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Autore: Il Nomade    03/09/2014    8 recensioni
{Storia ad OC – iscrizioni chiuse}
Dal testo:
"Il suo Ba, la strana parte della sua anima dalla forma di un uccello, se ne era andato a fare un voletto per conto suo mentre lui dormiva, mostrandogli cose che lui avrebbe certamente preferito non vedere.
[...]
Era quello il problema dell'essere figlio di un dio egizio incapace di farsi i fatti suoi: ti s'infilava nel cervello e continuava a parlare e parlare (e parlare) finché non ti veniva voglia di estirpartelo dal naso con un uncino."
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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So, let me present...
(parte uno)



Anne
 
Anne Taylor amava la Duat's Academy, ma non di certo perché là poteva studiare i suoi cosiddetti “poteri semidivini”. No.
A lei non importava un fico secco di essere per metà una dea, della possibilità di morire con il cervello spappolato da uno strano ibrido o di imparare a gestire la “nobile arte della magia egizia”.
Il punto erano gli amici e, in alcuni casi, i nemici.
E poi, ovviamente, c'era Robb Bennett, ma lui era un caso a parte.
Loro due avevano bisogno di “definire il loro tipo di relazione” molto più di qualsiasi altre persone presenti sulla faccia della Terra.
Erano amici? Conoscenti? Compagni di sventure? Si odiavano?
Anne non ne aveva la minima idea. Sapeva solamente che, in quel momento, stava cantando a squarciagola insieme ad Annelise Hastings una canzone dei Guns n' Roses. Si trovavano entrambe sul letto di quest'ultima e tenevano una spazzola rossa tra le mani come se fosse un microfono.
Annelise aveva sedici anni, ed Anne pensava che fosse una delle persone migliori che le potesse capitare di incontrare.
Erano divenute amiche sin dal primo istante in cui si erano incontrate. L'aveva vista tingere di centinaia di colori differenti le punte dei suoi capelli e diventare pian piano ben più alta di lei.
Era figlia di Nefti, ed era in assoluto la sua migliore amica.
Quel pomeriggio, entrambe avevano deciso che saltare le lezioni di “creazione di Shabti” fosse la cosa più saggia da fare. Nessuna delle due aveva voglia di passare la giornata a tentare di costruire delle statuette magiche senza riuscire a dare loro la forma desiderata. E poi non si vedevano da così tanto tempo che avevano talmente tante cose da raccontarsi che non sarebbero comunque riuscite a concentrarsi su niente.
Anne si lasciò cadere sul materasso insieme ad Annelise, ridendo.
«Questo posto mi è mancato così tanto!» esclamò Anne, mentre buttava il capo sul cuscino e chiudeva gli occhi.
Annelise si sedette, più attenta.
«Com'è andata nel New Orleans?» chiese.
Anne sbadigliò.
«Il solito, lo sai» rispose «ho litigato con mio padre per la maggior parte del tempo. Era fuori di sé perché appena sono arrivata il cane ha cominciato ad abbaiare e non ha più smesso. La sua nuova fidanzata si è presa una camera d'albergo in centro pur di non incontrarmi. L'unico felice di vedermi era mio fratello, ma mi ha comunque sgridata perché non gli ho scritto molto».
Annelise storse il naso.
«Il solito» confermò, poi abbozzò un sorrisetto astuto «almeno adesso sei qui, con Robb».
«Che... che cosa?!» domandò l’altra, sbattendo gli occhi.
Annelise scoppiò a ridere, ed Anne la fulminò con lo sguardo.
«L’hai voluta tu, Liz» minacciò la figlia di Bast, agguantando un cuscino e sollevandolo sopra la testa, pronta a colpire.
Per tutta risposta, l’amica rise ancora più forte.
 
