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Autore: Lady1990    03/09/2014    3 recensioni
Archibald è un ragazzino di quindici anni quando compie la scelta che gli cambierà la vita. Col passare del tempo, accanto al suo maestro, il signor Fires, scoprirà su cosa si fondano i concetti di Bene e Male, metterà in dubbio le proprie certezze, cercherà di trovare la risposta alle sue domande e indagherà a fondo sul valore dell'anima umana. Tramite il lavoro di assistente del Diavolo, riscuoterà anime e farà firmare contratti, sperimenterà sulla propria pelle il potere delle tenebre e rinnegherà tutto ciò in cui crede.
Però, forse è impossibile odiare il Bene e l'unico modo per sconfiggerlo è amarlo. Proprio quando gli sembrerà di aver toccato il fondo, la Luce farà la sua mossa per riprenderselo, ma starà ad Archibald decidere da che parte stare. Se poi si somma un profondo sentimento per il misterioso e affascinante signor Fires, le cose non si prospettano affatto semplici.
[Revisionata]
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Proprio come ha predetto Samael, l’articolo del suo amico sul Le Figaro non impiega molto a fare il giro del mondo. Non trascorrono che pochi giorni, prima che l’opinione pubblica si sollevi contro la Chiesa e i suoi membri. Persino il Papa diviene oggetto di accese critiche e per circa due mesi i telegiornali non parlano d’altro. 
Sull’onda dello scandalo, spuntano fuori altri casi di preti che hanno abusato della loro carica per perpetrare soprusi e nefandezze di ogni sorta, soprattutto a discapito di bambini e ragazzi innocenti. Non si tratta certo di una novità, ma in questi giorni più che in ogni altro periodo della storia attuale il virus dello scontento infetta le conversazioni e i programmi televisivi, dando luogo ad un’insurrezione di massa come se ne sono viste poche dal 1500, secolo di Martin Lutero.
Duvonne viene scomunicato dopo un paio di settimane dalla diffusione della notizia, ma la gente comincia presto a domandarsi perché il Papa abbia atteso così tanto per prendere una decisione: criminali del genere avrebbero dovuto ricevere una punizione immediata, non rimanere a rigirarsi i pollici nelle proprie abitazioni sotto la tutela delle forze dell’ordine e guardie del corpo. E una scomunica non è chissà quale punizione per un ateo. 
Per giunta, sono numerosi coloro che si schierano a favore dell’ergastolo o della pena capitale, benché quest’ultima sia stata dichiarata contro la legge in Europa da ormai molti anni. L’opinione pubblica è furiosa, anche perché è risaputo che individui come Duvonne potevano uscire di prigione per buona condotta dopo un po’ di tempo. I test psicologici potevano essere elusi, truccati, perciò non erano obbiettivi e degni di fiducia. La sola idea che un mascalzone come lui possa un giorno tornare a camminare fra la gente getta le persone nella più totale agitazione e le fila di quelli che premono per una condanna a vita, esemplare per i mostri della risma di Duvonne, si infoltiscono.
Fuori dalla casa di Duvonne si raccoglie un congruo manipolo di fedeli, fra cui anche coloro che hanno sempre partecipato alle sue messe e ascoltato i suoi sermoni, e persino dimostranti con striscioni, che urlano a gran voce insulti e minacce, maledicendolo e augurandogli di patire tutte le pene dell’Inferno. 
Alcune delle suore maltrattate testimoniano in Vaticano contro di lui, mentre altre, plagiate dal carisma del sacerdote, confessano di aver preso parte ai rituali. Metà di loro vengono spogliate del titolo e incarcerate, mentre l’altra metà viene internata in manicomio a causa di preoccupanti sintomi di schizofrenia. 
I famigliari delle vittime si fanno avanti pretendendo giustizia e molti di questi si recano al cospetto del Papa per domandare spiegazioni ed ottenere un risarcimento, appoggiati da abili avvocati.
Si scatena il putiferio e i media si gettano sopra tale prelibato banchetto come lupi affamati, seguendo lo sviluppo degli eventi in diretta e intervistando le persone coinvolte più o meno da vicino. I canali televisivi e i programmi radiofonici non trasmettono altro per un arco di tempo infinito, tengono vive le discussioni e alimentano il fuoco dell’insoddisfazione, a scapito di altre importanti notizie come la guerra in Medio Oriente, che sta mietendo centinaia di vittime, e quella di uno tsunami che si è abbattuto sulle Filippine, decimando la popolazione. A nessuno interessa più cosa accade al di fuori dell’Europa, tutti gli occhi sono puntati sul Vaticano.
L’istituzione ecclesiastica, come mai prima di ora, sprofonda in una crisi da cui non sembra esserci via d’uscita. Molti teologi e storici iniziano a disquisire sui giornali, su internet o nei Talk Show a proposito della Bibbia e i suoi insegnamenti, contrapponendola alle tesi di Martin Lutero e ad altri vangeli apocrifi mai resi pubblici. Non importa a nessuno che tali studiosi siano di tendenze protestanti, cristiane, anabattiste, ortodosse o atee: l’intero universo cattolico è in fermento e sull’orlo di un collasso. Mettono in luce come la Chiesa, sin dai suoi albori, abbia distorto il Credo e lo abbia plasmato a seconda delle proprie esigenze, cancellando e omettendo elementi che in origine, ormai più di duemila anni fa, erano chiari e lampanti fondamenti della dottrina, oppure aggiungendone altri che non sono mai esistiti, solo per venire incontro al disagio provocato dal passaggio dal panteismo al monoteismo: il culto dei santi, l’adorazione delle immagini, i Dieci Comandamenti, i Sette Sacramenti, le traduzioni del Sacro Libro errate, l’invenzione del Purgatorio come mezzo per rimpolpare le ricchezze, la creazione del Limbo e dell’intero universo dei dogmi. Tutto viene vagliato, analizzato e ribaltato.
