Appoggiata
con
gli avambracci sul davanzale della finestra del suo camerino, il mento
posto su
di essi a sorreggere la testa stanca, osservava la folla di fan che si
era
radunata sotto lo studio di riprese, ovviamente consapevoli del fatto
che vi
fosse lei.
La
acclamavano
a gran voce, protendendo le braccia verso la sua figura, nel desiderio
di
toccarla.
Era
questo
che si provava ad essere delle semplici persone sconosciute?
Davvero
ai
loro occhi la gente come lei appariva irraggiungibile alla stregua di
divinità
supreme?
La
devozione
e “l’amore” che le dimostravano avrebbero
dovuto farla sentire orgogliosa e
benvoluta.
Ma
quello
non era vero amore…
Come
potevano
amare qualcuno che avevano visto solo sulle copertine delle riviste di
gossip e
musica?
La
verità è
che loro amavano l’idea che si erano fatti di lei.
Amavano
Boa
la pop star e non Boa la ragazza che desiderava una vita normale.
È
difficile
vedere oltre quando si è accecati dalla bellezza che il
mondo dello spettacolo
riflette negli occhi della gente, e lei ne era l’esempio
lampante.
-
Facciamo terapia da tre anni ormai, e mi
è
rimasta solo una domanda da farti. C’è qualcuno
che ti ama, Boa?-
Non
sapeva
se odiare o essere grata al suo psicanalista, a volte aveva come
l’impressione
che nel tentativo di salvarla non facesse altro che spingerla ancora
più a
fondo nel baratro nel quale stava precipitando.
Lui
la
metteva davanti alla cruda verità che tanto cercava di
evitare.
In
fondo era
proprio questo il suo lavoro: scavare nella psiche umana, estrarre
quello che
la gente nascondeva di proposito per non doverlo affrontare.
Quella
domanda
era la più difficile di tutte, perché la risposta
era orribile.
Nessuno
la
amava davvero.
Sua
madre
amava i soldi che le permetteva di fare, i suoi fan amavano
l’immagine che dava
di se stessa.
E
Boa?
Chi
amava
Boa?
Nessuno.
Gli
occhiali
scuri che indossava in quel momento impedirono al mondo di vedere le
lacrime
che iniziavano a scendere silenziose.
Eppure,
in
quelle lacrime si nascondeva un grido assordante.
-
C’è qualcuno che ti ama?-
insistette
Shanks.
Di
nuovo
nessuna risposta.
Erano
parole
troppo pesanti per la sua bocca.
-
Levati gli occhiali e guardami negli occhi-
Dannato
strizzacervelli!
Se
lei era
testarda, lui lo era anche di più.
Non
avrebbe
mollato fino a quando non avrebbe ottenuto quello che voleva.
Ci
teneva
tanto ad umiliarla?!
Era
così
importante per lui sapere che nessuno la amava?!
Come
se non
lo avesse già capito da solo!
La
rabbia
crebbe, unita al dolore, dando vita ad un mix amaro e potente come un
veleno.
Con
un gesto
di stizza, si levò gli occhiali da sole, gettandoli sulla
folla strepitante,
che subito non perse occasione di accalcarsi e spintonarsi nella
speranza di
afferrare quell’oggetto considerato come una santa reliquia.
-
Va bene così?!- si
voltò verso di lui,
mostrando i suoi occhi azzurri colmi di lacrime, le cui tracce erano
ancora
visibili sulle sue guance.
Stavolta
fu
Shanks a concedersi un lungo silenzio, rotto solo dalle grida al di
fuori della
finestra.
Annotò
con
precisione qualcosa sul suo taccuino, probabilmente impressioni che si
era
fatto scrutandola in volto.
Di
sicuro il
suo giudizio non sarebbe stato positivo.
Esausta
per
quell’interrogatorio, tornò ad appoggiare la testa
sopra le braccia, facendo
uscire nuove lacrime.
…………….
Ormai
era
uscito dal camerino da quasi dieci minuti.
Poteva
sentire
la sua voce appena al di fuori della porta, seguita da quella di sua
madre.
Stavano
avendo
una discussione abbastanza sostenuta, poiché nessuno dei due
voleva cedere la
ragione all’altro.
Desiderosa
di sapere, si alzò dal divano sul quale era seduta, andando
verso la porta e
appoggiando l’orecchio su di essa per origliare la
conversazione.
In
fondo era
di lei che si parlava, quindi aveva tutto il diritto di sapere.
