Questo capitolo
è dedicato a Joan
e alle sue registrazioni,
scusa per averti fatta
dannare
con gli indizi <3.
Capitolo
XVI
Le
cose andarono migliorando di giorno in giorno. Trascorrevamo il tempo
in
famiglia, spesso anche con classici passatempi umani. Una sera giocammo
tutti
insieme a sciarada e fu forse uno dei momenti migliori del mese passato
a
Denali. Giocammo in squadre da due, ovvero tutte le coppiette della
casa si
unirono le une contro le altre in una faida durata circa tre ore.
Ovviamente
Edward non aveva potuto giocare e, essendo anche in numero dispari,
aveva
scelto di fare l’arbitro. Da quel che avevo capito non erano
molto corretti
mentre giocavano. Emmett aveva addirittura cercato di corrompere Edward
affinché gli desse qualche indicazione sui pensieri degli
altri giocatori, ma
il mio ragazzo era stato irremovibile. Specie in seguito alle lamentele
di
Alice, la quale sosteneva che, se lei “veniva marcata
stretta”, nemmeno gli
altri, tanto meno Emmett, avrebbero potuto barare o corrompere
l’arbitro.
Rivelò inoltre che la bustarella silenziosa, ovvero la
promessa da parte di
Emmett di piantarla di fare commenti sulla vita intima mia e di Edward,
sarebbe
stata rispettata per massimo un’ora. Al che, io mollai un
pugno sulla spalla di
Emmett – che ebbi la soddisfazione di vedere dolorante
– e lanciai
un’occhiataccia ad Alice. Tra le risatine generali, Edward
liquidò entrambi con
un semplice “Forza, Tanya e Kate, tocca a voi”.
Emmett, da quando avevamo
apertamente dichiarato di stare insieme, si era sentito in pieno
diritto di
fare battute più o meno squallide ogni volta che io ed
Edward ci trovavamo a
meno di trenta metri l’una dall’altro. Cosa che,
ovviamente, accadeva molto di
frequente. Praticamente non ci allontanavamo mai, facevamo qualsiasi
cosa
insieme. Per iniziare dalla caccia e terminare con la lettura, di libri
diversi, certo, ma pur sempre sullo stesso divano.
E,
ovviamente, Emmett e le sue battute si nutrivano di ciò.
Dato
che Edward non poteva giocare, quella sera avevo fatto coppia con Irina
e
presto scoprimmo che nessuna delle due era particolarmente portata per
le
sciarade. Ma fu divertente soprattutto per questo, azzeccammo tre
parole in
tutto, ma passavamo i turni a sparare qualsiasi idea ci passasse per la
testa.
Ben presto fu evidente che si trattasse invece di una sfida tra Jasper,
con
Alice, e Kate, con Tanya. Jasper era un asso a sciarada. Probabilmente
la sua
mente da ex soldato – come mi aveva raccontato Edward in uno
dei tanti
pomeriggi passati ad oziare nei boschi di Denali – lo aiutava
nel gioco. Aveva
un’ottima capacità di concentrazione ed era
intuitivo di natura. Kate, invece,
adorava vincere. Aveva la competizione radicata fino al midollo e
sembrava
intenzionata a non lasciare che la vittoria andasse a qualcuno che non
fosse
lei. Alla fine fu Kate a trionfare. Alice sostenne che Jasper si fosse
comportato da gentiluomo, lasciando alle due avversarie più
temibili la
vittoria, ma Edward proclamò che non c’era stato
nessun imbroglio e che quindi
le vincitrici erano Kate e Tanya. Un altro che non amava perdere era
Emmett:
impiegò diversi giorni per accettare la sconfitta e per
smettere di assillare tutti
con le sue lamentele. Alla fine arrivò alla conclusione che
sciarada fosse un
gioco stupido e da cervelloni e che lui non avesse tempo da sprecare
con simili
sciocchezze.
«Perché
ridi?», chiese Edward, accarezzandomi una guancia.
«Ripensavo
a Emmett, credi che gli sia passata?».
«Per
la sciarada, intendi? Sì, ma sta progettando la vendetta.
Credo che rimarrà
parecchio deluso quando scoprirà che il clan di Denali non
parteciperà alla
battaglia di palle di neve», rise anche lui.
«Non
potrà vendicarsi su Kate!».
«Già»,
annuì e si tirò indietro, posando la schiena
sulla sedia. «Abbiamo finito con
biologia?».