Si riparte dall'analisi della cultura preistorica, evidenziando come la religione abbia sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella civiltà umana, poiché i rituali incoraggiavano la coesione sociale e regalavano un mezzo di conforto all'individuo che si sentiva smarrito sotto al cielo. L'uomo ha sempre provato un desiderio struggente di vedere al di là del concreto, aspirava a conoscere l'inconoscibile e sentire il soprasensibile, una brama che però è destinata ad esaurirsi in se stessa. E allora, a causa della frustrazione di tale desiderio, l'uomo cerca di ribellarsi ai vincoli della sua natura inferiore ed elevarsi per ritrovare un'armonia vagheggiata, pur sapendo che alla fine perderà, come fece il titano Prometeo quando rubò il fuoco degli dei e venne punito per la sua tracotanza. Ma gli intellettuali sono concordi nel dire che la Chiesa non è Dio e che non credere nella prima non preclude la fede nel secondo.
Poi arriva lo scisma. Il numero di fedeli che, precedentemente al caso Duvonne, andavano in chiesa cala drasticamente e sono davvero tanti quelli che si allontanano dalla religione o si convertirono al protestantesimo, che invece incoraggia una lettura individuale della Bibbia e non obbliga a recarsi nelle Case del Signore per ascoltare l’omelia del prete, messaggero della parola di Dio. I pastori, anzi, attraverso i vari mezzi di telecomunicazione ribadiscono più volte che sono solo delle guide, il cui scopo è spronare la comunità a ricercare Dio dentro di sé. In più, il fatto che questa confessione di origini luterane non impone ai sacerdoti il celibato - peraltro introdotto a posteriori nel cristianesimo, perché in principio i preti potevano sposarsi e avere una prole - dà speranza alla gente, che vede in loro dei padri di famiglia, più vicini al popolo e meno arroccati sul piedistallo: infatti, in generale, chi ha già una moglie su cui sfogare i propri istinti naturali e dei figli di cui occuparsi non ha bisogno di scovare altrove strane distrazioni o la soddisfazione carnale, e quindi è più degno di fiducia. A meno che non sia un depravato per natura. 
La campagna a favore del protestantesimo e dei credi religiosi ad esso collegati dura per mesi. Mai le chiese appartenenti a questa istituzione hanno registrato un’affluenza così alta. Per non parlare di chi si converte al Buddismo.
Nonostante la tempesta provocata da Duvonne si plachi un po' in seguito ad un discorso del Papa, declamato dalla terrazza di San Pietro a Roma e trasmesso da ciascun telegiornale di ogni paese, il Vaticano non si risolleva e molti si convincono che è destinato alla distruzione. Tuttavia, i critici non condannano la figura del Papa, che al contrario è un esempio di pia rettitudine; piuttosto, lottano per far sì che la Chiesa metta in atto delle riforme interne e confessi le proprie mancanze, ammettendo nelle sale del Concilio anche i giornalisti con le telecamere per rendere pubbliche le riunioni. 
Il Vaticano subisce forti pressioni dallo Stato italiano e dall’estero, ma dopo qualche giorno chiude i cancelli e gli accessi stradali, trincerandosi dietro al silenzio stampa con la scusa che i cardinali e i più alti prelati della cristianità devono discutere in privato. Nessuno può più entrare o uscire, tutto viene sigillato e i confini cominciano ad essere pattugliati dall’esercito. Le guardie svizzere sorvegliano ogni porta, i carabinieri fanno la ronda, vengono allestiti posti di blocco per arginare le proteste e le manifestazioni, violente e non violente: per la prima volta San Pietro assume i connotati di una fortezza inespugnabile, un’isola sulla terra.
Tutto questo si svolge in due anni.
In seguito alla diffusione della notizia dei crimini di Duvonne, io e Samael ci trasferiamo di nuovo a Londra, anche per evitare di imbatterci una seconda volta negli Exurge Domine, che ci braccano come segugi. Sappiamo che ci stanno dando la caccia e nasconderci a Parigi non è più possibile. Però, appena rimettiamo piede sul suolo inglese, decidiamo di non fermarci mai troppo a lungo nella stessa città e cominciamo a migrare come nomadi senza fissa dimora per tutto il Regno Unito: prima nella capitale, poi in cittadine di periferia, poi ancora sulla costa est e dopo a nord, in Scozia. 
Trascorso un altro anno di peregrinazioni, ci spostiamo in Irlanda, a Dublino, poi a Belfast, finché le alte sfere dell’Inferno non ci impartiscono l’ordine di recarci in Italia, direttamente nel focolaio della rivoluzione. La ragione che adducono è che, a causa della crisi religiosa, le persone hanno perduto la fede e si stanno rendendo colpevoli di atti scellerati. La quantità di contratti è infatti cresciuta a dismisura e c’è molto lavoro da fare. I demoni stanziati nel Bel Paese non riescono più a gestire la situazione e gli Exurge Domine hanno rimpinguato le loro file, organizzando sortite per ostacolare l’operato degli emissari di Lucifero. Di conseguenza, c’è bisogno di aiuto e veniamo convocati con la massima urgenza per dare il nostro supporto. 
