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Autore: britt4ever    05/09/2014    3 recensioni
South Carolina 1779
William Tavington è un Colonnello Inglese, temuto e odiato da tutti, non cerca l'amicizia, non cerca l'amore, non vuole costruirsi una famiglia.. I suoi occhi ghiaccio rappresentano la sua vita.. il Vuoto.
Ma un giorno il destino lo avvicina a Beatrix, una ragazza dal passato oscuro. Lei lo travolge con la sua allegria, la sua vivacità, la sua forza e gli fa desiderare proprio quelle cose che lui aveva evitato per tutta la sua vita.. Una tempesta in piena.
Lei farà crollare tutte le sue certezze e metterà in discussione la sua esistenza, solo una donna.. ma forse La Donna giusta per lui..
Riuscirà Beatrix a portare via le tenebre che avvolgono William?
-CONTENUTI TALVOLTA FORTI-
Genere: Erotico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Storico
Capitoli:
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capitolo 51
Capitolo LI
Nodi su Nodi




La camera degli interrogatori era una stanza con le pareti in pietra, poche finestre, pavimentazione maleodorante e sporca: Tavington si trovava lì.
Aveva lasciato Banastre sul campo a contenere l’invasione e fare una censita dei morti e feriti.
Lui, invece, aveva preso alcuni ribelli, che erano rimasti in vita, e stava procedendo alla loro interrogazione.
“Non credo di aver capito bene, soldato” disse, freddo, Tavington.
“Non vi dirò niente” urlò, l’altro.
“Altre dieci” ordinò il Colonnello, all’uomo barbuto che faceva da esecutore in quel momento.
L’uomo agitò in aria la frusta e la fece cadere pesante sulla schiena nuda del ribelle.
“Aah!” ruggì l’uomo, mentre sopportava l’ennesima frustata del giorno.
“In un modo o nell’altro, scoprirò cosa state tramando e troverò il vostro Fantasma” esclamò, atono, Tavington.
Un’altra frustata, la schiena si stava decorando con lunghe linee perfette rosse, sebbene fosse sotto tortura da ore, ancora non si accingeva a spifferare alcun dettaglio.
“Anche l’altra volta a Savannah lo avevate detto” lo sfidò, quasi in fin di vita “eppure, eccoci qua!”
Tavington rise, si avvicinò con passo felpato al ribelle “riguardo questo piccolo dettaglio, non farò lo stesso errore due volte” poi, afferrò la spada che si trovava sul tavolo.
Senza dire niente, afferrò la testa dell’uomo e poi gli staccò il capo.
Fu veloce, freddo, silenzioso, non volle accompagnare il suo atto da qualche giustificazione, non volle addolcire la pillola.
William durante l’inizio della guerra, aveva mostrato brutalità incommensurabili: sotto il Generale Wentworth aveva brillato. Il vecchio era debole, sebbene il Colonnello si fosse guadagnato la terribile nomea del macellaio, lui non lo aveva giudicato. Anzi, lo aveva aiutato a salire di gerarchia, già, perché William gliene aveva fatto vincere di battaglie!
Era venuto nelle colonie per dimenticarsi di Scarlett, lei era stata una profonda delusione, era stata la prima volta per lui di aprirsi con una donna, si era donato completamente e lei lo aveva tradito e non con una persona qualunque: Banastre.
William aveva scelto di seguire Wentworth proprio per evitare di avere rapporti con il suo ormai ex migliore amico, ogni volta che lo guardava in faccia, non poteva non ricordarsi quella scena: lui e Carly.
“Portatemene un altro” ordinò, cercando di far sparire dalla sua mente i ricordi passati.
Il Tenente Kent buttò per terra un uomo: era paffuto, sguardo chino. Provò ad alzarsi, ma barcollava, non era ferito, eppure non si reggeva in piedi, sembrava molto teso.
“Colonnello, io vi supplico…” lo pregò l’uomo, senza che l’altro avesse ancora dato inizio veramente alla tortura.
Ah ah ah” si beffò di lui Tavington “mi supplichi?” ripeté, prendendosi gioco dell’uomo.
