PROLOGO
C’erano momenti in cui Sharif
odiava con tutte le sue forze il suo lavoro.
In una
nazione come Alepto, dove deserti sconfinati e distese brulle coperte di ulivi
la facevano da padroni, vi era un gran numero di cittadine e piccoli centri
urbani disseminati qua e là lungo le vecchie piste coloniali, realtà troppo
piccole per essere interessate dalle rotte aeree o dalle linee ferroviarie ad
alta velocità.
Così
diventava indispensabile il ruolo del Coordinatore Distrettuale, veri e propri
burocrati tuttofare che percorrevano incessantemente la nazione da un capo
all’altro portando disposizioni, amministrando la burocrazia ed assicurando il
pieno controllo del Paese da parte delle autorità centrali.
Persino
la MAB si serviva di loro per amministrare la giustizia e la sicurezza nei
distretti più periferici, e a Sharif in particolare era già capitato in passato
di dover lavorare per l’Agenzia, trasportando documenti o coordinando, a volte
personalmente, il trasferimento di qualche detenuto o criminale in attesa di
giudizio.
Ma in
realtà il lavoro che Sharif aveva fatto più spesso, e che stava compiendo anche
in quell’occasione, era quello di un semplice supervisore e coordinatore.
A
quattrocento anni dall’inizio della colonizzazione vi erano ancora insediamenti
che di tanto in tanto spuntavano come funghi in varie parti del deserto, il più
delle volte a seguito della scoperta di nuovi pozzi o giacimenti minerari,
senza contare le grandi proprietà agricole che sorgevano nelle regioni brulle
ma fertili un po’ più vicino al mare, e che alle volte arrivavano a costruirsi
intorno piccole metropoli.
La
regione centro-occidentale di Alepto, profondamente incuneata nel cuore di Kariya, era certamente la più inospitale e proibitiva;
null’altro che interminabili distese di sabbia, basse dune e rocce che
sporgevano qua e là, colonne di pietra alte e massicce simili a mastodontiche
punte di lancia piantate nel suolo dalla mano di qualche gigante.
Eppure,
anche lì qualcuno era riuscito a trovare un motivo per volersi fermare; qualche
anno prima erano stati scoperti nella zona ricchi giacimenti aurei, e come
mosche attirate dal miele un piccolo esercito di avventurieri aveva
immediatamente costruito un insediamento nella zona delle miniere edificando da
un giorno all’altro il villaggio di Tarohua.
Ed era
lì che Sharif era diretto; il suo compito sarebbe stato di mappare e censire
l’insediamento, oltre ad accertare la presenza al suo interno dei servizi
minimi indispensabili nell’attesa che le autorità centrali si adoperassero per
realizzare strutture adeguate.
Non era
la prima volta che in quarantenne impiegato affrontava viaggi così lunghi e
lontani dalla benché minima traccia di civiltà, ma di certo non gli era mai
capitata una tale sequela di sfortune come quella che lo aveva portato a
vagabondare, di notte e da solo, per una stradaccia dissestata e piena di buche
nel bel mezzo del nulla.
Prima il
treno che avrebbe dovuto portarlo a soli cento chilometri dal paese in
questione era stato costretto a deviare per colpa dell’ennesimo guasto alla linea
ferroviaria, costringendolo a prendere a noleggio un vecchio macinino da un
rivenditore d’auto usate che odorava di truffatore lontano un miglio, quindi,
per concludere, il navigatore si era quasi certamente rotto, spedendolo chissà
dove dopo quasi nove ore di viaggio.
«Ma dove
diavolo sono finito?» brontolò cercando di controllare la mappa virtuale
proiettata sul parabrezza dal suo comunicatore
Poi, un
dosso più accentuato degli altri si portò via quanto restava delle sospensioni
anteriori, e percorsi pochi metri sul semiasse dopo un violento sobbalzo la
macchina andò a sbandare, fermandosi, sul bordo della strada.
«Pezzo
d’occasione!» tuonò l’impiegato fuori di sé. «Sì, ma per la discarica!»
Sceso
furente dall’auto provò a constatare se c’era qualche possibilità di farla
ripartire, ma accertata la gravità del danno poté solo rivolgere altre
imprecazioni a quel rigattiere da due soldi immaginando il momento in cui
gliel’avrebbe fatta pagare.
«Aspetta
e vedrai, maledetta carogna! Appena torno alla civiltà ti mando un’ispezione
fiscale, e poi vediamo chi riderà!»
In
realtà, da ridere in quel momento c’era ben poco.
L’assenza
di ripetitori in quella zona impediva di mettersi in contatto per chiedere
aiuto, e Sharif non era sicuro che il
sistema di emergenza satellitare installato in quel vecchio macinino fosse
stato in grado di inviare il segnale d’aiuto. Inoltre, anche nel caso in cui
ciò fosse davvero accaduto, ci sarebbero volute almeno sei ore prima di veder
arrivare qualcuno, e come fosse sorto il sole quel fazzoletto di deserto si
sarebbe tramutato in una fornace.
