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Autore: khyhan    31/08/2014    1 recensioni
– Ci ritroveremo. – urlò. – E ti amerò di nuovo, te lo prometto. Nella prossima vita. In cento prossime vite. Ogni volta mi innamorerò di nuovo di te. Tu sei mia e il mio cuore è tuo.
Settantotto sono le carte dei Tarocchi, settantotto sono le persone che in tempi antichi hanno ricevuto dono di una magia che è insieme una benedizione e una maledizione, perché con il potere cresce anche il seme della follia.
Nel momento in cui Verity abbandona Roma per seguire un misterioso biglietto trovato accanto a cadavere del suo ragazzo non sapeva che ad attenderla ci sarebbe stato il suo destino. Michael è un ladro che non crede in nessuno a parte se stesso ed è perseguitato dal ricordo del suo amore che ha perduto mille volte. Christian è un medico che ha trovato il senso della vita tra i bassifondi di Calcutta ed è costretto ad abbandonare i suoi principi per salvare centinaia di vite.
La follia e il destino hanno voluto che si incontrassero e finissero ciò che era cominciato più di duemila anni prima. Vendetta e potere scorrono nelle loro vene.
La tragedia e l'amore si intrecciano tra passato e futuro.
E il cerchio sta per chiudersi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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3.1 Singapore

III – L’Imperatrice

Singapore

 

Sail Towers. Singapore, 13 Agosto 2011

 

Michael aveva preparato il suo piano nei giorni precedenti e aveva dovuto attendere che i suoi poteri tornassero prima di poterlo mettere in pratica. Aveva lavorato durante la luna era nuova sentendosi debole e stanco. Per prepararsi aveva dovuto contattare dei vecchi amici e chiedere diversi favori. Inoltre, aveva proposto l’affare a Duchessa che aveva accettato dopo che lui aveva dovuto insistere e rassicurarla che nessuno avrebbe potuto risalire a lei. Alla donna non piaceva l’idea di pestare i piedi a Bowers e prima di poter piazzare la Stella di Bombay avrebbe dovuto attendere che le acque si calmassero, ma Michael sapeva già da chi andare e con il ricavato, avrebbe tenuto Duchessa buona. A lui non gli interessavano i soldi, non per questo furto, perlomeno. Voleva la fama, voleva che gli occhi del mondo fossero puntati su di lui. La notizia doveva arrivare a Bowers e ai suoi alleati in pompa magna: la Luna era appena scesa in guerra.

Con l’auricolare alle orecchie, controllò con il binocolo il piano che voleva sfondare. Era al telefono con Togu, l’ex-agente della Polizia Segreta giapponese e voleva assicurarsi che gli ultimi preparativi fossero in ordine.

– Sicuro che funzioni? – domandò. L’appartamento era immerso nel silenzio e Michael prese il fucile da cecchino che aveva portato fin lassù.

Il piano della piscina era deserto grazie ad alcuni cartelli che lui aveva piazzato giorni prima. Bastava parlare di infezioni da funghi e disinfestazione e la gente si dileguava, permettendogli di fare avanti e indietro indisturbato.

– È come quello della Torre Eiffel, – spiegò Togu – solo più potente.

Michael annuì anche se l’uomo non poteva vederlo. Si fidava di lui e degli oggetti che gli procurava, più di una volta gli erano tornati utili e gli avevano salvato la vita. – Avrai poco tempo. Venti minuti al massimo. Non potevi farlo in silenzio come al tuo solito?

– Per una volta, voglio ogni riflettore e ogni telecamera che il mondo può fornirmi. – anche perché non avrebbe mostrato la sua vera identità.

Aveva già addosso la tuta nera che gli lasciava scoperti solo gli occhi ed era pronto a reagire in caso la polizia ci mettesse meno di quanto avesse previsto. Aveva studiato tutto fin nei minimi particolari, compreso il modo per non lasciare tracce, era stato attento a quello. Voleva dichiarare guerra a Bowers, non compromettersi il lavoro. Il tocco finale sarebbe apparso dopo che si era allontanato da un pezzo.

– Buona fortuna. – gli disse Toguprima di chiudere la conversazione.

Rimasto solo, Michael sorrise. – Alla fortuna si affidano gli incapaci. – prese il fucile che aveva già montato e prese la mira, puntando dove poteva ottenere il massimo danno. La suoneria del cellulare gli trillò nelle orecchie e lui rispose premendo un dito sull’auricolare. La voce automatica lo avvertì che la telefonata sarebbe stata tutta a suo carico, ma lui la accettò comunque.