“Sì, ho famiglia” proseguì, sperando di far breccia nell’animo del Colonnello.
“Non puoi neanche immaginare quante volte io abbia sentito questo” gli rispose, quasi scocciato “legatelo” ordinò ai suoi uomini.
Così, i militi fecero come avevano fatto per gli altri dieci uomini prima di lui: lo fecero alzare e, poi, lo adagiarono su un tavolo di legno.
“Sai, cos’è questo?” domandò, Tavington.
L’uomo sudava freddo, ma si lasciò porre ugualmente sopra quella fredda lastra, era molto terrorizzato “n-no” biascicò, in un misto tra paura e confusione.
I soldati tornarono ai loro posti, contro le pareti.
“Come, no?” replicò William, sardonico “è il mio giocattolo preferito” gli rivelò, pacato, mentre accarezzava dolcemente il legno.
Lo strumento di tortura era una tavola equipaggiata di corde che, una volta legate ai piedi e alle mani della persona predestinata, diventava una sorte di gioco elastico.
“Te lo spiegherò molto velocemente” il Colonnello si avvicinò all’uomo, il quale alzò lo sguardo verso di lui, sempre più angosciato.
“Vedi, io fra poco ordinerò di tirare quelle leve” rivelò, indicando le due grosse ruote poste agli antipodi del tavolo “le leve faranno tirare le corde che sono attaccate al tuo corpo e poi… splash!
Non c’era bisogno che spiegasse cosa sarebbe successo esattamente, era chiaro: le corde avrebbero fatto allungare il corpo dell’uomo fino a che non si fossero spaccate, lentamente: le ossa, i muscoli e ogni parte del suo corpo.
“Perché lo fate?” domandò, agitato, l’uomo, quando finalmente capì cosa avrebbe sopportato.
“Perché voi non mi date scelta” gli illustrò “non siete per niente collaborativi, dopotutto, io non vi chiedo molto” si rattristò, ironicamente.
“Io” balbettò “vi voglio aiutare, Colonnello, vi prego lasciatemi andare” dichiarò.
Tavington rise “avete visto?” si rivolse ai suoi compagni “non ho ancora incominciato l’interrogatorio e già mi prega: fantastico!”
Gli altri soldati risero insieme al loro gerarca.
“Non sto s-scherzando, Colonnello” continuò l’uomo “io sono un servitore di Sua Maestà” rincarò la dose.
Tavington lo guardò, canzonatore “lo vedo, oh, sì che lo vedo!” constatò, allargando le mani per evidenziare il fatto che, se l’uomo si trovava lì, un motivo c’era!
“Io non volevo, vi supplico” rimbeccò.
“Alle leve” ordinò Tavington, e così i suoi uomini iniziarono a poggiare le mani sulle grosse ruote.
“Vi prego!” urlò.
William ignorò le preghiere e le grida e fece cenno, con la mano, di girare le leve.
Il corpo dell’uomo iniziò a torcersi: i tendini tiravano, i muscoli dolevano.
Aahh!” latrò il ribelle “io lo sapevo… aaahh…” disse, in preda a lacrime e dolori lancinanti “lo sapevo, lo sapevo, Gabriel, che tu sia dannato!”
Tavington colse un nome che gli ricordava molto qualcosa, “fermatevi” ordinò e loro fecero come ordinato.
“Che cosa hai detto?” inquisì il Colonnello.
L’uomo era terrorizzato, aveva parlato troppo, senza volerlo “io” biascicò “niente”.
Tavington lo prese per il colletto della camicia, bastò alzarlo di pochi centimetri per farlo urlare nuovamente di dolore “ripeti quello che hai detto” scandì, lentamente, con tono minaccioso.
“Io mi stavo sfogando, Colonnello” si spiegò.
William prese lo stiletto, poggiato sul tavolo, e lo avvicinò alla gola dell’uomo “io posso rendere la tua morte veloce e indolore o lenta e agognante” gli riferì, atono.
Il ribelle mandò giù rumorosamente “lo so”.
“Quindi, sta a te la scelta” si rivolse ancora Tavington.
