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Autore: Velvetoscar    29/08/2014    0 recensioni
Louis, con suo sommo orrore, frequenta un'università d'élite in cui Zayn Malik è un nome che conta, Niall Horan non sta zitto un momento, ci sono pianoforti dappertutto, e Harry Styles, l'unico figlio maschio di un ex cantante rock strafatto e pazzo clinico, ha un sorriso perfetto e due occhi spenti. [Larry/minor-Ziam]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1.
 

L'impressione che aveva avuto dalla lettera (che aveva a malapena leggiucchiato) riguardo il suo alloggio era che il suo compagno di stanza sarebbe dovuto arrivare il suo stesso giorno. 

È una prospettiva elettrizzante? No. 

D'altra parte, ha voglia di spicciarsela per poter iniziare ufficialmente a odiare questo coglione? Sì.

E così Louis aspetta.

Aspetta tanto che, con il piede che batte contro il pavimento lucido, lo stomaco gli brontola e gli occhi gli si incrociano, e le dita gli grattano sul tessuto dei jeans. Louis è schifosamente impaziente e odia i ricchi – dove diamine è 'sto bastardo?

Decisamente agitato, decide di passare il tempo a disfare i bagagli – qualcosa che raramente fa. Di solito quando torna da una qualche vacanza o dopo una lunga assenza, le valigie restano in camera sua, gonfie di abiti sgualciti e calzini sporchi, senza che nessuno le tocchi per settimane, a volte mesi. Poi una mattina si sveglia e si chiede "Ma quella maglia…?" e allora quelle escono allo scoperto da sotto pile di pantaloni di tuta e scompiglio, prima di essere energicamente svuotate. 

Ce l'ha per difetto – procrastina sempre, dimentica sempre.

Ma adesso le disfa – un lavoro coi controcazzi, appendendo maglie con grucce vere e proprie e piegando i pantaloni in piccole cataste ordinate – e una volta che la camera è sufficientemente a posto (senza contare il fatto che è veramente troppo spoglia per i suoi gusti; ma in fin dei conti, dopotutto, è solo il primo giorno), parte con le altre stanze della suite. Sta alla larga dalla cucina perché quello sì che è un posto che non ha mai capito. 

Non c'è molto da fare. 

La mancanza dei suoi oggetti personali, combinata con la mole schiacciante di trashume barocco che ingombra le stanze, lasciano poco spazio alla creatività o alla libertà di movimento. In ogni caso, Louis riesce a nascondere al sicuro tutti i quadri semi-angosciosi che sembravano ritrarre episodi di bestiality (non gliene frega un cazzo se c'è un mito greco con Zeus che fa il mutaforma – un uccello che si scopa una ragazza resta sempre un uccello che si scopa una ragazza) e presto, l'atmosfera seriosa inizia a sapere un po' più di casa.

Forse c'è ancora speranza. 

**

Sono passate tre ore buone (e quattro chiamate perse di sua madre di cui rifiuta di occuparsi, grazie) dal suo arrivo e ogni singola, sgangherata scatola di cartone è stata svuotata e scaricata fuori senza tante cerimonie. 

È questo il sapore del successo. 

E della solitudine.

Perché, nonostante abbia già deciso che il futuro coinquilino è la croce della sua esistenza, Louis non può non notare che non sta arrivando. Ed è quasi sera. Il che significa che potrebbe non venire. Il che significa… che passerà la notte da solo. Annoiato. Senza amici né distrazioni. E come diavolo farà, proprio ora che ha voglia di farsi intrattenere?

Senza controllare l'ora perché ciò implicherebbe che gli importa qualcosa, decide risolutamente che lascerà l'appartamento. Se ne andrà, esplorerà, e cenerà in qualche bistrò d'altri tempi per mandare selfie artistiche di lui che sorseggia il tè al tramonto a Stan per farsi invidiare e fargli rimpiangere di non averlo seguito. Perché maledizione, sarà meglio che qualcuno lo invidi se deve sentirsi tanto di merda. 

Prendendo chiavi e sciarpa, Louis toglie le tende e, ignorando il ronzio sempre più denso di ricchi stronzi che affollano il pianoterra, fila via fuori dal cancello e sgattaiola giù per la strada in ciottoli.

Senza mai ma proprio mai chiedersi che fine abbia fatto il suo coinquilino.

**

Certo non si sta facendo seghe mentali. Proprio no. 