Non poteva
fidarsi di quel rottame.
Doveva trovare
il modo di comunicare con l’esterno personalmente; quindi, lasciata la
macchina, alla luce di una torcia si avviò a piedi verso una piccola formazione
collinare a destra della strada, distante non più di qualche centinaio di
metri. Forse, salendoci sopra sarebbe riuscito ad avere abbastanza segnale per
usare il comunicatore.
La notte
era calma e silenziosa, e l’assenza di qualsiasi fonte luminosa permetteva alla
luce pallida di Neos e a quella azzurro luminescente di Erithium
di riflettersi come in uno specchio sulla sabbia liscia, colorandola come una
enorme tavola da disegno.
Ma nel
deserto, e questo Sharif avrebbe dovuto saperlo, le distanze potevano risultare
ingannevoli, e invece di pochi minuti impiegò quasi due ore per riuscire,
finalmente, a raggiungerle.
Poi, nel
momento in cui fu abbastanza vicino, vide qualcosa che lo colpì: da oltre il
crinale, tenue ma costante, giungeva una luce, forse artificiale.
Il che
era molto strano.
A dare
retta alle mappe, non vi erano né insediamenti provvisori né stazioni di alcun
genere in quella zona, e certamente nessun villaggio o cittadina.
Rinvigorito
dalla curiosità, Sharif trasse le forze necessarie per dare la scalata a quel
piccolo, e a conti fatti neanche troppo alto, scivolo roccioso, poggiando di
tanto in tanto le mani sulla pietra per aiutarsi nella salita.
Poteva trattarsi
di qualche carovana, e in quel caso sarebbe stata davvero una benedizione.
Il deserto
poteva essere un luogo molto pericoloso, e non era raro che gruppi di mercanti
o viaggiatori formassero delle grandi comitive per affrontare i viaggi più
pericolosi, specie se la destinazione era qualche Paese straniero oltre la
Gola, senza contare che le rotte migratorie dei Tugus
non dovevano essere troppo lontane da lì data la vicinanza al confine.
La speranza
di trovare una inaspettata traccia di civiltà, per quanto arcaica, spinse Sharif
a mettere ancor più vigore nelle gambe indolenzite per le molte ore di treno e
di macchina, ma quando, dopo un lungo incedere, si ritrovò improvvisamente alla
fine della salita, la scena che si aprì dinnanzi a lui lo lasciò impietrito.
Più in basso, la vallata, piatta e
sterminata, rifulgeva alla luce delle due lune.
Enormi quadrati luminosi
scintillanti di un debole ma costante bagliore blu, simile per intensità a
quello emesso continuamente dalla luna Erithium,
emergevano dal terreno sassoso ad uguale distanza l'uno dall'altro, divisi tra
di loro da un preciso dedalo di stradine che formando una rete confluivano
tutte verso il centro, verso una grande casa in stile coloniale arroccata su di
una bassa montagnola.
Sharif restò a fissarlo a lungo,
attonito e inebetito.
Aveva visto già altri campi come
quello nel corso dei suoi viaggi, e molti li aveva anche ispezionati, ma
nessuno aveva mai raggiunto dimensioni simili; dovevano essere come minimo cinque
ettari.
E poi, che ci faceva in un posto
simile? Non aveva mai sentito di piantagioni in quella regione, eppure aveva
sempre pensato di conoscere ogni singolo latifondo di Alepto come il giardino
di casa sua.
Di colpo, uno strano brivido gli attraversò la schiena, e mentre cercava di fermare un fastidioso tremore alla mano che lo tormentava fin da bambino nei momenti di tensione un rumore sordo, come uno scatto metallico, risuonò alle sue spalle.
Il primo colpo raggiunse la spalla, forse per colpa del buio, ma il secondo fu molto più preciso, e grazie all’incantesimo disgregante che avvolgeva le pallottole del contabile Sharif Abbas, prima ancora che il suo corpo già privo di vita potesse cadere a terra, non rimase che polvere.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Eccoci qui dunque con
la seconda parte di “La Città delle Nebbie”.
In realtà, più che di
una seconda storia, si potrebbe parlare piuttosto di una seconda parte, come il
titolo stesso lascia intendere.
Su consiglio della mia
beta di fiducia, infatti, ho deciso di “snellire” la narrazione creando tre
storie distinte corrispondenti alle tre parti in cui è divisa la vicenda (Il
Regno di Cristallo, La Tomba dell’Ambizione e Il Cimitero delle Aquile), anche
per non terrorizzare eventuali nuovi lettori che spaventati dal numero di
capitoli potrebbero decidere di non avventurarsi nella lettura: già sento di
averne pochi^^
Ecco, per ora è tutto.
A presto!^_^
Carlos Olivera