ma lui no, aveva prestato a Draco un primo soccorso eccellente e sapeva, nonostante le possibili gravi condizioni del ragazzo, che fino all’arrivo dell’ambulanza non avrebbe potuto fare altro.

-No, non ha saputo dirmi come si chiama, non è riuscito a formulare alcuna frase di senso compiuto...credo…- quasi non riusciva a dirlo. -...credo abbia perso la memoria-

L’aria nella stanza quasi s’immobilizzò, congelandosi nel tempo. Sembrava trattenere il respiro e tutti coloro al suo interno sentivano il peso dell’attesa, sospesi. Nessuno però disse alcunché. McRyan fissò Luna e le strinse una spalla fra le dita.

-Con forti colpi alla testa può succedere che si perda momentaneamente la memoria- ragionò, incrociando le braccia al petto. -Tuttavia, non sapendo quanto è stato forte il colpo che ha ricevuto, potrebbe anche non riacquistarla mai-

-Cosa vuoi dire con mai, Jeremy?- si intromise il pescatore, sbigottito.

-Ovviamente questa è pura speculazione, John. L'unica cosa che possiamo fare è aspettare che lui si svegli, probabilmente era solo in forte stato confusionale e per questo non ha saputo dir nulla alla signorina-

Luna non poté evitare a se stessa di sciogliersi in un sospiro roco.


***



L’attesa nel piccolo ospedale di Clifden sembrava non dover finire mai, nonostante il medico avesse assicurato loro che non ci sarebbe voluto molto tempo per le analisi. Luna non era per niente stupita, sapeva bene che i mezzi babbani erano limitati rispetto a quelli magici, e aveva ormai capito che O’Niel era figlio del demonio. Quella notte non sarebbe mai passata, lo sapeva, lo sentiva. Era intrappolata in un vortice di perenne sospensione. Prima a casa, ora lì, in quella piccola claustrofobica stanza.

Stava in silenzio, seduta accanto a John McRyan, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare d’ora in poi. Non sapeva nemmeno perché si trovasse lì. Avrebbe dovuto approfittare del momento per lavarsene le mani e addio, pace finalmente ritrovata. Invece no, era salita sul pick-up del pescatore ed insieme avevano affrontato la tempesta, seguendo l’ambulanza fino al Charity Hospital. Non avrebbe davvero mai imparato a sopravvivere lontana dai guai. Peraltro, sembrava proprio che fossero loro a cercare lei, per quanto si sforzasse di starvi alla larga. Nemmeno rifugiarsi in un paesino isolato era bastato per mettere adeguata distanza fra lei e il proprio passato.

A Luna sembrava di avere il cervello circondato da acqua, poteva quasi sentirlo galleggiare irradiando dentro di lei una sensazione di distacco dalla realtà. Anche la vista un po’ annebbiata contribuiva a rendere più pungente quell’impressione. Era consapevole del mondo che la circondava, ma non riusciva a spostare la propria attenzione su niente. Anche le sue stesse mani, intrecciate in grembo, le parevano lontane, non proprie. Come se appartenessero a qualcun altro. Nonostante gli sforzi, la giovane Ravenclaw si era anche ritrovata completamente incapace di ragionare lucidamente su quello che era accaduto e vi aveva rinunciato molto in fretta. Sapeva bene di essere sotto shock, l’aveva già provato in precedenza durante la Seconda Guerra; sapeva anche cosa potersi aspettare da se stessa in quello stato.

Per questo motivo rimase seduta in silenzio finché O’Niel non apparve nella sala d’attesa.

Il medico si era evidentemente cambiato mentre le infermiere si occupavano di sistemare Draco nella stanza; non indossava più, infatti, gli indumenti sgualciti e messi a caso di quando era entrato nella piccola casetta di pietra, al loro posto vi era la divisa blu dei medici di turno e il classico camice bianco. La folta barba bianca, ancora disordinata, gli dava un aria molto saggia, ora che indossava abiti professionali.

-Non penso di aver mai visto un miracolo simile- iniziò subito l’uomo, avvicinandosi ai due che, nel frattempo, gli erano andati incontro. -A parte un forte trauma cranico, non ha nulla di rotto. Abbiamo escluso emorragie interne, fratture e lussazioni. Certo, ci sono diversi ematomi e graffi, ma per il colpo subito è davvero un miracolo-

Luna si sentì sciogliere per il sollievo. Niente di grave, se ne sarebbe potuto andare presto lasciandola alla propria vita in solitaria. Ma forse, e soltanto forse, non era solo quello il motivo per cui, in quel momento, si sentiva le estremità degli arti bollenti per la liberazione.

