Della
morte, dell’amore
I.
Della morte
L’angelo aveva braccia spezzate e brune ali
di ferro. Gli occhi due disperate orbite rivolte al cielo, la bocca una
voragine muta e oscena.
La sua veste si muoveva immobile, sconvolta
da un vento che non c’era.
La ragazza pose una mano sulle ampie volute
della tunica, il marmo a gelarle le dita umide di pioggia.
Faceva un freddo cane, e lei era tutta la
notte che aspettava, pensò. Forse sarebbe stato il caso di
andare a casa,
tanto, con quel tempo di merda, di clienti non ne sarebbero arrivati
più.
Sospirò.
Avrebbe dovuto tornare indietro con le
altre, meno pazienti e sprovvedute di lei.
Stava giusto ripassando gli orari della
metro, che figurarsi se aveva i soldi per un taxi, quando vide un uomo,
poco
più di un ragazzo, fermarsi sotto al semaforo
dell’incrocio alla sua destra.
Aveva un cappello scuro ben calato sugli
occhi, misero riparo contro la pioggia, e continuava a girare la testa,
come se
stesse cercando qualcosa. Se si scomodava a quell’ora di
notte, con quel tempo,
per venire in una simile zona di periferia, poteva avere un solo,
valido,
motivo.
Forse aspettare per così tanto avrebbe
portato i suoi frutti.
La ragazza mosse qualche passo nella sua
direzione, in modo da essere meglio illuminata dalla luce opaca di un
lampione,
e quando vide il viso di lui girarsi a guardarla, gli
ammiccò, provocate. Appena
incontrò il suo sguardo – due occhi chiari,
sfuggenti – notò la piega decisa delle
labbra e la sicurezza dei suoi passi: avanzava a grandi falcate, le
mani
affondate nelle tasche. Sorrise,
speranzosa.
E il primo colpo non lo vide nemmeno.
Dritta allo stomaco, una stilettata dolorosa
e sottile, inferta per uccidere. Si accasciò al suolo, una
mano a tenere il
ventre, l’altra aggrappata al bordo della statua.
Boccheggiò, l’aria sembrava risucchiata dai
polmoni. Sollevò gli occhi, un attimo – solo un
attimo – prima che la seconda
pugnalata le affondasse nel petto.
Rovesciò la testa all’indietro, un grido
intrappolato
tra le labbra rosse e volgari.
L’uomo torse il coltello tra i seni, mezzo
giro e poi fuori, a strapparle un gemito e la vita.
Il sangue schizzò il viso di lui, pallore
di morte sull’espressione seria. Fu l’ultima cosa
che la donna vide.
Quando la lama la violò tra le gambe, lei
era già morta.
L’uomo si sollevò, impassibile, e con un
fazzoletto si pulì il sangue dal viso. Aveva freddo.
Aveva sempre freddo, dopo.
Lo colse un brivido. Vestiti puliti e
almeno due aspirine: aveva tutto nell’auto parcheggiata
dietro l’angolo. Il
cadavere invece sarebbe rimasto lì: che lo trovassero pure,
tra i cani della
polizia c’era chi gli doveva più di un favore.
Prima di andarsene lanciò uno sguardo alla
statua sopra di lui.
Anche se l’angelo fosse stato vivo, non si
sarebbe di certo scomodato per l’anima di una puttana.
Si fece il segno della croce e voltò le
spalle ai peccati degli uomini.
Amen.
II. Dell’amore
Hai aperto la porta dolcemente,
accompagnandola con il palmo della mano, le dita affusolate ben distese
e
severe sul legno. C’è questa ormai familiare
accortezza nel cercare di non
svegliarla quando torni a notte fonda. Tuttavia, sai che una parte di
te vorrebbe
che lei aprisse gli occhi, lo riconosci nei gesti involontari che il
tuo corpo
fa. Nel modo in cui premi sul parquet, perché cigoli appena;
oppure nella luce
su comodino, che accendi un attimo e poi spegni subito. Come se ti
fossi
sbagliato.
Eppure,
da tempo hai capito che ogni tuo gesto è ponderato, preciso.
Anche adesso, mentre ti chini su di lei,
una mano a sfiorale la spalla nuda, sgusciata fuori dallo scollo della
maglia,
appoggi il ginocchio vicino al suo corpo, perché senta la
pressione sul
materasso e il tendersi delle coperte.
Ecco, vedi le palpebre fremere, ed è un
secondo prima che apra gli occhi.
E, Dio, adori il modo in cui ti
guarda.
Lo capisci da come indaga il tuo viso, le
tue labbra, che è così profondamente sicura del
tuo amore da convincere anche
te. È lì –lì, lì,
solo lì – che ti senti umano davvero: nella
profondità del
suo sguardo, che scava, disperato, sotto la durezza dei tuoi occhi per
trovare
un gentilezza che infondo vede solo lei.
E allora le accenni un sorriso, il primo
della giornata. Lei ricambia.
Anche oggi dovevi lavorare fino a tardi,
dice. Non è una domanda, ma rispondi ugualmente:
sì, avevi dei contratti da
revisionare, ti dispiace averla svegliata.
Non importa, peccato per la cena però, l’ha
dovuta buttare. Piccola pausa, sguardo timido. Le sei mancato, sai?
Le sposti una ciocca di capelli, non vedevi
l’ora di tornare a casa, rispondi.
All’improvviso senti una punta di freddo in
fondo allo stomaco. È fastidiosa, cerchi di ignorarla.
Lei non si è accorta di niente, e come
avrebbe potuto? Sai bene che la tua espressione non è
cambiata.
Socchiude gli occhi, scherzosa, ti devi
comunque far perdonare, afferma.
Porta una mano dietro al tuo collo e ti
trascina sul bordo rosso della sue labbra.
E all’improvviso ricordi un’altra bocca,
che non hai baciato. Un’altra donna, che non hai desiderato.
Ed è allora che lo vedi, quell’angelo non
è
più una statua, ma un giudice che punta il dito accusatore e
piange lacrime di
pioggia per le vostre anime –solo
la tua
è perduta.
Perché il freddo ti esplode ancora nel
petto.
Note:
Cosa dire? Storia triste, perchè a volte l'amore di una
donna non basta.
Spero che questa cosuccia abbia emozionato qualcuno, in caso mi farebbe
piacere saper la vostra opinione ^^
Un inchino
-Nomy