Quando Nick lo aveva pregato di uscire
con lui quella sera, Kevin aveva sospettato un possibile rivolgimento nella
loro scommessa. Non credeva veramente che l’amico sarebbe riuscito a trovargli
una fidanzata ma da una parte era lusingato che ci stesse provando: era più
costruttivo di qualunque cosa avesse mai fatto il suo stesso cugino.
Dall’altra non gli dispiaceva così
tanto passare del tempo con Nick. La sua visione del mondo era contagiosa e per
quanto non sopportasse quell’aria di disordine che riusciva a portarsi dietro
ovunque, alla fine Kevin era forse invidioso del modo in cui l’altro riusciva a
reagire alla vita. Almeno, questo aveva concluso dopo aver ragionato sulla sera
che era stato a casa sua e soprattutto sul loro litigio.
Trovava il lato positivo in qualsiasi
situazione e andava in giro con un perenne sorriso in faccia, non un sorriso di
circostanza, non un sorriso falso, ma un vero sorriso, come Kevin aveva
imparato fosse quello di Nick. Quale fosse il motivo, Kevin non lo capiva ma aveva
deciso di provare a sembrare un po’ più conciliante del solito. Non sul lavoro,
o lo avrebbero sommerso di richieste, ma nella vita sociale.
Quindi si sforzò di ricordare la sua
risoluzione quando si avvicinò al tavolo dove avevano preso posto Nick e un
ragazza mora, che sembrava più concentrata sul menù davanti a sé che su quello
che le stava dicendo il ragazzo. Poteva essere un punto a suo favore in
effetti.
“Kevin, sono felice che tu sia riuscito
a raggiungerci!” Esclamò Nick scostando la sedia tra lui e la ragazza per
fargli posto. “Volevo presentarti Lizzie; Lizzie, lui è Kevin”.
“Lizzie è un soprannome, vero?” Si
informò subito Kevin sedendosi. I suoi suoceri avrebbero dovuto essere persone
assennate o non sarebbero mai andati d’accordo.
“Mi chiamo Elisabeth, sì” Gli accennò
la ragazza “ma preferisco Lizzie”.
“Io no. È insulso. Quindi ti chiamerò
Elisabeth” Subito dopo averlo detto, Kevin si rese conto che Nick non l’avrebbe
mai fatto.
L’oggetto dei suoi pensieri si mise a
ridere e cercò di giustificarlo con la ragazza “Te l’ho detto, avresti molto da
studiare su di lui. Però sapere sempre ciò che gli passa per la testa è un
vantaggio non indifferente”.
L’occhiata perplessa di Kevin fece
spiegare a Elisabeth “Sono una studentessa di Psicologia”.
Nick l’aveva portato da una che voleva
mandargli in brodo il cervello, meraviglioso. Kevin si sforzò di muovere i
muscoli facciali ma dalla faccia stranita di Nick capì che il sorriso non era
proprio riuscito naturale come quello di lui.
“Stavo controllando il tavolo per
capire quando è stato pulito l’ultima volta. Sono le piccole cose che mostrano
l’igiene di un locale” fece Elisabeth passando un dito sulla superficie in
vetro del tavolino a cui erano seduti.
Kevin si rilassò visibilmente nel
sentirla preoccuparsi di questo. Forse Nick stavolta aveva capito cosa doveva
cercare. “Per sicurezza è meglio ordinare cibo cotto”.
“Ovunque vada mi preoccupo di farmi
scaldare ciò che prendo. Sei il primo a non fare strane domande e capire il
motivo” constatò lei prendendo in mano il menù.
“Sapevo che vi sareste trovati” sospirò
Nick afferrando un altro cartoncino. “Io mi avvelenerò con un piatto di unte
patatine toccate da mani sporche” decretò alla fine. “Non ti preoccupare,
Kevin, prima di farmi stare male dovranno arrivare allo stomaco e per
quell’epoca ti avrò già riportato a casa sano e salvo. Se poi vorrete venire a
portarmi fiori in ospedale vi accoglierò” concluse con un ghigno.
“Io non spreco il mio tempo per uno che
se l’è cercata” mise in chiaro Kevin.
“Io invece verrò a impedirti di
ingurgitarne altre. Mi sembri il tipo che continua a mangiarle anche quando sta
male” disse Elisabeth.