Jack
 
«Potrei batterti anche con una mano legata dietro la schiena, se volessi!».
«Certo. Immagino che tu mi abbia lasciato vincere di tua spontanea volontà, allora, quella volta».
«Ovviamente, mi facevi così tanta pena che...».
Damon Evans, con la sua folta chioma scura da selvaggio, e Layla Cloud, con i suoi occhi verde ambrato contornati di Kohl, si stavano punzecchiando, come sempre.
Se uno l’avesse domandato a loro, entrambi avrebbero certamente risposto che si odiavano a morte a vicenda e niente, assolutamente niente, avrebbe mai potuto cambiare le cose tra di loro.
Jack Windstorm, figlio di Shu e loro grande amico, era di un altro parere, ma non si sarebbe mai neanche lontanamente sognato di esprimerlo ad alta voce.
Forse non poteva vederli, e questo gli impediva di cadere nella trappola delle apparenze, ma riusciva benissimo a sentirli e non poteva fare a meno di sorridere almeno un po’.
Da quando li conosceva, quei due erano sempre insieme.
Anche in quel momento si trovavano proprio di fianco a lui e che, nonostante avessero dovuto concentrarsi sul tentativo di modellare uno Shabti in una forma decente, si stavano invece guardando come se fossero cane e gatto.
Layla stava indubbiamente escogitando la maniera migliore per far perdere le staffe al suo nemico e Damon, al contrario, con ogni probabilità aveva infilato le mani nelle tasche dei jeans e aveva messo su quel suo tipico sorrisetto da piantagrane che, la maggior parte delle volte, aveva il solo effetto di irritare Layla ancora di più.
«Pena?» ripeté Damon, in tono scettico «ma ti senti?».
Jack lo sentì ridere sommessamente, ed alzò gli occhi ciechi al cielo.
Layla inspirò duramente dal naso, come per mantenere la calma.
I braccialetti d’oro che aveva appesi ai polsi tintinnarono, e Jack seppe che la figlia di Neith aveva appena incrociato le braccia.
«Sei solo uno sbruffone, Evans» dichiarò la ragazza, alla fine.
«Senti da che pulpito viene la predica» ribatte Damon, senza smettere di sogghignare «se io fossi in te, Layla...».
«Ragazzi...» intervenne Jack, in tono pacifico, massaggiandosi le tempie con le dita ed abbandonando il suo Shabti sulle sue ginocchia «mi fate venire il mal di testa».
Damon gli batté una mano sulla spalla con fare confortante, per poi circondargli amichevolmente il collo con un braccio.
«Parliamo tra di noi, Jack» propose, alzando il mento con fare orgoglioso «lasciamo questa piccola vipera a bollire nel suo brodo».
«Come mi hai chiamata, scusa?» sibilò Layla «ripetilo, Evans, se ne hai il coraggio».
«Piccola vipera» ripeté Damon, scandendo le parole come se stesse parlando con qualcuno di particolarmente duro d’orecchie «hai capito o devo dirlo di nuovo?».
«Perché non te ne vai a fare un viaggetto di sola andata nella Duat?» propose la ragazza «tuo padre sarà molto felice di averti così vicino, non credi?».
«Preferisco restare qui e farti impazzire» rispose Damon, attaccabrighe «Anubi capirà».
 
Remus
 
Remus Martin non aveva idea di dove si fosse cacciato suo fratello, ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare: Robb Bennett lo stava massacrando.
Niente di nuovo, comunque, perché era davvero molto raro trovare qualcuno che potesse anche solo riuscire a sfiorare il figlio di Horus senza incorrere in conseguenze troppo gravi.
«Alza un po’ la guardia» gli consigliò Robb, mentre avanzava di un passo e gli puntava contro una sciabola sin troppo affilata.
Remus indietreggiò di conseguenza, senza poter fare altrimenti.
Quando stava cominciando a pensare che Robb lo avrebbe fatto a fettine, il ragazzo si fermò ed abbassò la sua spada.
«Bel lavoro, Remus» si congratulò, per poi voltarsi verso il resto dei ragazzi ed esclamare: «cambio d’armi e di avversario!».
E corse via.
Remus si ritrovò come nuova compagna una ragazza.
Una ragazza molto carina, notò, dai lunghi ricci color cioccolato in disordine a causa dell’allenamento.
I suoi occhi erano splendidi: di un colore imprecisato tra il verde e l’azzurro, così magnetici che quelli ambrati di Remus ne rimasero totalmente catturati.
Da quanto ne sapeva lui, si chiamava Zoey ed era figlia di Sobek. Anche se a prima vista non lo avrebbe detto, Remus sapeva con assoluta certezza che quella ragazza era una forza nel combattimento.
La prima cosa che riuscì a pensare Remus fu “oh, wow...”, per poi ricordarsi che lei era davvero brava ad usare la spada e dirsi “oh, accidenti”.
Prima Robb, e adesso Zoey. Lui non era male a combattere, ma farlo contro quei due era una partita persa in partenza.
Quella non era di certo la sua giornata.
Zoey dovette accorgersi del suo tentennamento, perché gli rivolse un sorriso rassicurante.
«Remus Martin, figlio di Hathor, giusto?» chiese poi, mentre sceglieva l’arma con cui combattere.
«Giusto» rispose Remus, inquieto.
Il ragazzo si chiese se Zoey avrebbe scelto una lancia, una spada o una bomba a mano per distruggerlo.
Era abbastanza certo che lei sapesse utilizzarle tutte e tre nel migliore dei modi.
Zoey gli porse la mano, mentre con l’altra afferrava una delle spade dell’accademia.
«Sono Zoey Mason» si presentò «piacere di conoscerti».
Remus strinse la mano tesa della ragazza, perplesso.
Non pensava ci fossero molte persone, lì alla Duat’s Academy, che sapessero esattamente chi fosse lui. O, per lo meno, che si interessassero alla sua esistenza.
Magari, i figli di Sobek leggevano nel pensiero?
Non gli risultava, ma con la mitologia non si poteva mai sapere.
«Piacere mio» rispose lui, in un sorriso.
 
