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Autore: Paddy_Potter    31/08/2014    1 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è il proseguimento di "A Brother to Save", una mia fanfiction terminata l'estate scorsa. Qui narrerò di Orion Black, di come la sua giovinezza non fu così tranquilla come immaginiamo. Ora che entrambi i suoi figli se ne sono andati, tristi ricordi affiorano alla sua mente. Con uno slancio di fantasia ho aggiunto un nuovo personaggio, destinato a cambiare molte cose nella famiglia Black e a riportare alla luce alcune verità che sono state taciute.
Ma forse non è troppo tardi per salvare la situazione.
Perché, alla fine, anche le stelle più nere riescono a brillare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Tea Time
 
 


 
 
L’euforia di Orion era stata impagabile e Ryan si era sentito molto fiero di sé, tanto che alla fine aveva deciso di raccontare tutto all’amico, mandando all’aria ogni proposito di tacere.
Gli aveva spiegato della chiacchierata con i suoi genitori e di come gli fossero saltati i nervi, senza tralasciare il minimo dettaglio riguardo ai vari momenti in cui aveva provato rabbia anche nei confronti di Orion.
Nel frattempo l’amico lo ascoltava silenzioso, uno sguardo neutro depositato sugli occhi e l’euforia iniziale abilmente nascosta in un cantuccio della sua mente: Ryan aveva bisogno di sfogarsi, cambiare argomento non sarebbe servito a nessuno.

“Sono un po’ stronzo, vero?” gli aveva chiesto il giovane Richmond alla fine, con una nota di vergogna nella voce.
Orion lo fissò intensamente e poi scoppiò a ridere.
“Sì, ma alla fine mi hai chiamato. Questo vale più di tutto il resto.” Gli sorrise. “E poi avevi tutte le ragioni di sentirti così. Stando a quanto mi hai detto, i tuoi si sono comportati male nei tuoi confronti: va bene tentare di stimolarti, ma questo era troppo. Mi dispiace, alla fine ci sono sempre di mezzo io. E la cosa comincia davvero a stancarmi.” Aveva concluso sconsolato.
A questo punto era toccato a Ryan scoppiare a ridere.
“Non ci credo! Ti ho detto che per qualche secondo ti ho odiato con tutto me stesso e mi hai già perdonato? Certo che sei strano, Black.” Ridacchiò.
I due avevano considerato chiusa la faccenda, some solo due persone che si conoscono a fondo possono fare, e si erano salutati.

Il giovane Black era sceso in sala da pranzo per la colazione con un lieve ritardo e, scusatosi, si era dedicato al suo piatto con un sorrisetto stampato in volto senza alcun apparente motivo.
Sapeva il nome della ragazza, avrebbe potuto trovarla! Si sarebbe dato da fare il mattino stesso, avrebbe scoperto dove abitava e avrebbe trovato un modo per incontrarla.
“Orion?” la voce di sua madre lo riportò alla realtà, facendolo tornare precipitosamente alla realtà, seduto sulla sua sedia nella sala da pranzo, con un piatto ricoperto di uova e bacon posatogli esattamente di fronte.
“Sì?” rispose, ritrovando il suo ordinario contegno.
“Sei di buon umore oggi…” commentò Lucretia con un sorrisetto.
Il ragazzo pregò intensamente che i genitori non collegassero quell’insensata felicità alla ragazza del ballo. Non avevano alcun motivo per farlo, ma Orion si sentiva inspiegabilmente scoperto, privo di ripari e non capiva perché. Gli era bastato distrarsi così poco e subito sua sorella si era accorta del cambiamento; poteva solo sperare che i suoi genitori avessero altro di cui occuparsi.
A questo proposito, la fortuna sembrò sorridergli particolarmente quella mattina.

“Figliolo, oggi ci si presenta una giornata ricca.” Cominciò suo madre, intenta a tagliuzzare il bacon. “Stamattina io e tu sorella andremo a Diagon Alley a ritirare alcuni vestiti e abbiamo un appuntamento con Melissa Rockwood alle undici esatte.”
“Nel frattempo tu verrai al Ministero con me, Orion.” Proseguì suo padre. “Ho bisogno di te in ufficio, ho degli appuntamenti piuttosto importanti e tu non puoi mancare.” Gli sorrise.