Nick la ringraziò e arrivò la cameriera
a interromperli.
Quando si fu allontanata, Kevin precisò
“Quando sta male beve tisane e infusi malefici. Poi carica su ogni schermo
disponibile un’immagine di Barcellona sostenendo che abbia proprietà
terapeutiche”.
Elisabeth si mise a ridere, commentando
“Gli artisti sono persone particolari e tu, studiandoli, ti stai uniformando un
po’ troppo a loro”.
“Le immagini hanno davvero una
proprietà terapeutica: me ne sono accorto quando avevo dieci anni e questo è il
motivo per cui ho scelto il corso di Arte all’Università” cercò di difendersi
Nick. “E tu, perché Psicologia?”
“Perché credo che la mente delle
persone sia un po’ come un computer, solo infinitamente più complicata. Voglio
studiarla e sviscerare i pensieri più nascosti di tutti”.
Dal silenzio in cui era caduto Nick,
Kevin interpretò di dover dire qualcosa “Come un computer?”
“Sì, solo che lì è tutto molto asettico
e arido”.
“Ingegneria informatica” buttò lì Kevin
per vedere la reazione.
“Una materia che non vorrei mai
studiare. Tra l’altro, porta a un lavoro così monotono e ripetitivo che poi
dovrei andare io da uno psicologo” affermò con sicurezza Elisabeth.
Nick cominciò a ridere coprendosi il
viso con il tovagliolo, prima di fissare ostinatamente Kevin. Il ragazzo,
d’altra parte, era pronto a una risposta del genere e commentò pacatamente “Era
il mio corso di laurea”.
Elisabeth si colorò di rosso nelle gote
e balbettò delle scuse. A salvarla giunse la cameriera, portando le loro
ordinazioni.
Probabilmente non soddisfatta del guaio
già combinato, Elisabeth ripartì con le scuse “Ovviamente c’è lavoro e lavoro
anche con i computer: deve dare una certa soddisfazione andare a risolvere i
problemi di persone in difficoltà e girare casa per casa. Devi vedere molte
realtà umane. Io parlavo di quelli che lavorano in un’azienda, chiusi tra
quattro mura e…”
“Stai peggiorando la tua situazione” la
avvisò Nick rapidamente masticando.
Kevin gli fu grato di non averla fatta
finire: non voleva sapere quello che pensava una svampita ragazzina del suo
impiego. Si mise a mangiare il suo panino con calma. Sul tavolo calò il
silenzio, interrotto solo dagli sporadici commenti sul cibo che Nick e
un’imbarazzata Elisabeth si scambiavano.
Kevin cominciò a guardarsi intorno,
ringraziando la calma che era arrivata al loro tavolo. Perché raccontare
qualcosa di sé quando poteva osservare gli altri e carpire le loro
conversazioni? Perché era necessario riempire ogni spazio vuoto con parole
vane? Se Elisabeth si fosse limitata alle scuse senza cominciare a parlare a
raffica non avrebbe commesso un’altra gaffe. E questo a livello microscopico.
L’unico riempitivo al silenzio che
Kevin poteva sopportare era la musica. Non troppa, si intendeva, e a un volume
che consentisse di non farsi fracassare le orecchie. Però si poteva ascoltare,
soprattutto quella più vecchia. I gruppi moderni gli facevano venire voglia di
abbassare il volume fino a portarlo a zero, con la loro straordinaria
attitudine ad assordarlo anche a un volume normalmente accettabile.
“Non so se ti ho mai accennato che io e
Kevin suoniamo in un gruppo” esordì Nick quando aveva quasi finito le sue
patatine. Kevin cominciò a pensare che l’altro lo capisse meglio del cugino
perché leggeva i suoi pensieri.
“È così che vi siete conosciuti?”
chiese Elisabeth tornando a rivolgersi anche a Kevin.
Quello annuì “Mio cugino sarebbe il
leader”.
“Lo è” lo corresse Nick.
“Se non ci fossi tu, io e lui ci
saremmo già urlati contro” constatò secco Kevin “quindi prenditi i tuoi
meriti”.
L’espressione stupita di Nick, che
aveva ampliato a dismisura gli occhi, era terribilmente esagerata secondo
Kevin: d’accordo, non era da lui essere così franco, ma la realtà sarebbe stata
evidente anche a un bambino. Nick non poteva non essersi accorto che lui e
Louis per andare d’accordo avevano bisogno di vivere in due case separate e di
vedersi non molto spesso oltre le prove e le serate con la band. In effetti non
si vedevano mai al di fuori di queste occasioni.