Simon
 
Eric Dixon saltellava intorno a Bes come un bambino iperattivo che si è appena scolato una dose eccessiva di caffè, e Simon non poteva fare altro che guardarlo con un sopracciglio inarcato e tamburellare con la penna sul suo banco, sperando che Eric la piantasse o che Bes si decidesse a degnare il figlio dell’attenzione che tanto agognava.
Lo stavano distraendo ed irritando.
Insomma, per distrarre ed irritare Simon Walker non ci voleva poi molto, e la situazione non stava per niente conciliando la sua concentrazione sul test che avrebbe dovuto svolgere. Non che ne conoscesse le risposte, figuriamoci, non le conosceva mai, ma la mente di Simon era piuttosto contorta: non gli piacevano le persone irritanti ma gli piaceva essere irritato, e ciò lo rendeva il sedicenne più irritato, strano e confuso dell’intera accademia.
Eric era il suo completo opposto.
Simon non ricordava di averlo mai visto fare niente di diverso dal ridere, ridere e... ridere.
In quel momento stava cercando di mostrare a Bes il suo foglio del test, passandosi continuamente le dita tra i capelli castani, come se ci fosse davvero bisogno di spettinarli ulteriormente.
Era una scena piuttosto buffa, perché Eric, per quanto basso potesse essere, era comunque più alto del dio, il quale continuava a lanciargli rapide occhiatine di disappunto.
«Dai papà, me lo correggi?» stava supplicando il ragazzino «ti prego, sono certo che questa volta non ho sbagliato niente».
Bes lasciò perdere le carte che stava osservando per rivolgere al figlio una lunga occhiata.
«Eric, come ti ho già detto le altre trecentonovantaquattro volte che me l’hai chiesto: no» rispose «posalo insieme agli altri, correggerò il tuo test insieme a quelli. Solo perché sei mio figlio, non ti tratterò in maniera differente dai tuoi compagni».
Eric mise su un’espressione risentita e le sopracciglia gli si aggrottarono sopra agli occhi grigi.
«Ma...» cominciò, ma Bes lo interruppe immediatamente.
«Walker?» chiamò il dio, esasperato «invece di startene lì senza fare niente a fissarci come se fossi preda di una delle visioni futuristiche di tuo padre, potresti, per favore...?».
Simon non rispose, un po’ accigliato dal fatto che fosse stato tirato in ballo suo padre, ma non se lo fece ripetere due volte. Si limitò ad alzarsi dal suo banco e a consegnare il suo test all’insegnante, per poi rivolgere un’occhiata talmente penetrante ad Eric che lo fece rabbrividire.
Con grande sorpresa del ragazzo, Simon lo afferrò per i capelli, quelli sottili e dolorosi che si trovano in fondo alla nuca, e lo trascinò fuori dall’aula mentre Bes gli gridava dietro che gli aveva chiesto di allontanare suo figlio e non di maltrattarlo.
«Mi hai fatto male!» si lamentò Eric, portandosi una mano dietro la testa.
«Lo so» commentò Simon, abbozzando uno dei suoi tipici sorrisetti sarcastici «ti è piaciuto?».
«Non molto» bofonchiò Eric, incrociando le braccia.
«Esattamente come a me non va a genio tutto il baccano che fai» ribatté l’altro, arricciando il naso ed infilandosi le mani dentro le tasche della tuta «bah, ti salvi solo perché sei carino».
Eric dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto di che cosa l’altro avesse detto, ma quando finalmente si riscosse, per fortuna, Simon gli aveva già voltato le spalle.
                                                                                                                                        