Ecco, quelli erano i momenti che il giovane Black adorava. Quando suo padre gli sorrideva in quel modo significava che era fiero di lui, di come si stava comportando, del futuro che si stava costruendo e dell’onore che portava alla famiglia. Era in quei momenti che Orion pensava che, nonostante i balli, le soirée, il galateo, tutti quegli incontri forzati con uomini importanti e sdegnosi, tutte le ore passate nella noia ad imparare elenchi di nomi, di costellazioni, di date…gli avrebbe perdonato tutto e tutto avrebbe rifatto daccapo se necessario per vederlo sorridere così.
L’aveva reso fiero di lui, si era impegnato tanto e ce l’aveva fatta. E si sentiva un egoista per tutte quelle volte che aveva pensato di mandare all’aria quegli incontri con persone di cui non gli importava nulla, per aver pensato di poter cambiare tutte le regole della sua vita, infischiandosene delle conseguenze che ci sarebbero state sulle altre persone.
Ancora una volta, dimenticò tutti i suoi piani, dimenticò tutta la frustrazione che aveva provato nel vedere il suo futuro prendere una piega che non gli piaceva, mandò giù tutto il rancore che si era tenuto dentro da quando aveva capito che le sue scelte erano già state decise da qualcun altro. Perdonò tutto, perché suo padre era fiero di lui ed era felice dell’uomo che era diventato.

“Certo, ci sarò.” Annuì.
“Per finire, oggi pomeriggio siamo stati tutti invitati a casa dei Robinson per prendere un tè alle cinque.” Concluse sua madre.

Poco ci mancò che Orion si strozzasse con il bacon.
Si slanciò con convinzione in un finto attacco di tosse per nascondere l’espressione incredula che sicuramente gli era apparsa in volto.
Aveva sentito bene? Robinson?
Avrebbe rivisto Isabelle! La ragazza del ballo! Aveva chiesto un’occasione di incontrarla di nuovo ed ecco che questa gli si presentava!
Era così occupato a ringraziare Salazar e il resto dei fondatori per quell’indicibile colpo di fortuna, che ci mise molto più del solito a calmare la tosse e a ritrovare un minimo di controllo.
“Orion tutto a posto?!” esclamò Lucretia, una volta che il ragazzo riuscì a smettere di tossire.
“Tutto bene. Scusate, ero sovrappensiero.” Riuscì a dire, mentre si schiariva la gola.
Alzò uno sguardo timido verso i genitori che, tuttavia, nonostante il mancato contegno del ragazzo, gli rivolsero un pacato sorriso.
“Quindi, figliolo, se hai finito di tentare il suicidio, sarebbe ora di andare.” Lo riprese infine il padre, lasciando trapelare un vago guizzo di divertimento negli occhi.
“Subito.” Ridacchiò Orion, e si alzò da tavola.

 
***
 

Finalmente, dopo un’intera giornata passata nell’agonia dell’attesa, erano giunte le cinque di pomeriggio e la famiglia Black si trovava, adeguatamente agghindata, nel portico d’ingresso di casa Robinson.

Inutile dire che Orion conteneva a stento l’impazienza: teneva le mani strette dietro la schiena, le dita che ticchettavano nervosamente tra loro, e lanciava occhiate indagatorie a qualsiasi oggetto presente in quel luogo, quasi a volerne memorizzare l’esatta posizione. La tettoia era sorretta da quattro colonne in pietra bianca, che terminavano la loro corsa verso il soffitto con un sobrio capitello in stile dorico. Posate a terra o aggrappate a vari sostegni, innumerevoli specie di fiori adornavano l’ambiente, quasi ad invitare la primavera ormai alle porte. Nell’insieme, l’entrata di quelle modesta villetta sorta nella Londra nobiliare era un tripudio di colori che risaltava nel bianco ordinato della facciata, interrotto solo dai vetri delle finestre dove il cielo azzurrino si rispecchiava placidamente. La casa si ergeva sobria ma armonica nella quiete più assoluta, quasi dimentica di trovarsi nel cuore di una frenetica città.

Fu così che, mentre il ragazzo era intento a fissare l’articolata composizione floreale alla base di una delle colonne, il maggiordomo si presentò alla porta e li invitò ad entrare.
L’interno della casa era in armonia con lo stile del porticato: stanze aperte e luminose si susseguivano una dietro l’altra, tutte arredate e dipinte con tenui colori pastello. La famiglia Robinson, costituita da padre, madre e figlia, li aspettava comodamente seduta in soggiorno.
L’impazienza di Orion scemò alla vista di Isabelle: questa volta indossava un vestito azzurro ghiaccio, in accordo perfetto con gli occhi, e i capelli le ricadevano sciolti sulle spalle, arricciandosi qua e là in morbidi boccoli.
“Ben arrivati!” li salutò James Robinson, il padre di Isabelle.

