III –
L’Imperatrice
Singapore
Sail Towers.
Singapore, 13 Agosto 2011
Michael
aveva preparato il suo piano nei giorni precedenti e aveva dovuto attendere che
i suoi poteri tornassero prima di poterlo mettere in pratica. Aveva lavorato durante
la luna era nuova sentendosi debole e stanco. Per prepararsi aveva dovuto
contattare dei vecchi amici e chiedere diversi favori. Inoltre, aveva proposto
l’affare a Duchessa che aveva accettato dopo che lui aveva dovuto insistere e
rassicurarla che nessuno avrebbe potuto risalire a lei. Alla donna non piaceva
l’idea di pestare i piedi a Bowers e prima di poter piazzare la Stella di
Bombay avrebbe dovuto attendere che le acque si calmassero, ma Michael sapeva
già da chi andare e con il ricavato, avrebbe tenuto Duchessa buona. A lui non
gli interessavano i soldi, non per questo furto, perlomeno. Voleva la fama,
voleva che gli occhi del mondo fossero puntati su di lui. La notizia doveva
arrivare a Bowers e ai suoi alleati in pompa magna: la Luna era appena scesa in
guerra.
Con
l’auricolare alle orecchie, controllò con il binocolo il piano che voleva
sfondare. Era al telefono con Togu, l’ex-agente della Polizia Segreta
giapponese e voleva assicurarsi che gli ultimi preparativi fossero in ordine.
–
Sicuro che funzioni? – domandò. L’appartamento era immerso nel silenzio e
Michael prese il fucile da cecchino che aveva portato fin lassù.
Il
piano della piscina era deserto grazie ad alcuni cartelli che lui aveva
piazzato giorni prima. Bastava parlare di infezioni da funghi e disinfestazione
e la gente si dileguava, permettendogli di fare avanti e indietro indisturbato.
– È
come quello della Torre Eiffel, – spiegò Togu – solo più potente.
Michael
annuì anche se l’uomo non poteva vederlo. Si fidava di lui e degli oggetti che
gli procurava, più di una volta gli erano tornati utili e gli avevano salvato
la vita. – Avrai poco tempo. Venti minuti al massimo. Non potevi farlo in
silenzio come al tuo solito?
–
Per una volta, voglio ogni riflettore e ogni telecamera che il mondo può fornirmi.
– anche perché non avrebbe mostrato la sua vera identità.
Aveva
già addosso la tuta nera che gli lasciava scoperti solo gli occhi ed era pronto
a reagire in caso la polizia ci mettesse meno di quanto avesse previsto. Aveva
studiato tutto fin nei minimi particolari, compreso il modo per non lasciare
tracce, era stato attento a quello. Voleva dichiarare guerra a Bowers, non
compromettersi il lavoro. Il tocco finale sarebbe apparso dopo che si era
allontanato da un pezzo.
–
Buona fortuna. – gli disse Toguprima di chiudere la conversazione.
Rimasto
solo, Michael sorrise. – Alla fortuna si affidano gli incapaci. – prese il
fucile che aveva già montato e prese la mira, puntando dove poteva ottenere il
massimo danno. La suoneria del cellulare gli trillò nelle orecchie e lui
rispose premendo un dito sull’auricolare. La voce automatica lo avvertì che la
telefonata sarebbe stata tutta a suo carico, ma lui la accettò comunque.
–
Immagino che ci sia un motivo se mi chiami mentre lavoro... – cominciò senza
nemmeno controllare chi fosse. Sapeva chi era, c’era una sola persona al mondo
che poteva chiamarlo addebitandogli il costo di una telefonata effettuata
dall’altra parte del mondo.
–
Augurarti buona fortuna? – domandò retorica Alanna.
–
Addebitandomi una intercontinentale? Ne facevo a meno, grazie.
Alanna
rise. Anche se era al di fuori della sua sfera di influenza, Michael sentì
caldo. Il suo doveva essere un riflesso condizionato: la carta del Sole rideva,
lui sentiva la temperatura alzarsi. – Pensavo che ti servisse la mia
consulenza.
