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Autore: _Atlas    30/08/2014    1 recensioni
"Non t'intromettere, straniero! Questa faccenda non ti riguarda, dovresti startene al tuo posto."
L'uomo sorrise, o meglio, ghignò, e da sotto i lunghi e disordinati capelli neri lanciò un'occhiata cupa ai soldati, spingendo con un braccio il piccoletto dietro di sé.
"Vedete di levarvi dalle palle, è solo un ragazzino. E io sono più cittadino di Guardiana di tutte le vostre cagne madri messe assieme. Se la fama di chi porta questa spada non vi ha raggiunto, vi conviene girare i tacchi e non fare storie, poiché ho ucciso gente più importante per motivi molto più futili."
Come si aspettava, dopo un'iniziale esitazione e qualche scambio di sguardi preoccupati, quelli se ne andarono.
[...]
Il viaggiatore si voltò, rinfoderando la spada, e scrutò dall'alto in basso il suo protetto, che dal canto suo lo fissava a bocca aperta con un'espressione meravigliata sul volto.
"Allora, ce l'hai una casa?" Domandò, burbero.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'What if..?'
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Il sole stava quasi per tramontare quando il guerriero ramingo giunse finalmente alla sua meta: la città di Guardiana si stagliava, maestosa e lucente, contro il cielo che andava tingendosi di rosso.

Si concesse un grosso sospiro, dopodiché riprese meccanicamente a camminare e fece il suo ingresso nella sua vecchia patria, con lo spadone agganciato alla schiena accuratamente nascosto sotto il mantello. Se le guardie l'avessero notato, accompagnato dalla sua fama, forse avrebbero potuto fare qualche storia.

Meglio non rischiare. O almeno, non subito.

Mentre percorreva la via principale, diretto a quella del mercato con una meta ben precisa in mente, venne assalito dai ricordi. Pian piano, senza quasi accorgersene, le parti di vita che aveva vissuto in quella città si ricongiungevano a lui, sommergendolo piacevolmente e facendogli quasi credere di non essersene mai andato per così tante volte.

Aveva viaggiato tanto, per un motivo che adesso gli pareva distante, insensato, che ormai aveva dimenticato il suo scopo.

Ma ora, persino la polvere che i suoi stivali sollevavano dalla strada gli sembrava familiare.

Curioso, prese a guardarsi attorno, scoprendo che tutto era cambiato sorprendentemente meno di quanto non si fosse immaginato. Le strade, le abitazioni, le botteghe… tutto sembrava essere immobile all'interno di un proprio tempo imperturbabile.

Oppure la sua memoria era davvero scrausa.

In ogni caso, anche i soliti rumori del mercato in chiusura erano i soliti, comprese le urla di un qualche marmocchio sorpreso a rubare da una bancarella.

Le sue gambe quasi si mossero da sole, ed in un attimo fu sulla larga strada, ora svuotata dei parecchi mercanti che erano soliti popolarla.

Il guerriero si guardò attorno brevemente e, proprio alla fine della via, un venditore infuriato strattonava un ragazzino per il braccio, sbraitandogli contro mentre quello si dimenava nel tentativo di liberarsi. Incuriosito, il viaggiatore si avvicinò, fermandosi a pochi metri poggiato ad un muro, a braccia conserte.

"Quel piccoletto non avrà più di dieci, dodici anni." Si ritrovò a pensare. "Eppure non sembra il classico teppistello orfano… Qualcuno che si prende cura di lui ce l'ha sicuramente."

Mentre ragionava per i fatti suoi, indagò l'aspetto fisico del bambino: aveva i capelli abbastanza lunghi, mossi e scarmigliati, di colore scuro. Gli occhi non li poteva vedere, ma chiaramente si notava la mancanza di un dente -probabilmente un canino superiore- che, visto il labbro ancora un po' gonfio, aveva presumibilmente perso in una zuffa o durante qualche gioco con altri coetanei.

A quanto pare, notò il guerriero, il ragazzino aveva già in un certo senso restituito la merce trafugata, ovvero una mela, che gli era appena caduta di mano. Con leggera sorpresa vide anche come il giovinetto, sfruttando il momento di distrazione del mercante, era riuscito a liberarsi dalla sua ferrea presa per iniziare a correre.

E ci sarebbe anche riuscito trionfalmente, se delle guardie di ronda non fossero piombate sulla scena, attratte dagli schiamazzi come api al miele.

Rapidamente lo circondarono, cominciando ad insultarlo e spintonarlo, come un comune criminale. Oltretutto, il proprietario della merce si era defilato subito dopo il loro arrivo, dunque forse anche lui aveva qualche conto in sospeso con la legge.