Samael scoppia a ridere quando ci perviene l’ordine. D’altronde, tutto sta andando secondo i suoi piani, come le tessere di un domino predisposte secondo un preciso disegno, che lui ha già da tempo intuito. So che ha calcolato ogni cosa, me ne sono accorto, anche da prima di recarci a Notre-Dame da Duvonne. Forse pure il fatto di traslocare a Parigi non è stata una mera coincidenza: è perfettamente plausibile che avesse già in precedenza organizzato ogni dettaglio, non mi stupirei. A volte la sua lungimiranza mi spaventa, tanto che spesso mi chiedo quanto in realtà io abbia agito di mia iniziativa e non secondo le oscure trame ordite di nascosto dal mio maestro. Il libero arbitrio che mi vanto di possedere è un’illusione? Fin dove posso spingere la mia volontà, prima di accorgermi che c’è qualcun altro, un ignoto burattinaio, che muove i miei fili?
Per lui il mondo è una scacchiera e, da esperto giocatore qual è, si diverte a piazzare le sue pedine dove gli suggerisce l’istinto e a prevedere le mosse del nemico, ad anticiparle e volgerle a suo favore. Credo che quasi niente possa sorprenderlo, perché il suo cervello può scandagliare migliaia di possibili risvolti in una manciata di secondi, e tramite questo accurato esame è in grado di progettare contromisure impeccabili, come se avesse già visto con chiarezza il futuro o lo avesse già vissuto. La sua intelligenza è diabolica, letteralmente, ed è dura farci l’abitudine quando la sfoggia senza tanti complimenti. Oppure lo sto solo sopravvalutando e dietro le azioni di Samael c’è Lucifero. Forse anche il mio maestro è una pedina.
Comunque, come da programma rispondiamo alla chiamata e partiamo in tutta fretta per l’Italia, stanchi e fiaccati dal perenne tran-tran. 
Quindi eccoci qui, nella culla della cristianità. Più precisamente in un appartamentino un po’ fatiscente - ci sarebbe un gran bisogno di una piccola ristrutturatina - al secondo piano di una palazzina dall’architettura contemporanea, risalente all’epoca della seconda guerra mondiale, con tre vani più bagno, situata nel pieno centro storico di Firenze, nei pressi di piazza Santa Croce.
È il 14 dicembre 2020 e sono le cinque del pomeriggio. Fuori è già buio e i lampioni delle strade sono accesi da qualche minuto. Sdraiato sul letto matrimoniale dell’unica camera mi rigiro per trovare una posizione comoda, ma il materasso duro come il cemento me lo impedisce. 
Samael è seduto di fronte alla finestra, ad un paio di metri da me. Le rare volte che si muove, la sedia di legno produce un irritante scricchiolio, segno che le giunture ormai sono andate. Sta guardando fuori, ma non saprei dire a cosa stia pensando. Ha l’aria meditabonda e concentrata, tanto che non ho l’ardire di disturbare le sue riflessioni solo perché mi sto annoiando a morte. Quando si avvolge in questo mutismo impenetrabile, ogni tentativo di ingerenza esterna risulta vano e la sola maniera per ottenere qualche reazione è aspettare che si ridesti da sé.
Distolgo l’attenzione dalla sua schiena rigida e la punto sul soffitto. Scruto le crepe e le macchie marroncine che rovinano l’intonaco, poi mi focalizzo su un piccolo ragno, che sta tessendo la sua tela in un angolo con gesti esperti e zelanti, zampettando in qua e in là, affaccendato a costruirsi una tana e insieme una trappola per gli insetti. Lo osservo distratto, invidioso della sua alacrità, convinto che la sua vita, seppur breve se paragonata a quella umana, sia molto più entusiasmante della mia. Le uniche cose di cui deve preoccuparsi un ragno sono: trovare un posticino perfetto per tessere la tela - possibilmente vicino alla finestra, così da catturare gli insetti che si avventurano oltre la soglia, ignari del pericolo che li attende una volta varcata -, poi aspettare che qualcuno di questi rimanga aggrovigliato alla rete, mangiarselo e pregare che nessun essere umano si accorga della sua presenza, altrimenti il ragno sa che finirà spiaccicato da una ciabatta o da uno straccio. Insomma, in confronto a me quel ragnetto è fortunato. Quando sei un ragno non te ne può fregare di meno della religione e del destino delle anime: ti bastano un paio di mosche al giorno e sei contento. Un ragno non cova vendetta e non conosce i sentimenti, si limita a mangiare, secernere una sostanza appiccicosa dalla bocca, intrecciare con essa i fili della tela con abili movimenti e riposare nel suo minuscolo anfratto. Vorrei essere un ragno anch’io, per cessare di provare sensazioni, di pensare, di arrovellarmi con domande e dubbi esistenziali; vorrei esserlo per regalarmi una pausa dal mondo e trovare requie, libero dalle afflizioni, privo di un cuore.
Non dovrei lamentarmi ora, perché ho scelto io questo stile di vita. Però confesso che, da quando è esplosa la “bomba”, sono diventato insofferente. Ho smesso di ridere e di sentirmi in pace. Avverto una specie di seme maligno germogliare in me, qualcosa che assorbe all’istante ogni emozione positiva, e non riesco a contrastarlo. Samael non mi aiuta, mi ignora per la maggior parte del tempo, e quando finalmente pare accorgersi della mia presenza apre bocca solo per parlare di lavoro.