«Oh
sì, basta, non ce la faccio più».
Avevamo
terminato il libro del terzo anno, finalmente. Ce l’eravamo
presa con comodo,
nel tacito accordo di non fare terminare quei momenti di pace e
tranquillità
che erano solo nostri. Però eravamo comunque vampiri e io,
oltre che aver
frequentato un corso di biologia avanzata, apprendevo anche troppo
velocemente.
La lentezza mi annoiava.
«Cosa
vuol dire che non ce la fai più? Devo ritenermi
offeso?».
Edward
si imbronciò e incrociò le braccia al petto. Mi
morsi forte le labbra per
evitare di ridergli in faccia.
«No,
certo che no, cucciolotto».
«Ah-ah,
lo spero per te. E per me. Ora, senza la scusa del dovere, come
farò a rapirti
tutte le volte che voglio?», brontolò,
avvicinandosi nuovamente a me.
Mi
mossi anch’io verso di lui, fino a sfiorare il suo naso con
il mio.
«Ma
tu puoi rapirmi tutte le volte che vuoi. E poi… ho portato
anche il libro di
letteratura!», terminai e gli scoccai un bacio a fior di
labbra.
«Ah,
la mia ragazza è un genio!», esclamò,
facendomi ridere.
«E
ora in piedi, Alice e la neve ci aspettano».
Obbedii
anch’io alle mie parole e in un attimo ci ritrovammo fuori
dalla stanza e poi
giù, in sala. Alice era già lì,
coperta da un piumino, dei pantaloni e degli
stivali da nevi, il tutto rigorosamente bianco. Forse, in quel modo,
pensava di
potersi mimetizzare meglio.
Vedendoci,
mi venne incontro e mi lasciò un oggettino argenteo in mano.
Lo osservai: uno
smartphone di ultima generazione, incredibilmente sottile e
dall’aria
incredibilmente fragile.
«Mh,
Alice, ma cos’è?».
«Un
telefono, mi sembra ovvio», rispose, alzando un sopraciglio.
«Sì,
questo lo vedo. Intendevo: perché mi dai un telefono? Non
è che io abbia tante
persone da chiamare, eh».
«Non
ti servirà per chiamare, infatti. Lo userai nella battaglia
di neve, tutti noi
useremo i nostri telefoni».
Continuavo
a non capire. «Vuoi che ce li lanciamo contro insieme alla
neve?».
Soppesai
l’oggettino. Se l’avessi lanciato non avrebbe
nemmeno avuto il tempo
di colpire il mio bersaglio, si sarebbe
sbriciolato in aria.
Alice
sbuffò. «Certo che no! Li useremo per comunicare
tra noi, durante la battaglia.
Ci comunicheremo le rispettive posizioni metteremo in atto piani
d’attacco».
Annuì, infine, fiera del suo programma.
«Mh,
capisco. E in quante squadre ci divideremo?».
Effettivamente
sembrava una bella idea, piuttosto divertente.
«Due:
maschi contro femmine», rispose.
Mi
rimangiai tutto mentalmente.
Risi.
«Alice, siamo tornati all’asilo?»
«Zitta,
tu. Mia l’idea, mio il gioco e mie le regole». Ci
mancava poco che mi facesse
pure una linguaccia.
«Veramente,
tesoro, l’idea è stata mia». Jasper era
entrato, insieme ad Emmett e Rosalie
dalla porta principale.
Alice
liquidò la sua protesta con un gesto della mano.
«Sì, non importa. Ma perché
Esme e Carlisle non sono ancora scesi?», chiese, a nessuno in
particolare. Poi
li chiamò, sbatacchiando ritmicamente il piede a terra.
Esme
comparve sulle scale che poi scese, a passo quasi umano.
«Alice! Carlisle è al
telefono, sta parlando con il primario dell’ospedale di
Forks», la rimproverò.
«Che
cosa dice? Ci sono stati problemi con i lupi?»,
domandò Rosalie.
Da
quando eravamo partiti per Denali, Carlisle aveva chiamato a Forks
diverse
volte, sia per avvisare del suo licenziamento e quindi per tutte le
pratiche
burocratiche che ne conseguono, sia per assicurarsi che i licantropi
non
avessero terminato la rottura del patto, rivelando la verità
su di noi. In
realtà nessuno la riteneva una possibilità
concreta, ma Carlisle, con una scusa
o con un’altra, faceva qualche domanda per assicurarsi che
andasse tutto bene.