Dopo un rapido scambio di convenevoli, durante il quale i membri delle rispettive famiglie si presentarono, nella mente di Orion sorse un vago dubbio: se le due famiglie a stento si conoscevano, che motivo c’era di incontrarsi per un tè?
Il ragazzo spostò lo sguardo sul padre, che stava stringendo la mano ad Isabelle e notò che la stava studiando, quasi soppesando…e capì.
Il suo interesse per quella ragazza, per quanto ben celato, era stato intuito dai genitori.
D’un tratto la natura di quell’incontro si fece chiara: se le famiglie stavano per unirsi, come minimo bisognava essere certi del buon nome di entrambe, ed infatti suo padre e sua madre erano lì per accertarsi che i Robinson fossero alla loro altezza, per poi magari avanzare la proposta.
Un moto di disprezzo improvviso si insinuò nel cuore di Orion: alla fine, quello era solo un modo meno crudele per combinargli il matrimonio. Il ragazzo mantenne la calma e si presentò ad Arisa, la madre di Isabelle, per poi accomodarsi nel divanetto.

I successivi venti minuti furono occupati dalle chiacchiere leggere che si utilizzando solitamente per rompere il ghiaccio ed Orion diede il meglio di sé. E, quando incrociò lo sguardo del signor Robinson, seppe che aveva fatto centro: alla fine, anche la dialettica faceva la sua buona parte.
Spostò fugacemente gli occhi su Isabelle e vide che lo stava fissando con sguardo critico e gli tornò alla mente ciò di cui avevano parlato la sera del ballo…
 
“Sono certo che conosciate già il mio nome, purtroppo, e questo mi priva dell’onore di presentarmi.”
“Che dispiacere dovete provare…comunque sì, conosco il vostro nome. Penso spesso a quanto dev’essere difficile portarlo avanti: tutte queste aspettative, le pressioni…” disse la ragazza, quasi sovrappensiero.
 
…possibile che lo stesse pensando anche ora? Che avesse intravvisto, dietro la cortina di parole del ragazzo, gli anni di preparazione che aveva impegnato per presentarsi così?
Fortunatamente la parola ora spettava a Lucretia ed Orion ebbe il tempo di valutare la situazione, trovando la conferma della sua intuizione: la signora Robinson gli lanciava occhiate impressionate, mentre il marito sembrava al culmine della soddisfazione. La leggera pacca sulla spalla che suo padre gli concesse, infine, schiarì ogni dubbio.
Eppure, qualcosa non quadrava.
Era vero che era interessato ad Isabelle, ma in realtà non la conosceva, ci aveva semplicemente ballato insieme. L’impressione che invece trasudava dagli occhi di suo padre era che ormai l’affare fosse concluso ed archiviato, deciso da lui e non da Orion e il tutto nel giro di mezz’ora.
L’ondata d’astio si ripresentò nella mente del ragazzo: era da secoli che funzionava così tra i Purosangue; anche se si fosse ribellato, non sarebbe servito a nulla, avrebbe solo causato problemi in famiglia.

Proprio quando la mente del ragazzo aveva raggiunto l’orlo della depressione, la voce di Isabelle la raggiunse.
“Posso offrirmi per presentarvi la casa?” chiese educatamente, mentre si alzava dal divanetto e si lisciava la gonna.
“Sarebbe un’ottima idea. Che ne dici Orion?” completò l’opera sua madre, escludendo abilmente ogni altro membro dalla famiglia, nonostante la proposta fosse avanzata a tutti, e permettendogli di restare da solo con Isabelle.
Evidentemente non era questa l’intenzione della ragazza perché Orion scorse un velo d’imbarazzo nei suoi occhi, ma ormai rifiutare sarebbe sembrato maleducato, quindi accettò.
“Certo.” Sorrise, alzandosi a sua volta e cogliendo la tacita approvazione della madre. “Sarebbe un piacere.”
 
 
***
 

Una volta giunti all’ultimo piano, Orion ebbe modo di dire che quella casa era un incanto, ricca di quadri anche molto antichi e di incantevoli vedute sulla città, soprattutto da lassù.
Bisognava poi dire che Isabelle non era da meno: il ragazzo quasi dimenticò di ascoltarla mentre la osservava vagare tra le stanze, il vestito che le frusciava delicatamente intorno e le morbide ciocche di capelli che ogni tanto le finivano sul volto.