Michael
si trattenne dal risponderle qualcosa di tagliente. Era una settimana che non
le parlava, da quando lei lo aveva informato che aveva coinvolto l’Eremita dicendogli
la futura posizione di Verity. Di tutte le carte esistenti, ce n’erano un paio
che detestava in maniera particolare. Era un odio che andava oltre al tempo e
anche se non le aveva mai incontrate prima, aveva rivissuto in sogno cos’era
successo. Non gli piaceva immischiarsi in prima persona nella guerra per il potere,
ma ciò che aveva visto era troppo anche per lui. L’errore dell’Eremita aveva
distrutto il suo passato e quello delle persone che aveva amato. Era stato
tradito chi aveva considerato un amico per la pelle.
Scosse
la testa, tornando in sé. La Luna era stata tradita, non lui. Owen era stato
tradito e sua moglie assassinata. E dopo che aveva sognato per notti intere
quel passato, aveva deciso di portare avanti il proposito di Owen e vendicarsi.
Avrebbe avvertito Bowers di guardarsi le spalle e poi avrebbe dato la caccia
all’Eremita.
–
L’ultima volta che mi hai chiamato mi è venuta voglia di mandare tutto al
diavolo e ucciderti. – le ricordò. Era ancora arrabbiato con lei e se l’avesse
avuta sotto mano non sarebbero bastati i quasi cento anni di differenza a
proteggerla. Alanna poteva essere più esperta e guardare nel futuro, ma Michael
sapeva come accecarla ed essere imprevedibile. – E il fatto che stia pagando
una fortuna per ascoltarti ridere non è d’aiuto.
–
Ti ho chiamato per dirti di fare attenzione. – piegò lei. Erano rare le volte
in cui la sentiva serie e Michael le prestò attenzione. – Appena avrai lo
zaffiro tra le mani salta a sinistra. Dovrai spostarti di almeno un metro.
Afferra il vaso che ti troverai davanti agli occhi, conta fino a sei e lancialo
verso l’anticamera.
– È
la prima volta che mi dai istruzioni così precise. Cosa è cambiato? – domandò.
Aveva
l’obbiettivo nel mirino e doveva solo fare fuoco. Poteva ancora tornare
indietro e progettare un piano meno rumoroso, ma per una volta, voleva fare le
cose in grande.
Era
capace di fare due cose contemporaneamente così, mentre sistemava il detonatore
radio vicino alla mano, continuò a parlare con il Sole. – Fammi indovinare,
Zach ti ha lasciato e vuoi venire a piangere sulla mia spalla? Per questo mi
vuoi vivo?
Se
avesse avuto una cravatta se la sarebbe allentata per quanto rideva Alanna. Quella
ragazza lo faceva soffocare con una telefonata, ma ghignò pensando a turisti,
vittime dei suoi sbalzi di umore.
–
No! – rispose lei cercando di trattenersi. – È la mia nuova politica
lavorativa. Io ti informo e ti addebito sulla carta di credito la mia
consulenza. Per salvarti la pelle sono cinquemila euro. Per te,
quattromilanovecentonovantanove e novanta centesimi.
Michael
sparò e vide attraverso il mirino il generare a ultrasuoni attaccarsi al vetro
vicino a uno dei tanti sostegni di metallo che percorrevano l’edificio come un
reticolo ordinato di vene. – Se non volessi darti il numero della carta?
Era
allegro. Tutto stava procedendo secondo il suo piano e niente lo avrebbe
fermato, poteva anche sopportare una chiamata dal Sole e scherzare con lei.
–
Posso vedere nel futuro, fratellino. – ci fu un secondo di silenzio e Michael
sbuffò con il dito sul pulsante. – Vedo che tiri fuori la carta dal portafoglio,
vedo che la passi alla commessa. Bel vestito, Michael, ottimo gusto. Verity lo
adorerà. Ecco, vedo i numeri! Vuoi che te li dica per sicurezza? Iniziano con
quattro, zero, zero, sei, nove...
Mise
giù il detonatore, non voleva perdersi lo spettacolo e aveva un lungo discorso
da fare ad Alanna. – Sai che un furto, vero? Mi hai rubato i numeri della carta
di credito.
–
Tu mi hai rubato un vaso. – protestò lei. Poteva immaginarla mettere il broncio
e anche se lei gli stava addebitando una grossa somma, rise. – Era un lascito
di mia nonna. E ora è in pezzi.
– Non
l’ho distrutto io, – precisò Michael. – ma Verity. Lo usavo come portacravatte.