Il viaggiatore si alterò, sentendo i muscoli del proprio corpo irrigidirsi.

Stavano davvero andando oltre, dopotutto era solo un ragazzino. Una sgridata e sarebbe ritornato a casa senza problemi.

Nemmeno lui però facilitava il risolversi della situazione, poiché reagiva agli insulti e alle vessazioni in maniera irruenta ed aggressiva, aizzando ancor più i soldati.

Ad un certo punto uno di loro alzò una lancia, pronto a prenderlo a bastonate, e a quel punto il guerriero non resse più. In poche falcate fu lì, e con una mossa fluida estrasse lo spadone dall'elsa chiara dal suo fodero, frapponendolo tra l'alabarda protesa ed il bambino.

Attonite, le guardie fecero un passo indietro, prima che una di loro esordisse con voce forzatamente spavalda:

"Non t'intromettere, straniero! Questa faccenda non ti riguarda, dovresti startene al tuo posto."

L'uomo sorrise, o meglio, ghignò, e da sotto i lunghi e disordinati capelli neri lanciò un'occhiata cupa ai soldati, spingendo con un braccio il piccoletto dietro di sé.

"Vedete di levarvi dalle palle, è solo un ragazzino. E io sono più cittadino di Guardiana di tutte le vostre cagne madri messe assieme. Se la fama di chi porta questa spada non vi ha raggiunto, vi conviene girare i tacchi e non fare storie, poiché ho ucciso gente più importante per motivi molto più futili."

Come si aspettava, dopo un'iniziale esitazione e qualche scambio di sguardi preoccupati, quelli se ne andarono, probabilmente per non rischiare di arrestare qualcuno di importante a loro sconosciuto e subirne le ripercussioni.

Il viaggiatore si voltò, rinfoderando la spada, e scrutò dall'alto in basso il suo protetto, che dal canto suo lo fissava a bocca aperta con un'espressione meravigliata sul volto.

"Allora, ce l'hai una casa?" Domandò, burbero.

Il piccoletto annuì, ma prima che potesse fornire ulteriori spiegazioni il guerriero lo anticipò:

"Bene, allora ti ci accompagnerò più tardi. Prima però ho bisogno di un bel boccale di birra, e si da il caso che proprio qui vicino dovrebbe esserci la locanda di mio cugino. Verrai con me, così che io possa tenerti d'occhio. Non vorrei combinassi altri guai, o che incrociassi di nuovo quei soldati. Sai, non sarebbero amichevoli."

Detto questo, s'incamminò di buon passo, e quando lanciò dietro di sé un'occhiata per verificare se il giovinetto lo stava seguendo, notò come quello, veloce come una faina, si riprendeva la mela che aveva lasciato cadere e se la infilava sotto la tunica.

L'uomo non poté che sorridere divertito.

 

"Oste! Un boccale di birra per un viaggiatore stanco!"

Tuonò il guerriero, spalancando d'impeto la porta dell'uscio della locanda di suo cugino Jovalth e guadagnandosi occhiate, in un primo momento, stupite degli altri avventori che, evidentemente ormai avvezzi ad episodi fuori dalla morale pubblica, tornavano indifferenti alle loro facezie.

Nel mentre il ragazzetto, che aveva ubbidientemente seguito l'uomo fino a quel momento -senza ovviamente spiccicare parola-, trotterellò avanti e andò a sedersi sul bancone, prendendo a mordicchiare la sua mela.

"Che diamine, quanto baccano…" Brontolò un uomo di mezza età, ormai brizzolato, mentre accorreva dal retro rassettandosi il grembiule impolverato.

Mentre l'oste, ancora distratto, si guardava intorno per localizzare chi l'aveva chiamato a gran voce, il guerriero si fece avanti, con un largo sorriso dipinto sul volto.

"Da quanto tempo, cugino! Saranno… dieci, dodici anni?" Esclamò, posandosi sul bancone di fianco al bambino.

Jovalth sollevò gli occhi, e quasi gli cascò la mascella. Si fece pallido in volto e, sollevando una mano tremante, lo indicò.

"Loria?!" Quasi gridò, senza comunque che qualcuno dei suoi avventori si accorgesse di qualcosa. Solo il ragazzino sollevò la testa mora, ancora masticando un pezzo di mela, incuriosito.

Loria sorrise bonariamente, abbassando lo sguardo.

"Hehe, già." Ridacchiò nervosamente, grattandosi la corta barba scura che gli ricopriva la parte bassa del volto, dall'attaccatura dei capelli fino al mento.

"Ti… ti credevo morto." Mormorò il cugino, con gli occhi che cominciavano già a riempirglisi di lacrime.