– Immagino che ci sia un motivo se mi chiami mentre lavoro... – cominciò senza nemmeno controllare chi fosse. Sapeva chi era, c’era una sola persona al mondo che poteva chiamarlo addebitandogli il costo di una telefonata effettuata dall’altra parte del mondo.

– Augurarti buona fortuna? – domandò retorica Alanna.

– Addebitandomi una intercontinentale? Ne facevo a meno, grazie.

Alanna rise. Anche se era al di fuori della sua sfera di influenza, Michael sentì caldo. Il suo doveva essere un riflesso condizionato: la carta del Sole rideva, lui sentiva la temperatura alzarsi. – Pensavo che ti servisse la mia consulenza.

Michael si trattenne dal risponderle qualcosa di tagliente. Era una settimana che non le parlava, da quando lei lo aveva informato che aveva coinvolto l’Eremita dicendogli la futura posizione di Verity. Di tutte le carte esistenti, ce n’erano un paio che detestava in maniera particolare. Era un odio che andava oltre al tempo e anche se non le aveva mai incontrate prima, aveva rivissuto in sogno cos’era successo. Non gli piaceva immischiarsi in prima persona nella guerra per il potere, ma ciò che aveva visto era troppo anche per lui. L’errore dell’Eremita aveva distrutto il suo passato e quello delle persone che aveva amato. Era stato tradito chi aveva considerato un amico per la pelle.

Scosse la testa, tornando in sé. La Luna era stata tradita, non lui. Owen era stato tradito e sua moglie assassinata. E dopo che aveva sognato per notti intere quel passato, aveva deciso di portare avanti il proposito di Owen e vendicarsi. Avrebbe avvertito Bowers di guardarsi le spalle e poi avrebbe dato la caccia all’Eremita.

– L’ultima volta che mi hai chiamato mi è venuta voglia di mandare tutto al diavolo e ucciderti. – le ricordò. Era ancora arrabbiato con lei e se l’avesse avuta sotto mano non sarebbero bastati i quasi cento anni di differenza a proteggerla. Alanna poteva essere più esperta e guardare nel futuro, ma Michael sapeva come accecarla ed essere imprevedibile. – E il fatto che stia pagando una fortuna per ascoltarti ridere non è d’aiuto.

– Ti ho chiamato per dirti di fare attenzione. – piegò lei. Erano rare le volte in cui la sentiva serie e Michael le prestò attenzione. – Appena avrai lo zaffiro tra le mani salta a sinistra. Dovrai spostarti di almeno un metro. Afferra il vaso che ti troverai davanti agli occhi, conta fino a sei e lancialo verso l’anticamera.

– È la prima volta che mi dai istruzioni così precise. Cosa è cambiato? – domandò.

Aveva l’obbiettivo nel mirino e doveva solo fare fuoco. Poteva ancora tornare indietro e progettare un piano meno rumoroso, ma per una volta, voleva fare le cose in grande. 

Era capace di fare due cose contemporaneamente così, mentre sistemava il detonatore radio vicino alla mano, continuò a parlare con il Sole. – Fammi indovinare, Zach ti ha lasciato e vuoi venire a piangere sulla mia spalla? Per questo mi vuoi vivo?

Se avesse avuto una cravatta se la sarebbe allentata per quanto rideva Alanna. Quella ragazza lo faceva soffocare con una telefonata, ma ghignò pensando a turisti, vittime dei suoi sbalzi di umore.

– No! – rispose lei cercando di trattenersi. – È la mia nuova politica lavorativa. Io ti informo e ti addebito sulla carta di credito la mia consulenza. Per salvarti la pelle sono cinquemila euro. Per te, quattromilanovecentonovantanove e novanta centesimi.

Michael sparò e vide attraverso il mirino il generare a ultrasuoni attaccarsi al vetro vicino a uno dei tanti sostegni di metallo che percorrevano l’edificio come un reticolo ordinato di vene. – Se non volessi darti il numero della carta?

Era allegro. Tutto stava procedendo secondo il suo piano e niente lo avrebbe fermato, poteva anche sopportare una chiamata dal Sole e scherzare con lei.