Ogni notte, a partire dal tramonto, ci adoperiamo per riscuotere anime senza un attimo di respiro e tutto questo sta diventando stressante. Rimpiango i momenti in cui non avevamo così tanta fretta e ci potevamo concedere qualche ora di intimità per chiacchierare e fare l’amore. Nell’ultimo periodo il contatto fisico si è ridotto all’osso e ammetto che sto iniziando a risentire degli effetti dell’astinenza: sono diventato più irritabile, scorbutico e nervoso. Ho bisogno delle sue carezze, di sentire le sue mani sul mio corpo, mi mancano i suoi baci appassionati e i suoi sguardi cupidi. Il mio intero essere è proteso spasmodicamente verso di lui. Tuttavia, sembra che non avremo l’opportunità di assaporarci per un bel pezzo, vuoi per l’asfissiante routine, vuoi per le domande e le preoccupazioni che ci frullano in testa quando per miracolo ci capitano dieci minuti di quiete. 
Durante il giorno, invece, disponiamo barriere e incantesimi per proteggere il nostro covo, analizziamo contratti, estraiamo dal mazzo quelli più urgenti, ne stipuliamo altri, facciamo la ronda per la città e ci ammazziamo di straordinari come degli stacanovisti. Voglio le ferie. È possibile chiedere le ferie? Esiste un dipartimento o un ufficio infernale che si occupa dei dipendenti? Ah ah, credo proprio di no.
All’improvviso, Samael si risveglia dalla sua immobilità e si alza dalla sedia con una scioltezza così innaturale che mi provoca un principio di infarto. Infatti, mentre ero immerso nelle mie turbe mentali, il mio cervello aveva erroneamente catalogato il maestro come parte integrante dell’arredamento, una statua che non si sarebbe mossa di un centimetro nemmeno fra un secolo. Quindi, quando la sua schiena si piega in avanti per darsi la spinta, i miei sensi subiscono uno shock non indifferente. Lo fisso stralunato e mi porto una mano sul petto.
“Andiamo, Archie, abbiamo del lavoro da sbrigare.” asserisce con freddezza, senza guardarmi.
Sbuffo scocciato, abbandono il letto e mi vesto rapidamente.
“Quanti ce ne toccano oggi?”
“Diciannove.”
Mi affloscio come un palloncino bucato e levo gli occhi al cielo disperato: “Perché così tanti?”
“Ce li dividiamo. Io ne prendo dieci, tu nove.”
“Perché io di meno?”
“Sei stanco, lo vedo. Dai, stringi i denti. Ci rivediamo qui all’alba.” 
Mi scocca un veloce bacio a stampo sulle labbra che mi lascia alquanto deluso: ero impaziente di ricevere una dimostrazione d’affetto un po’ più profonda, più sentita. Cioè, in parole povere avrei desiderato un vero bacio, ecco. 
Si infila il cappotto con gesti automatici, afferra la valigetta ed esce dalla porta prima di me, come abbiamo stabilito. Non usciamo mai insieme e lui va sempre per primo, per verificare che non ci siano nemici appostati nei dintorni. Nel caso, torna indietro e mi intima di non varcare la soglia per qualche ora.
Non mi ha salutato. Quel bacio non era un saluto. In verità non mi saluta quasi più e tutte le volte resto con l’amaro in bocca, un po’ a disagio, mentre l’insicurezza e il complesso di inferiorità che mi coglievano al suo cospetto quando ero solo un apprendista tornano alla carica, gettandomi nel più totale sconforto. In questi momenti mi viene da pensare che Samael si sia stufato di me, che non mi voglia più, che io non sia più capace di suscitare in lui alcuna attrattiva. Dentro di me avverto montare la paura che si annoi in mia compagnia, ma che per educazione si astenga dal dirlo ad alta voce. Come un giocattolo usato mille e mille volte, vengo lasciato ad ammuffire in fondo ad uno scatolone, in trepidante attesa che nel mio padroncino si rinnovi l’interesse e mi ripeschi con una nuova luce eccitata negli occhi. Spero che non sia veramente così, spero di sbagliarmi, perché se a Samael non importa più davvero di me io morirò dentro e la mia vita perderà senso.
Aspetto cinque minuti, fissando la porta con i nervi tesi per captare qualche movimento estraneo. Non accade nulla, perciò indosso anch’io il cappotto nero, prendo la valigetta dal divano del salotto e mi tuffo nelle viuzze fiorentine con espressione cupa e infastidita. 
Mentre cammino sui marciapiedi affollati sfilando accanto a ignari passanti, rimugino sui recenti avvenimenti, tanto per tenere occupata la mente. Le suole delle mie scarpe non fanno rumore e il mio respiro non si condensa in piccole nuvolette come quello dei mortali. Sono un fantasma, invisibile alla vista e a qualsiasi altro senso: nessuno può udirmi, nessuno può toccarmi, nessuno può fiutare il mio odore. Potrei mettermi a cantare e ballare come un invasato in mezzo alla strada e passerei comunque inosservato. Le persone che marciano nella direzione opposta, imbacuccate nei loro piumini, cappelli e sciarpe fino al naso, si spostano per cedermi spazio, proprio come se percepissero la mia presenza, eppure non la registrano veramente e non si rendono neanche conto del loro gesto istintivo. In principio lo trovavo spassoso e mi divertivo a fingere di andare incontro a qualcuno, per poi vederlo scansarsi all’ultimo istante per non travolgermi, senza che costui realizzasse ciò che aveva fatto. Adesso, però, vorrei tanto che un mortale che non sia un cliente posasse gli occhi su di me, che mi notasse e mi rivolgesse un cenno di saluto, anche solo per educazione. Non avrei mai creduto di poter provare nostalgia per l’umanità. Questo sentimento è fuori luogo per uno come me, mi destabilizza e fa nascere nel mio cuore una frustrazione che non riesco a imbrigliare, che mi avvelena dall’interno. 