Non sapendo bene cosa dire, l'ammazzadraghi si chinò di più sul bancone e mise su un altro sorriso, stavolta un po' mesto.

"Beh, sei così dispiaciuto che sia vivo che ti viene da piangere?" Tentò di scherzare.

L'oste sollevò gli occhi su di lui, fissandolo intensamente, dopodiché distolse lo sguardo e si asciugò le guance contro una manica.

"Deficiente. Il solito deficiente." Brontolò, chinandosi a prendere un boccale e a riempirlo di birra. Quando fu colmo, lo porse a Loria, che accettò di buon grado e bevve un lungo sorso.

Calò il silenzio per qualche secondo, poiché tra i due le cose da dire erano tante, ma era passato davvero troppo tempo. Da che parte cominciare?

Su quello, il guerriero si ricordò del bambino, e colse al volo l'opportunità di intavolare un discorso.

"Ah già, ho trovato questo piccoletto mentre venivo qui." Esordì, indicando l'interessato con un gesto del pollice. "Aveva combinato un guaio e delle guardie avevano tutta l'intenzione di volerlo picchiare. Comunque l'ho protetto, ma non è che sai per caso dove sia la sua famiglia? Glielo riporterò più tardi." Concluse, sbadigliando svogliato.

A Jovalth si bloccò il respiro per un attimo, e cercò disperatamente di evitare lo sguardo del cugino spostando gli occhi da una parte all'altra della locanda, pallido in volto.

"Ah, già… Heh… Lui vive qui… Si chiama Tanet." Biascicò alla fine, mandando giù rumorosamente un groppo di saliva. Stavano accadendo troppe cose, e troppo in fretta.

"Piacere, Loria." Disse il guerriero, spostando l'attenzione su Tanet e allungandogli una mano per presentarsi.

Il ragazzino, dopo un attimo di esitazione, la strinse ed annuì.

"Sai, il tuo nome nella vecchia lingua significa Re. Roba importante, no?" Gli sorrise, dopodiché l'ammazzadraghi tornò a posare lo sguardo sull'oste.

"Non sapevo avessi messo sù famiglia, cugino." Ammiccò. "Però devo dire che il piccoletto non ti somiglia per niente…" Disse alla fine, scuotendo la testa.

Jovalth sudava freddo. Pensò seriamente che il suo cuore si sarebbe fermato, tanto batteva concitato.

"Già… Infatti non è figlio mio." Deglutì ancora, incapace di sciogliere quel nodo che si sentiva alla gola. "A tal proposito…" Si bloccò. Non riusciva ad andare avanti.

Loria continuò a fissarlo curioso, silenziosamente incitandolo a continuare. Persino Tanet pareva interessato: aveva persino smesso di masticare.

L'oste trattenne il fiato.

"E' tuo figlio." Sbottò infine, tutto d'un colpo, senza osare alzare lo sguardo.

Quando infine si decise a sollevare la testa, si ritrovò davanti il guerriero a bocca aperta, e così il ragazzino che, con un tonfo, lasciò cadere la sua mela, tanto faticosamente conquistata.

Questa volta il silenzio tra loro durò molto più a lungo. Ad un certo punto Jovalth credette che non si sarebbe mai rotto, se non che in quel momento Loria lasciò andare un sospiro.

"Beh, è sicuramente una sorpresa…" Si grattò la testa, sollevando le sopracciglia.

Chissà come, ma ora non riusciva più a guardare Tanet. Qualcosa glielo impediva, intimorendolo ed incuriosendolo allo stesso tempo.

Per quanto lo riguardava, il ragazzino spostò lo sguardo prima sul guerriero, poi sullo zio, e poi ancora al primo. Infine, balzò giù dal bancone e corse via, uscendo dal retro.

L'ammazzadraghi un po' si vergognò per non aver tentato di fermarlo, ma nemmeno lui aveva idea di come gestire la situazione.

"Caspita, sono appena tornato e già scopro di avere un figlio."

Jovalth scosse la testa, anche lui piuttosto stordito.

"Quando me l'ha portato, Orco si è rifiutato di dirmi chi era la madre. Mi ha detto solo che era morta."

Loria annuì, registrando l'ennesima informazione. Dunque Orco si era preoccupato per lui fino alla fine… era sempre stato certo che un amico del genere non l'avrebbe mai ritrovato.

Tirò l'ennesimo sospiro.

"Penso che… dovrei andare a parlare un po' con Tanet… Dopotutto siamo estranei. Ma non mi sembra giusto lasciarlo lì da solo… Siamo confusi entrambi, se ci parliamo magari ne capiremo qualcosa in più…" Ma mentre parlava, mascherando quei pensieri detti ad alta voce come una richiesta di consiglio rivolta al cugino, già stava camminando verso la porta sul retro e, senza dare possibilità a Jovalth di parlare, era già fuori che si guardava intorno alla fresca aria della sera.