-Quindi potrà presto tornare a casa sua?-

-In realtà avrà bisogno di una lunga degenza, i traumi cranici come il suo non sono da sottovalutare. Inoltre, se è come lei ci ha detto in precedenza e davvero il ragazzo non si ricorda nulla, allora bisognerà di certo aspettare che la polizia trovi qualcosa sul suo conto e contatti la famiglia-

Le parole “polizia” e “contattare la famiglia” ebbero l’effetto di farla sprofondare venti metri sotto terra. Ovviamente la polizia non avrebbe mai trovato nulla su di lui e, di certo, mai sarebbe riuscita a mettersi in contatto con i Malfoy, ma tutto questo non avrebbe portato ancor più attenzione nei confronti di Draco? Era un rischio anche per lei.

I babbani dovevano rendere sempre tutto così complicato.

Avrebbe voluto poter rispondere, ma la bocca le si era completamente prosciugata, la sentiva impastata come se non bevesse da settimane. Si limitò ad annuire, abbassando lo sguardo sui propri piedi. Aveva ancora le scarpe infangate.

-Posso entrare?- domandò alla fine. No, decisamente non avrebbe mai imparato.

Il medico annuì in risposta e per la prima volta, quella notte, fece qualcosa che stupì la ragazza: le posò una mano sulla spalla e la strinse leggermente, come a volerla confortare.

-Lei gli ha salvato la vita-


 
***


Rimasta sola nella stanza assegnata al ragazzo, Luna non seppe cosa fare di se stessa. Nella sua mente vi era un elenco di cose che non trovavano un ordine logico: dar da mangiare a Keeran, togliersi i vestiti bagnati, fare un bagno caldo, bere qualcosa che la scaldasse, cercare di scampare all'ipotermia, fuggire lasciando solo un biglietto. O magari nemmeno quello. Si passò le mani fra i lunghi capelli biondi e fissò Draco, muovendo qualche passo verso il letto dove giaceva. Diversi tubi fuoriuscivano dal suo corpo ma Luna non ne conosceva il motivo, i babbani avevano tanti strani aggeggi che usavano per condurre le proprie vite, o curare i propri simili. Con la magia era tutto molto più facile.

Gli si avvicinò e facendo attenzione a non svegliarlo si lasciò cadere su una sedia poco distante. Non lo vedeva da così tanto tempo, eppure i suoi lineamenti avevano subito solo leggere variazioni. Sembravano più mascolini, meno infantili e più adulti. Segnati dalla Guerra. Si era lasciato crescere un filo di barba che sembrava curata puntigliosamente. D'altronde era l'unico erede della Casata dei Malfoy, come avrebbe mai potuto farsi vedere in giro con una massa di pelo incolto sul viso?. Nonostante una benda gli fasciasse il capo e avesse l'aspetto di uno che aveva cercato di fare amicizia con un tir in corsa, restava un uomo dotato di incredibile bellezza.

Aggrottò le sopracciglia quando nel sonno lui si mosse, una smorfia sul viso. Nascondendo il volto fra le mani si chiese cosa mai avrebbe potuto fare ora. Cosa gli avrebbe detto quando si sarebbe svegliato?

Una sola era, tuttavia, la domanda che dominava su tutte: cosa ci faceva Draco Malfoy nel Connemara? E così vicino a casa sua, soprattutto. Forse affari di famiglia l’avevano portato lì. O altri tipi di faccende. E se, svegliandosi, si fosse ricordato tutto? Si fosse ricordato di leiFuggire prima di scoprirlo, questo continuava ad urlarle un piccolo antro oscuro del proprio cervello. Ma non poteva sparire così, semplicemente. O forse sì? In fondo l’aveva già fatto. Ma se davvero lui avesse perso la memoria? Questo cosa implicava per lei? Cosa ci si aspettava da lei? Forse che si interessasse alla sua sorte in modo attivo, visto che lei lo aveva trovato, salvato e che a Clifden non c’era nessuno che potesse farlo al posto suo. In ospedale non avrebbero potuto tenerlo, oltre il regolare periodo di degenza.

Deglutì dolorosamente e cercò di mantenersi salda. Ma perché aveva proprio dovuto guardare all’interno di quella macchina? Non poteva semplicemente riprendersi il cane e andarsene?

Non avrebbe mai più potuto vivere con se stessa, se l’avesse fatto.