Samael non comprende il mio stato d’animo, non può, perché lui è estraneo a tutto questo. È il carico di esperienza che ci portiamo dentro che ci definisce, che ci plasma e ci modella per renderci quelli che siamo, me lo ha insegnato lui. Samael non è nato come uomo, ma come angelo, e gli esseri superiori ragionano in modo diverso: a loro non interessa conoscere l’uomo, non sono mai stati uomini e non vogliono esserlo. Perciò non può concepire cosa provo, dal momento che non ha mai sperimentato una vita mortale. Benché le distanze tra noi si siano accorciate con la mia trasformazione, non posso fare a meno di considerare che l’abisso che ci separa rimarrà per sempre incolmabile. Le nostre menti sono lontane anni luce e le nostre anime, intese come essenze intime e non nell’accezione religiosa del termine, non si sono mai veramente toccate. Per un certo periodo mi sono illuso di essere uguale a lui e che solo le nostre origini, non più importanti, ci differenziassero, ma mi sbagliavo. Sono anzi proprio quelle il fattore fondamentale, l’elemento che fa di me e Samael due creature simili e al contempo opposte, incapaci di condividere appieno i pensieri ed avere un proficuo scambio di opinioni come due individui alla pari. Alla fine, il nocciolo della questione è che io sono rimasto umano, mentre lui ha continuato ad essere un demone purosangue. Il mio mutamento è stato inutile, perché non mi pare di aver acquisito uno status superiore. Sono sempre il solito Archie, anche se ora posso abbrustolire il nemico con un vortice di fiamme nere e levitare e saltare sui tetti come un supereroe dei fumetti. Sono nato uomo e il retaggio di memorie che mi porto dietro mi identifica, delinea sia il mio carattere che le mie abitudini. So come pensa un uomo, so come e perché agisce in un modo anziché in un altro, posso scavare nei recessi più reconditi del suo spirito senza fatica e comprenderne le infinite sfumature. Non è un’impresa ardua per me immaginare i motivi che spingono una madre ad uccidere il proprio figlio, per quanto assurdi o inspiegabili possano apparire ad uno studio superficiale, e forse è questo che mi rende vulnerabile e sensibile. 
Quando riscuoto un contratto, i ricordi del colpevole mi invadono il cervello, impetuosi e inarrestabili. In quella circostanza sento e vivo ciò che ha sentito e vissuto quella persona, entro nella sua anima, mi approprio metaforicamente di un minuscolo frammento di essa e questo si deposita dentro di me, provocandomi incubi terribili, da cui a volte non riesco a svegliarmi nonostante non stia affatto dormendo. Quei frammenti mi contaminano e disturbano il mio equilibrio, ma ci riescono perché io so cosa vuol dire essere umano, ci riescono a causa di questa maledetta empatia: io li capisco, perché l’ho provato sulla mia pelle. Impotenza, angoscia, vergogna, disperazione, tristezza, desiderio di vendetta, ho sperimentato direttamente tutte queste sensazioni. A differenza mia, nessuno degli assistenti del Diavolo, o demoni in generale, potrebbe sopportarlo.
In sostanza, mi sono reso conto che nelle mie attuali condizioni conosco gli umani come il palmo della mia mano, per ovvie ragioni, e che con un po’ di sforzo potrei arrivare a conoscere anche i demoni, sebbene questi ultimi siano un rebus difficile da risolvere, anche se non impossibile. Proprio perché sono un ibrido, in me albergano le potenzialità per ridurre drasticamente il divario tra le due specie. Un demone, al contrario, pur avvalendosi di un’esperienza millenaria, non potrà mai afferrare davvero la natura umana. Precisamente come un’aquila che tenta di comprendere le ragioni di un lupo, o una rana che riflette sul significato intrinseco del ronzio di una mosca, così Samael non potrà mai carpire il mistero che si cela dietro i sorrisi e le lacrime di un mortale, nonché le sue azioni. 
Quando realizzo che non potremo mai raggiungerci, che le nostre mani, per quanto vicine, non potranno mai sfiorarsi e intrecciarsi, che non potrò mai specchiarmi nei suoi occhi e dichiarare di essere un demone puro come lui, vengo colto da un soffocante abbattimento. Lo amo, so di amarlo, eppure non potrò mai stringere il suo cuore tra le mie dita, quasi che un muro, una sorta di barriera spessa e invisibile, me lo impedisca. 
Mi chiedo se davvero non esista una maniera per collegare angeli, demoni e uomini, una soluzione per permettere a tutti di capirsi ed entrare in sintonia. La comprensione non implica l’accettazione, ne sono consapevole, ma sarebbe un inizio.
Dio ha creato gli uomini a Sua immagine e somiglianza e questo dovrebbe presupporre che gli umani ragionino come Lui; non solo, perché Egli ha plasmato anche gli angeli, quindi tutti dovremmo, in teoria, pensare come Dio. Tuttavia, sia gli angeli che i demoni rimangono distaccati e non si premurano di ricercare un contatto più profondo: i primi si limitano a suggerire al mortale la via da seguire secondo la volontà del Signore, i secondi sfruttano le sue debolezze per traviarlo e precipitarlo all’Inferno, solo per mettere Dio di fronte alla verità, cioè che gli uomini sono un fallimento. In pratica, ho evinto da tempo che questi ultimi sono delle impotenti marionette nelle mani di esseri superiori, che si divertono a muovere i fili secondo i loro capricci.