Elisabeth rise “Cosa suonate?”
Dopo qualche attimo di esitazione, Nick
le rispose “Io il basso e Kevin la batteria”.
“La batteria? Devi essere grintoso”.
Questa volta fu Kevin a sorridere, per
la sorpresa che tutti mostravano nel sentire il suo strumento. “Ho imparato a
suonarla da piccolo e non vedo perché dovrei smettere. Non mi maschero con
parrucche e abiti dark e sogno di portare nel mondo l’idea che per fare buona
musica non occorra essere troppo vistosi”.
“Non so se faremo molta strada insieme
in questo senso” lo avvisò Nick.
“Tu e Louis potreste evitare di
muovervi sul palco come in un rodeo, in effetti”.
“Come fai a non farti coinvolgere dalla
musica? Io penso che salterei su e giù anche se fossi seduto tra i piatti”.
“Le orecchie del pubblico ringraziano
che tu suoni il basso”.
“Verrò a sentirvi un sera. Magari non
subito, ho degli esami da finire, però avvisatemi quando farete una serata da
queste parti” si intromise Elisabeth.
Nick a quelle parole prese
immediatamente vita guardando l’ora e scattando in piedi “Scusami, ti ho
trattenuta più di quanto avevo detto!”
Elisabeth allontanò da sé il piatto e
afferrò la borsa che aveva lasciato cadere per terra “Mi ha fatto piacere
distrarmi un po’ e parlare con voi, ragazzi”.
Nick le prese la mano e le fece
scherzosamente il baciamano, facendo voltare un’altra ragazza che esclamò “Vedi
come si fa?” rivolta al ragazzo che era con lei.
Elisabeth allora si sporse anche ad
abbracciarlo e Kevin fu sicuro di averla vista sussurrargli qualcosa
all’orecchio. Odiava le persone che parlavano sottovoce e alle spalle.
Nick le sorrise ancora una volta e le
diede un ultimo bacio sulla guancia.
Kevin cominciò a mettere in dubbio
l’omosessualità di Nick: forse la notte preferiva i ragazzi e durante la
giornata le ragazze. Guardò rapidamente oltre i vetri del locale e vide che il
sole era basso sull’orizzonte ma non era ancora tramontato.
Salutò con un rapido cenno Elisabeth e
poi aspettò che Nick prendesse nuovamente posto. “Andiamo?” Gli chiese non
appena si fu rimesso comodo.
“Non apprezzi la mia compagnia?” Chiese
l’altro sporgendosi sul bordo del tavolo, ma non arrivando troppo vicino. Kevin
apprezzava come tutto sommato sapesse mostrare il suo vero carattere senza
essere invadente.
“Devo lavorare domani mattina e non mi
hai dato molto preavviso. Andiamo” comandò imperioso alzandosi e dirigendosi
verso le scale.
Solo quando fu arrivato in fondo e Nick
lo affiancò si accorse di un particolare che lo mise in allarme, un particolare
nero e grigio: il casco integrale che l’altro portava sotto braccio. Con orrore
cominciò a controllare la giacca che aveva portato e si accorse che era
foderata per proteggere dal vento.
“Quel casco lo metti in macchina, vero?
E la giacca è per il vento che entra dai finestrini aperti, giusto?” Chiese con
una voce che gli uscì stridula.
“Non essere sciocco. Vado a pagare,
tienimelo” gli chiese affidandogli il casco e mettendo mano al portafogli.
Kevin, non appena Nick ebbe girato
l’angolo, provò il forte impulso di gettare il casco sul pavimento con una
certa forza. Certo, tutti si sarebbero voltati a guardarlo, ma avrebbe
distrutto l’aggeggio maledetto.
O forse no. Gli sembrava di ricordare
che fossero progettati per sopportare impatti ben maggiori; in effetti sarebbe
stato logico. Avrebbe potuto chiedere di inserirlo nella friggitrice però:
dubitava ne sarebbe uscito indenne. Ma anche in questo caso doveva affidarsi
alla fortuna e trovare un addetto che capisse il suo disperato bisogno. Se
avesse trovato un altro patito motociclista sarebbe stato capace di denunciarlo
per maltrattamento.