– Posso vedere nel futuro, fratellino. – ci fu un secondo di silenzio e Michael sbuffò con il dito sul pulsante. – Vedo che tiri fuori la carta dal portafoglio, vedo che la passi alla commessa. Bel vestito, Michael, ottimo gusto. Verity lo adorerà. Ecco, vedo i numeri! Vuoi che te li dica per sicurezza? Iniziano con quattro, zero, zero, sei, nove...

Mise giù il detonatore, non voleva perdersi lo spettacolo e aveva un lungo discorso da fare ad Alanna. – Sai che un furto, vero? Mi hai rubato i numeri della carta di credito.

– Tu mi hai rubato un vaso. – protestò lei. Poteva immaginarla mettere il broncio e anche se lei gli stava addebitando una grossa somma, rise. – Era un lascito di mia nonna. E ora è in pezzi.

– Non l’ho distrutto io, – precisò Michael. – ma Verity. Lo usavo come portacravatte. – e gli piaceva vedere le sue cravatte appese al vaso che aveva preso a quella strega. Ogni volta che lo guardava la soddisfazione gli dava i brividi. Si era intrufolato di notte nella sua stanza e glielo aveva portato via tra le risate. Non gli interessava il valore, aveva voluto farle un dispetto.

– Verity che tu hai fatto infuriare e... Ah, attento con il vaso di stasera. È un Ming originale. Sapevo che quello della nonna non aveva valore, ma era un ricordo. – la capacità di Alanna di saltare da un discorso all’altro lo lasciava sempre basito. I suoi discorsi non avevano un filo logico. – Ti sei mai affezionato a qualcuno al punto tale che non vuoi separarti dai suoi oggetti preferiti?

Michael non ebbe bisogno di pensarci. Conservava i biglietti dell’autobus che aveva preso nelle giornate passate con Angéline e ne aveva un cassetto pieno. – Lo sai già. Senti, questa telefonata mi sta costando una fortuna. Facciamo un riassunto veloce. Entro, rubo lo zaffiro, evito quello che arriverà distruggendo un Ming ed esco, giusto?

– È un riassunto così freddo, senza dettagli...

– Alanna! – la rimproverò.

– Sì! Sì! È così! Attento alla Regina di Coppe!

Gli cadde il detonatore di mano. – E quando pensavi di dirmelo? – urlò. Forse era la cosa più importante e Alanna si era dimenticata di informarlo. – Fammi indovinare, hai di nuovo fatto uso di qualcosa? – non era la prima volta che il Sole lo chiamava per dargli delle informazioni a metà e poi lui scopriva che aveva bevuto o si era drogata. Era un vizio la sua carta si portava dietro da secoli e lei sosteneva che le predizioni migliori le faceva dopo una canna.

– Di piccolo... – piagnucolò Alanna al telefono. – Per ampliare la mente.

– Sei fatta. – disse senza mezzi termini. La conosceva e sapeva che quello che lei considerava ‘piccolo’ avrebbe steso l’intera Loco. – Zach che ne pensa?

– È sul divano che canticchia, perso.

Si passò una mano sugli occhi. Certe volte gli sembrava di avere a che fare con una bambina molto piccola. – Ci sentiamo quando smaltisci gli effetti.

– Due ore e trentatré minuti, quindi.

Michael chiuse la telefonata senza salutarla. Gli aveva preso i numeri della carta di credito per addebitargli un servizio che lui non aveva richiesto. Finito con Singapore doveva bloccare la carta e cambiare numero di telefono. Non sarebbe servito a molto, Alanna lo avrebbe rintracciato, ma per qualche tempo sarebbe stato in pace.

Riprese il detonatore e con un sorriso premette il pulsante. Il generatore di ultrasuoni era più potente di quanto immaginasse. I cani ulularono impazziti e tutti i vetri della torre uno delle Sail Towers esplosero provocando una cascata di frammenti sulla strada sottostante.

Michael inseguiva sempre la perfezione e l’ordine. Entrare e uscire senza farsi notare era la sua regola, ma quel complesso lo aveva costruito Bowers e adorava l’idea di distruggerglielo. Non lo aveva fatto a pezzi, ma poteva stimare i danni a diversi milioni che l’uomo avrebbe dovuto sborsare di tasca sua. Nessuna assicurazione avrebbe coperto un danno simile. Non poteva amare di più il suo piano.