So che è strano, non dovrei preoccuparmi della sorte di quelli che, anni fa, erano i miei simili, perché ora non appartengo più alla loro razza, o almeno non totalmente. Ciononostante, mi sento vicino a loro, adesso più che in passato. Un po’ come l’anello che congiunge due delle tre estremità di una singolare collana. Il punto di partenza comune a tutti è Dio e da Lui si dipartono due biforcazioni, ossia gli angeli puri e i Caduti. Infine, sempre da Lui, scaturisce un altro filo, che rappresenta l’umanità. Questi tre rami sono divisi ed io fungo da fragile legame tra i demoni e gli uomini, perché sono nato uomo e successivamente sono divenuto demone, il che fa di me una creatura a metà, immobile nel mezzo di un fiume, fra le due sponde. E il peggio è che le mie gambe sono bloccate, perciò anche se lo desidero con tutto me stesso non potrò mai propendere per l’una o l’altra riva.
È inutile che mi intestardisca ad alimentare il sogno di diventare un purosangue, perché la mia essenza di base rimarrà immutata per l’eternità. Posso acquisire nuovi poteri e capacità, lanciare incantesimi, percepire vibrazioni sovrannaturali e addirittura mantenermi sospeso a mezz’aria per qualche minuto, come se volassi. Però resterò sempre un “uomo diabolico”, proprio perché non sono in grado di penetrare nella mente di un angelo o di un demone e appropriarmi dei loro segreti. Quel che certo è che non sarò mai come loro, poiché i sentimenti che ancora fanno battere il mio cuore ostacolano il processo di trasformazione.
Dalle lezioni teoriche che mi ha impartito Samael, ho dedotto che gli angeli non hanno una vera personalità, non provano emozioni: essi sono parte di una grande coscienza collettiva, che ragiona e agisce seguendo un’unica direzione e il volere di Dio. I Caduti, invece, sono angeli che hanno sviluppato una volontà propria e per questo si sono ribellati e hanno spezzato le catene che li costringevano ad una cieca ubbidienza. Ma la qualità e la quantità di sentimenti che sono capaci di provare sono nettamente inferiori a quelle umane.
Da tempo mi sono avveduto di essere l’unico ad aver smesso di appartenere ad una categoria ben definita e circoscritta: non posso più far parte del mondo umano, ma non posso nemmeno entrare in quello demoniaco. Sono solo, in bilico su una corda, e non ci sono ponti che mi permettano di raggiungere un lato piuttosto che un altro. Samael è il mio appiglio, la sola creatura che mi ha teso una mano per aiutarmi a mantenere il precario equilibrio. Se la ritirasse, precipiterei.
A volte penso che vorrei tornare indietro e lasciarmi divorare da lui. Farla finita, insomma, e non essere obbligato a vivere quest’esistenza a metà. Se soltanto avessi previsto un simile futuro, avrei fatto in modo di essere divorato il giorno che ho stipulato il contratto. Da una parte sono felice di aver conosciuto Samael, dall’altra vorrei non fosse mai accaduto: perché adesso soffro per la mia miserabile condizione e la tristezza permea il mio cuore come una spessa membrana. Prima consideravo eccitante essere ciò che sono e fare ciò che faccio, e in certa misura ancora è così, ma ora vedo le cose sotto una prospettiva differente, un’ottica che non avevo mai concepito, e mi accorgo di aver sbagliato tutto. Non mi piace essere un ibrido. Vorrei trasformarmi in un demone completo o tornare ad essere uomo. Forse esiste una maniera per passare ad un livello superiore e diventare come il maestro. Forse se glielo domandassi… o forse no.
L’alba arriva in fretta, tanto che mi stupisco quando vedo il cielo rischiararsi all’orizzonte. Ho appena riscosso l’ultima anima e sono esausto. In pochi minuti sono davanti al portone di casa e lo apro con un lieve movimento verticale delle dita, senza bisogno della chiave. Potrei avere una proficua carriera da scassinatore, se lo volessi. Lascio che si richiuda alle mie spalle e salgo le scale strascicando i piedi, indifferente al problema del rumore, tanto nessuno degli inquilini degli altri appartamenti può udirmi. Abbiamo occupato uno dei locali del secondo piano perché era disabitato e ancora nessuno è venuto a reclamarlo. Samael lo ha scelto per la semplice ragione che una donna ci si è impiccata di recente e nessuna agenzia ha voluto avanzare proposte di vendita o affitto. La suicida in questione non aveva parenti in vita, perciò per noi è stato facile appropriarcene. Certo è che, se qualcuno dovesse comprarlo, io e il maestro saremmo costretti a sloggiare e cercare un’altra base. Per il momento, però, per tutti i condomini il nostro piccolo trilocale è deserto, e grazie agli incantesimi nessuno è in grado di registrare delle presenze all’interno. Possiamo entrare e uscire quando ci pare e, anche se incrociamo i vicini, essi non riescono a notarci.
Non faccio una piega, infatti, quando mi imbatto in un uomo con al seguito la figlioletta, vestita con il grembiulino rosa e il cappotto pesante per andare a scuola. Non è la prima volta che li incontro, ma non trattengo un sorriso divertito alla vista della pettinatura di Carlotta: sua madre, a quanto sembra, stamattina ha voluto intrecciarle i capelli. Questo di per sé non sarebbe un male, se solo non glieli avesse poi legati in cima alla testa: ha una fontanella al posto della splendida chioma castana che sfoggia di solito e non si può guardare. Povera. Spero che i compagni di classe non la prendano in giro. Mi accingo a sorpassarli senza battere ciglio e lo stesso fanno loro. Lo zaino della bambina è più grosso di lei e vedo che fa fatica a scendere le scale, attenta a non inciampare e al contempo a tenere il passo di marcia del padre. Nel momento in cui un piede manca l’appoggio del gradino, come in cuor mio temevo, neanche un attimo per realizzarlo che sono lì a sorreggerla per evitare che sbatta la nuca, dato che si è sbilanciata all’indietro, tirata giù dal peso dello zaino. La rimetto in posizione eretta e scivolo via in un lampo, prima che si renda conto di cosa è successo. Poi sparisco silenzioso oltre rampa del secondo piano.