Studiò un po’ l’oggetto rigirandoselo
fra le mani, doveva esserci un modo per eliminarlo. O almeno renderlo
inutilizzabile. Per esempio svuotarlo dall’interno, danneggiare le imbottiture:
questo sembrava un buon piano.
Cominciò a tastare la soffice stoffa
che avrebbe dovuto ricoprire la testa alla ricerca di appigli e punti deboli
ma, anche se tormentata, essa non cedeva e non si strappava. Gli capitò però in
mano il cinturino da legare sotto il mento: quello doveva poter essere
estratto, non potevano averlo incollato, si sarebbe trattato di uno spreco di
materie prime!
Proprio mentre stava sbatacchiando qui
e là il casco, Nick tornò. Gli comparve di fianco senza annunciarsi in alcun
modo e gli prese dalle mani ciò che era di sua proprietà. “Tranquillo, ti aiuto
io ad allacciarlo!” gli disse gioioso.
*
Kevin, quando aveva visto la moto,
aveva subito tirato il viso in una smorfia disgustata e poi il ragazzo si era
diretto con passo deciso verso l’uscita del parcheggio.
Nick lo aveva rincorso e, senza sforzo,
lo aveva raggiunto. Pensò fosse meglio non toccarlo: sapeva che invadere i suoi
spazi personali non era un modo per renderlo calmo. “Dove stai andando?” Gli
chiese in modo innocente.
“Torno in taxi” proclamò deciso Kevin.
“Non devi preoccuparti: ho un altro
casco nel vano della moto” finse di non capire Nick. Adorava fare finta di non
capire. Inoltre aveva davvero portato due caschi invece di girare senza come
faceva di solito perché sapeva che sarebbe stato più facile convincere l’amico.
Kevin lo guardò dall’alto in basso; o
almeno ci provò, dato che era più basso di lui. Nick si trattenne dal ridere e
si pose ben davanti a lui, per impedirgli di proseguire e farsi dare una
risposta.
“È inutile mettersi un casco per andare
in moto. Come mettersi la giacca a vento per andare al polo nord”.
Questa volta Nick dovette ammettere di
non aver capito bene dove l’amico volesse andare a parare “Non usciremo dalla
città, non puoi avere freddo! Ti posso comunque prestare la mia giacca se la
vuoi”.
“Intendo dire che comunque, anche se
mettiamo un casco, possiamo sempre romperci una gamba, un piede, un braccio,
una costola o più d’una, la colonna vertebrale…”
Nick interruppe la sequela di sciagure
che Kevin stava cominciando a enumerare sulle dita agitando la mani e
minacciando di tappargli la bocca “Potrebbe anche non succederci nulla, sai?
Statisticamente parlando è più probabile”.
“La statistica non è una scienza con
risultati certi. Non mi fido di lei” gli venne risposto con tono risentito.
“Ma ti puoi fidare di me” provò a
metterlo alle strette Nick. Poi si rese conto che la risposta avrebbe potuto
rovinargli la serata, così aggiunse “Sarò prudente, non correrò e sarai a casa
prima che con un taxi. Questo equivale a più ore di sonno e a un migliore
rendimento lavorativo”.
Il solo fatto che Kevin stesse
soppesando la sua proposta rese Nick molto orgoglioso di quanto avesse imparato
a conoscerlo. Forse aveva ragione il suo batterista nel dire che stava
diventando più bravo di Louis.
“D’altra parte però c’è la concerta
possibilità che mi ricoverino in ospedale e non possa lavorare per molto
tempo”.
Nick si costrinse a non cantare
vittoria troppo presto. “Ricordi quello che abbiamo detto sull’aprirsi al
mondo?” gli chiese, sperando di fare la mossa giusta.
Kevin mise le mani in tasca e puntò gli
occhi al cielo “comporta dei rischi”.
“Si viene ripagati abbondantemente in
emozioni”.
“Che si possono provare su un qualsiasi
simulatore”.
“Allora andiamo a provare un
simulatore!” esclamò Nick esasperato.
Kevin portò uno sguardo torvo su di lui
“Ti sembro il tipo di cretino che si siede a gambe larghe su un marchingegno e
mette una visiera interagendo con un rumoroso programma?”