Imponendosi di ragionare decise di valutare bene ogni dettaglio. Draco Malfoy era steso in un letto d‘ospedale. Un ospedale Babbano. Privo di conoscenza. Forse aveva anche perso la memoria. Forse non l’avrebbe recuperata affatto. Ora, eticamente parlando, cos’era tenuta a fare lei? Probabilmente aiutarlo, visto che era stata lei a trovarlo. Una cosa rassicurante era che nessuno conosceva il loro passato. Non nel Connemara. Lei era una semplice naturalista, lui uno sconosciuto completamente svitato -nessuno sarebbe mai andato a farsi un giretto in macchina con una tempesta come quella, non uno del luogo.

Draco Malfoy al volante di un’auto babbana?

D’altro canto, giungendo al punto che davvero le premeva: lei non era tenuta a dirgli che si conoscevano. Che si conoscevano molto bene. Doveva solo interessarsi a lui finché non fosse stato in grado di andarsene sulle proprie gambe. Fine del suo ruolo nella faccenda.

Sì, così poteva funzionare. Lo avrebbe aiutato nella riabilitazione, che riacquistasse o meno la memoria non era certo affar suo. Anzi, contava che la recuperasse una volta molto, molto lontano da lei. Cosa avrebbe potuto fare a quel punto? Tornare a Clifden per schiantarla, così, per partito preso? No di certo. Doveva solo essere paziente e resistere quel tanto che bastava per essere finalmente in salvo.

Si alzò con un sospiro sentendosi leggermente sollevata e senza riflettere gli rimboccò le coperte. Inspiegabilmente, si sedette di fianco a lui sul materasso, i piedi a penzoloni. Con dolcezza spostò una ciocca di capelli biondi che gli era ricaduta sulla fascia applicatagli dal medico e rimase a guardarlo. Si strinse le mani l’una nell’altra e si chiese cosa avesse fatto, lui, in quell’anno, dopo la fine della Guerra. L’ultima informazione che aveva avuto riguardava un processo contro i Malfoy che sembrava, però, doversi risolvere molto in fretta visto che tutti loro avevano collaborato con il Ministero. Tuttavia, si ritrovò a chiedersi cosa lui avesse deciso di fare della propria vita. La scelta di lei era ormai palese: fuggire da Londra e rifarsi una vita lontana da tutto. Dai ricordi, dai propri amici.

Chissà se lui, invece, era riuscito a rimettere insieme i cocci della propria vita.


 
***



Fu la mancanza di affluenza di ossigeno ai polmoni a svegliare Luna la mattina seguente. Dapprima se ne rese conto lentamente, un peso le gravava sul petto schiacciandole le costole. In seguito cominciò a sentire le braccia formicolare e, nella respirazione, non riusciva ad espandere correttamente il diaframma. Si svegliò completamente solo quando cominciò a boccheggiare. Spalancando gli occhi si ritrovò il muso di Keeran a pochi centimetri dal naso e, dimenandosi in modo sconnesso, tentò di scrollarselo di dosso con scarsissimi risultati. Il cane continuava a dormire beatamente come se il suo materasso umano non si stesse muovendo in preda ad una perfetta imitazione di una crisi epilettica.

Rotolò su un fianco, senza fiato, crollando rovinosamente al suolo pochi secondi dopo. Era riuscita a scivolare via da sotto il corpo del cane, peccato non avesse fatto bene i calcoli riguardo la larghezza della seduta del divano.

Keeran la osservò come se avesse fatto qualcosa di assolutamente stupido e lei gli fece una linguaccia, posandogli una mano sul muso e spingendoglielo verso il basso.

Il camino si era spento durante la notte e l’odore della legna bruciata aleggiava ancora nell’aria, profumandola di pino. Alzandosi dal pavimento freddo si stiracchiò, constatando che la tempesta doveva essere terminata da parecchio tempo: attraverso gli scuri, piccoli spiragli di sole illuminavano fiocamente la stanza permettendole di vedere chiaramente i contorni del mobilio. Decise di spalancare tutto prima di prepararsi qualcosa per colazione.

