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Autore: maka97    05/09/2014    5 recensioni
“Allora, presumo che tuo padre ti abbia già spiegato la situazione” iniziò il signor Taylor “ti stabilirai in questa casa, con noi, fino a quando non raggiungerai i 18 anni e al raggiungimento di tale età sposerai uno dei miei due figli… avrai a disposizione questi due anni per decidere quale, sperando che tu scelga in modo saggio e, in cambio, come promesso daremo fin da ora aiuti economici alla tua famiglia, fino a quando i nostri due imperi non si uniranno definitivamente…. Ma, in caso tu decida, in qualunque momento, di tirarti indietro, interromperemmo tali aiuti, riprendendoci soldi e interessi mandando in fallimento tuo padre e la sua azienda, e a te non rimarrà niente, neanche la dignità, che dovrai mettere da parte per elemosinare un pezzo di pane... tutto chiaro?” chiese il signor Taylor con voce tranquilla, ma allo stesso tempo dura e ferma e con un sorriso da brividi.
“Ne sono consapevole, non vi deluderò” risposi mascherando tutti i miei sentimenti.
“Perfetto, avevo capito che eri una ragazzina intelligente”
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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‹‹Baby you're all that I want 
When you're lyin' here in my arms 
I'm findin' it hard to believe 
We're in heaven 

And love is all that I need 
And I found it there in your heart 
It isn't too hard to see 
We're in heaven 

Oh - once in your life you find someone 
Who will turn your world around 
Bring you up when you're feelin' down 

Ya - nothin' could change what you mean to me 
Oh there's lots that I could say 
But just hold me now 
Cause our love will light the way››
(Heaven, Bryan Adams)
 
Erano passati tre giorni.
Tre giorni da quando avevo abbandonato la mia casa, tre giorni da quando mi ero trasferita.
E soprattutto tre giorni da quando avevo conosciuto i figli del signor Taylor ed ero stata presa in giro pubblicamente dal più piccolo. Erano tre giorni che evitavo o almeno cercavo di mantenere al minimo i rapporti con quella famiglia.
Ovviamente dovevo comunque essere presente a pranzo e a cena per volere del padrone di casa, ma cercavo di parlare il meno possibile, di passare inosservata.
Il mio equilibrio venne spezzato, però, quando Adams mi venne a comunicare che si sarebbe tenuta una festa per annunciare il nostro accordo di matrimonio e l’imminente unione dello splendete patrimonio della famiglia Taylor con quello di mio padre, che stava cadendo in disgrazia, ma che aveva ancora un immenso valore e potenziale. Sarebbe stata di lì a due giorni, di sabato, la settimana prima di ritornare a scuola.
Avrei dovuto vestirmi, truccarmi, indossare finti sorrisi e convincere tutti di quanto fossi felice ed entusiasta di questa situazione.
Nessuno avrebbe dovuto vedere la vera me, che piangeva la sera sotto le coperte, che voleva tornare a casa, che era tutto, fuorché felice.
 
E prima che me ne accorgesse la tanto indesiderata sera era arrivata e io mi stavo guardando allo specchio, poco prima che la festa iniziasse, insicura nel mio corto abito rosso con ricami neri.  Me l’aveva portato quel pomeriggio una cameriera insieme alle scarpe, spiegandomi che l’aveva scelto per me il signor Taylor in persona.
L’abito mi fasciava il busto per poi cadere più morbido sui fianchi, rivelando un fisico abbastanza asciutto, con forme non molto pronunciate, mentre i tacchi, per me di altezza spropositata, mascheravano la mia bassezza.
Non ero abituata a indossare vestiti del genere, né tanto meno a vedermi così, ma di sicuro il signor Taylor non avrebbe apprezzato mie eventuali proteste.
Stavo per uscire quando sentì bussare.
“Signorina posso entrare?” chiese permesso una voce femminile da dietro la porta e, dopo aver sentito il mio consenso, fece la sua entrata una giovane cameriera dal viso leggermente rotondo e dai lunghi capelli castani raccolti in una coda alta.
“Mi chiamo Kara, sono stata nominata sua cameriera personale” si presentò
“Jessica” risposi velocemente “scusa, ma ora dovrei andare”.
“Non credo proprio” disse mettendosi tra me e la porta e squadrandomi “non penserà davvero di andare così? Cioè, non mi fraintenda, quel vestito le sta d’incanto e lei ha un viso stupendo, ma…. Un po’ di trucco e una sistematina ai capelli non le farebbe male”.
Mi accarezzai d’istinto i lunghi capelli mori che avevo lasciato al naturale, sciolti e leggermente mossi, un po’ toccata dai suoi commenti.
“Si sieda” mi ordinò spingendomi dalle spalle verso il letto.
 