Prese il secondo fucile caricato con il rampino e sparò verso la moquette dell’appartamento che gli interessava. Tanto valeva fargli anche un buco nell’appartamento che Bowers aveva tenuto per sé. La corda si tese fino arrivando a fine corsa. Aveva calcolato quanta gliene servisse per attraversare il vuoto sotto di lui e poi aveva aggiunto altri dieci metri per assicurarsi di avere una misura adeguata. – Come vedi, Togu. Non ho bisogno di fortuna, ho il mio ingegno.

Attraversò la distanza tra le due torri mentre sentiva le auto della polizia avvicinarsi a sirene spiegate e le persone urlare. Il terrore era un’arma potente che giocava a suo favore per distogliere l’attenzione. Il cavo era studiato in modo che si confondesse il più possibile con la notte e perfino lui si era vestito in modo da essere visto il meno possibile.

Attira l’occhio da una parte e giocali dall’altra, gli ripeteva sempre suo padre. E Michael aveva bevuto quelle parole imparando a essere un’illusionista.

Arrivato dall’altra parte, al sicuro sul pavimento, sganciò il cavo e attivò l’argano con il telecomando in modo che lo riavvolgesse. Presto sarebbero arrivati anche gli elicotteri e quel cavo avrebbe indicato da dove cominciare. C’era un altro pulsante che doveva premere e non vedeva l’ora di farlo, ma prima doveva aprire la cassaforte.

Aveva studiato le planimetrie riuscendo a rintracciare un file fantasma. Qualche hacker di Bowers non aveva fatto un lavoro accurato e tramite le sue conoscenze era riuscito a trovare quel file. Gli ci erano voluti tre giorni solo per ottenere quelle mappe e non aveva trovato nulla sulla cassaforte. Sapeva che non poteva arrivarci né dal piano inferiore, né da quello superiore, lo spessore delle pareti glielo impedivano e non voleva mettere una bomba. No, doveva dimostrare a Bowers che quello che lui credeva impossibile non lo era per Michael.

Attraversò lo studio arredato con cura. Tutti i vetri della casa erano esplosi, comprese le vetrinette e le bottiglie di liquore. Evitò quello che doveva essere un prezioso brandy e che ora era una pozza sul parquet di sandalo. Si era frantumata perfino una boccetta di inchiostro e ora stava gocciolando dallo scrittoio d’epoca coperto di cuoio, sul pavimento. Quella macchia non sarebbe mai andata via e lui ne era felice.

Entrò nell’anticamera mentre gli elicotteri sorvolavano la torre. Non potevano vederlo perché si trovavano in una stanza interna, ma era appena iniziato il conto alla rovescia per uscire. Per controllare tutti i piani la polizia ci avrebbe messo un po’. Contava che gli uomini partissero sia dall’alto che dal basso e che si incontrassero a metà strada. E immaginava che le guardie fossero già state piazzate a bloccare tutte le uscite. C’erano nove piani sopra la sua testa e doveva aprire la cassaforte in un quarto d’ora. Entrasse i suoi grimaldelli in nylon e fibra di carbonio ed escluse ogni suono attorno a sé. Esisteva solo la cassaforte.

Fischiò, ammirando la porta di acciaio e titanio come se avesse davanti una statua antica. Aveva davanti otto manopole e tre serrature da forzare e poco tempo. Prese carta e penna e si mise al lavoro. Disegnava i diagrammi ogni volta che sentiva uno scatto, e poi segnava i numeri e le combinazioni. Non gli ci volle molto a capire che le manopole avevano un ordine di apertura e anche se avesse trovato le combinazioni per ognuna, doveva sbloccarle nel modo corretto. Riempì i fogli di appunti, disegnando quella che doveva essere la struttura interna del sistema di apertura secondo i suoni che sentiva. Quando lo schema che aveva formato gli sembrò completo divenne il momento di girare le manopole e forzare le serrature, e vedere se le sue intuizioni erano state corrette.

Per quanto quella cassaforte fosse all’avanguardia, Bowers era di vecchio stampo e usava la tecnologia il meno possibile. Il pesante portello scattò in avanti e sorrise. – Esistono solo tre persone al mondo in grado di aprila a questa velocità.

C’erano tesori per svariati milioni, dalle banconote sistemate in bell’ordine sullo scaffale, alle azioni che da sole avrebbero potuto permettergli il ritiro su un’isola e la possibilità di vivere di rendita, ma solo una cosa lo attraeva ed era lo zaffiro stellato posizionato su un cuscino in fondo alla cassaforte. Come aveva potuto suo padre rubarlo per rivenderlo all’uomo che odiavano di più? Non avrebbe mai avuto l’occasione di domandarglielo, ma una volta avuto Bowers tra le mani gli avrebbe estratto la verità.