L’americano diede uno sguardo vitreo alla stanza delle torture, osservò gli aguzzini inglesi con le mani sempre sulle leve, da un momento all’altro tutto sarebbe incominciato daccapo.
“Io non volevo unirmi al loro gruppo” raccontò.
William lo liberò dalla sua stretta “bene” disse, mentre si sedeva sul tavolo accanto a lui “questo è un inizio”.

Era notte.
William era stanco, aveva interrogato diversi ribelli, la maggior parte erano stati fallimentari, aveva solo perso tempo.
Qualcuno li aveva addestrati bene e non poteva essere un semplice contadino, come aveva previsto all’inizio. Non conosceva ancora il nome del fantomatico Fantasma, eppure, aveva acquisito informazioni molto interessanti.
Si trovava nella piazza principale, vagliò la struttura: la cancellata era abbattuta, sul suolo c’erano cadaveri senza nome, sangue ovunque, la pace, che aveva regnato il giorno precedente, era stata spazzata via dall’assedio subito quell’oggi.
“Banastre” lo chiamò, William.
Il Colonnello dai capelli rossi stava smistando gli uomini per la notte, si girò verso Tavington “dimmi” rispose, distrattamente, mentre continuava a lavorare.
“Devo parlarti” asserì.
“Adesso?” domandò l’uomo.
William annuì, mentre si avvicinava a lui “che fai?”
“Voglio che ripariate la cinta” riferì al suo secondo “e voglio che mandi una ventina di uomini al di fuori della cintura” imperò.
L’altro fece un cenno di capo “ai comandi, Colonnello” e poi sparì.
“Sto sistemando quello che si può sistemare” rispose al collega, sbuffando “ho fatto una cazzata, William” continuò, girandosi verso il suo amico.
Tavington fece una smorfia di assenso neutra, non era ravvisabile alcun sentimento in lui “già ma, ormai, non possiamo cambiare le cose” alzò le spalle.
“Io ancora non mi capacito di quello che è successo” si sfogò “e, dov’è Cornwallis, perché non ha dato ordini?”
William rise, amaramente “mio caro amico” gli diede una spacca sulle spalle “siamo soli”.
Banastre lo guardò con un cipiglio incredulo “che vuoi dire?”
Tavington gli tese una busta “leggi” ordinò.
L’altro si appoggiò alla colonna, e fece come detto, lesse velocemente la missiva che conteneva all’interno.
William, intanto, si massaggiò i muscoli del collo dolenti, si sentiva uno schifo: aveva bisogno di riposare il corpo, la mente, aveva un odore acre addosso.
Vide una lucciola e cercò di catturarla tra le sue mani, era piccola e luminosa, e risplendeva nella penombra.
Oh, Beatrice, dove sei?, pensò.
La ragazza le mancava, lui aveva cercato di non pensarci troppo quella giornata, altrimenti non avrebbe risolto niente, eppure, lei era un pensiero costante. Avrebbe voluto stringerla tra le sue braccia, inspirare il suo dolce odore e poi addormentarsi con la sua piccola strega.
“Che cosa vuol dire ho nominato O’Hara come mio successore?” gli fece l’eco Ban.
William lasciò stare la lucciola, ritornando dal suo compagno “vuol dire che, la nostra faida è servita a ben poco, amico” si sporse “non è servito a niente che ci siamo fatti guerra per risplendere a suoi occhi” fece una smorfia “lui aveva già scelto” concluse.
Tarleton stracciò il foglio, che reggeva tra le mani “vuol dire che ho leccato il culo al vecchio perché poi lui lasciasse le redini a O’Hara?” sbraitò, furioso.
William gli fece segno di calmarsi “non c’è bisogno di usare parole tante colorite, mio caro collega, a quanto pare i nostri sforzi in guerra sono stati vani, non ha scelto nessuno dei due” affermò, alzando le spalle.
Ban scosse la testa “io sono senza parole, sono…” temporeggiò “indignato!”
William annuì “già, non fa piacere ma, almeno io, non ho rinunciato alla mia dignità per arruffianarmi il vecchio” lo derise l’uomo.