Il problema era sorto quando gli avevano chiesto di tornare a Forks per
firmare
delle carte e completare il licenziamento. In un primo momento avevamo
preso in
considerazione l’idea di far accompagnare Carlisle da
qualcuno di noi e restare
il meno possibile in città. Il gruppo sarebbe dovuto essere
formato da
Carlisle, Edward, che avrebbe potuto controllare i lupi anche alla
discreta
distanza di uno o due chilometri, ed Emmett, per la sua forza. In
questo modo
sarebbero però stati in minoranza numerica e, in caso di
attacco, sarebbero
stati in pericolo. Allora Jasper si era proposto per accompagnarli,
cosa che
aveva portato Alice ad annunciare che li avrebbe seguiti. A Rose non
piaceva
per nulla l’idea di far andare Emmett da solo e io di sicuro
non avrei lasciato
che Edward partisse senza di me. Il tutto era sfociato in una
discussione
colossale su chi dovesse andare e sul fatto che fosse estremamente
discriminatorio lasciare a casa le donne perché
“potreste farvi male”. Fu Esme
a risolvere la questione, proibendo categoricamente a chiunque di fare
ritorno
a Forks. Carlisle avrebbe completato le pratiche dall’Alaska,
per via
telematica, in modo che nessuno rischiasse di farsi male o di dare
inizio a una
guerra. Suo marito si era dichiarato d’accordo e tutto era
stato archiviato.
Esme
scosse il capo, in segno di diniego, ma non servì che
rispondesse, dato che
Carlisle scese le scale proprio in quel momento.
«Tutto
bene. Richard mi ha detto che tre giorni fa è passato in
ospedale un uomo della
tribù che chiedeva di me. Lui gli ha risposto che ci siamo
trasferiti e l’uomo
ha annuito e se n’è andato. Richard è
rimasto stranito ma, grazie alla sua
fobia per qualsiasi cosa non sia pallida e di origine europea, si
è limitato a
sostenere che gli indiani sono assurdi», raccontò.
«Vuoi
vedere che ora ci andranno, in ospedale?»,
ironizzò Edward.
Carlisle
sorrise, bonario, poi batté le mani. «Beh, ma non
dovevamo farci guerra a
vicenda?».
Alice
annuì, soddisfatta. «Esatto! Andiamo».
Prima
che potesse trascinare tutti, uno per uno, fuori dalla porta, Esme
esclamò:
«Alice, aspetta! Devo ancora cambiarmi!»
«Non
c’è tempo, abbiamo già aspettato
troppo!»
«Alice,
ricordi il concetto di eternità?», le chiesi.
«Piantatela,
tutti quanti. Ora noi usciremo da quella porta e faremo le cose per
bene. Ci
muniremo dei telefoni e ci allontaneremo gli uni dagli altri dei tre
chilometri
e mezzo già concordati. Dopo di che, via alla
guerra».
Alice
non ammetteva repliche, così fummo costretti, per
l’ennesima volta, a seguire i
suoi ordini. Perfino Carlisle si limitò a seguirla.
«Perché
ci allontaniamo così tanto? Vuoi creare pure delle
trincee?», mi rivolsi a
Alice, ma mi rispose Emmett.
«Perché
altrimenti il tuo ragazzo bara», rise.
«Smettila,
io non baro! Non ci posso fare niente, e lo sai!» A Edward
non piaceva per
niente che, qualsiasi cosa si facesse, Emmett lo accusasse di
imbrogliare. Era
un vizio, e poi si divertiva un mondo a fare arrabbiare Edward.
«Buoni,
bambini», li zittì Rosalie.
Mi
voltai verso Edward, ridacchiando. «C’è
una guerra da combattere, te ne sei
dimenticato?».
«Per
niente. Proprio come non mi sono dimenticato che passeremo la giornata
separati»,
rispose.
«Passerà
in fretta, vedrai». Mi allungai sulle punte e lui si
chinò per lasciarsi
baciare.
«Cosa
credi che non sia chiaro dei concetti “guerra” e
“nemici”?»
«Non
so, forse dovremmo prestar loro dei dizionari».
Notai
che Emmett e Jasper erano in vena di battutine.
Alice,
intanto, scalpitava per l’impazienza. «Sappiamo
tutti cosa fare, vero?».