Il sole non splendeva ancora alto nel cielo e la giornata si preannunciava piuttosto fresca, l’aria era pulita e sapeva ancora di pioggia. L’erba attorno alla casa scintillava umida sotto i leggeri raggi solari. Inspirò a pieni polmoni la freschezza del mattino, poggiando i gomiti sul davanzale della finestra. Voleva godersi il paesaggio il più possibile, fingendo che fosse un giorno come un altro, che la notte precedente non fosse successo nulla. Tuttavia era dolorosamente consapevole che la realtà era ben altra. Mise un bollitore e una piastra in pietra sul fuoco, riempiendo poi la ciotola di Keeran. Nell’attesa, si sedette ad una delle sedie del piccolo tavolino rotondo su cui era solita mangiare, con un colpo di bacchetta lo apparecchiò -una semplice tovaglietta rossa con sopra disegnato un coniglietto che le augurava un buongiorno, una tazza personalizzata con la scritta “Nargle will eat you from inside” e le posate.

Quando ritenne che la piastra si fosse scaldata a sufficienza incantò il pane e le uova affinché si preparassero in modo autonomo, si sentiva troppo stanca per fingere con se stessa di non essere una strega. Da quando si era trasferita a Clifden aveva fatto uso della magia ben poche volte per quanto riguardava la vita quotidiana. Si divertiva a pulire la casa come facevano i babbani, a cucinare senza l’ausilio della bacchetta. Poi, da quando c’era Keeran, non si era nemmeno più smaterializzata. Non se la sentiva di scarrozzare il cane a quel modo e, inoltre, camminare le piaceva. Sembrava liberarla dai pesi che portava, permettendole di godere della natura che la circondava.

Sobbalzò quando sentì bussare e si affrettò a disincantare la propria cucina, spegnendo i fornelli affinché non bruciasse nulla.

Aprendo la pesante porta di legno si trovò davanti una donnina bassa, leggermente corpulenta, dai capelli bianchi come la neve. Aveva guance piene che non potevano non costringerti ad un sorriso quando venivano solcate da leggere fossette di divertimento. Mrs Milly era l’immagine della solarità e della cordialità. Dolce ed esuberante, possedeva una leggerezza innata, una dolcezza pari solo alla carezza di una nonna.

Tra le mani stringeva quello che sembrava essere il piatto di un gigante.

-Buongiorno cara- la salutò con un ampio sorriso. -Non ti ho svegliata, vero?-

Luna scosse il capo.

-Stavo preparando la colazione, gradirebbe una tazza di tè?- le sorrise di rimando, invitandola ad entrare. Mrs Milly annuì con entusiasmo e si fece largo all’interno del piccolo salotto.

-Ti ho portato un pasticcio di carne- esclamò poi con allegria contagiosa, posando il piatto fasciato dalla carta d’alluminio sul tavolo, -Ho pensato che un po’ di cucina casalinga vecchio stile ti avrebbe fatta sentire meglio- e in effetti il pasticcio di carne era il suo cavallo di battaglia. Se fosse esistita una filosofia Milly, il principio fondamentale sarebbe stato che “un buon pasticcio di carne risolve tutto” oppure “tutto è pasticcio di carne”.

Ovviamente la consorte di McRyan era già stata ampiamente informata di tutto.

-Adoro il suo pasticcio-

Con un leggero sorriso sulle labbra, la bionda andò a controllare l’acqua ormai pronta. La versò nella propria tazza e ne prese una per Milly, posando poi il tutto sul tavolino.

-John mi ha detto che hai salvato quell’uomo da un’auto che stava affondando in un acquitrino e che da sola l’hai trascinato fino a casa tua.-

Detta così sembrava davvero un’impresa eroica ma non se la sentiva addosso. Aveva usato la magia e la cosa, per lei, era stata molto meno faticosa di quanto gli altri potessero pensare.

-Non potevo certo lasciare che quell’uomo annegasse-

Prese una bustina di tè ai frutti di bosco e la immerse nell’acqua bollente.

La donna annuì e scrutò brevemente il piccolo cestino di vimini al centro del tavolo, dove Luna teneva tutte le varie bustine di tè. Optò per una qualità speziata alla cannella.

-Ma come l’hai trovato?- domandò, e la ragazza non poté esimersi dal raccontare nuovamente la storia che ormai conosceva a memoria. Non solo aveva dovuto raccontarla a John, ma anche al dottore e poi ad un agente di polizia, la notte precedente, che lo stesso O’Niel aveva chiamato dall’ambulanza. L’anziana signora la ascoltò come rapita, annuendo e sorseggiando la propria bevanda calda, senza però staccare lo sguardo dal viso della più giovane. Gli occhi leggermente sgranati, come se in realtà stesse guardando qualche scena sconvolgente alla televisione.

Quando ebbe finito il proprio racconto, il silenzio calò su di loro come un velo. Si accorse subito che Milly stava pensando a qualcosa che doveva averla colpita particolarmente. Non dovette aspettare molto prima di scoprire di cosa si trattasse.