La risposta di Nick di per sé sarebbe
stata affermativa ma preferì tenerla per sé. Anche perché con quell’uscita
Kevin si era appena ingabbiato da solo. Gli porse nuovamente il casco e gli
indicò la moto “Allora proviamo un’emozione reale!”
A Kevin non rimase altro da fare che
afferrarlo con grande disappunto, brontolando ancora “cerchiamo di mantenere
gli standard di sicurezza, per quanto inutili”.
Si avvicinarono alla moto e Nick prese
l’altro casco. Stava per porgerlo a Kevin quando si rese conto che l’amico
aveva già in mano il suo: sarebbe sembrato una ragazzina sciocca ma gli piaceva
l’idea che l’altro indossasse il casco che lui metteva quando doveva guidare
per molto tempo. Così gli sorrise affabilmente e poggiò il casco rimasto sulla
moto “Sai come metterlo?” chiese.
“Certo. Non ho mai viaggiato in moto ma
metto caschi dall’età di cinque anni” gli rivelò Kevin sarcastico mentre
armeggiava con il cinturino e lo apriva.
“Mi sembravi il tipo che gira con il
casco anche in bici” si scusò Nick.
“Ovviamente” gli confermò Kevin. Nick
lo guardò in faccia e si rese conto che era serio. “Ma non è mai stato un casco
integrale”.
“Se vuoi ti lascio l’altro. Sai
sicuramente metterlo però è il più incompleto”.
Kevin cominciò a fissare con aria di
sfida il casco che teneva ancora in mano.
“Va bene, va bene” gli disse
conciliante “allora lascia fare a me”. Nick pose il casco sulla testa di Kevin
e, quando gli ebbe coperto gli occhi e stava per arrivare al mento, l’altro
parlò “Hai intenzione di soffocarmi?”
Nick diede un colpo deciso per farlo
calzare e tornò a vedere gli occhi di Kevin, che così schiacciati sembravano
ancora più arrabbiati. “O hai intenzione di tirarmi un colpo in testa?” gli
disse ancora, mentre cercava di abituarsi a parlare.
Nick infilò il suo casco molto più
rapidamente, per poi rendersi conto che era meglio spiegare prima a Kevin
quello che avrebbe dovuto fare. Gli indicò la sella della moto “Io mi siedo
davanti e tu dietro di me” disse partendo dalle basi. L’occhiata che Kevin gli
gettò fu eloquente anche dietro la visiera.
“Salgo, metto in moto, tolgo il
cavalletto, poi tu prendi un po’ di slancio, getti una gamba dall’altra parte
della moto e ti issi, va bene?” gli spiegò nel dettaglio.
“Sono salito su un cavallo una volta.
Non sarà così diverso” replicò asciutto.
Nick annuì poco convinto girando la
chiave sul cruscotto. La moto prese vita con il suo allegro scoppiettio.
Almeno, per Nick era così; per Kevin, che aveva fatto un salto indietro, forse
no. Nick si mise il casco e sperò che mascherasse a Kevin i suoi sorrisi. Aveva
sempre voluto portarlo in moto.
Salì, tolse il cavalletto e fece un
gesto a Kevin, tenendo entrambe le mani piantate saldamente sulle manopole. Con
sua grande sorpresa l’amico fu delicato nel salire e non lo sbilanciò molto.
Forse la storia del cavallo funzionava davvero. Lo avvertì sistemarsi meglio
dietro di lui e staccare il suo corpo dal proprio; si dovette voltare per
controllare fosse ancora in sella e lo vide saldamente aggrappato al
portapacchi.
Tranquillizzato, partì e arrivò
all’uscita del parcheggio. Quando svoltò per immettersi nel traffico cominciò a
capire che qualcosa non andava. Alla curva successiva ne ebbe la certezza.
Decise sarebbe stato più saggio fermarsi prima della strada principale e,
trovato un piccolo spiazzo, fece rallentare la moto e si accostò, senza fare
movimenti bruschi.
Si voltò verso Kevin e colse subito la
sua espressione terrorizzata. Forse il discorso era più serio del previsto.
Cercò di metterlo più a suo agio
spegnendo il motore. Ringraziò di non doversi togliere il casco per farsi
sentire e cominciò “Tu dovresti seguirmi quando la moto si inclina”.
“Per trovarmi più vicino all’asfalto e
farmi meno male quando cadremo?” Chiese Kevin con voce incerta. Nick non seppe
dire se fosse tremula di per sé o se il casco la rendesse così.