Prese la gemma e saltò a sinistra come gli aveva indicato Alanna evitando il proiettile diretto alla sua testa. Il suo istinto prese il sopravvento e si abbassò, trovandosi davanti agli occhi un vaso Ming. Gli pianse il cuore, apprezzava l’arte e veder distruggere un capolavoro era terrificante, ma qualcuno lo voleva morto. Conto in silenzio fino a sei e poi lanciò il vaso verso la porta dell’anticamera con tutta la forza che possedeva. Come aveva previsto Alanna il vaso colpì una figura in penombra e cadde a terra, sfracellandosi. Per un attimo lo shock lo svuotò delle energie. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era il vaso fatto a pezzi accanto alla figura svenuta.

Ordinò a se stesso di riprendersi, doveva uscire da lì al più presto.

Il sangue alla tempia della donna asiatica si stava coagulando in fretta, come la ferita si stava rimarginando sotto i suoi occhi. Prese la pistola e gliela puntò addosso, aspettando che lei riprendesse i sensi.

Due pozzi neri puntarono su di lui. – Mi hai fatto male, moccioso.

Non gli piaceva avere un’arma in mano e puntarla contro la faccia di qualcuno ma era costretto a farlo. – E te ne farò di più se non mi dici cosa voglio sapere.

La donna gli fece un sorriso freddo.

Fu percorso da un brivido a quello sguardo. Anche se la teneva sotto mira, si mise al di fuori della sua portata. Aveva riconosciuto il tatuaggio sull’incavo del collo, Togu ne aveva uno simile. Quella donna era letale come poche persone al mondo. – Resta ferma dove sei. – le intimò. Aveva pochissimo tempo e doveva fare una scelta importante. La donna si mise seduta, soppesandolo con sguardo sornione. – Non hai mai premuto un grilletto, vero moccioso?

Lo stava provocando per fargli perdere la pazienza. Lui usava la stessa tattica e sapeva che funzionava. Chi era arrabbiato commetteva errori e chi li faceva era morto. Michael si costrinse a sorridere. – Chi ti dice che non cominci ora?

– Lo avresti già fatto. Regola numero uno: se vuoi uccidere, lo fai subito. Prima spari, le domande dopo.

Era ancora nell’anticamera, incastrato in una stanza senza uscita e lei era sulla porta. Presto la polizia sarebbe arrivata e li avrebbero trovati. Anche se poteva sparire, lei lo aveva visto e avrebbe potuto cercarlo in futuro. No, la donna non poteva uscire dall’appartamento viva.

– Come ti chiami? – domandò. Non sapeva perché stesse perdendo tempo, ma aveva bisogno di sapere il suo nome prima di sparare.

Lei rise. – Adam e Andrian fecero la stessa cosa la prima volta. – scosse la testa, come se stesse ricordando qualcosa di buffo. – Adam poi non ce la fece, mentre Andrian sparò senza esitazione. Bravo e diligente quasi quando Alekseji, il migliore dopo di lui. – sembrava che parlasse da sola, persa nei suoi ricordi, ma lo sguardo non si spostava mai dalla canna della pistola.

– Hai dei figli? – Michael deglutì, non aveva messo in conto quella possibilità. Come poteva vivere con se stesso sapendo di aver tolto una madre a dei figli? Sapeva cosa voleva dire crescere senza una madre, la sua lo odiava e aveva paura di lui.

La donna lo fulminò con lo sguardo. – E dare a mia figlia la possibilità di vivere per sempre mentre io invecchierò fino a morire? Non essere sciocco, bambino. Il mio Andrian è quanto più vicino a un figlio abbia mai avuto, suo fratello invece è inutile.

Michael respirò profondamente due volte. – Dimmi il tuo nome. Sai chi sono, sai cosa posso fare. Non costringermi a usare i miei poteri.

La donna rimase impassibile. – Come hai costretto la Regina di Spade? – chiese con cattiveria. Michael sentì il sangue defluirgli dal viso e la mano che sorreggeva l’arma tremò. – Sappiamo tutto, moccioso. L’Imperatore sa tutto e sta andando a prenderla. Alekseji e Kyle sono sulle sue tracce, ma il mio piccolo Andrian si occuperà di te.