-Chissà come reagirà scoprendo di aver perso la memoria, deve essere atroce non avere alcun tipo di ricordo, non sapere la propria identità- mormorò con uno sguardo così triste che quasi fece crollare la bionda. Se avesse osservato l’espressione della donna per un solo minuto ancora sarebbe scoppiata a piangere, confessando tutto.

A volte è solo un bene, pensò in risposta, ma non disse niente, limitandosi ad assentire con il capo. Puntò lo sguardo sulla propria tazza di tè, non sapendo cosa dire con esattezza.

-Questa mattina in città ho incontrato Jeremy, dice che per un po’ il ragazzo non potrà muoversi dal letto e la polizia andrà a breve a controllare le condizioni dell’auto, cercando qualche indizio sulla sua identità visto che non gli hanno trovato addosso alcun oggetto personale che potesse aiutare a scoprire la sua identità-

-La polizia?-

-Certo, cara, pensavi che nessuno sarebbe andato a cercare il veicolo? Sempre se c’è ancora ma dubito, ormai sarà completamente affondato, con tutta l’acqua che è venuta giù questa notte. Bisognerà comunque toglierla dallo stagno, non può di certo restar lì ad arrugginire-

Non ci aveva pensato. Non ci aveva assolutamente pensato. Era stata una leggerezza imperdonabile. E dire che dopo la Guerra avrebbe dovuto imparare, eppure sembrava non essere ancora abbastanza accorta. Doveva raggiungere la macchina prima della polizia, eliminare le eventuali prove di magia e, magari, mettere qualche documento falso all’interno della macchina. Sì, ecco, così non si sarebbe sentita in colpa nel nascondere il nome del ragazzo. Già le scoppiava la testa.

-Capisco- annuì e terminò in un sol fiato la propria bevanda quasi nel tentativo di guadagnare in coraggio. -Che lei sappia si è già svegliato?-

-No, sembra sia stata una notte molto tranquilla, anche se ogni tanto si è agitato nel sonno. Pensi di andare a trovarlo?- chiese la donna posando una mano sulla sua. La guardava con una dolcezza infinita, la stessa dolcezza che usava sua madre, e Luna non poté fare a meno di sentire un groppo alla bocca dello stomaco. Non fidandosi della propria voce annuì e abbassò lo sguardo.

-Sembra che tu abbia preso a cuore questa storia- constatò ancora la più anziana. Ancora Luna non disse nulla. Certo che l’aveva presa sul personale, ma non poteva di certo ammettere il perché. Nemmeno a se stessa.

-Se dovesse succedere a me, vorrei che qualcuno fosse disposto ad aiutarmi- rispose esibendo un leggero sorriso. Una mezza verità. E, ad ogni modo, lei era stata fortunata. Si era trasferita in una città sconosciuta e aveva trovato due persone pronte ad aiutarla.

Milly si aprì in uno stupendo sorriso e le picchiettò leggermente sulla mano mormorando “brava ragazza”.



 
***



Osservava quello che restava dell'auto con cipiglio serio e le sopracciglia chiare aggrottate. Le braccia incrociate sul petto. Non aveva molto tempo per agire, la polizia si sarebbe recata nel luogo dell‘incidente da lì a poco. Dopo una breve "perquisizione" magica la macchina era risultata un modello incantato in grado di volare -ovviamente Draco Malfoy non si sarebbe mai abbassato ad usare un mezzo babbano, come aveva potuto anche solo pensarlo?

Il veicolo ormai era quasi completamente piegato in verticale ma non sembrava stesse ancora affondando, probabilmente il muso si era piantato sul fondo dell'acquitrino, rivelando la sua vera profondità. Si domandò, nel rivederla, cosa avesse potuto ammaccare la portiera del guidatore al punto da incassarla verso l‘interno; certo, la tempesta era violenta e volarci in mezzo era stata una vera imprudenza da parte dello Slytherin, tuttavia contro cosa, in aria, avrebbe mai potuto andare a sbattere? Ma soprattutto: cosa poteva essere così grosso da provocare un simile danno?

Luna non sapeva proprio cosa pensare e decise di non torturarsi ulteriormente al riguardo. Fin troppe cose avevano deciso di ossessionarla. Con un breve incantesimo mascherò alla vista dei babbani la "tecnologia magica" che permetteva al mezzo di volare, rendendola una semplice macchina, poi richiamò la bacchetta di Draco e la nascose nella propria borsa, accorgendosi che non sapeva ancora come spiegare al ragazzo la sua esistenza. O il fatto che lui fosse un mago. Se glielo avesse detto in una normale conversazione, di certo l’avrebbe presa per pazza. Doveva aspettare il momento giusto, l’occasione perfetta.