«Certo
che sì: distruggervi, tesoro», ghignò
Jasper.
Emmett
scoppiò a ridere e gli batté il cinque. Come
volevasi dimostrare.
Alice
lo guardò di traverso, poi voltò le spalle e si
infilò tra gli alberi. «Au
revoir, trésors. Fate attenzione,
potreste ritrovarvi sepolti sotto la neve quando meno ve lo
aspettate».
Quella
vampira sapeva essere inquietante, anche per gli standard della nostra
specie.
Nel giro di pochi secondi ci dividemmo nei due gruppi prestabiliti e
corremmo,
gli uni lontani dagli altri.
Mentre
ci allontanavamo dalla casa sentii Esme mormorare, affranta:
«Però mi piaceva
questo golf, era il mio preferito».
Corremmo
per qualche minuto, finché Alice non si ritenne soddisfatta
e iniziò a
rallentare, fino a fermarsi del tutto.
«Bene,
ora non siamo più a portata della telepatia di
Edward». Ci fermammo sotto un
abete. I rami erano stracolmi di neve, così come la terra,
quasi un lontano
ricordo sotto quindici centimetri buoni di pesanti fiocchi bianchi.
«Peccato
che non riesca ad estendere il tuo scudo, Bella. Sarebbe perfetto,
potremmo
evitare totalmente il potere di Edward», sospirò.
Liquidò la questione con una
scrollata di spalle, anche se continuò a sembrare piuttosto
rammaricata.
Alice
stava prendendo un po’ troppo sul serio la questione della
“guerra a palle di
neve”.
«Tenete
i telefoni vicini, comunicheremo con i messaggi, come vi ho
detto».
«Ora
ci dividiamo?», chiesi.
Alice
annuì. «Io vado a est, Esme, tu resta intorno a un
chilometro più a sud, Rose
tu, più lentamente, muoviti verso sud-ovest. Bella, tu, che
non puoi essere
intercettata da Edward, dirigiti un po’ più a nord
di Rose. Ora io inizio a
tenerli d’occhio, ma dobbiamo circondarli e coglierli di
sorpresa per batterli.
Vi aggiorno sullo schema tra qualche minuto».
Esme
storse le labbra, sorpresa. «Alice! Mi sembrava che avessimo
preso tutte le
precauzioni perché il gioco fosse pulito. I ragazzi non
hanno vantaggi grazie
ai loro poteri».
Alice
sorrise, furba. «Abbiamo preso precauzioni sul potere di
Edward, non sul mio».
«Ti
sarei grata se non imbrogliassi».
«Uff,
non imbroglierò».
Esme
era scettica. «Promesso?»
«Croce
sul cuore». Alice sghignazzò. Dubitai
dell’attendibilità della sua promessa e,
stando alle loro espressioni, anche Rose ed Esme.
«E
ora andiamo, su, prima che siano loro a trovarci».
Ci
sparpagliammo nelle direzioni dateci da Alice. Corsi per circa mezzo
chilometro, poi rallentai, in ascolto. Sarei dovuta essere ancora
abbastanza
lontana da chiunque dei ragazzi: si erano diretti a ovest, nella
direzione
opposta alla nostra, ma probabilmente avevano adottato il nostro stesso
schema e
rischiavo di andare incontro a uno di loro. Sperai non Emmett, o mi
sarei
probabilmente ritrovata sotto mezzo metro di neve senza nemmeno
rendermene
conto.
Il
telefono mi vibrò nella tasca, lo presi e lo osservai: sullo
schermo
illuminato, era comparso il nome “Alice” accanto
all’immagini stilizzata di una
busta da lettere. Vi premetti sopra con il dito e immediatamente si
aprì una
nuova finestra, in alto, a sinistra, era comparso il messaggio
“Ferma!”, sopra
uno sfondo giallo. Ferma? Stava arrivando qualcuno? Mi guardai intorno,
velocemente, ma non vidi né sentii niente di sospetto. Mi
accucciai comunque ai
piedi di un albero, per sicurezza. Stavo per rispondere al messaggio,
per
chiederle cosa stesse succedendo, quando il cellulare vibrò
di nuovo. Sotto il
messaggio di Alice ne comparve un altro “Con chi
parli?” su uno sfondo rosa.