– e gli piaceva vedere le sue cravatte appese al vaso che aveva preso a quella
strega. Ogni volta che lo guardava la soddisfazione gli dava i brividi. Si era
intrufolato di notte nella sua stanza e glielo aveva portato via tra le risate.
Non gli interessava il valore, aveva voluto farle un dispetto.
– Verity
che tu hai fatto infuriare e... Ah, attento con il vaso di stasera. È un Ming
originale. Sapevo che quello della nonna non aveva valore, ma era un ricordo. –
la capacità di Alanna di saltare da un discorso all’altro lo lasciava sempre
basito. I suoi discorsi non avevano un filo logico. – Ti sei mai affezionato a
qualcuno al punto tale che non vuoi separarti dai suoi oggetti preferiti?
Michael
non ebbe bisogno di pensarci. Conservava i biglietti dell’autobus che aveva
preso nelle giornate passate con Angéline e ne aveva un cassetto pieno. – Lo
sai già. Senti, questa telefonata mi sta costando una fortuna. Facciamo un
riassunto veloce. Entro, rubo lo zaffiro, evito quello che arriverà
distruggendo un Ming ed esco, giusto?
– È
un riassunto così freddo, senza dettagli...
–
Alanna! – la rimproverò.
–
Sì! Sì! È così! Attento alla Regina di Coppe!
Gli
cadde il detonatore di mano. – E quando pensavi di dirmelo? – urlò. Forse era
la cosa più importante e Alanna si era dimenticata di informarlo. – Fammi
indovinare, hai di nuovo fatto uso di qualcosa? – non era la prima volta che il
Sole lo chiamava per dargli delle informazioni a metà e poi lui scopriva che
aveva bevuto o si era drogata. Era un vizio la sua carta si portava dietro da
secoli e lei sosteneva che le predizioni migliori le faceva dopo una canna.
–
Di piccolo... – piagnucolò Alanna al telefono. – Per ampliare la mente.
–
Sei fatta. – disse senza mezzi termini. La conosceva e sapeva che quello che
lei considerava ‘piccolo’ avrebbe steso l’intera Loco. – Zach che ne pensa?
– È
sul divano che canticchia, perso.
Si
passò una mano sugli occhi. Certe volte gli sembrava di avere a che fare con
una bambina molto piccola. – Ci sentiamo quando smaltisci gli effetti.
–
Due ore e trentatré minuti, quindi.
Michael
chiuse la telefonata senza salutarla. Gli aveva preso i numeri della carta di
credito per addebitargli un servizio che lui non aveva richiesto. Finito con
Singapore doveva bloccare la carta e cambiare numero di telefono. Non sarebbe
servito a molto, Alanna lo avrebbe rintracciato, ma per qualche tempo sarebbe
stato in pace.
Riprese
il detonatore e con un sorriso premette il pulsante. Il generatore di
ultrasuoni era più potente di quanto immaginasse. I cani ulularono impazziti e
tutti i vetri della torre uno delle Sail Towers esplosero provocando una
cascata di frammenti sulla strada sottostante.
Michael
inseguiva sempre la perfezione e l’ordine. Entrare e uscire senza farsi notare
era la sua regola, ma quel complesso lo aveva costruito Bowers e adorava l’idea
di distruggerglielo. Non lo aveva fatto a pezzi, ma poteva stimare i danni a
diversi milioni che l’uomo avrebbe dovuto sborsare di tasca sua. Nessuna
assicurazione avrebbe coperto un danno simile. Non poteva amare di più il suo
piano.
Prese
il secondo fucile caricato con il rampino e sparò verso la moquette dell’appartamento
che gli interessava. Tanto valeva fargli anche un buco nell’appartamento che
Bowers aveva tenuto per sé. La corda si tese fino arrivando a fine corsa. Aveva
calcolato quanta gliene servisse per attraversare il vuoto sotto di lui e poi
aveva aggiunto altri dieci metri per assicurarsi di avere una misura adeguata.
– Come vedi, Togu. Non ho bisogno di fortuna, ho il mio ingegno.
Attraversò
la distanza tra le due torri mentre sentiva le auto della polizia avvicinarsi a
sirene spiegate e le persone urlare. Il terrore era un’arma potente che giocava
a suo favore per distogliere l’attenzione. Il cavo era studiato in modo che si
confondesse il più possibile con la notte e perfino lui si era vestito in modo
da essere visto il meno possibile.