Chissà
se
Shanks sarebbe riuscito a far capire a sua madre quello che lei non gli
aveva
mai confessato in diciotto anni…
Ma
sapeva
che sua madre era fredda, troppo fredda per preoccuparsi dei sentimenti.
Il
lavoro,
la carriera, i soldi: questo era l’essenziale per lei.
-
Mia figlia deve assolutamente proseguire
questo spot. Molte persone dipendono da lei- la
sentì affermare con
decisione, come a voler intimare che non si poteva discutere sulla
questione.
-
E lei? Lei da chi può dipendere?-
replicò Shanks.
-
Ti ho chiamato perché facessi
capire a mia
figlia i suoi obblighi. La conosco perfettamente, so che è
solo una ragazzina
viziata che sta facendo tutto questo per avere attenzioni!-
-
Non sono affatto capricci. È sotto
pressione, oltre i limiti del consentito, e ha bisogno di finirla
adesso con
tutto questo, perché potrebbe seriamente peggiorare-
parlò con calma, che
al tempo stesso lasciava trapelare preoccupazione.
-
Smettere?! Come puoi anche solo pensare che
possiamo fermarci?! Abbiamo un tour nazionale davanti! Stiamo per
lanciare un
disco! Boa deve continuare!-
sottolineò quella parola, per rendere meglio
l’idea dell’obbligo.
A
quel punto
non le interessava nemmeno restare ad ascoltare il resto della
conversazione.
Era
la prova
che nessuno la amava.
A
sua madre
non importava quanto stesse male, quanto fosse grave la sua situazione.
Per
lei
doveva essere solo una macchina in grado di lavorare
ventiquattr’ore su
ventiquattro senza mai avvertire stanchezza, obbedendo agli ordini
senza mai
fiatare.
Non sapeva perché
le faceva così male, d’altra
parte era qualcosa che dentro di lei aveva sempre saputo.
Sentirglielo
dire così apertamente, però, era stato straziante.
Anche
i
milioni guadagnati in dodici anni non servivano a compensare la
mancanza di
amore materno.
Ormai
comprarsi vestiti e accessori costosi non riusciva più
colmare quel vuoto che
si faceva sempre più profondo, come una voragine senza fine.
Era
sull’orlo
del collasso.
-
BOA! BOA! BOA!-
Quando
l’avrebbero
fatta finita quei maledetti stalker sotto la finestra?!
Le
facevano
salire ancora di più i nervi a fior di pelle con i loro
schiamazzi!
Erano
solo
capaci di chiamarla a gran voce, ma nessuno di loro la aiutava ad
uscire da
quell’inferno.
Nessuno
di
loro vedeva la sofferenza che stava al di là dei bei sorrisi
da copertina.
Quando
lei
avrebbe abbandonato lo studio, loro se ne sarebbero tornati belli e
contenti
nelle loro case, a mangiare pranzi ricchi di grassi e a fare tutto
quello che
volevano.
E
lei?
Lei
avrebbe
continuato a spiluccare cibi dietetici dal sapore disgustoso, fra un
set
fotografico e l’altro, passando per intere giornate chiusa
dentro la sala prove
di una casa discografica.
Il
successo
equivaleva a una prigione.
Stancamente,
si trascinò nuovamente fino al divano, lasciandosi cadere
sopra di esso e
scoppiando in singhiozzi, con la testa fra le mani.
-
Boa? Boa te lo chiedo per favore: esci
così
possiamo finire presto questo dannato spot, ok?-
La
voce di
sua madre fuori dalla porta.
Evidentemente
Shanks aveva avuto la peggio, come sempre.
Non
esisteva
via d’uscita alla sua condanna.
Mossa
da una
rabbia che era più forte del dolore stesso, si
passò nervosamente una mano fra
i capelli, digrignando i denti e alzandosi in piedi di scatto, muovendo
passi
veloci verso la porta e aprendola con uno scatto fulmineo.
-
CHE VUOI MAMMA?!?! SONO STUFA DI
ASCOLTARTI!!!- gli sbottò in faccia, tornando poi
a rannicchiarsi sul
divano con la testa fra le mani.
-
Smettila di essere così testarda.
Siamo tutti
stanchi dei tuoi capricci- la rimproverò,
sedendosi su una sedia a pochi
passi da lei.