Come aveva supposto, non vi erano documenti d'identità del biondo all'interno dell'abitacolo e non seppe decidere se fosse un bene o un male. Nel Mondo Magico la sola bacchetta bastava ad identificare il mago, ma la polizia babbana si aspettava di trovarli lì e, soprattutto, per restituire l'identità al ragazzo, doveva trovarli. In caso contrario, Draco non avrebbe più riacquistato la propria identità -sempre ammesso che l’amnesia fosse permanente.

Rifletté e alla fine, con un gesto della bacchetta, fece in modo che la macchina sprofondasse completamente con un cigolio sordo, simile ad un profondo lamento gutturale. Le diede i brividi e fu costretta ad abbracciarsi il busto. Sentiva di sbagliare, lo sapeva, ma quello era il prezzo da pagare per le scelte del passato. Non che avesse scelta, in realtà, non l'aveva mai avuta. Non più da quella notte. E lui ora aveva perso la memoria. Aveva perso tutto. Poteva lei sperare di poter ricominciare? Forse no, forse non l'aveva nemmeno mai voluto. Forse, aveva solo e sempre voluto sfuggirgli.



 
***




Nonostante la stanza fosse solo fiocamente illuminata dai timidi raggi del sole che filtravano attraverso le tende, quando Draco Malfoy aprì gli occhi si ritrovò inesorabilmente accecato, come se quella scarsa luminosità fosse troppo per occhi abituati all’oscurità, abituati ad altri luoghi. Sbatté le palpebre un paio di volte nel tentativo di abituarli e quando finalmente riuscì a mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava, lo trovò completamente estraneo.

Sentiva un morbido materasso sotto di sé, coperte calde ad avvolgerlo e un comodo cuscino su cui affondare il viso. La testa gli doleva come se qualcosa fosse stabilmente incastrato nel cervello e desiderò poter chiudere nuovamente gli occhi e dormire, dormire fino a dimenticare quell’orribile dolore presente. Eppure la morsa che gli attanagliava il petto non gli lasciava scampo e dovette ammettere a se stesso di avere paura. Paura di una stanza che non conosceva, di un letto che non gli era familiare.

Ebbe l’impulso di balzare giù dal letto per fuggire di corsa, ma il suo corpo, come se avesse preventivamente capito la mente, gli lanciò un chiaro avvertimento sottoforma di dolore diffuso. Allora si tirò a sedere con lentezza e aspettò che il capogiro sparisse com’era venuto, all’improvviso, e si prese del tempo per esaminare quella che si rivelò essere una spartana camera asettica. Di fianco a quello che era divenuto il suo giaciglio si trovava un comodino metallico con sopra solo una bottiglia d’acqua. Abbassando gli occhi vide alcuni aghi che gli penetravano in entrambe le mani, fissati con dei cerotti, e d’istinto li tolse. Cos’erano? E perché qualcuno glieli aveva messi?

Dove sono?.

La confusione di chi si è smarrito.

Quando si sentì stabile, decise di andarlo a scoprire. Si alzò con estrema cautela, incerto sulle proprie gambe, e mosse qualche timido passo. A vederlo da fuori sembrava un animaletto spaurito che si ritrova smarrito nella prateria senza alcun rifugio nei paraggi in cui poter trovare salvezza. Una piccola porta, che non aveva notato durante la propria analisi della stanza, attirò la sua attenzione e vi si avviò. L’aprì solo per trovarsi all’interno di un minuscolo bagno. Decise di lavarsi il viso, forse un po’ di acqua fresca l’avrebbe aiutato a far chiarezza, ma, avvicinandosi al lavabo di ceramica, restò impietrito davanti all’immagine che lo specchia appeso sopra di esso gli presentò di rimando. Si rese conto, con orrore, di non essersi mai visto prima.

Quello era davvero lui?

Chi sei tu?

Come mi chiamo?