Zitta! – ci mise tutto il suo potere in quell’ordine. Più di quanto ne avesse mai usato, eppure lei rise come se nulla fosse.

– Illusioni, moccioso. Ecco  cos’è il tuo potere. Non hai il controllo, quello appartiene ad altre carte. Fai credere alle persone di averlo e loro ci cascano, ma quando capisci il trucco, non funziona più. Scoprirai sulla tua pelle cosa vuol dire non avere il controllo della propria mente. – estrasse dagli stivali un pugnale e si colpì la voglia a forma di coppa che aveva sopra il ginocchio. La ferita alla testa si riaprì e non smise di sanguinare, così come quella alla gamba. – L’Imperatore ti manda i suoi saluti, Luna.

A Michael cadde l’arma di mano. Si era appena colpita al punto debole da sola, rendendosi vulnerabile a qualsiasi ferita mortale. Non sarebbe più guarita. Michael avrebbe potuto lasciarla lì, si sarebbe salvata se lui se ne fosse andato, ma la donna prese di nuovo il coltello e mirò al petto.

 Si lanciò sulla lama ancora prima di rendersene conto, stringendola fino a tagliarsi la carne. Sentì lo stridere delle ossa contro l’acciaio ma deglutì il dolore cercando di fermarla. – Cosa stai facendo, stupida?

– Obbedisco agli ordini. Sopravvivi a questo, moccioso. – afferrò la mano libera di Michael e la strinse attorno alla lama, serrandola con la propria e affondò il pugnale nel cuore.

Nel momento in cui la mano di lei scivolò via, Michael scattò indietro. Guardò la mano coperta di sangue con un misto di orrore e incredulità. Non contava cosa lui volesse o cosa non avesse fatto, stringeva il coltello che l’aveva uccisa e per le regole della magia questo bastava.

La Regina di Coppe divenne una carta ai suoi piedi, sopra ai vestiti aderenti che aveva indossato, mentre lui fissava il vuoto dove prima c’era la donna. Un bigliettino sporgeva dal taschino della camicetta.

 

Una regina per una regina, Nefer. A te la mossa.

 

Cosa voleva dire? Era così confuso che non riusciva a capirlo, ma non poteva rimanere lì dentro, la polizia avrebbe frugato presto anche quell’appartamento. Si rimise in piedi ancora intontito e si rese invisibile pensando a cosa gli aveva detto la Regina di Coppe. Le sue erano illusioni e credeva di avere il controllo della situazione, ma nel momento in cui lei era morta si era reso conto che non era così. La Regina e lo zaffiro bruciavano nella tasca, accusandolo. In teoria il suo era stato un ottimo guadagno ma aveva lo stomaco chiuso. Una persona era appena morta e sentiva ancora il calore di quelle dita che lo avevano afferrato.

Camminò per i corridoi dell’edificio e scese le scale senza guardare dove mettesse i piedi. Gli ascensori erano fuori uso e lui doveva andarsene ma la sensazione di avere le mani macchiate di sangue non accennava a diminuire. Era la prima volta che succedeva. Non era stato in grado di fermare gli eventi e ora non controllava più il proprio corpo. Si fermò sul pianerottolo del quarantottesimo piano resistendo all’impulso di vomitare. Se lo avesse fatto, avrebbe lasciato dietro di sé delle tracce e non poteva permetterselo.

Quando raggiunse il piano terra, si defilò, ancora invisibile agli occhi, e mise più chilometri possibile tra lui e le Sail Towers. Si chiuse alle spalle la porta del suo rifugio e prese il telefono dalla tasca della tuta aderente.

Fece il numero di Alanna prendendosi carico della chiamata. – Una regina per una regina. Cosa vuol dire? – chiese assicurandosi che nessuno lo sentisse.

Alanna doveva aver smaltito gli effetti delle droghe perché non rise e a Michael vennero di nuovo i brividi. – Negli scacchi è una mossa. Si chiama scambio di regine. Tu mangi quella del tuo avversario e lui...

– ... mangia la tua. – concluse Michael. – L’Imperatore mi ha appena dato la Regina di Coppe. Mi ha costretto a ucciderla.

– Vuol dire che presto andrà a prendersi la Regina di Spade. Non abbiamo più tempo. – rispose lei grave.

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NdA: come avevo anticipato, gli aggiornamenti saranno ormai una volta al mese a causa di vari impegni. Spero comunque che continuiate a seguirmi e che la storia vi continui a piacere. Grazie a tutti.

  
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