-
SONO IO A ESSERE STANCA DI TUTTI!!!-
gesticolò con fervore, mentre le parole uscivano rabbiose
come un fiume in
piena - SONO STANCA DI TE, MAMMA!!! HO
FAME!!! MANGIO SOLO TONNO DA ANNI!!!-
-
Baby…devi capire che questa
è la vita di un’artista-
parlò con tono dolce, nel tentativo di indorarle la pillola.
-
Ma io non ho una vita, ho solo una carriera,
mamma!!!- abbassò di poco i toni, con la voce
rotta dal pianto.
-
Ascolta…Finiamo di girare quello
spot e poi
andiamo a casa, ok?- si avvicinò a lei, posandole
una mano sulla spalla.
-
NO, NO, NO!!! NON TOCCARMI!!!- si
alzò
di scatto, respingendo la mano e allontanandosi.
Non
rispondeva
più di sé.
La
rabbia e
la disperazione si erano unite in un mix letale.
Tutto
le
sembrava un’enorme bugia dalla quale era impossibile uscire
con le proprie
forze.
Tutto
quello
che usciva dalla bocca di sua madre non era altro che un vano tentativo
di
farle nuovamente fare ciò che voleva.
Non
sarebbe
caduta di nuovo nella sua trappola.
-
Sei troppo nervosa tesoro…-
cercò di
nuovo di assumere un tono sdolcinato che non le si addiceva per niente
- Se vuoi possiamo mangiare un gelato alla
vaniglia con i brownies. Rilassati tesoro, vieni qui…-
tese le mani nel
tentativo di abbracciarla.
-
TI HO DETTO DI NON TOCCARMI!!!-
sbraitò,
spingendola ripetutamente indietro con forza.
Fu
un
attimo, una frazione di secondo.
Quegli
stessi
tacchi alti che si ostinava a far portare anche a lei da anni furono la
sua
rovina.
Non
si rese
nemmeno conto di come accadde, forse era scivolata, forse aveva
inciampato
nella gamba del basso tavolino al centro della stanza.
Quando
un
barlume di lucidità riprese posto nella sua mente,
trovò la madre a terra priva
di sensi.
Era
sdraiata
lì, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, il corpo che
non dava cenni di
movimento.
Restò
a
fissarla per qualche secondo, incapace di reagire.
La
rabbia di
poco prima aveva lasciato spazio alla paura.
-
Mamma…? Stai bene…?
Andiamo a fare lo spot…Mamma?!
Mamma?!?!- provò a scuoterla leggermente
più e più volte, senza risultato.
Le
mani
iniziarono a tremarle, la fronte si imperlava di sudore.
Forse
il
gesto che aveva commesso era anche peggio di tutto ciò che
le aveva fatto sua
madre.
-
Oddio…l’ho
uccisa…!- sussurrò, come a
non voler far sentire nemmeno alle pareti il crimine di cui si era
macchiata.
Se
qualcuno
l’avesse scoperta, non sarebbe finita solo la sua carriera,
ma anche la vita
che doveva ancora cominciare.
Anche
se non
c’erano prove che l’avesse spinta lei, anche se
avrebbe potuto raccontare che
Domino era scivolata da sola a causa dei tacchi, il senso di colpa la
perseguitava come un fantasma nell’ombra.
Inoltre,
la
sua mente era sotto uno shock troppo profondo per architettare un piano
che
stesse in piedi.
Le
restava un’unica
cosa da fare.
Lesta,
si
avvicinò alla porta in punta di piedi, aprendola e
richiudendola subito dopo,
per non permettere a nessuno di vedere all’interno del
camerino.
Accertatasi
che nessuno la stesse osservando, si dileguò in silenzio
lungo il corridoio.
Non
credevo
di finire così presto il capitolo, forse è un
po’ corto ma la prossima parte
preferisco tenerla a sé. Mi piace chiudere con questo colpo
di scena! Voi che
ne pensate? Domino sarà morta per davvero? E Boa cosa
farà adesso? Spero che
questa storia continui a piacervi, so che ci si sta mettendo una vita
per
arrivare nel centro di recupero ma prima è necessario
delineare i profili di
queste tre ragazzacce, per poi comprenderne gli atti futuri. Inoltre
sto
seguendo alla lettera gli episodi della telenovela, perciò
prendetevela con gli
autori! XD
Grazie a
tutti quelli che stanno supportando questa fic nonostante sia
così insolita!
Il prossimo
sarà su Tashigi che vedo piace proprio a tutti! ;P
Baci
Place
Vuoi
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reali della
telenovela da cui è stata tratta questa fic? Fai un salto
sul mio portfolio,
troverai questo e molto altro!