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Autore: SylviettaMyss    31/08/2014    2 recensioni
... se nuovamente un pazzo creasse un gioco dove le persone muoiono veramente?
... se la figlia di Kirito si trovasse in quel gioco?
... se incontrasse niente-popò-di meno che Kai Hiwatari, finito anche lui lì per caso?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Asuna Yuuki, Kazuto Kirigaya, Un po' tutti, Yui
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Uno strano gioco ( parte 1)
 
What's wrong, what's wrong now? 
too many, too many problems
don't know where she belongs, where she belongs
she wants to go home, but nobody's home
it's where she lies, broken inside

with no place to go, no place to go to dry her eyes
broken inside
AVRIL LAVIGNE - NOBODY'S HOME


Era l’ultimo giorno di scuola. La sveglia aveva suonato tintinnando una cantilena insopportabile. Di tutta risposta, lei l’aveva gettata a terra. Poi si era messa seduta, con i capelli arruffati e si era grattata la testa. Sbadigliando ancora per il sonno, si sedette al bordo del letto mettendosi le pantofole. Si avvicinò allo specchio e al lavandino. Lavandosi i denti, notò come la tinta le era riuscita bene, nonostante non fosse molto abile nel farla. Aveva deciso di tingersi i capelli per far dispetto a suo padre, poi odiava quel tremendo color corvino. Almeno gli occhi le piacevano, avevano un bellissimo colore: azzurro ghiaccio. Sputò l’acqua, poi si pettinò. Infine, si mise un po’ d’ombretto color glicine e una linea di eyeliner nero. Poi la divisa, finalmente quello era l’ultimo giorno che doveva metterla. La odiava, non le importava se era della stessa scuola frequentata dai suoi, anni prima. Scese al piano di sotto, dove, come al solito, la stanza era vuota. Un biglietto e la colazione. Suo padre era un programmatore e stava via quasi tutto il giorno mentre sua madre, una pediatra, aveva i turni in ospedale. Li vedeva di rado e odiava il lavoro di suo padre. Per tutta la vita lo aveva visto ricurvo sui computer a premere tasti sulla tastiera.  

Una volta, quando era piccola, era scappata da letto mentre tutti dormivano. Voleva capire perché suo padre passasse tutte quelle ore davanti al computer. Sapeva che stava progettando un nuovo gioco, o era quello che aveva capito. Così, era andata nel suo studio e si era arrampicata sulla sedia. Accese il monitor e vide una bambina sullo schermo. Cosa ci faceva una bambina nel gioco che stava progettando suo padre? Decise di indagare. La bambina sullo schermo si girò. – Sei tu, papà? – Chiese. Si allontanò dallo schermo. Non sapeva di avere una sorella. – Chi sei? – Le chiese. – Sono Yui! – Rispose quella bambina. – Sei mia sorella? - Chiese ancora. La bambina non rispose, si limitò a sorriderle. Lei continuava a non capire. Continuava a fissarla, non le somigliava nemmeno. Improvvisamente, la porta si aprì. – Ayame, cosa stai facendo qui?! – Le chiese suo padre, serio. Poi si avvicinò allo schermo e lo spense. Lei scoppiò a piangere. – Dovevate dirmelo che avevo una sorellina! – Sbraitò, tra le lacrime. – Ecco perché non mi vuoi bene, papà! – concluse, scappando via.

Da quando si ricorda, i rapporti con suo padre erano sempre stati superficiali. Non sapeva nemmeno se gli voleva b
ene o no. A volte si domandava perfino se fosse figlia sua, se non fosse nata da qualche relazione che aveva avuto sua madre o se fosse stata addirittura adottata. Nel dubbio, una volta aveva fatto fare il test del DNA, facendo infuriare l’uomo. – Pensavi di non essere nostra figlia? – Le aveva poi gridato contro. – Visto la considerazione che mi dai? Si! L’ho pensato! – Aveva poi risposto lei. Poi se ne era andata, sbattendo la porta e sentendo sua madre che la difendeva dicendo che era un adolescente e che le sarebbe passata. Ma non le passò mai. Non l’amava, non l’odiava, la sua presenza le era del tutto indifferente.

Non era un adolescente, non si sentiva tale. Si sentiva piuttosto una piccola donna, visto che doveva sempre cavarsela da sola. Anche quel giorno.

Trovò un bigliettino, e dei soldi. Almeno sua madre si era ricordata di farle gli auguri. Quel giorno compiva sedici anni.

S’incamminò per strada per andare a scuola. Mentre camminava, notò che nei negozi era uscito il gioco progettato da suo padre ma ne era stata bloccata la vendita. Aveva sentito che un pazzo era riuscito ad entrare nei dati del gioco e lo aveva modificato. Chi entrava nel gioco non poteva più uscirne a meno che qualcuno non lo finisse. Se tentavi di toglierti il nervegear, nome di quello strano caschetto con cui giocavi, o qualcuno te lo toglieva, morivi. Se morivi nel gioco morivi nella realtà. Era accaduto un’altra volta, molti anni prima. Nessuno poteva immaginare che la stessa identica cosa si sarebbe ripetuta. Solo un ragazzo, un eroe, che portava il nickname di Kirito riuscì nell’impresa e salvò tante vite. Ci sarebbe bisogno di lui, ora… pensò. 