Sopra vi era scritto “Rose”. Pochi secondi dopo
comparve un altro messaggio,
questa volta di Esme, su uno sfondo verde:
“Alice?”. Fantastico, una chat di
gruppo. Ci saremmo incasinate all’inverosimile.
“Per
me è morta. Oppure l’hanno catturata”,
risposi.
“Fantastico,
abbiamo perso la nostra arma”, Rose.
“Come
facciamo ora?”, replicai.
“Tranquilla,
mi sono comunque assicurata la nostra vittoria: ho minacciato Emmett,
prima di
tornare a casa”, rispose lei.
“Non
penso che Emmett si lasci convincere a perdere così
facilmente”.
“Ma
io ho ottimi argomenti”, terminò Rose. Subito dopo
mandò uno smile. Ridacchiai.
I suoi cambiamenti di umore mi facevano quasi venire il mal di testa
ma, se
fossero continuati in quella direzione, non mi sarei certo lamentata.
Da quando
c’era stato il chiarimento con Tanya, il rapporto tra me e
Rose era in qualche
modo cambiato. Non che fossimo diventate amiche per la pelle, ma lei
aveva
smesso di guardarmi in cagnesco e io non mi sentivo più a
disagio a stare nella
stessa stanza con lei. Un paio di volte avevamo addirittura scambiato
qualche
parola.
Il
telefono vibrò nuovamente, questa volta però,
accanto a “Alice” c’era un
piccolo tastino del play. Forse ascoltare una registrazione vocale con
il
pericolo che Emmett e il mezzo metro di neve mi piombassero addosso da
un
momento all’altro, non era una buona idea. Ma se Alice
l’aveva mandato voleva
dire che potevamo ascoltarla tutte, no?
«Rose,
parlavo con Rose! Ti stavi avvicinando troppo a Jazz, ma lui ha
cambiato
direzione diverse centinai di metri prima di poter sentire il tuo
odore. Tutto
okay».
Bene,
se non si trattava di me potevo andare avanti, avrei dovuto proseguire
per
almeno altri trecento metri.
Il
telefono vibrò nuovamente e lessi velocemente il messaggio,
ma non era Alice.
Esme si lamentava per la poca correttezza dei gesti di Rose e per le
visioni di
Alice. Quest’ultima replicò che lei non stava
commettendo alcuna scorrettezza,
semplicemente utilizzava tutte le armi di cui era in possesso. E che
Rose
faceva lo stesso, circa. E poi Emmett era libero di prendere qualsiasi
decisione volesse, no? Testuali parole di Alice. Risi, ma evitai di
rispondere.
Camminavo,
più tranquilla, facendo comunque attenzione a qualsiasi
suono o movimento
causato anche solo dal vento.
Quando
fui certa di aver percorso un intero chilometro mi feci ancora
più guardinga,
evitai di toccare gli alberi, nella speranza che il vento e la neve
rovinassero
almeno un po’ la traccia olfattiva che stavo lasciando.
Cambiai direzione e
ritornai sui miei passi per tre volte, così da confondere la
scia. Mi sentivo
tanto un super agente segreto alle prese con la sua missione
più importante.
James Bond sarebbe stato fiero di me. Più di una volta mi
voltai a destra o a
sinistra a causa di qualche movimento sospetto, anche se ero certa che
non ci
fosse nessuno nel raggio di quattrocento metri da me. Avvertii un
movimento
alle mie spalle, mi voltai di scatto, ma si trattava solo di un
animaletto del
bosco ritardatario. Quel gesto, però, mi servì a
comprendere quanto fossi stata
stupida negli ultimi dieci minuti: non solo avevo lasciato una
meravigliosa
scia olfattiva, ma anche delle più che riconoscibili
impronte sulla neve che,
guarda un po’, portavano dritte dritte al punto in cui
eravamo partite e, dal
quale, sarebbe stata una sciocchezza trovare anche le altre. Di sicuro
Jasper
aveva previsto qualcosa del genere e gli altri erano già
sulle nostre tracce.
Ma perché Alice non mi aveva avvisata? Dannazione.
Saltai
sull’albero più vicino e mi arrampicai per quattro
metri. Da lì avrei avuto una
visione migliore dell’ambiente circostante. Notai, a quasi un
chilometro di
distanza, che le fronde di un albero venivano scosse, ma non sembrava
opera del
vento. Scesi di un metro e mi accucciai contro il tronco
dell’albero. Afferrai
il cellulare nel momento esatto in cui vibrò. Entrai
immediatamente nella chat,
probabilmente se avessero potuto mi sarebbero tremate le mani. Provavo
qualcosa
di molto simile ad una scarica di adrenalina.