Attira l’occhio da una parte e
giocali dall’altra, gli
ripeteva sempre suo padre. E Michael aveva bevuto quelle parole imparando a
essere un’illusionista.
Arrivato
dall’altra parte, al sicuro sul pavimento, sganciò il cavo e attivò l’argano
con il telecomando in modo che lo riavvolgesse. Presto sarebbero arrivati anche
gli elicotteri e quel cavo avrebbe indicato da dove cominciare. C’era un altro
pulsante che doveva premere e non vedeva l’ora di farlo, ma prima doveva aprire
la cassaforte.
Aveva
studiato le planimetrie riuscendo a rintracciare un file fantasma. Qualche hacker di Bowers non aveva fatto un lavoro
accurato e tramite le sue conoscenze era riuscito a trovare quel file. Gli ci erano voluti tre giorni
solo per ottenere quelle mappe e non aveva trovato nulla sulla cassaforte.
Sapeva che non poteva arrivarci né dal piano inferiore, né da quello superiore,
lo spessore delle pareti glielo impedivano e non voleva mettere una bomba. No,
doveva dimostrare a Bowers che quello che lui credeva impossibile non lo era
per Michael.
Attraversò
lo studio arredato con cura. Tutti i vetri della casa erano esplosi, comprese
le vetrinette e le bottiglie di liquore. Evitò quello che doveva essere un
prezioso brandy e che ora era una pozza sul parquet di sandalo. Si era frantumata
perfino una boccetta di inchiostro e ora stava gocciolando dallo scrittoio
d’epoca coperto di cuoio, sul pavimento. Quella macchia non sarebbe mai andata
via e lui ne era felice.
Entrò
nell’anticamera mentre gli elicotteri sorvolavano la torre. Non potevano
vederlo perché si trovavano in una stanza interna, ma era appena iniziato il
conto alla rovescia per uscire. Per controllare tutti i piani la polizia ci
avrebbe messo un po’. Contava che gli uomini partissero sia dall’alto che dal
basso e che si incontrassero a metà strada. E immaginava che le guardie fossero
già state piazzate a bloccare tutte le uscite. C’erano nove piani sopra la sua
testa e doveva aprire la cassaforte in un quarto d’ora. Entrasse i suoi
grimaldelli in nylon e fibra di carbonio ed escluse ogni suono attorno a sé.
Esisteva solo la cassaforte.
Fischiò,
ammirando la porta di acciaio e titanio come se avesse davanti una statua
antica. Aveva davanti otto manopole e tre serrature da forzare e poco tempo.
Prese carta e penna e si mise al lavoro. Disegnava i diagrammi ogni volta che
sentiva uno scatto, e poi segnava i numeri e le combinazioni. Non gli ci volle
molto a capire che le manopole avevano un ordine di apertura e anche se avesse
trovato le combinazioni per ognuna, doveva sbloccarle nel modo corretto. Riempì
i fogli di appunti, disegnando quella che doveva essere la struttura interna del
sistema di apertura secondo i suoni che sentiva. Quando lo schema che aveva
formato gli sembrò completo divenne il momento di girare le manopole e forzare
le serrature, e vedere se le sue intuizioni erano state corrette.
Per
quanto quella cassaforte fosse all’avanguardia, Bowers era di vecchio stampo e
usava la tecnologia il meno possibile. Il pesante portello scattò in avanti e
sorrise. – Esistono solo tre persone al mondo in grado di aprila a questa
velocità.
C’erano
tesori per svariati milioni, dalle banconote sistemate in bell’ordine sullo
scaffale, alle azioni che da sole avrebbero potuto permettergli il ritiro su
un’isola e la possibilità di vivere di rendita, ma solo una cosa lo attraeva ed
era lo zaffiro stellato posizionato su un cuscino in fondo alla cassaforte.
Come aveva potuto suo padre rubarlo per rivenderlo all’uomo che odiavano di
più? Non avrebbe mai avuto l’occasione di domandarglielo, ma una volta avuto
Bowers tra le mani gli avrebbe estratto la verità.