“Carlotta, sbrigati.”
“Sì… arrivo…”
Li sento scambiarsi un paio di battute frettolose, ma dimentico subito l’accaduto.
Al medesimo modo di prima apro la porta dell’appartamento che condivido con Samael e varco la soglia con un sospiro. Lo trovo seduto sul divano da rigattiere a leggere un libro, immerso nella semioscurità del salotto, fatta eccezione per la luce di una piccola lampada, che diffonde un alone opaco nell’ambiente da sopra un comodino posto a ridosso del bracciolo destro del divano. Tra poco gli dirò di spegnerla, perché il sole sta sorgendo e i suoi raggi hanno già cominciato a filtrare attraverso le tendine color crema della finestra, dall’altro lato della stanza. 
Ha l’aria concentrata, ma i suoi lineamenti sono più distesi rispetto a quando ci siamo separati. Deduco che ha smaltito il cattivo umore lavorando: lui è il tipo che si diverte a veder agonizzare i clienti, prova una gioia perversa nel contemplare le loro facce sconvolte e disperate. Questo posso capirlo, nemmeno io sono immune all’adrenalina che suscita l’assistere alla deportazione di un’anima malvagia, però Samael ne trae un godimento particolare.
Sposto l’attenzione alla sua sinistra e vedo una scatola di cartone bianco piuttosto grande. Aguzzo la vista e leggo la scritta stampata sopra con caratteri blu: Toshiba. Inarco un sopracciglio, confuso, ma non oso disturbare il mio mentore durante la lettura di quel tomo che tiene posato sulle ginocchia. Lo stringe quasi gelosamente. Di rado assume un’espressione così corrucciata, quindi di sicuro è qualcosa di molto impegnativo, capace di mettere a dura prova persino un demone. Tengo a freno la curiosità e decido di aspettare che sia lui, nel caso, a rivelarmi di che si tratta.
Volta pagina con un gesto elegante delle dita, continuando ad ignorarmi.
Lascio cadere la valigetta accanto al divano, mi spoglio del cappotto e approfitto della quiete creatasi per fare una doccia rilassante. Quando esco dal bagno, tutto pulito e profumato, noto che Samael non si è spostato di un millimetro. Mi dà la schiena e l’unico modo che ho per sbirciare il suo viso è attraverso lo schermo nero della televisione, incassato in una libreria vuota di fronte al divano. Ci si riflette appena, ma mi è sufficiente per prendere atto che i suoi tratti perfetti sono dieci volte più corrucciati e contratti di poco fa.
Con ancora l’accappatoio addosso, mi accosto a lui da dietro e mi sporgo apprensivo. Voglio dare una mano, se posso.
“Sam?”
Sussulta come punto da un ago e lo avverto con chiarezza soffocare a stento uno squittio. Si gira verso di me e mi squadra con occhi sbarrati.
“Archie! Quando sei rientrato? Cavolo, mi si sono rizzati tutti i peli del corpo…”
“Eh?” lo fisso basito.
“Per tutti i diavoli, questa non me l’aspettavo! Quand’è che sei diventato così bravo ad azzerare la tua presenza? Fino a ieri non ci riuscivi.”
“Ehm… non è che eri distratto tu, invece? Non sono stato proprio silenzioso.”
“Mmm, può essere.” scrolla il capo liquidando il discorso e mi fa cenno di sedermi alla sua destra, “Sono giunto a una svolta e voglio fartene partecipe.” 
Vuole parlarmi del libro? E cosa c’è nella scatola? Sono emozionato: finalmente mi sta dando le attenzioni che desidero.
“Stanotte ho avuto un’illuminazione.” esordisce solenne, per poi picchiettare con le unghie sulla scatola bianca, ancora sigillata, “Stavo riscuotendo un contratto, il terzultimo. Come da prassi, mi sono presentato al domicilio di questo tale - non sto a spiegarti i dettagli, sono irrilevanti - e tutto è filato liscio. Però, un momento prima di smaterializzarmi per proseguire la ronda, mi è caduto l’occhio sul computer di quel tizio. Era acceso, perché stava… come si dice… ecco, stava aggeggiando lì sopra fino al mio arrivo. Così mi sono seduto davanti alla scrivania, ho fissato lo schermo e ho provato a premere a caso alcuni tasti, per vedere cosa succedeva.”
Sono teso, fremo di eccitazione. Sento che è accaduto qualcosa di grosso, che ha scosso nel profondo il mio maestro.
“Beh, credo di averlo rotto. Qualcosa è esploso.” agita la mano in un gesto vago con fare annoiato, “Ma non è questo il punto.”
Mi trattengo dal cadere giù dal divano.
“Vedi, in quell’istante ho capito cosa può rendere assai più facile il nostro compito. Con ‘nostro’ intendo quello di tutti i messaggeri di Sua Eccellenza Oscura. Ci sto ancora riflettendo, devo ragionarci bene e ho deciso di cominciare dalle basi. Tuttavia, fidati quando ti dico che siamo vicini ad una rivoluzione epocale! Non avevo mai preso in considerazione la tecnologia, perché il mio orgoglio mi impediva di fare sforzi per apprendere qualcosa inventato dagli umani. Lo ritenevo un comportamento da perdente, però ho cambiato opinione. Per la prima volta sono felice di studiare e lo faccio per una buona causa.”