“Ti
stai avvicinando troppo a Carlisle! Non siamo ancora in posizione.
Esme, ci
vedremo tra sette secondi esatti. Rose, dirigiti a sud, verso Bella. Ma
fai
attenzione, c’è anche Edward da quelle
parti!”
Ringrazia
mentalmente Alice per la sua inutilità. Avevo capito
anch’io che mi stavo
avvicinando a qualcuno, ma mi serviva sapere dove andare per evitare di
essere
presa! Decisi che la scelta migliore sarebbe stata aggirare il
problema: saltai
da un albero all’altro – in quel momento mi sentii
più Tarzan che James Bond –
per un buon mezzo chilometro, mettendo distanza tra me e Carlisle,
così da
poter poi riprendere la mia direzione, evitando di incontrarlo. Stavo
quasi per
battermi il cinque da sola quando, Alice mandò nuovamente un
messaggio vocale.
«Bella,
stanno giocando con le mie visioni! Non-».
Ma
la registrazione si interruppe prima che Alice avesse finito di parlare.
Cos’era
successo? L’avevano raggiunta? E che voleva dire che stavano
giocando con le
sue visioni? Esme era con lei? Cosa dovevo fare?
Per
un attimo fui quasi certa di essere circondata, ma presto mi resi conto
di
quanto mi stessi autosuggestionando: non c’era nessuno
attorno a me, non
sentivo né l’odore né tanto meno vedevo
o avvertivo dei movimenti. Saltai altri
quattro alberi, senza distogliere lo sguardo dal telefono. Intanto
arrivarono
diversi messaggi di Esme e Rose. Esme non aveva trovato Alice e Rose
voleva
sapere cosa stesse succedendo dato che era certa di aver sentito
qualcosa a
quattrocento metri da lei.
Finalmente
Alice ricomparve e inviò un altro audio. Non fui certa fosse
una mossa
intelligente, dato che molto probabilmente se Rose avesse ascoltato la
registrazione l’avrebbe fatto anche il suo inseguitore.
«Scusate,
stavo avendo una visione e mi è scivolato il telefono di
mano. Tutto bene, non
l’ho rotto», “Come se me ne fregasse
qualcosa della caduta del telefono”,
rispose Rose. «Bella, spostati, qualcuno ha intercettato la
tua scia e ti sta
venendo dietro. Non capis-». Di nuovo, la registrazione si
interruppe. Soffocai
un ringhio esasperato. Possibile che quella vampira avesse le mani di
burro e
che non riuscisse a completare una frase in grazia di Dio?
Volai
da un albero all’altro, nel tentativo di mettere distanza tra
me e il mio
inseguitore. Eppure, quando mi fermai, mezzo chilometro più
avanti, fui quasi
certa di avere qualcuno davanti,
non
dietro.
Il
telefono vibrò di nuovo.
«Mi
hanno ingannata! Bella, non è Carlisle che ti insegue, ma
Edward! Scappa verso
est, stai correndo tra le braccia di Emmett! Rose, hai Jazz alle
calcagna! Quei
bastardi-», Alice ringhiava per la rabbia e, di nuovo, non
aveva completato la
registrazione.
Eseguii
i suoi ordini, inorridita al pensiero di Emmett e del famoso mezzo
metro di
neve che si sarebbe raddoppiato, dato che non ero tanto sicura che
Edward mi
avrebbe salvata.
Arrivò
una nuova registrazione e fui tentata di non aprirla, certa che non
sarei stata
l’unica a sentirla. Era Alice, ma a parlare fu Esme. Si erano
incontrate?
«Vogliono
imbrogliarci con i nostri stessi imbrogli! Non possiamo permetterlo!
Sentite,
allontaniamoci tutte verso sud, va bene? Torniamo alla base e facciamo
il punto
della situazione». Simultaneamente arrivò un altro
messaggio, questa volta scritto,
da parte di Alice: “Io ed Esme siamo insieme, non fate niente
di ciò che vi ha
detto! Rose e Bella, dirigetevi a est, ma più a sud del
punto di partenza. Li
coglieremo di sorpresa proprio lì”.