Si portò una mano alla guancia, perso in un’incredulità fanciullesca, e lo specchio lo imitò perfettamente. Capelli biondi, non troppo corti ma scompigliati, una benda a fasciargli la fronte -quella probabilmente spiegava il dolore alla testa-, occhi grigi, pelle pallida su lineamenti duri ma armoniosi. Non poté non chiedersi “questo sono io?”. Lo sbigottimento, però, fu subito rimpiazzato dall’angoscia quando si rese dolorosamente conto che non avrebbe dovuto essere affatto stupito. Avrebbe dovuto conoscersi. L’esserci, l’esistere su questo mondo, doveva implicare per forza il sapersi almeno riconoscere. Eppure lui non ci riusciva e la cosa lo atterriva. Io sono…ma non sapeva completare la frase. Non sapeva darsi un nome.

Come ti chiami?

Chi sei?

L’infinito sconvolgimento di un io estraneo a se stesso.

Quasi con affanno si diresse fuori dal piccolo bagno e per lo shock si sentì svenire. Cominciò a vedere macchie scure che gli appannavano la vista e dovette sedersi sul letto per non cadere, raggiungendolo quasi all’ultimo secondo. Respirò affannosamente per diversi minuti prima di riuscire a riprendere il controllo di se stesso. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era “non so chi sono”, ed era agghiacciante. Si portò le mani al volto e poggiò i gomiti sulle ginocchia, restando immobile così per diversi istanti.

Si ritrovò a sobbalzare quando la porta della stanza si aprì e vide una ragazza, anzi, una giovane donna. Anche lei aveva i capelli biondi, ma erano dolcemente mossi e infiniti, le coprivano la schiena nella sua interezza. Aveva la pelle chiara ma sembrava un pallido malsano, preoccupato. Indossava pantaloni blu ed una camiciola troppo grande per lei. Eppure quell’abbigliamento le donava in qualche modo. Trattenne il fiato nel vederla senza nemmeno sapere perché, per un attimo, solo un attimo, pensò di conoscerla da sempre. Anche lei, dal canto suo, sembrava piuttosto sconcertata, probabilmente non si aspettava di trovarlo sveglio.

Per lunghi istanti nessuno dei due disse niente, rimasero a scrutarsi cercando parole che sembravano voler loro sfuggire. Lui la vide per la prima volta, lei lo riconobbe nel suo cambiamento.

-Dove mi…-

-Come ti…-


Si bloccarono di colpo quando si accorsero di parlarsi addosso. Di aver preso coraggio nello stesso momento. Il silenziò ripiombò nella stanza ma non durò molto, Luna non riuscì ad impedire a se stessa di sciogliere la tensione in una risata cristallina -carezza sulla pelle. Nell’udire quel suono, qualcosa in lui si sbloccò e la tensione che lo aveva portato sull’orlo dello svenimento si distese a poco a poco. La sentiva dilatarsi all’interno del suo petto. In lei c’era qualcosa che sapeva di casa.

-Tu sai cosa mi è successo?-

Lei lo guardò e le si strinse il cuore nel vederlo così pallido, aveva un colorito grigiastro e lo sguardo spaurito. Dov’era Draco Malfoy?

-Hai avuto un incidente in macchia, poco lontano da qui. Non ricordi nulla?- provò a sondare il terreno. Lui sapeva? L’aveva riconosciuta? Da come si comportava le sarebbe dovuto apparire evidente che non ricordasse, eppure la paura ebbe la meglio sulla razionalità.

In risposta lui scosse la testa, mesto.

-C’è solo vuoto. Vedendoti, avevo sperato che tu potessi dirmi qualcosa su chi sono-

Questa volta fu lei a dover scuotere la testa e abbassò lo sguardo. Si sentiva terribilmente colpevole eppure non aveva alcuna possibilità di fare diversamente.

-Mi dispiace, io ti ho trovato dopo che avevi già avuto l’incidente- bugiarda, bugiarda. Si sentì bugiarda. Era vero ciò che aveva detto, ma lei lo conosceva, sapeva il suo nome. Sapeva chi era e avrebbe potuto dargli tutte le risposte di cui aveva bisogno. O forse no.

Una morsa gelida lo attanagliò, nemmeno lei sapeva nulla, proprio come lui.

-Quindi immagino tu non sappia nemmeno il mio nome- mormorò senza troppe speranze.

-Mi dispiace- ripeté lei mordendosi il labbro inferiore. Quasi le prudeva la lingua per la voglia di vuotare il proverbiale sacco. Eppure tacque. C’era troppo in gioco per poter cedere davanti ad un paio di occhi tristi. -Però, se vuoi, posso andare a vedere se la polizia ha trovato i tuoi documenti nella macchina- si affrettò ad aggiungere.