Tarleton rise, ma senza ironia “ah, ah, divertente, William. Tu di certo sai come consolare una persona” ammise, alla fine.
I due si avvicinarono all’ingresso del Forte “comunque sia, Cornwallis non è stato magnanimo nei nostri confronti” proseguì “ma, non sono questi i veri problemi, adesso” lo avvisò, pacato.
“Lo so, il problema è stare alle direttive di quell’irlandese” fece una smorfia, Tarleton.
Tavington sbuffò “Ban, finiscila” lo redarguì “non so, se hai notato che abbiamo il Forte sottosopra”.
“Sì, sì” disse l’altro, come un bambino sgridato da un adulto “è solo che mi dà fastidio!”
William lo prese per le spalle e lo scosse con vigore “ritorna in te! Non sei nel tuo mondo fantasioso, come ieri notte” gli lanciò una frecciatina amara.
Il ragazzo ripensò alla sera precedente “già…” pian piano ricordò ogni dettaglio, allora si immobilizzò “Wellsie!” affermò, digrignando i denti.
“Che c’entra mia sorella, adesso?” domandò Tavington.
Banastre sorrise, con un leggero imbarazzo “ehm… è un po’ complessa la cosa, Will” gli confidò.
William mosse lievemente i muscoli del collo tesi, mentre il puzzle si stava completando poco a poco. Staccò le mani dal compagno e lo guardò, glaciale “io” disse “ti ammazzo!”
“Williaaaaaaaam” si sentì in lontananza, entrambi gli uomini si voltarono verso il Capitano Bordon e Wellsie.
La fanciulla lasciò le mani del Capitano e poi corse verso suo fratello, William non respinse l’affettuosità, ricambiò l’abbraccio, tenendola contro di sé.
“Oh, William!” disse lei, piangendo a dirotto “quanto mi sei mancato!”
“Dove sei stata?” chiese, un po’ burbero.
Lei si staccò dal suo corpo, guardandolo con gli occhi bassi dalla vergogna “io…” biascicò “sono stata via!”
“Sei stata via?” ripeté lui “dove?”
Wellsie aggrovigliò le mani, in ansia, allora Tavington sbottò “mi spiegate cosa avete oggi tutti quanti?” domandò, senza specificare la platea cui si rivolgeva.
“Posso spiegarti tutto, William” si offrì Tarleton.
“Tu sta’ zitto” lo interruppe il Colonnello “mi dovete dare spiegazioni, ma non ora”.
William si massaggiò le tempie, la testa stava scoppiando, ironico il fatto che fosse così tranquillo in battaglia, sebbene lì ci fosse davvero una guerra; mentre gli intrighi che lo circondavano, lo rendevano teso come una corda di violino.
“Basta” concluse alla fine “sono stanco di tutti voi, andate a dormire” li congedò.
Lasciò il gruppo e fece per entrare nella struttura ma, appena prima di aprire il grande portone, si rivolse alla compagine di nuovo “dormite bene, perché domani, tutti voi” li indicò, minaccioso “mi renderete conto di un bel po’ di cosette” e, così dicendo, se ne andò.
Non si preoccupò di salutare nessuno, girò la maniglia e se ne andò nel suo appartamento.
Era stufo di tutto e di tutti, sapeva che c’erano diverse cose da sistemare e lui, di certo, non si sarebbe tirato indietro. Ma, in quel momento, non aveva voglia di pensare a niente: né Tarleton, né Wellsie, né Cornwallis e nemmeno quella dannata guerra!
Entrò nella loro stanza, quella che avevano condiviso quei pochi giorni a Beaufort.
Inutile dirlo, che l’unica persona che realmente mancava a William fosse la sua Beatrice.
Si sciolse il nodo alla cravatta e si tolse la giubba rossa.
Andò verso lo scrittoio, sul quale c’era un bicchiere vuoto e, lì vicino, dello Scotch. Ne versò copiosamente, voleva addormentarsi subito e, l’alcol, faceva al caso suo.