“Proprio per evitare di cadere!”
Gli occhi di Kevin erano veramente lo
specchio della sua anima e ora lo guardavano con aria saccente, così Nick
continuò a spiegare “La moto in curva si deve inclinare… O non fa la curva! Tu
dovresti assecondare i miei movimenti, sono collaudati e fatti apposta per non
sfracellarci al suolo”.
Kevin non gli rispose subito ma si mise
a fissarlo “Sei più imperioso qui di quando suoniamo”.
“Quando suoniamo al massimo spacchiamo
qualche timpano. Se continui così tra poco ci spacchiamo qualche osso” gli fece
notare con un tono poco bonario.
“È meglio che io vada in taxi” concluse
Kevin cercando di slacciarsi l’elmetto.
“No!” lo bloccò Nick portando le mani
sulle sue “Devi solo imparare, come in tutte le cose”.
“Non sono sicuro di volere”.
“Solo questa volta” lo pregò Nick
cercando i suoi occhi. Avevano recuperato un po’ della sicurezza e del gelo che
li contraddistinguevano ma rimanevano spaventati come non li aveva mai visti.
Si stupì molto quando, dopo un immancabile sospiro, Kevin acconsentì a
continuare il loro giro.
Nick gli fece segno di scendere dal
posto in cui si era arroccato “Vieni più vicino a me. Se rimani a contatto con
il mio corpo ti sarà più facile capire le mie posizioni”.
Kevin lasciò titubante la presa sul
portapacchi e scivolò più giù, cercando di piantare le unghie nella porzione di
sella rimasta vuota dietro di sé. Nick gli sorrise e si voltò per riaccendere
la moto; sentì nuovamente un sussulto dietro di sé.
Tornato in strada però notò subito che
la situazione era notevolmente migliorata e che con un po’ di pratica Kevin
sarebbe potuto diventare uno splendido passeggero. Gli si strinse il cuore a
quel pensiero.
La scelta di portare Kevin sulla moto
con lui non era stata volontaria. Non completamente almeno: era uscito in moto
quel pomeriggio e, incontrando Lizzie per caso, gli era venuto in mente che
poteva essere una buona candidata, o almeno una migliore di Kendra. Era tornato
a casa solo per arraffare due caschi; non ci sarebbe proprio stato il tempo di
cambiare mezzo di trasporto.
Nick sapeva di stare sbagliando, di non
potersi permettere di stare troppo vicino a Kevin o sarebbe stato ancora peggio
quando gli avrebbe finalmente trovato la ragazza giusta. Passava da momenti in
cui malediva la scommessa che aveva stipulato ad altri in cui la benediceva,
perché lo avrebbe obbligato a mettere la parola fine alla sua infatuazione. Non
era servito a molto ripetersi costantemente che Kevin era etero e che non
avrebbe mai potuto esserci nulla; forse vederlo con al braccio una fidanzata
avrebbe cambiato le cose.
Senza nemmeno accorgersene, imboccò
sovrappensiero la via più trafficata di Philadelphia, verso il ponte Withman.
Fu quando avvertì le gambe di Kevin farsi due blocchi di marmo che notò le
miriadi di tessere colorate che viaggiavano intorno a loro: la sera aveva reso
il traffico scorrevole e forse stava percorrendo la strada a una velocità un
po’ troppo elevata. Rallentò visibilmente ma la decelerazione improvvisa ebbe
solo l’effetto di farsi stringere da Kevin: doveva avere davvero paura.
Le sue mani intrecciate gli premevano
lo sterno ma Nick non si lamentò. Uniformò l’andatura e sentì il nodo
cominciare a sciogliersi, anche se le mani rimanevano al loro posto. Per un
attimo Nick ebbe la sciocca tentazione di dare nuovamente gas per tornare a
essere stretto in modo soffocante. Sarebbe bastato girare un poco di più quella
manopola…
No, non poteva farlo. Kevin lo avrebbe
ucciso una volta sceso e poi Nick stesso non si sarebbe divertito a vederlo
così spaventato. Quel giro dovevano ricordarlo in positivo entrambi.