La mattina passò veloce, tra cerimonie di chiusura e premiazioni varie. Ayame era una ragazza nella media, non eccelleva in nessuna materia in particolare. Aveva solo un ottimo intuito, che le serviva a ben poco in quella scuola. Era solo un’ombra di passaggio nella vita di qualcuno. E tale intendeva rimanere, visto il cognome che portava.

Decise di passare dall’ospedale. I pochi amici che aveva erano morti o rischiavano. Avevano giocato a quel gioco o ci stavano giocando. Li vedeva stesi sul letto, immobili con il caschetto sulla testa, collegati ai cavi. I genitori in lacrime che la guardavano male. Era colpa di suo padre. Lei, Ayame Kirigaya, malediceva il suo cognome. Prese il gioco dalla scrivania di un altro ragazzo morto. Avrebbe voluto distruggerlo, bruciarlo o fare altro.

Verso sera, ritornò a casa. I suoi l’aspettavano seduti al tavolo. – Hai fatto tardi, Ayame! Ti rendi conto di che ore sono? – Il solito rimprovero del padre. – Dai, Kazuto! Non è poi così tardi! Siediti, cara! La cena è pronta! – Disse sua madre. – Non ho fame, grazie! – Rispose Ayame. Lo spettacolo del pomeriggio le aveva chiuso lo stomaco. – Dove sei stata, cara? – Chiese sua madre. – A trovare Miyuki e gli altri. – Rispose. – Ci sono novità? – Chiese ancora sua madre. – No, nessun cambiamento! – Rispose secca Ayame. Suo padre si alzò da tavola. – Vado, devo lavorare… - disse. Ayame s’infuriò. – Non li riporterai indietro! – Gridò. Lui batté il pugno sulla tavola. – Posso ancora salvare gli altri… - rispose. – No! E’ colpa tua! – Gridò ancora, lanciando la cartelletta a terra.

Durante la notte, Ayame si alzò da letto. Non poteva più vivere in quella casa finché la situazione non fosse cambiata. Prese un borsone e ci mise dentro alcune cose. Sarebbe andata nella casa dove vivevano anni prima, dove ora viveva sua zia. Il gioco era appoggiato sulla scrivania, non seppe il perché, ma se lo portò dietro. Prese la metro, e guardò il proprio riflesso nel vetro. Aveva davvero l’aspetto di una che scappava di casa.

Arrivata da sua zia, lei l’accolse. Sugu non disse nulla, la lasciò passare e la fece accomodare nella vecchia stanza di suo padre. La zia la usava come studio, più che altro. Infatti, c’era un computer e un sacco di scartoffie. Ayame appoggiò la borsa a terra e si lasciò cadere sul letto. Di fianco al letto, su un mobiletto c’era una vecchia foto dei suoi genitori. Aveva una tale rabbia dentro che prese la foto e la scaraventò contro l’armadio. Questo si aprì, facendo rotolare qualcosa. Ayame incuriosita, si avvicinò. Aprì l’anta e un caschetto scivolò fuori. Lei lo prese in mano, sembrava funzionante nonostante le ammaccature. Era un vecchio modello di nervegear , uno dei primi. Chissà da dove arrivava... Lo collegò alla spina del computer e se lo mise, controllandolo.

Appena si accese non credette a ciò che vide. Sul mini schermino che si era formato c’erano dei dati di salvataggio vecchi. Il nick name dei dati era ben evidente: KIRITO. Lo aveva sentito e risentito ancora quel nome. KIRITO. Colui che aveva salvato tante persone intrappolate in quel gioco: Sword Art Online. Com’era possibile che il nervegear di Kirito fosse in casa di sua zia. Poi un illuminazione. No, non era possibile! Pensò.
 
– Kirito… è mio padre …
… aveva salvato tante vite innocenti …
… poi ha creato un gioco uguale …
… e ne ha uccise il doppio! –
 
Aveva una tale rabbia nel cuore che non seppe nemmeno perché l’aveva fatto. Ma se ne sarebbe pentita presto.

Prese il gioco dal borsone e inserì il codice sul computer. Pensò solo che si sarebbe dato una mossa a trovare una soluzione, ora avrebbe avuto un motivo più importante. Si sdraiò e chiuse gli occhi…
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Salve a tutti! Primo capitolo! In realtà l'ho avevo scritto insieme al prologo, ma ho deciso di pubblicarlo dopo e vedere come andava.
All'inizio avevo pensato di chiamare la figlia di Kirito e Asuna Yui, come la bimba dentro a SAO, ma poi ho pensato che loro l'avrebbero comunque incontrata, visto che avevano i suoi dati.
Il rapporto tra Ayame e Kirito è complicato e si scopriranno le ragioni più avanti...
Ovviamente nella seconda parte si parlerà di Kai... 
Comunque, si accettano critiche e commenti! ( non dimenticate di farne)
Alla prossima!!
SylviettaMyss
  
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