Giunti in camera sua con la scusa di ammirare la veduta di Londra nella luce del pomeriggio, Orion si accorse che la ragazza aveva chiuso la porta alle loro spalle.
“Niente male il discorsetto di prima, signor Black.” Lo canzonò con evidente sarcasmo e, prima di rendersene conto, il ragazzo stava già sorridendo.
“Le è piaciuto, signorina Robinson?” la stuzzicò, appoggiandosi garbatamente ad una cassettiera. “Lei non ha idea degli anni che ci sono voluti per perfezionarlo.”
“Già, è una di quelle cose che non rimpiango.” Ridacchiò lei. “Ma ditemi, voi avete idea del perché di questo incontro?” aggiunse poi, impercettibilmente più fredda.
Orion abbassò gli occhi con un sospiro.
“Non ne ero stato informato, ve lo giuro.” Ammise, prendendo a giochicchiare con l’orlo della giacca. “A quanto pare, nemmeno le decisioni sulla mia vita personale non sono più prese da me.”
E, all’improvviso, quella sensazione di oppressione mutò in rabbia.

“Ma gli costava tanto almeno avvisarmi?!” sibilò glaciale. “Mi porta qui con la scusa del tè, perfettamente ignaro, e poi mi guarda in quel modo, come se dovessi capire tutto al volo e fargli fare bella figura…a volte non lo sopporto!”
Quando l’attimo fu passato e si rese conto di quello che aveva appena detto, Orion alzò gli occhi, al colmo dell’imbarazzo, aspettandosi di trovare sul volto della ragazza un’espressione oltraggiata…ma non fu così.
Isabelle gli sorrise, come se tutto quello fosse normale, come se l’erede dei Black non avesse appena sbandierato che la sua vita non era neppure nelle sue mani, si sedette sul letto ed invitò Orion a seguirla.
“Allora avevo ragione nei vostri confronti, non siete un burattino…almeno non del tutto. La vostra testa è ancora sotto il vostro comando.” Precisò la ragazza.
“Sì, quella sì, ma la cosa non mi consola molto.” Ridacchiò il ragazzo, impressionato dal comportamento di Isabelle. “Ma, se non vi spiace, potremmo darci del tu? Mi sembra di avere cinquant’anni in più del dovuto!”
Solo quando ebbe chiuso la bocca si accorse di quello che aveva appena detto: ma dove era finito il suo autocontrollo? Aveva tentato il suicidio impiccandosi sul lampadario?

Isabelle a questo punto lo guardò sconcertata scoppiò a ridere.
“Wow, sono decisamente stupita! Non mi aspettavo nulla del genere, lo giuro. Ok, ballerino provetto, vuoi sederti sul letto o no?”
Orion, accolto il suo nuovo nomignolo con una risata, non se lo fece ripetere e le si sedette accanto, mentre benediva mentalmente Ryan e tutta la sua discendenza. Infatti, era stato l’amico che, quando gli aveva comunicato dell’incontro pomeridiano via specchio, gli aveva prontamente consigliato: “Dille di darti del tu, avete vent’anni, santo Salazar!”
Esattamente come alla festa, Orion si accorse che era piacevole parlare con Isabelle, gli riusciva incredibilmente facile. E con la stessa facilità dimenticò totalmente tutte le regole del protocollo, lasciando che la conversazione facesse il suo corso.

 “Quindi, giovane ribelle, sembra proprio che finiremo sotto lo stesso tetto!” scherzò lei.
“A quanto pare, però non credi che prima…non so…dovremmo parlarne noi due?”
“Se avessimo una vita normale, sì. Ma visto che la nostra vita non è normale, credo che anche se ne parlassimo, non cambierebbe nulla.” Disse lei, rivolgendogli uno sguardo stanco.
“Possiamo sempre provarci.” Si sorprese a rispondere Orion. Non sapeva perché, ma non voleva vedere la ragazza così triste, sentiva che doveva farle sorridere. “Tanto per cominciare, che ne dici di presentarti? L’ultima volta che ci siamo visti te ne sei dimenticata.”
Isabelle rise, scostandosi una ciocca di capelli dal volto.
“Ma come, non hai chiesto al tuo migliore amico di presentarsi come mio ammiratore per scoprire come mi chiamavo?”
Orion rimase pietrificato da quelle parole.
“C-Come fai a saperlo?” balbettò.
“In realtà non lo sapevo. Mi è giunta una voce che diceva che un certo Ryan Richmond voleva sapere come mi chiamavo, mi sono ricordata che era il ragazzo che ti ha preso sotto braccio al ballo e ho tirato ad indovinare.” Ammise lei.
“Beh, ottimo intuito!” sorrise lui. “Visto che ho dovuto infangare la reputazione di un mio amico per capire come ti chiamavi, sei libera di sentirti in colpa!” aggiunse poi ridendo.