Meno di dieci minuti dopo aveva finito e, guardandomi allo specchio, dovevo ammettere che aveva ragione e che aveva fatta un buon lavoro: aveva passato un leggero strato di cipria sul volto ed esaltato i miei occhi azzurri con un po’ di mascara e di eyeliner neri. Inoltre mi aveva raccolto i capelli scuri in un morbido chignon laterale, lasciando i ciuffi laterali ad incorniciarmi il viso.
Aveva cercato tra i miei pochi gioielli, regalatimi da non mi ricordavo neanche chi, una collana ed infine aveva optato per una molto semplice, leggermente lunga, ma che esaltava il vestito, illuminandolo, in un certo senso.
“È bellissima, ma ora dobbiamo andare” mi sorrise aprendomi la porta.
Mi guidò in quella che per me non era una casa, ma un labirinto, un dedalo di corridoi e porte tutte uguali e, dopo essersi fermata davanti ad una di queste, mi esortò ad entrare, spiegandomi che avrei dovuto aspettare lì dentro ancora qualche minuto.
Entrai in una piccola stanzetta buia, che altro non era, mi resi conto subito, che un piccolo palco, separato dalla sala dove stava iniziando la festa solo da pesanti tende che oscuravano la luce, ma che permettevano di sentire la musica e il leggero chiacchiericcio prodotto dagli invitati.
Mi diressi verso il sipario, intenzionata a sbirciare dall’altra parte, ma, non appena sfiorai il tessuto rosso con la mano, mi sentii arpionare i fianchi da dietro.
Repressi l’urlo spontaneo, in un semplice mugolio di spavento e sobbalzai leggermente.
“Scusami non volevo spaventarti, sono Chris” non riuscì a non rabbrividire sentendo il suo soffio caldo sul collo.
Ripresi coscienza di me stessa e mi allontanai sciogliendo l’abbraccio e facendo cadere un silenzio imbarazzato per qualche secondo.
“Sei bellissima comunque” disse interrompendo l’atmosfera che si era creata.
“Ma se non si vede niente qua”.
“Ma tu sei sempre stupenda quindi…” rispose facendomi arrossire -per fortuna era buio- e avvicinandosi, ma venne interrotto da una risata alle sue spalle.
“Wow questo tuo lato zuccheroso e cascamorto mi fa venire i brividi e la nausea, se proprio dovete, prendetevi una stanza per favore”
Austin. Prima o poi lo avrei ammazzato, anche a costo di dover passare il resto della mia vita in prigione.
E mentre io diventavo sempre più rossa per l’imbarazzo e la rabbia, Chris si limitò a scrollare le spalle e fare una risatina rassegnata.
Ci avrei pensato io a rispondergli per le rime, a schiaffeggiarlo o ad offenderlo pesantemente, lo avrei fatto sul serio se in quel momento non avessi sentito il signor Taylor prendere il microfono ed iniziare a parlare.
“Signori e signore, vi ringrazio tutti per essere qui stasera. Questo è un momento importante per me e la mia famiglia e vorrei quindi annunciare e festeggiare l’imminente matrimonio di uno dei miei figli con la figlia del signor Gray, e la futura unione delle nostre famiglie e dei nostri imperi economici! Vorrei perciò ringraziare chi sta rendendo possibile tutto ciò” le tende iniziarono ad aprirsi “i miei figli Chris e Austin, ma soprattutto Jessica e suo padre Mark Gray” concluse stringendo amichevolmente con un braccio l’uomo accanto lui. Ci davano le spalle, girati verso il pubblico intento ad applaudire, ma lo riconobbi subito. Dovevo aspettare di vederlo lì, pensai cercando di reprimere le lacrime.
“Ehi, ti va di ballare” richiamò la mia attenzione Chris, sfiorandomi leggermente la mano e distraendomi dai miei pensieri.
Annuì piano mentre lui mi guidava giù dal piccolo palco, gli ospiti tornavano a parlare tra loro e la musica ripartiva con una dolce melodia.
Mi strinse per i fianchi e mi attirò a sé. Appoggiai timidamente la fronte sul petto circondandogli il collo con le braccia. Iniziammo a muoverci all’inizio un po’ impacciati, poi, pian piano, con più naturalezza e scioltezza.
“Non ci pesare” mi sussurrò all’orecchio interrompendo il silenzio che si era creato “non ci pensare a tuo padre, pensa solo che questa festa è anche per te e che devi divertirti” lo sentì sorridere poggiandomi un leggero bacio tra i capelli.
Lo strinsi di riflesso di più a me e “grazie” risposi talmente piano da chiedermi se avesse sentito, ma probabilmente si, visto che anche lui mi attirò più a sé.
E fu in quel momento che per la prima volta dimenticai l’accordo, il tradimento di mio padre nei miei confronti, il fatto di sentirmi una semplice merce di scambio per il successo e la ricchezza, la mia libertà perduta, la mia felicità andata in pezzi, la possibilità svanita di avere un futuro da scegliere.
In quel momento riuscì solo a pensare al mio cuore che batteva impazzito, al suo profumo buonissimo, al suo corpo contro il mio e il suo respiro sul mio collo.
E fu in quel momento che mi sentii di nuovo felice.
 