Ad un certo punto colse un movimento e, avvicinandosi, notò una figurina scura rannicchiata contro dei barili sotto la scala esterna.

Le si portò appresso e, chinandoglisi al fianco nell'oscurità che andava infittendosi, cercò di parlare con tono morbido.

"Non hai freddo qua fuori?"

Il ragazzino scosse leggermente la testa, anche se tremava un poco, chiuso nel suo silenzio.

"Non molto loquace, vero?" Commentò gentilmente Loria, sorridendogli.

Sospirando si tolse il mantello e, con un movimento fluido, lo avvolse meglio che poté attorno al corpicino alla sua destra.

Per un attimo Tanet si irrigidì, ma dopo qualche momento parve rilassarsi e si strinse nella cappa tiepida, trovandone anche l'odore in qualche modo confortante.

"… ti ringrazio." Mormorò con una vocina flebile e cristallina, appena udibile.

L'uomo gli sorrise ancora, a disagio. Non sapeva bene come doveva comportarsi.

Era una situazione totalmente nuova per lui.

"Che dire… Ti andrebbe se, d'ora in poi, trascorressimo del tempo assieme? Sai, per conoscerci un po', cose così…" Disse alla fine, incerto, quasi intimidito.

Il bambino annuì, aspirando ancora quell'odore rassicurante. Nemmeno lui sapeva bene cosa fare o cosa dire, anche se di solito aveva una parlantina piuttosto sciolta. Ogni tanto persino suo zio, esasperato, gli intimava un po' di silenzio -cosa che prontamente lui ignorava. Ma ora… era come se le parole non volessero presentarsi, quelle stesse parole che solitamente gli affollavano la mente e ora restavano nascoste.

"Non è che… posso chiamarti papà..?" Mormorò ad un certo punto con voce tremante, così all'improvviso che quasi sussultò lui stesso.

Anche Loria si stupì a quella domanda, così genuina, così pura, così… innocente.

"Ma certo che puoi, piccoletto." Rispose bonariamente -cos'era quel groppo alla gola che gli si era formato? E quel pizzicore che sentiva al naso e agli occhi?-, girando la testa verso Tanet.

Reprimendo quelle sensazioni così strane per lui, allungò un braccio verso suo figlio e, posandogli la mano sulla testa, gli scompigliò gentilmente i capelli scuri, tirandoselo un po' più vicino.

Il ragazzino arrossì leggermente a quel contatto inaspettato, però fu anche travolto da un nuovo calore, un tepore che non aveva mai provato prima di quel giorno. Non aveva idea di cosa doveva aspettarsi da quell'uomo, ed era sicuro che nemmeno lui sapeva bene cos'avrebbe dovuto fare, però sentiva anche che in qualche modo era giusto che fossero lì in quel momento, insieme.

Raccogliendo un po' di coraggio tramite quei pensieri, Tanet spinse fuori dal mantello in cui era avvolto una manina e si allungò ad afferrare una manica della casacca del padre come per accertarsi che fosse davvero lì e che non potesse scomparire da un momento all'altro, che non si tramutasse nell'ombra che per lui era sempre stato, quel fantasma invisibile che nella sua immaginazione gli era sempre stato accanto quando era triste o aveva paura del buio.

Loria si bloccò un momento, stupito ed al tempo stesso incuriosito, e il bambino spostò il contatto dal tessuto al suo braccio, scendendo fino a prendergli la mano.

Il piccolo constatò che era grandissima rispetto alla sua, ed era anche ruvida e calda, in qualche modo protettiva. Si ritrovò a desiderare che quell'uomo restasse con lui.

L'ammazzadraghi, ancora incerto sul da farsi, scelse di seguire quello che gli diceva l'istinto e, un po' incerto, strinse leggermente la presa attorno alla manina del figlio, riuscendo senza fatica a circondarla completamente.

"Prometti di non scomparire." Mormorò il bambino dopo un po'.

Stavolta una lacrima era rotolata lungo la guancia di Loria, senza che egli avesse avuto il tempo di fermarla.

"Promesso." Rispose, abbracciando il figlioletto, in modo un po' impacciato, ma con affetto sincero.

Tanet, un po' più fiducioso, gli si strinse un po' accanto, e i due restarono seduti fuori dalla locanda ancora a lungo, parlando poco e abituandosi gradualmente alla presenza l'uno dell'altro, ancora incerti ma in qualche modo rassicurati.




 

   
 
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