Annuii,
tra me e me, seguendo le indicazioni di Alice. Ma fui totalmente certa
del
genio di mia sorella solo quando mi resi conto di essere nuovamente del
tutto
sola. Edward e Emmett mi avevano preceduta, evidentemente convinti di
poterci
sorprendere una volta arrivate là. Più mi
avvicinavo alla meta e più mi rendevo
conto di aver già percorso quei sentieri. Fui certa che, se
mi fossi spostata
di qualche centinaio di metri a sinistra, avrei trovato le mie stesse
orme
sulla neve. Orme che, probabilmente, stavano conducendo i ragazzi
dritti dritti
nella nostra trappola.
Esultai
tra me e me, già pregustando la vittoria e la neve che avrei
riversato sulle
teste di Edward ed Emmett, che erano stati tanto carini da pensare di
attaccarmi in due. Quello sì che era un comportamento
scorretto. Avvertii il
telefono vibrare nuovamente ma, presa dalla corsa sugli alberi, non
controllai
il nuovo messaggio. A duecento metri dal punto prestabilito vidi Rose,
sull’albero accanto al mio. Mi fece cenno di seguirla e io lo
feci, aumentando
però la distanza tra noi due, in modo che, una voltai
arrivate dai ragazzi,
saremo state in grado di tagliare loro la strada da più lati.
Una
volta lì feci a malapena in tempo a registrare i quattro
vampiri molto spaesati
e Edward che, leggendo i pensieri delle altre, aveva capito
l’imbroglio e stava
intimando agli altri di scappare.
Troppo
tardi.
L’urlo
– o ringhio – di guerra più assurdo e
terrificante che avessi mai sentito
arrivò da un albero di fronte a me. Assurdo
perché proveniva da una minuscola ragazza
che in quel momento si dondolava con forza indicibile da un ramo e
sparava
terribili bombe di neve contro dei vampiri totalmente disorientati, a
terra.
Terribile perché, nonostante tutto, era una vampira. Molto
inquietante, per
giunta. Seguii il suo esempio e, saltando da un ramo
all’altro del mio abete,
scrollai via diversi chili di neve che finirono, alla rinfusa, un
po’ sulla
terra e un po’ addosso ai ragazzi. Rosalie ed Esme non si
risparmiarono e
pregustavo già la vittoria quando, finalmente, i nostri
nemici si decisero a
reagire.
Non
era facile colpire qualcuno che, dall’alto, nascosto tra le
fronde degli
alberi, ti bombardava con la neve e impediva, non solo i movimenti, ma
anche la
visuale. Dopo i primi attimi di stordimento iniziale, Emmett riprese
vigore e,
ringhiando, raccolse tra le braccia una massa esorbitante di neve che
lanciò
contro l’albero di Alice. In quel momento tutto
iniziò a essere confuso, mentre
saltavo da un albero all’altro, scuotendo i rami per
riversare la neve a terra,
iniziai a sentire i tronchi che venivano smossi e più di una
volta rischiai di
cadere di sotto. Mentre noi attaccavamo dall’altro, loro ci
bombardavano dal
basso e cercavano di farci cadere. Vidi, nella confusione generale,
Esme
precipitare a terra e Jasper riempirla di neve da testa a piedi. Presto
mi
ritrovai a non essere più sola sul mio albero e vidi
arrivare Emmett – e la
neve – arrivare, un secondo prima di essere sbalzata a terra.
Da quel momento
in poi, non saprei dire con esattezza cosa sia successo, fatto sta che
mi arrivò
neve da qualunque direzione e io stessa ne lanciavo più che
potevo dappertutto.
Probabilmente colpii anche le mie stesse alleate.
Non
ci fu più alcuna logica, finimmo tutti inzuppati dalla neve
e mezzo sepolti
sotto di essa. Non ci furono vinti e vincitori, ma fu uno dei giorni
più belli
della mia vita.
NOTE IMPORTANTI
Ieri,
io e Joan, abbiamo parlato
a lungo della storia e della sua trama. Mi ha fatto notare –
anche se io stessa
ci riflettevo su da un po’ – che, a parer suo,
nella storia manca qualcosa. Una
vera crisi, un punto di rottura ben definito in cui le cose vanno in
malora e,
solo dopo sforzi titanici, i protagonisti riescono a riportare la pace
e la
tranquillità, per poi arrivare al tanto agognato
“e vissero per sempre, felici
e contenti”. Sospetto che questo sia il pensiero anche di
alcune di voi, per
questo ho deciso di annoiarmi con un piccolo – si fa per dire
– papiro.