“Jessica aspetta, ti prego” mi seguì la sua voce nel corridoi, mentre io cercavo una via di fuga.
Mi corse dietro e mi afferrò delicatamente il braccio, facendomi voltare.
“Non voglio parlare con te, non ti voglio neanche vedere” gli urlai contro “hai smesso di essere mio padre quando io ho smesso di essere tua figlia per diventare solo una pedina da muovere a tuo piacimento, quindi non mi seguire, non mi cercare, non mi parlare, hai perso la possibilità di interessarti e di far parte della mia vita il giorno in cui me ne sono andata e tu non hai fatto niente per fermarmi” gli sputai addosso tutto il mio rancore.
Lui mi guardò, e sospirò stanco. Sembrava invecchiato, con le rughe più pronunciate “io non ho mai smesso di considerarti mia figlia, io ti voglio ancora bene, e penso ancora a cosa sia meglio per te e lo so che ora come ora non lo capirai, e che mi odierai e…”
“Mai sentito il detto i soldi non fanno la felicità?” lo interruppi sorridendo tristemente “beh che tu ci creda o no, il meglio per me sarebbe stato aver avuto un padre che rimanesse presente dopo il divorzio con la moglie, perché non ha distrutto solo te la sua partenza, e avrei voluto che tu mi rimanessi accanto e che mi dicessi che andava tutto bene, non che smettessi di considerarmi importante, di volermi bene, che iniziassi ad ignorarmi e a trattarmi freddamente… e Dio solo sa quanto ho continuato a sperare che ritornassi da me, che fosse solo una settimana, un mese, un anno, un periodo che presto sarebbe passato, che tu avresti ricominciato ad interessarti, interessarti davvero a me, che mi avresti abbracciato per dimostrarmi il tuo amore e non per dovere, che ti interessassi davvero alle risposte alle domande che mi ponevi per circostanza, che non mi lasciassi da sola con la baby sitter, che venissi alle mie recite, che fossi felice per le mie pagelle. Sono stata così stupida, mi sono illusa così tanto…” non riuscii a reprimere un singhiozzo mentre mi sfogavo, e lui, con lo sguardo basso e le spalle incurvate, incassava tutte le mie parole senza riuscirmi a guardare negli occhi.
“Non ti voglio più vedere” conclusi liberando il polso che ancora stringeva debolmente, mi voltai giusto in tempo per nascondere le lacrime.
Me ne andai lasciandolo solo in mezzo al corridoio.
Fu solo quando girai l’angolo che mi accorsi che qualcuno aveva sentito tutto, che non eravamo soli come pensavo.
Appoggiato alla parete, le braccia incrociate al petto, Chris mi guardava silenzioso.
Mi avvicinai lentamente, asciugandomi le guance bagnate
“Non volevo origliare” si giustificò “ma … forse non è il caso che tu torni in sala, tanto la festa è praticamente finita e se ne stanno andando via tutti…”
Alzai lo sguardo riconoscente “grazie” sussurrai per poi sorpassarlo diretta in camera mia, ma dopo poco mi fermai in mezzo al corridoio, realizzando che io non avevo idea di dove ci trovassimo e di dove andare.
Mi girai incerta “non è che per caso…. Potresti, ecco… è da poco che sono qui e il mio senso dell’orientamento è pessimo… e…”
La sua risata cristallina riecheggiò fra le mura facendomi arrossire e abbassare il viso imbarazzata.
“Non ti preoccupare” richiamò la mia attenzione avvicinandosi e alzandomi delicatamente il mento in modo che i nostri occhi si incrociassero “vieni ti accompagno” concluse prendendomi la mano e facendomi perdere un battito.
Mi condusse per i vari corridoi, mentre io lo seguivo come un cagnolino adorante, ammirandolo da dietro.
Le sue spalle, il suo fisico…. Il suo lato b. MANICACA CHE NON ERO ALTRO.
Arrivammo davanti alla mia camera che neanche me ne accorsi, tanto ero presa ad osservarlo e a seguire il dialogo della mia coscienza e del mio buon senso con i miei ormoni da sedicenne in pieno sviluppo.
“Senti tranquilla, non andrò a dire a nessuno quello che per sbaglio ho ascoltato…. Ma se hai bisogno…”
All’improvviso la mia attenzione e i miei pensieri vennero di nuovo richiamati dai ricordi di quello che era successo meno di dieci minuti prima.
Il mio sguardo si incupì e sarei di nuovo scoppiata a piangere se lui non si fosse accorto del mio repentino cambio d’umore e non avesse ripreso a parlarmi, cercando di distrarmi.
“Ehi, ehi, scusa, non ci pensare ora…. Vuoi che resti un po’ con te?”