La stanza era rimasta così come l’aveva lasciata: per terra c’era la vestaglia che la Contessa Cornwallis aveva donato alla fanciulla.
William raccolse l’indumento e mandò giù un po’ di Scotch.
Dio, pensò, ha il suo odore!
Il Colonnello aveva chiesto a Liza di portare via la ragazza, lui era a conoscenza che la Contessa fosse già stata a Beaufort prima, l’avrebbe tratta in salvo.
L’indomani le avrebbe recuperate e avrebbe sistemato anche le altre cose lasciate in sospeso.
Ingollò un altro bicchiere di Scotch e poi si distese sul letto, chiuse gli occhi, facendo finta di non essere solo.

***

“Liza” chiamò la ragazza.
“Dimmi” rispose l’altra.
“Non stai dormendo?” chiese, cercando di tirare le catene che la legavano al muro, per avvicinarsi alla donna.
La Contessa rise “non credo di essere sonnambula” rimbeccò, a bassa voce “quindi, credo che, sì, sono sveglia, tesoro”.
Le donne sentirono l’americano ronfare rumorosamente, dall’altra parte della stanza.
Le aveva dato da mangiare e poi si era coricato a letto, dopo aver illustrato il piano che aveva riservato alle due sventurate.
“Secondo te, ci sente?” domandò alla donna, tentando di continuare a parlare a bassa voce.
“Non credo” rispose la Contessa “ha il sonno pesante” constatò, infine.
Loro dormivano su un giaciglio improvvisato per terra: un po’ di paglia e le aveva sistemate. Ovviamente, non si era dimenticato di legarle al muro con una specie di catena, sembrava più uno strumento per cani, ma sicuramente efficace. Beatrix aveva già provato a tirare, graffiare, mordere, ma invano.
E poi, anche se fosse riuscita a liberarsi, c’era Rusky, il cane a fare da guardia.
Bea era una ragazza spregiudicata, amava il pericolo, non aveva paura di sperimentare qualcosa di nuovo ma, di una cosa, aveva il terrore: i cani. Non sapeva spiegarne il motivo, ma aveva quella fobia, quindi, vedeva molto lontana la sua scarcerazione.
Liza, invece, era stata tranquilla, non aveva fatto nessuna scenata da baronetta, era stata al suo gioco e aveva fatto tutto quello che l’americano aveva detto.
“Non dormi?” chiese la fanciulla.
Liza si girò verso di lei e, contando sulla luce pallida della luna che penetrava dalla finestra, osservò la giovane “non riusciremo a evadere” le confidò, un po’ affranta.
Beatrix si avvicinò alla Contessa e poi prese le mani tra le sue “abbi fede, Liza” la rincuorò “sono sicura che William verrà a prenderci!” le rivelò, serena.
La donna sospirò, pesantemente “sono felice che tu non ti stia deprimendo, piccola Beatrice, ma io sto perdendo le speranze” scosse la testa.
“Non devi” alzò il tono, la ragazza “lui si accorgerà della nostra assenza e verrà a prenderci” affermò, baldanzosa.
Liza accarezzò le sue mani “devo dirti una cosa, Beatrice”.
La ragazza le sorrise, in attesa di sentire la novella “dimmi” la esortò.
“Io ti ho mentito stamattina” le rivelò.
“In che senso?” domandò la fanciulla, sbigottita.
“William mi ha chiesto un favore ieri, mentre eri nel letto non cosciente” spiegò.
Quale favore, Liza?” indagò la ragazza.
La donna aveva una cadenza inglese melodica, purtroppo, aveva un modo di parlare che, a volte, faceva innervosire Beatrix. Ogni cosa che faceva, la faceva con un atteggiamento laissez-faire, era come se le cose bisognasse estrapolarle con le tenaglie: snocciolava un discorso molto lentamente.
Beatrix, invece, era abituata a essere un torrente in piena, quando aveva qualcosa da dire, non si preoccupava di dire la cosa giusta, non si apprestava a decorare con belle parole: diceva quello che voleva dire, punto.
“Lui voleva solo proteggerti, angelo” disse la donna.