È solo che quell'annosa questione continua a spuntare fuori, sedimentandosi nelle sue ossa e rosicchiandogli il cervello: "Colgo quest'incredibile opportunità datami da Charles e costruisco un futuro per me e la mia famiglia? O ci sparo sopra merda, la spalmo sui muri, e spreco fino all'ultima sterlina del cazzo?"

Per l'appunto – l'annosa questione. 

E mentre lacera i meandri della sua mente – e dovrebbe davvero probabilmente venire a tu per tu con la situazione a un certo punto del prossimo futuro con il semestre che comincia tra tre giorni – Louis si costringe a lasciare la testa vuota e neutra, focalizzando invece l'attenzione sul tè in prossimità delle sue labbra. In qualche modo riesce a rovesciarsi ai lati e gli si versa sui pantaloni perché ti pareva, ma lascia correre, e piuttosto assorbe l'eccentricità del bar, sorprendentemente lontano da scuola, più lontano di quanto avesse pensato arrivandoci a piedi; si pente di non essersi messo scarpe migliori.

Ma l'eccentricità può essere interessante fino a un certo punto e dopo aver controllato il suo facebook per la settima volta e mezza in sette minuti consecutivi e dopo due tentativi fallimentari di occhiate agli altri clienti (ma dove sono tutti i manzi di questa città?), Louis se ne va con un nulla di fatto, a parte la macchia di tè a forma di gatto sulla coscia e un cipiglio annoiato. 

Aveva in programma di filarsene dritto a casa, gli andava bene anche solo di ascoltarsi il  suo iPod, isolato dal mondo e dalle tragiche circostanze che lo affliggono – no, non sta facendo una sceneggiata – ma la noia sembra aver avuto la meglio perché prima che possa capacitarsi pienamente della cosa… 

Si sta scattando selfie col filtro vintage sulla strada fuori dal perimetro della scuola.

E se da un lato, sì, parte dell'esistenza di queste foto è dovuta alla necessità di vantarsi con Stan, dall'altro c'è anche una sorta di lento e strisciante affetto che gli sboccia alla radice dello stomaco mentre osserva la strada trafficata ma tranquilla, con i suoi lampioni barocchi e i suoi cesti di fiori, le alte mura antiche dell'università che si ergono fieramente attorno a lui, bagnate di una luce ambrata. 

Forse questo posto non è poi così male, con i suoi aromi di caffè, fiori, e pane caldo. Di sicuro fa un bello sfondo per le foto. 

Non che stia ammettendo alcunché.

Nel bel mezzo di un sorriso finto che, lo riconosce persino lui, è un tantino impertinente, il battito basso e regolare della città è interrotto di colpo dal rimbombo di un motore antico, che rantolando si accende e aumenta sempre più d'intensità. Magari è una macchinina d'epoca che arranca con un vecchietto al volante, cappello in testa e pipa fumante? Non stonerebbe con il luogo. Che cosa incantevole.

Ma poi il rimbombo è al massimo, e lo sgommare delle ruote lo segue subito dietro. 

Temendo istintivamente per la sua vita, Louis salta subito sul marciapiede, facendo una giravolta giusto in tempo per vedere la fonte di quel caos corrergli davanti. 

È una vecchia macchina color panna, molto simile a quella che Louis aveva immaginato – probabilmente degli anni Trenta o Quaranta, il che è di per sé un'impresa – ed è assolutamente splendida da quel (lampo) che riesce a vedere; è una decappottabile aperta, e la pelle bianca dei sedili risplende al sole. 

Ma i suoi occupanti, che non sono nient'affatto vecchi (ne sono tre), rivendicano con opulenza l'abitacolo, due figuri in giacca e cravatta di colori pastello stravaccate insieme davanti, mani a malapena sul volante, e il terzo sul retro, arrampicato sui sedili più che seduto. Il capo scuro e riccio del ragazzo sistemato precariamente si rovescia divertito all'indietro mentre accelerano ancora di più, uscendo dal suo campo visivo, alzando in aria quella che sembra essere (giura) una bottiglia di champagne  e il suono di forti risate segue il trio con i fedora in testa, finché il veicolo non svolta furiosamente l'angolo, scomparendo dalla vista. 

La quiete lasciata sulla loro scia fa quasi più rumore. 

Louis rimane lì impalato senza parole, cellulare in mano, la selfie impertinente ancora sullo schermo. 