Sensi di colpa maledetti. Sì, si sarebbe inventata qualcosa e almeno il suo nome glielo avrebbe detto. E forse la sua coscienza non l’avrebbe divorata viva.

Decisamente le cose si sarebbero complicate più del previsto.

-Dove mi trovo?-

-A Clifden, in Irlanda- rispose lei e gli tese la mano, quasi esitante. -Io sono Luna Lovegood-

Per un secondo gli parve di vivere un déjà vu, mentre allungava la mano a stringere quella minuta e sottile di lei, ma non se ne seppe spiegare il motivo. Si era presentata la notte precedente? Forse, tuttavia non era proprio in grado di ricordare nulla e quella constatazione gli lasciò una patina gelida sulla pelle.

In quel momento la porta si aprì di nuovo e fecero la loro apparizione un’infermiera e il dottor O’Niel. La donna, particolarmente irritata nel trovare il ragazzo privo di flebo, si affrettò a rimetterle al loro posto, obbligandolo a stendersi nuovamente sul letto. “Vorrai mica romperti il naso cadendo di faccia?” gli aveva borbottato contro. A Luna parve che lui, per un’unica frazione di secondo, ghignò. Un ghigno familiare.

-Allora, come si sente questa mattina?- chiese gioviale il medico al proprio paziente, dopo aver salutato Luna con un cenno del capo. Dapprincipio segnò sulla cartella clinica che teneva fra le mani tutto ciò che Draco gli diceva, poi passò a visitarlo. Oscultò cuore e polmoni, visionò la gola e le varie contusioni mentre l’infermiera medicava i diversi tagli che sfregiavano la pelle del giovane.

Durante la visita, Luna rimase seduta sulla poltroncina in fondo alla stanza, nessuno le aveva detto di uscire e così non lo fece. Non se la sentiva di lasciare Draco e sapeva benissimo il perché. La situazione si fece tesa solo quando O’Niel cominciò a porre domande al ragazzo, chiedendogli del proprio passato, dell’incidente e, infine, il suo nome. Draco era evidentemente a disagio e sembrava sull’orlo di urlare per la frustrazione.

-Forse è troppo presto per una diagnosi definitiva, ma ritengo altamente probabile che lei soffra di amnesia retrograda- esordì alla fine il medico.

-Amnesia retrograda?- il giovane Slytherin era evidentemente confuso.

-Si tratta di una forma di perdita di memoria, nel caso dell’amnesia retrograda il paziente dimentica tutto il proprio passato a seguito di un trauma o di una malattia, ma resta estremamente lucido per quanto riguarda gli avvenimenti successivi al trauma. Credo che questo sia proprio il suo caso. La TAC ha rivelato un forte trauma cranico ed è ad esso che possiamo imputare la sua amnesia-

Luna quasi cadde dalla sedia. -C’è un rimedio? Una cura?-

-No, solo il tempo può far recuperare la memoria al paziente, possono volerci giorni come ore- rispose O’Niel, posando poi una mano sulla spalla del ragazzo. -Non stia a preoccuparsi ora, giovanotto, pensi a riprendersi e uscire di qui, la sua memoria tornerà da sé-

Detto questo lasciò alcune consegne all’infermiera e, dopo aver salutato entrambi i ragazzi, si congedò per continuare il suo giro visite.

Draco chiuse gli occhi, accasciandosi contro la testata del letto, e Luna abbassò lo sguardo sulla cartella clinica, appesa ai piedi di esso. Alla voce “Nome e Cognome” lesse la scritta IGNOTO 12.














*Non so se esista da qualche parte nel mondo, ma il Charity Hospital di Clifden è frutto della mia fantasia.


Note dell'Autrice: 


Ed eccoci con il secondo capitolo. Come il primo, anch'esso è piuttosto tranquillo dal momento che serve a presentare la situazione generale, potremmo dire che la sua utilità è quella di tracciare il sentiero che la storia prenderà nei prossimi capitoli.
Nelle note precedenti, mi sono dimenticata di dire che, probabilmente, l'elenco dei personaggi potrebbe cambiare man mano che la storia procede, come anche il rating che, per il momento, è arancione. Non escludo che in un futuro possa anche tramutarsi in rosso.
Desidero ringraziare coloro che hanno commentato e inserito la storia fra le seguite o le preferite. E' un grandissimo onore e, davvero, vi ringrazio tantissimo.
Se lo desiderate, potete ricevere anticipazioni o seguire lo sviluppo della storia -o di altre future storie- tramite la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/galwayrainpage
Ancora grazie mille.
   
 
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