Un altro dettaglio, era esasperante “scusami, Liza, non sto capendo niente. Prima di tutto” si rivolse “perché non me l’hai detto prima? In che senso, mi hai mentito? In positivo? In negativo? William sa dove siamo?”
La Contessa fu sopraffatta dalle domande pungenti e continue della giovane “comprendo che tu abbia tanti quesiti da pormi ma, ti assicuro, che io e il Colonnello abbiamo agito in buona fede” tossì “mi ha chiesto di portarti sull’altura, per tenerti lontana dall’assedio del Forte” le raccontò.
“Quindi, lui sapeva del loro attacco?” chiese.
Liza scosse la testa, un po’ dubbiosa “non penso, lui mi accennava al fatto che doveva sistemare una cosa importante con Tarleton e voleva che tu non fossi con lui” rivelò.
Beatrix si alzò sulla schiena “in che senso, non mi voleva tra i piedi?” domandò “perché? Io non posso, e non voglio, stare lontano da lui, Liza. Perché, non ha voluto che rimassi al suo fianco?” la diga emozionale si ruppe.
La Contessa si alzò, e la abbracciò, carezzando i suoi capelli dolcemente “credimi, tutto quello che ha fatto, lo ha fatto solo per il tuo bene. William è convinto che ci sia una spia nel Forte” confessò “per quanto mi possa ricordare, rammento che lui credeva che la spia fosse…”
“Banastre” concluse, svicia, la ragazza.
“Già, non voleva semplicemente che tu fossi al centro della loro faida” proseguì il racconto, la Contessa “voleva sistemare quelle cose delicate e aveva paura che Tarleton reagisse male, ferendo te” ammise.
Beatrix aveva il capo contro il petto della donna, l’abbracciava forte. Aveva ascoltato la sua rivelazione ed era rimasta colpita, William non l’aveva avvisata sulle sue intenzioni ma, prima di tutto il resto, aveva pensato a lei.
Beatrix sorrise al suo pensiero “mi ama” disse.
“Certo che ti ama, tesoro” controbatté la donna.
“Quando ci viene a prendere?” domandò, curiosa, Bea.
Intanto, si era staccata dalla Contessa ed erano così tornate sdraiate sul giaciglio.
“Se i piani non sono cambiati, domani mattina verrà a prenderci, tesoro” la rassicurò.
Bea si coprì con la coperta, che l’uomo le aveva concesso “sapeva che avremmo passato la notte da sole?”
Liza annuì “sì, qui vicino conoscevo un bel posto per riposare, ma…” indicò la stanza nella quale si trovavano “ma i piani sono cambiati, a quanto pare”.
Tonf!
Una scarpa, per poco, non colpì Beatrix.
“State zitte!” grugnì il cavernicolo, con la voce impastata.
La ragazza sbuffò “lo odio, non vedo l’ora che sia domani!” disse all’altra, a voce bassa.
“Anch’io” rispose la donna, chiudendo gli occhi “buonanotte, Beatrice”.
“Buonanotte, Liza” disse la donna.
Beatrix guardò la luna e pensò al suo William, poche ore li dividevano e poi sarebbero stati di nuovo insieme.


N/A
A distanza di, quasi anno, torno a pubblicare un nuovo capitolo, lo so, mi starete odiando in questo momento, finalmente sono riuscita a prendermi un po' di tempo per dare giustizia a questa storia. Spero che, la lunga attesa non vi abbia fatto amare meno Beatrix e William :P
Mi rendo conto che dopo tutto questo tempo, non potevo tornare con un capitolo che svelasse 'tutti' i misteri che avvolgono Ice Storm, questo cap l'ho immaginato come transitorio, vi annuncio che un personaggio -molto chiacchierato- tornerà e metterà in crisi l'amore di Will e Bea! ^^
P.s. quest'ultimo mese ho revisionato ciascun capitolo, mi sono accorta di alcune cosette che mi sono piaciute poco e ho cercato di sistemarla, un po' per volta ripubblicherò i capitoli 'sistemati'.

Vi mando un bacio grosso,
Giulia :)
   
 
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