Annuii piano senza avere la forza di rispondere e aprii la porta della camera invitandolo ad entrare.
Lo vidi togliersi le scarpe e stendersi sul letto mentre io, dopo averlo avvisato che andavo a mettermi il pigiama, mi chiudevo in bagno.
Mi guardai allo specchio inorridendo. Dato che avevo pianto mi era colato tutto il trucco formando orribili segni neri sotto gli occhi ed avevo tutti i capelli arruffati. Sembravo un mostro.
Cercai di darmi un contegno struccandomi, sciogliendo e pettinandomi i capelli e lavandomi i denti.
Mi misi il pigiama e tornai di là.
Era steso sul letto da una piazza e mezza, appoggiato sul fianco e aveva già gli occhi chiusi.
Cercai di salire piano sul materasso e distendermi accanto a lui silenziosamente, ma fallii miseramente nel mio intento, dato che si svegliò, stropicciandosi gli occhi.
“Scusa, dovevo farti compagnia e invece mi ero già addormentato”
“Non importa” risposi appoggiando la testa sul cuscino. Eravamo vicinissimi, sentivo il suo fiato caldo sul viso e mi persi a guardare i suoi stupendi occhi verdi con sfumature dorate. Continuammo a fissarci intensamente per un tempo che mi parve infinito, poi all’improvviso si girò con il busto e spense la luce che mi ero dimenticata accesa.
Sul momento rimasi delusa che avesse interrotto il nostro contatto visivo così bruscamente, ma per poco non mi venne un infarto quando sentii le sue mani appoggiarsi sui miei fianchi e attirarmi verso di lui.
Poggiai le mani sul suo petto e incastrai il viso nell’incavo del suo collo.
Maledetti ormoni adolescenziali, mi stavano facendo letteralmente e completamente impazzire.
Nessuno dei due disse niente. Ci addormentammo così, abbracciati l’uno all’altro, lui che mi cercava di dare conforto e io sentendomi completamente al sicuro, come se le sue braccia fossero il mio rifugio, il suo profumo il mio ossigeno, e le sue leggere carezze la mia necessità.
Ed in quel momento, per la seconda volta quella notte, fui davvero felice, senza bisogno di fingere.
Ma quando la mattina dopo mi svegliai, mentre lui ancora dormiva, tutte le incertezze mi piovvero addosso.
La consapevolezza che ci conoscessimo da poco, che non gli interessassi davvero, che lo facesse solo per suo interesse personale, per ereditare la ricchezza del padre mi riempì di dubbi e ripensamenti.
Sollevai piano il suo braccio e, riuscendo a non svegliarlo mi alzai piano.
Mi vestii, prendendo le prime cose che trovai nell’armadio e, afferrando la borsa al volo, uscii sperando che se ne andasse prima che io tornassi.
Mi stavo comportando come una ragazzina in preda alla sua prima cotta perché qualcuno gli riserva un poco di attenzioni in più, e considerando il più che probabile motivo poco sincero per cui quel qualcuno lo stava facendo, non andava affatto bene. Proprio per niente.
Presi il telefono dalla borsa ed uscendo dalla villa cercai in rubrica il numero dell’unica persona che avrebbe davvero potuto darmi conforto ed aiutarmi in quel momento.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
“Ehi piccola, dimmi tutto” rispose allegra una voce dall’altra parte del telefono.
“Lou, ho bisogno di te, possiamo vederci?”
 
 

ANGOLO AUTRICE
Venerdì avevo detto, e venerdì è stato. *sisentepotentissima*
Allora, allora prima di tutto vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito, messo questa storia tra le preferite/seguite/ricordate, o anche chi ha solo letto, MA soprattutto volevo ringraziare chi ha accettato di seguire nuovamente questa storia, dopo che l’avevo interrotta e cancellata, e chi mi ha esortato a riprendere ed aggiornare: GRAZIE!!
Detto questo, spero che il capitolo non vi sia dispiaciuto troppo…. Come avete potuto notare è molto jessxChris, con spruzzi di un padre che cerca di parlarle, e una persona che spero sarete felici di fare la sua conoscenza nei prossimi capitoli…. O forse no MAAAA….. Mi sono persa nel mio discorso……. Ok, Austin qui è passato in secondo piano, NON TEMETE, tornerà:3
Coooomunque, siccome vi voglio tanto bene, vi lascio con le foto di come mi immagino i miei due amori :)
(Sperando si vedano, considerando quanto sono impedita con il computer)
 
 
 
CHRIS





AUSTIN





 
  
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