Keller

Raksha “Keller” Banks fissava Bellamy Black dritto negli occhi, ghiaccio contro terra fertile, la mano destra stretta in quella del ragazzo in un gesto inequivocabile.
«Arrenditi, Keller» fece Bellamy, in un sorriso scaltro «non puoi battermi a braccio di ferro».
Keller ribatté con un sorrisetto attaccabrighe, mettendo più forza nella sua spinta.
Bellamy aveva una forza incredibile e lei sapeva che, al confronto con  lui, lei non era altro che un moscerino.
Bellamy si stava chiaramente trattenendo dallo schiacciarla, ma lei finse di non accorgersene.
«Avanti, Mr Macho, dovresti saperlo che io non mi arrendo mai» rispose, in tono di sfida.
Bellamy le regalò un sorriso arrogante dei suoi, concentrandosi anche lui.
«Lascia perdere, principessa» sibilò, qualche istante dopo.
L’altra arricciò le labbra in un sorrisetto provocatorio.
«È una minaccia, Black?» domandò, assottigliando lo sguardo.
«È un consiglio» rispose il ragazzo, sistemandosi meglio il braccio sul tavolo «arrenditi adesso e ti riduco la pena della scommessa, che te ne pare?».
«Ah-ah» rispose Keller, facendo cenno di “no” con l’indice della mano libera «non mi freghi, Black. Pulirai tu quel dannato bagno. Da solo».
«Cosa te lo fa pensare?» fece Bellamy, inarcando un sopracciglio.
«L’idea di salire sul tetto è stata tua» commentò Keller, arricciando il naso «quindi è giusto che sia tu a fare la cosa più disgustosa».
«Non mi pareva che ti dispiacesse poi così tanto, principessa, quando l’ho proposto» ribatté Bellamy «e poi, se tu non ti fossi lasciata beccare da Bes mentre andavamo a prendere Derek e...».
«Bes ha beccato te, non me, Mr Spalle-Troppo-Larghe» precisò Keller, sbuffando.
Bellamy alzò gli occhi al cielo ed allentò un po’ la presa sulla mano dell’amica che ne approfittò.
Il dorso della mano di Bellamy sfiorò il legno del tavolo.
Keller schizzò in piedi.
«Ah!» disse «ho vinto! Non pulirò il bagno!».
Bellamy stralunò gli occhi e s’infilò le mani nelle tasche.
«Ora non montarti la testa, ragazzina» borbottò.
Keller si abbassò di nuovo alla sua altezza e gli spettinò giocosamente i capelli scuri con una mano, poi si rialzò e corse a prendere un disinfettante.
«È tutto tuo» disse, in un sorriso smagliante, mentre porgeva l’oggetto all’amico «ti servirà: fanne buon uso».
Bellamy agguantò il disinfettante come se si trattasse di un guanto di sfida.
Si alzò e la squadrò per un istante dall’alto verso il basso, per poi rivolgerle una buffa riverenza, fingendo di indossare un pomposo abito da gran dama del milleottocento.
«Tante grazie, sua reale infernalità».
 

Angolo del Nomade:
Ciao a tutti, ragazze e ragazzi!
Intanto ringrazio tutti quelli che partecipano, che seguono la storia e che leggono.
Sono così commosso che vi bacerei tutti (?), ma qualcuno potrebbe non trovarlo piacevole, quindi evito.
...Ok, questa potevo risparmiarmela u.u
 
In questo “capitolo” vi ho presentato questi nuovi personaggi:


Annelise Hastings, figlia di Nefti.
Damon Evans, figlio di Anubi.
Layla Cloud, figlia di Neith.
Jack Windstorm, figlio di Shu.
Remus Martin, figlio di Hathor.
Zoey Mason, figlia di Sobek.
Eric Dixon, figlio di Bes.
Simon Walker, figlio di Shai.
Bellamy Black, figlio di Onuris.
Raksha “Keller” Banks, figlia di Osiride.


E abbiamo trovato i punti di vista di:
Anne Taylor;
Jack Windstorm;
Remus Martin;
Simon Walker;
“Keller” Banks.

Fatemi sapere quanto sono disastroso, ci conto u.u
   
 
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