Rallentò, ma non abbastanza da essere
preso per un intralcio alla circolazione, e si concesse di togliere la mano
destra dal manubrio per andare a stringere quella di Kevin: non avrebbe
accelerato ma non poteva fare a meno di fargli sapere che la posizione che
aveva scelto gli era gradita. L’altro reagì afferrando con più forza la stoffa
della sua giacca e aderendo di più al suo corpo.
Nick sperò che Kevin decidesse di
mantenere quel contatto anche quando fu costretto a riprendere completamente il
controllo del mezzo. Kevin non lo deluse: rimase abbracciato a lui fino a
quando Nick non fece fermare la moto proprio davanti al vialetto di casa
dell’amico.
Nick lo sentì muoversi sulla sella ma
non scendere, così tornò a voltarsi verso di lui, giusto in tempo per vederlo
fissare in modo torvo il suolo.
“Continuiamo il giro?” gli chiese, non
potendo fare a meno di usare una nota speranzosa.
“Scordatelo. Devo solo capire come
scendere senza scaraventarmi giù” Nick lo lasciò tranquillo per qualche secondo
e poi Kevin strillò “E spegni quest’affare, mi stai svegliando tutto il
quartiere!”
Nick sorrise e girò la chiave “Pensi di
metterci molto? Forse fai prima a progettare una scaletta” lo canzonò.
“Se fossimo in un mondo virtuale lo
farei” gli venne risposto con stizza.
“Come sei salito sul cavallo sarai
anche sceso, no?” Chiese Nick, ricordando quello che gli aveva detto prima di
salire.
“No. Louis tirò la coda al cavallo,
quello si imbizzarrì e mi disarcionò”.
“Vuoi che faccia un’impennata?” Chiese
Nick tra le risate, portando la mano sulla chiave ancora inserita.
Kevin gli tirò un pugno sul costato.
“Aggrappati alle mie spalle e prendi lo
slancio con la gamba sinistra. Cerca di evitare il portapacchi” lo avvisò
conciliante Nick.
Non aveva tenuto conto che il concetto
dell’altro di “aggrapparsi alle spalle” equivaleva all’incirca al piantargli le
unghie alla base del collo e rischiò di farsi sfuggire un gemito. Non ebbe il
tempo di assimilare il dolore che si ritrovò a dover far fronte a un
ondeggiamento particolarmente accentuato della moto. Piantò la gamba destra per
terra e riuscì a tenerla in posizione verticale, ringraziando Louis che lo
aveva convinto ad andare in palestra l’inverno precedente.
Quando tornò a fissare Kevin, sembrava
che l’altro avesse appena finito di recitare un lungo –almeno per i suoi
standard- ringraziamento alla terra che lo aveva nuovamente accolto. Gli lanciò
un’occhiata curiosa.
Kevin armeggiò con il cinturino del
casco e Nick gli fece nuovamente cenno di avvicinarsi a lui. Sorprendentemente,
in pochi attimi riuscì a sfilarselo senza troppi drammi.
“Odio la moto e le protezioni che ti
obbliga a mettere” proclamò non appena se ne fu liberato.
“Il casco non è obbligatorio, l’hai
voluto tu” gli fece notare Nick.
L’altro glielo restituì con espressione
stizzita.
“L’ultima parte del viaggio non è
andata così male” provò ancora a fargli ammettere Nick.
“Mi hai fatto abituare a essere in
pericolo di vita!”
“Come sono bravo, non trovi?”
Kevin questa volta si mise a ridere.
Era raro vederlo così e Nick ne fu contagiato a sua volta. “Non ti arrendi
mai”.
“Never
surrender rimane il mio motto” gli confermò.
“Non sembri così incollato ai ragazzi”.
“Non a quelli che non mi interessano”
per evitare domande imbarazzanti, Nick si sforzò di continuare la frase
“infatti le rare volte in cui io e Louis abbiamo litigato ci siamo riconciliati
soprattutto per merito mio”.
“L’importante è che non chiediate il
mio aiuto” mise in chiaro Kevin tirando fuori le chiavi di casa.
Nick lo tranquillizzò su quel punto e
mise a posto il casco che gli aveva appena riconsegnato.
“Allora buonanotte” gli disse Kevin
allontanandosi lungo il vialetto “e non sperare ti ringrazi!” aggiunse
voltandosi.
Nick accese la moto ed ebbe cura di
dare molto gas prima di ripartire. Nel caso qualche vicino fosse stato ancora
sveglio.