Passarono i minuti successivi così, ridendo e parlando delle loro vite, e Orion scoprì molte cose riguardo ad Isabelle.
Il padre di lei era un Purosangue, ma per certi versi era un uomo innovativo: il ragazzo scoprì che era contrario allo sfruttamento degli elfi domestici, quindi avevano impiegato un maggiordomo, oppure venne a sapere che Isabelle aveva studiato a casa perché il padre voleva tenerla lontana da certe famiglie con cui lui era in forte contrasto.
Anche la ragazza ebbe modo di conoscere più a fondo il giovane Black, visto che questi si sentiva disposto a raccontarle tutto. Le parlò della noia del ballo, di Ryan e dello specchio, di come l’aveva convinto ad aiutarlo, ma anche di come a volte non se la sentiva di contraddire il padre. Le parlò di quella mattina, della sensazione piacevole che provava quando lui lo guardava in quel modo…

“Io non posso avercela con lui, alla fine. Si è impegnato tanto per insegnarmi come comportarmi o come parlare alla gente…non posso deluderlo ora, anche se a volta non sono d’accordo con lui. Capisci?” le chiese.
Isabelle gli sorrise, compassionevole.
“Sì, capisco. Anche se, per certi versi, mio padre mi lascia più libera, per altri non c’è speranza di farlo ragionare.” Sussurrò. “Neanche a me era stato detto niente di questo accordo, doveva solo essere un semplice tè…ma l’ho capito subito che qualcosa non quadrava.”

Rimasero in silenzio, spalla a spalla, finché la porta non si aprì, rivelando la figura di Mr Ferrow, il maggiordomo. Era un uomo sulla sessantina, ma aveva ancora un ottimo portamento: la schiena dritta sorreggeva un busto misurato, su cui era adagiato un volto glabro e gentile, scosso da qualche ruga sulle guance, dove spiccavano due occhi azzurri in netto contrasto con i capelli bianchi diligentemente pettinati.
“Perdonate l’interruzione, ma sono stato mandato ad informare il signor Black che la sua famiglia sta per fare ritorno a casa.” disse con voce pacata.
“Grazie, ora scendo.” Lo congedò Orion, per poi rivolgersi ad Isabelle. “È stata davvero una bella chiacchierata, mi piacerebbe se ci potessimo incontrare di nuovo.”
Mentre la guardava negli occhi, vi colse un guizzo di aspettativa, prima che un’ondata di ironia lo sommergesse.
“Mi state forse chiedendo di uscire, signor Black?” sorrise lei.
Ecco, era riuscita di nuovo a metterlo in imbarazzo. Orion si rese conto che probabilmente era arrossito: in fin dei conti, la sua intenzione non era affatto quella, ma vista la piega presa dagli eventi, decise con un moto di coraggio di prendere in mano la situazione.
“Sì, signorina Robinson.” Affermò, pregando che la ragazza accettasse mentre i battiti del suo cuore acceleravano in attesa della risposta.
“Domattina alle undici ad Hyde Park, davanti a Kensington Palace.” Sentenziò lei, alzandosi dal letto. “Puntuale.” Sorrise.








Angolo autrice

Ciao a tutti!!! Lo so, questo è il capitolo-poema per antonomasia, quindi adesso mi spiccio con le note:)
Allora, finalmente è ricomparsa Isabelle, la nostra giovane ribelle. Le ho dato questo carattere perchè volevo che risultasse diversa dalle bambole di porcellana che dovevano essere tutte le altre ragazze Purosangue (Bellatrix esclusa). È pittosto evidente (spero) che ad Orion piace parecchio questa ragazza, proprio per il fatto che è diversa da tutte quelle che ha conosciuto.
Il matrimonio combinato, anche se controvoglia, ho dovuto inserirlo, anche perchè era seriamente in uso tra le famiglie nobili, ma non vi consiglio di farci troppo affidamento in questo caso;)
Ora mi defilo, lasciate una recensione per dirmi che ne pensate!!
Anna
 
  
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