Questa
storia è nata da una
domanda che mi posi circa tre anni fa: cosa sarebbe e successo se
Edward e
Bella si fossero conosciuto da vampiri? La risposta è stata
quasi scontata: si
sarebbero innamorati lo stesso, in circostanze diverse, ma sarebbero
diventati
ugualmente compagni di vita. E questa storia è
ciò che la mia mente ha
prodotto, dopo essersi data questa risposta. Ragazze, questa
è la storia di un
innamoramento, di due persone che, conoscendosi, scoprono di essere
fatte l’una
per l’altra. In questo caso le due persone sono due vampiri,
di cui una appena
trasformata e alle prese non solo con una nuova vita, ma anche con
l’ingresso
in una nuova famiglia. Famiglia di vampiri che convive, in precario
equilibrio,
con una comunità di licantropi e che, nel momento del
bisogno, si rivolge al “resto”
della famiglia di cui – a causa della sfiga nera che
perseguita Ed e Bella per
tutta la saga – fa parte anche una vampira che ha una cotta
per lui da decenni.
In questa storia ci possono essere solo dei piccoli drammi, quelli
della vita
quotidiana di due vampiri (fa un po’ strano dirlo, no?) che
si innamorano. Più
annessi e connessi, ovvio. È la storia di un innamoramento,
nessuna sottotrama,
nessun casino pronto a saltare fuori. Ormai siamo quasi alla
conclusione e mi
dispiace se ho deluso qualcuno, se ora questi ultimi capitoli vi
possono
sembrare piatti e noiosi. Mi scuso per questo, ma non posso fare
altrimenti,
perché questa storia non ha una trama avventurosa, o
drammatica, o ciò che
volete, è una romantica. Una romantica terribilmente
flluffosa, aggiungerei.
Un
altro fattore è l’IC dei
personaggi, che ho tentato di rispettare al massimo. Avrei potuto
permettere a
Carlisle di iniziare una guerra contro i licantropi, sapendo che si
sarebbero
sprecate delle vite per un loro errore? No, Carlisle non farebbe nulla
del
genere. Avrei potuto costringere Tanya a fare la scassaboccini di
turno,
facendole fare la parte della troietta (passatemi la
volgarità) senza un minimo
di amor proprio? No, lei non si ridicolizzerebbe tanto. Avrei potuto
far
arrivare i licantropi dall’America all’Alaska? No,
sarebbe un’assurdità. Avrei
potuto far litigare Edward e Bella fino a farli quasi rompere? E quanto
mai ‘sti
due hanno litigato? Queste sono le domande, e annesse risposte, che mi
sono
posta. Ora capite perché le cose non sarebbero potute andare
in maniera
diversa? È la storia di un amore, non di una guerra, non di
una famiglia o di
una nuova vita. Solo un amore – un amore molto IC –
senza sottotrame. Mi sono
detta di essere capace a scrivere storie drammatiche, incentrate su un
problema, una questione da risolvere, una guerra, ma non è
questo il caso.
Ieri
sono riuscita a spiegare il
mio punto di vista a Joan, spero di avercela fatta anche con voi e
spero che lo
condividiate. In caso contrario, vi chiedo scusa per aver deluso le
vostre
aspettative, non era mia intenzione.
Ho
terminato, scusatemi se vi ho
annoiate ancora di più con ‘sta cosa. Ci tenevo a
farvi sapere qualche
questione così. ^^
Come
accennavo prima, siamo allo
scioglimento della vicenda, che si coronerà nel prossimo, e
ultimo, capitolo.
Ci sarà poi un epilogo e la storia sarà conclusa.
Questo
è un capitolo davvero
molto leggere, uno ‘slice of life’, che fa da ponte
il precedente capitolo e la
conclusione. Serve soltanto a dimostrarvi come le cose, dopo circa due
mesi, stanno
prendendo la piega giusta.
Ho
davvero finito, giuro!
Grazie,
come sempre, a Joan
Douglas per la betatura e, soprattutto, per l’ottima
consulenza. Ho sempre
bisogno dei tuoi consigli (e dei tuoi problemi con le registrazioni che
mi
ispirano lool). Grazie a tutte voi che recensite e che leggete la
storia. Senza
di voi non sarei mai arrivata qui.
A
presto!
Vero