Prese
la gemma e saltò a sinistra come gli aveva indicato Alanna evitando il
proiettile diretto alla sua testa. Il suo istinto prese il sopravvento e si
abbassò, trovandosi davanti agli occhi un vaso Ming. Gli pianse il cuore,
apprezzava l’arte e veder distruggere un capolavoro era terrificante, ma
qualcuno lo voleva morto. Conto in silenzio fino a sei e poi lanciò il vaso
verso la porta dell’anticamera con tutta la forza che possedeva. Come aveva
previsto Alanna il vaso colpì una figura in penombra e cadde a terra,
sfracellandosi. Per un attimo lo shock lo svuotò delle energie. L’unica cosa a
cui riusciva a pensare era il vaso fatto a pezzi accanto alla figura svenuta.
Ordinò
a se stesso di riprendersi, doveva uscire da lì al più presto.
Il
sangue alla tempia della donna asiatica si stava coagulando in fretta, come la
ferita si stava rimarginando sotto i suoi occhi. Prese la pistola e gliela
puntò addosso, aspettando che lei riprendesse i sensi.
Due
pozzi neri puntarono su di lui. – Mi hai fatto male, moccioso.
Non gli piaceva avere un’arma in mano e puntarla contro la
faccia di qualcuno ma era costretto a farlo. – E te ne farò di più se non mi
dici cosa voglio sapere.
La donna gli fece un sorriso freddo.
Fu percorso da un brivido a quello sguardo. Anche se la
teneva sotto mira, si mise al di fuori della sua portata. Aveva riconosciuto il
tatuaggio sull’incavo del collo, Togu ne aveva uno simile. Quella donna era
letale come poche persone al mondo. – Resta ferma dove sei. – le intimò. Aveva
pochissimo tempo e doveva fare una scelta importante. La donna si mise seduta,
soppesandolo con sguardo sornione. – Non hai mai premuto un grilletto, vero
moccioso?
Lo stava provocando per fargli perdere la pazienza. Lui usava
la stessa tattica e sapeva che funzionava. Chi era arrabbiato commetteva errori
e chi li faceva era morto. Michael si costrinse a sorridere. – Chi ti dice che
non cominci ora?
– Lo avresti già fatto. Regola numero uno: se vuoi uccidere,
lo fai subito. Prima spari, le domande dopo.
Era ancora nell’anticamera, incastrato in una stanza senza
uscita e lei era sulla porta. Presto la polizia sarebbe arrivata e li avrebbero
trovati. Anche se poteva sparire, lei lo aveva visto e avrebbe potuto cercarlo
in futuro. No, la donna non poteva uscire dall’appartamento viva.
– Come ti chiami? – domandò. Non sapeva perché stesse
perdendo tempo, ma aveva bisogno di sapere il suo nome prima di sparare.
Lei rise. – Adam e Andrian fecero la stessa cosa la prima
volta. – scosse la testa, come se stesse ricordando qualcosa di buffo. – Adam
poi non ce la fece, mentre Andrian sparò senza esitazione. Bravo e diligente
quasi quando Alekseji, il migliore dopo di lui. – sembrava che parlasse da sola,
persa nei suoi ricordi, ma lo sguardo non si spostava mai dalla canna della
pistola.
– Hai dei figli? – Michael deglutì, non aveva messo in conto
quella possibilità. Come poteva vivere con se stesso sapendo di aver tolto una
madre a dei figli? Sapeva cosa voleva dire crescere senza una madre, la sua lo
odiava e aveva paura di lui.
La donna lo fulminò con lo sguardo. – E dare a mia figlia la
possibilità di vivere per sempre mentre io invecchierò fino a morire? Non
essere sciocco, bambino. Il mio Andrian è quanto più vicino a un figlio abbia
mai avuto, suo fratello invece è inutile.
Michael respirò profondamente due volte. – Dimmi il tuo nome.
Sai chi sono, sai cosa posso fare. Non costringermi a usare i miei poteri.
La donna rimase impassibile. – Come hai costretto la Regina
di Spade? – chiese con cattiveria. Michael sentì il sangue defluirgli dal viso
e la mano che sorreggeva l’arma tremò. – Sappiamo tutto, moccioso. L’Imperatore
sa tutto e sta andando a prenderla. Alekseji e Kyle sono sulle sue tracce, ma
il mio piccolo Andrian si occuperà di te.
– Zitta! – ci mise
tutto il suo potere in quell’ordine. Più di quanto ne avesse mai usato, eppure
lei rise come se nulla fosse.