“Maestro, non ti seguo… cosa stai leggendo? E cosa c’è nella scatola?”
Abbassa le palpebre a mezz’asta e alza la copertina in maniera che possa leggere il titolo: “Informatica per idioti”.
“Ah.” osservo la scatola, “Quindi lì dentro c’è un computer.”
“Sì.” annuisce grave, “La mia idea è di creare un sito…” sfoglia febbrilmente le pagine del manuale, “un sito internet per stipulare contratti, senza più la scocciatura di dover correre di qua e di là come delle trottole per interagire personalmente con i clienti. Ottimizzeremo i tempi. Le persone che vogliono fare un patto col Diavolo dovranno accedere a questo sito, inserire i propri dati personali, scrivere cosa desiderano in cambio della loro anima e…” legge, “cliccare sull’apposito tasto di invio. Geniale, eh? Ovviamente, non so ancora come, tale sito dovrà essere protetto da degli incantesimi, in modo che solo i potenziali clienti possano accedervi.”
“Intendi installare un firewall?”
“Firewall! Muro di fuoco. Che nome azzeccato!” esclama trionfante, ma subito dopo aggrotta le sopracciglia, pensoso, “A questo capitolo non ci sono arrivato. È il numero venti, io sono fermo al quindici: ‘Che cos’è e come si usa il mouse’. Sai, Archie, non ho mai provato un briciolo di deferenza nei confronti degli esseri umani, ma adesso devo ricredermi: inventare un sistema del genere deve essere stata un’impresa, non immaginavo che la loro intelligenza si fosse evoluta così tanto. Li ho sottovalutati, ma imparo in fretta dai miei errori. Perciò mi metterò in pari con la modernità e adotterò strategie all’avanguardia, come mai nessun demone ha osato fare. Dobbiamo tutti darci una ripulita e levarci di dosso la polvere, ormai sembriamo fossili. Basta giochetti di prestigio, addio pergamene! È arrivata l'era della digitalizzazione!”
Lo guardo. Lo guardo e non so cosa pensare. Il mio cervello si è spento.
“Ora finisco di assimilare le informazioni contenute in questo manoscritto e poi mi metto all’opera. Vedrai, tutti mi faranno i complimenti e verranno da me a chiedermi come funziona, strisciando e pregandomi di insegnare loro i segreti dell’informatica. Diverrò il loro dio per un po’. Persino Lucifero mi riempirà di lodi. Non sto nella pelle!”
Sbaglio o ha un’espressione sognante - e leggermente spiritata - stampata in faccia? E cosa diamine è quel luccichio infantile nelle iridi color tramonto che tanto amo? Sembra un bambino il giorno di Natale.
“Finora abbiamo sempre attinto la nostra forza dalla magia, ma i tempi cambiano in fretta e siamo costretti ad adeguarci. I vecchi metodi non sono più così effettivi come lo erano in passato. Il progresso ci sta lasciando indietro. Ah, Archie, mi sento così vivo!” 
Torna a sfogliare febbrilmente le pagine del libro e si arresta a pagina 112. Indica un punto con il dito e di nuovo si imbroncia.
“Questa parte è molto ostica. Ci ho dato un’occhiata veloce, non ho ancora letto questo capitolo, ma in quelli precedenti ci sono molti riferimenti.”
Piega il busto a destra e si ferma a un palmo di naso dal sottoscritto, tanto che il profumo della sua pelle mi penetra nelle narici e mi infiamma il sangue.
“Tu che sei stato umano, sai spiegarmi in parole spicce che cos’è esattamente Windows 8? ‘Windows” vuol dire ‘finestre’ in inglese e 8 è 8. Vuol dire che ci sono otto finestre? Dove? Perché? E francamente, Archie, l’idea di dover stringere tra le mani un topo per usare questo marchingegno mi ripugna. Ma suppongo che non ci sia un’altra strada e qualche sacrificio si deve pur fare per raggiungere la gloria.”
“Maestro.”
Mi sta venendo il mal di testa.
“Mh?”
“Si chiama ‘mouse’.”
“A-ha: il topo.”
“Non è un topo.”
Alla mia affermazione, proferita in tono neutro e senza mezzi termini, ci resta di stucco. Si blocca, gira le pagine con movimenti rapidi e scorre i righi con il polpastrello, forse alla ricerca di una base da sfruttare per avvalorare la sua tesi. Sotto questo aspetto Samael è un po’ un bambino: detesta perdere e detesta ancor di più essere contraddetto, abituato com’è ad avere sempre ragione.
“Maestro, si chiama ‘mouse’ perché la sua forma ricorda vagamente quella di un topo. In realtà non lo è.”
“Allora perché chiamarlo ‘topo’ se non è un vero topo?”
“Io che ne so.”
Sospira: “Lo sapevo. Questo mondo dell’informatica è pieno di misteri e oscuri abissi… è diabolico! Ma io sono Samael e svelerò gli arcani segreti custoditi in questo volume, abilmente celati con un linguaggio criptico. In confronto, i geroglifici sono una passeggiata.”
“Ah.”
Ho paura di vederlo alle prese con la tecnologia.
“Cos’è un’interfaccia? Perché io, che conosco qualsiasi lingua parlata dai mortali, compresi i dialetti, non riesco a decifrare questo dannato codice?”
Poggio i gomiti sulle ginocchia e mi porto le mani fra i capelli.










 
  
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