Ma che cazzo è stato? 

È successo sul serio? Tre ragazzi acconciati in dei cazzo di completini salmone e panna gli sono appena sfrecciati davanti in una cazzo di macchina vintage perfettamente restaurata, praticamente fuori per metà e sghignazzandosela come se non avessero un pensiero al mondo? E il tutto dimenando in aria una bottiglia di champagne

No, davvero, ma che cazzo?

Com'è ovvio, questa scuola che si-genuflette-all'indietro-a-leccarsi-il-culo-da-sola riesce a essere il ritratto più dolorosamente stereotipato dell'indulgenza e dell'avidità. Com'è ovvio, a frequentarla è un nugolo di mocciosi viziati, con completi su misura e scarpe fatte a mano, a cui manca il benché minimo senso di decoro o sottigliezza. 

Com'è. Schifosamente. Ovvio.

E lui che credeva che questo posto gli stesse iniziando a piacere.

Con l'amarezza e il disprezzo ancora perfettamente integri, Louis infila il cellulare in tasca e si incammina verso casa, ignorando risolutamente le fitte di solitudine alla prospettiva di tornare in un appartamento vuoto. 

(Non che voglia un coinquilino.)

(Soprattutto dopo quello spettacolo in strada. Se è così che sono questi studenti, non ci vuole avere niente a che fare.)

(Non ci aveva trovato nulla di divertente.)

(Proprio zero.)

(Coglioni.)

**

Il giorno dopo Louis si risveglia con una ritrovata percezione di sé.

Perché sì – ha passato la notte completamente solo, senza un'anima con cui scambiare una parola, e gli è piaciuto. Gli è piaciuto veramente un sacco.

Come aveva fatto a sentirsi tanto solo prima? Stare da soli era incredibile. Era la musica di Louis che esplodeva dalle casse stipate negli angoli delle cornici a soffitto, Louis che ballava nello spazio che aveva (nel grado di sgradevolezza che più trovava consono – era pur sempre uno studente di drammaturgia), le cose di Louis che erano sparpagliate a terra in posizioni precise, ed era stato Louis a chiudere le finestre per tenere fuori il caos del mondo esterno senza ripensamenti o preoccupazioni, abbaiando alla luna fino alle prime ore del mattino. 

Potrebbe rovesciare a terra la tivvù detestabilmente gigante e spararla a tutto volume. E andare in giro nudo. 

Era una fottuta meraviglia.

E così Louis si sveglia con la speranza del nuovo giorno sulla punta delle dita mentre queste spostano le coperte del letto, si lava i denti con la gioia della solitudine, e si gratta il sedere mentre fissa sconsolato il frigo vuoto per tutto il cavolo di tempo che gli pare. Perché può.

Alla fine si accomoda su di una delle soffici poltrone di velluto che fanno molto Harry Potter, tè alla mano, e inizia a pianificare la sua giornata. 

Lo chiamerà il Louis Time. Un giorno tutto per sé, per badare ai propri bisogni senza fare finta di dare la priorità a qualcun altro. Con sua madre (che ancora non ha richiamato; salve, sette chiamate perse, ops) a una distanza rinvigorente e nessuna sorella a tirarlo in cinque direzioni diverse, Louis è un uccellino libero, e sarebbe ora che questo uccellino spicchi il volo.

Con le idee che turbinano e il tè caldo nella pancia, Louis apre ogni finestra, senza curarsi del flusso costante di passanti che potrebbe senza difficoltà sbirciare nel suo piccolo santuario (e da quando siamo passati da fossa infernale a santuario, poi? Visto che non sa ancora bene nemmeno perché è qui, ancora non sa come si partecipa alle cene coi professori o come indossare le toghe per gli esami), e invece inspira la fresca aria estiva con rinnovato vigore.

Un giorno tutto per sé. Un giorno senza coinquilino. Che diamine, ogni giorno potrebbe essere un giorno senza coinquilino se quello non si fa vivo. 

"Ma sarebbe un dono di dio," borbotta Louis al caloroso silenzio, sorseggiando un ultimo, significativo sorso di tè. 

Ed è allora, naturalmente, che arriva il suo coinquilino.



--

NdT. Si accettano proposte per una traduzione di "LouisTime" che non sia imbarazzante e/o grammaticalmente assurda. (Alla fine però mi piace di più lasciato così.) Alla prossima!  

   
 
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