– Illusioni, moccioso. Ecco
cos’è il tuo potere. Non hai il controllo,
quello appartiene ad altre carte. Fai credere alle persone di averlo e loro ci
cascano, ma quando capisci il trucco, non funziona più. Scoprirai sulla tua
pelle cosa vuol dire non avere il controllo della propria mente. – estrasse
dagli stivali un pugnale e si colpì la voglia a forma di coppa che aveva sopra
il ginocchio. La ferita alla testa si riaprì e non smise di sanguinare, così
come quella alla gamba. – L’Imperatore ti manda i suoi saluti, Luna.
A Michael cadde l’arma di mano. Si era appena colpita al
punto debole da sola, rendendosi vulnerabile a qualsiasi ferita mortale. Non
sarebbe più guarita. Michael avrebbe potuto lasciarla lì, si sarebbe salvata se
lui se ne fosse andato, ma la donna prese di nuovo il coltello e mirò al petto.
Si lanciò sulla lama ancora
prima di rendersene conto, stringendola fino a tagliarsi la carne. Sentì lo
stridere delle ossa contro l’acciaio ma deglutì il dolore cercando di fermarla.
– Cosa stai facendo, stupida?
– Obbedisco agli ordini. Sopravvivi a questo, moccioso. –
afferrò la mano libera di Michael e la strinse attorno alla lama, serrandola
con la propria e affondò il pugnale nel cuore.
Nel momento in cui la mano di lei scivolò via, Michael scattò
indietro. Guardò la mano coperta di sangue con un misto di orrore e incredulità.
Non contava cosa lui volesse o cosa non avesse fatto, stringeva il coltello che
l’aveva uccisa e per le regole della magia questo bastava.
La Regina di Coppe divenne una carta ai suoi piedi, sopra ai
vestiti aderenti che aveva indossato, mentre lui fissava il vuoto dove prima
c’era la donna. Un bigliettino sporgeva dal taschino della camicetta.
Una regina per una
regina, Nefer. A te la mossa.
Cosa voleva dire? Era così confuso che non riusciva a capirlo,
ma non poteva rimanere lì dentro, la polizia avrebbe frugato presto anche
quell’appartamento. Si rimise in piedi ancora intontito e si rese invisibile
pensando a cosa gli aveva detto la Regina di Coppe. Le sue erano illusioni e credeva
di avere il controllo della situazione, ma nel momento in cui lei era morta si
era reso conto che non era così. La Regina e lo zaffiro bruciavano nella tasca,
accusandolo. In teoria il suo era stato un ottimo guadagno ma aveva lo stomaco
chiuso. Una persona era appena morta e sentiva ancora il calore di quelle dita
che lo avevano afferrato.
Camminò per i corridoi dell’edificio e scese le scale senza
guardare dove mettesse i piedi. Gli ascensori erano fuori uso e lui doveva
andarsene ma la sensazione di avere le mani macchiate di sangue non accennava a
diminuire. Era la prima volta che succedeva. Non era stato in grado di fermare
gli eventi e ora non controllava più il proprio corpo. Si fermò sul
pianerottolo del quarantottesimo piano resistendo all’impulso di vomitare. Se
lo avesse fatto, avrebbe lasciato dietro di sé delle tracce e non poteva
permetterselo.
Quando raggiunse il piano terra, si defilò, ancora invisibile
agli occhi, e mise più chilometri possibile tra lui e le Sail Towers. Si chiuse
alle spalle la porta del suo rifugio e prese il telefono dalla tasca della tuta
aderente.
Fece il numero di Alanna prendendosi carico della chiamata. –
Una regina per una regina. Cosa vuol dire? – chiese assicurandosi che nessuno
lo sentisse.
Alanna doveva aver smaltito gli effetti delle droghe perché
non rise e a Michael vennero di nuovo i brividi. – Negli scacchi è una mossa.
Si chiama scambio di regine. Tu mangi quella del tuo avversario e lui...
– ... mangia la tua. – concluse Michael. – L’Imperatore mi ha
appena dato la Regina di Coppe. Mi ha costretto a ucciderla.
– Vuol dire che presto andrà a prendersi la Regina di Spade. Non abbiamo più tempo. – rispose lei grave.
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NdA:
come avevo anticipato, gli aggiornamenti saranno ormai una volta al
mese a causa di vari impegni. Spero comunque che continuiate a seguirmi
e che la storia vi continui a piacere. Grazie a tutti.