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Autore: RaggioDiLuna    25/09/2008    3 recensioni
AGGIORNATA.
come spesso mi succede in questo periodo, questo è un vero esperimento.
è un'originale con spunto autobiografico, per questo il primo capitolo "prepara il terreno" partendo dalla decsrizione di qualcosa di vissuto, ma dal secondo in poi, l'autrice di tutto quello che potrete leggere sarà un'amica molto cara: la mia fantasia.
il mio nick è spesso collegato a Dramione,e nel personaggio di questa storia c'è anche un po' di Draco Malfoy...almeno di quello che leggiamo nelle fan-fiction...
TRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
1)La mia famiglia non è mai stata troppo legata ai parenti, li vediamo pochissimo. Per questo l'ultima volta che ho visto mio cugino era tre anni fa. Era estate ed ero con i miei genitori, ero andata a trovare i miei nonni, che abitano lontano. E poi, a rompere la noia di un pomeriggio interminabile, eterno, afoso, era arrivata la telefonata. La telefonata che diceva "venite a trovarci?" Aveva risposto mia nonna, dicendo che c'eravamo anche noi. Beh, meglio, così facciamo incontrare anche Stefania e Gianluca, sono anni che non si vedono. E così eravamo partiti tutti insieme, io schiacciata sul sedile di dietro con la prospettiva non troppo rosea di incontrare mio cugino. Troppo diversi, io e lui. Io, troppo orgogliosa per chiedere un favore qualsiasi anche ai miei genitori. Lui, così sfacciato da telefonare a sua nonna per farsi portare dei soldi e poi dire che non erano abbastanza.
2)Sentii il suo sguardo su tutto il corpo e quando mi girai lo trovai un po' troppo fisso sulla scollatura della canotta.
ABBIATE PIETA' DI UN'AUTRICE FOLLE...
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2-crescere ciao!!
a tutti quelli che avranno sicuramente pensato che questa storia fosse stata sospesa, dico: non è abbandonata e non credo di abbandonarla, ma sarà aggiornata con mooooooooooolta lentezza, perchè la sto riscrivendo da capo.
ho dovuto istallare un nuovo sistema operativo e il file di CRESCERE è andato perso nel backup...
così piano piano la riscriverò...
se qualcuno segue le altre mie storie sa già che sono super-incasinata in questo periodo, quindi vi lascio al secondo capitolo solo con un GRAZIE!
ps: la descrizione del primo personaggio è arrivata
ps2: stefania e la cugina di Gianluca sono la stessa persona, di conseguenza G. ci ha provato con la cugina, sì.

queste due precisazioni erano per rispondere al volo a delle recensioni, scusatemi!
il primo capitolo, come già scritto, era totalmente autobiografico, mio cugino ci ha davvero provato con me, ho davvero un piccolo spaniel scodinzolante, e gran parte della Stefania di questo capitolo sono io.
dai prossimi capitoli, invece, sarà pura invenzione.....

CAPITOLO 2:
Fantastico! Avevo lasciato un bambino e avevo ritrovato sotto gli occhi un ragazzo arrabbiato. Con sé, col mondo.
O forse, pensai, ero io ad essere diversa dai miei coetanei. Io che a mandare a quel paese il primo che incontro per sentirmi grande proprio non ci riuscivo.
Io che ero sempre stata la ragazza fine, quella che andava bene a scuola perché il pomeriggio stava a casa a studiare, quella che la domenica, anche con voglia zero, seguiva i genitori in montagna, nel paesino sperduto che odiava, solo per farli contenti.
Io, quella che a volte guardavano storto quando dicevo di no ad una sigaretta.
Io, quella che a diciotto non si era mai ubriacata né aveva alcuna intenzione di farlo.
Non perché pensavo che fosse qualcosa di così assolutamente da depravati, come continuava a ripetere mia nonna, semplicemente perché l’idea di non poter controllare gambe, braccia, ma soprattutto pensieri, mi aveva sempre fatto paura.
Io volevo essere padrona, non dico della situazione, quella poteva anche andare dove le pareva, possibilmente al mare, o comunque in un posto privo di zanzare, ma perlomeno di me stessa sì.
Sì, forse quella diversa ero io.
Eppure non riuscivo a non pensare al suo tono aggressivo, al suo sguardo che restava basso.
Io se sono arrabbiata, se sono convinta di ciò che dico, ti guardo in faccia.
Non ti urlo dietro, quello no, ma riesco comunque ad averla vinta, il più delle volte.
E non guardo altrove.
Perché dico ciò che penso, perché quello che dico lo credo davvero.
Perché non devo sostenere sguardi, ma solo convinzioni.
Quando invece indossi la maschera del ragazzo forte, quello che odia tutte le persone a cui in realtà è sempre stato legato...beh, allora forse guardi a terra per controllare che non cadano frammenti preziosi della tua copertura.
E non riesco neppure a credere che qualcuno riesca a sentirsi cresciuto solo perché spara un paio di grosse cazzate sui propri famigliari.
Io sono cresciuta, so che forma vorrei far prendere alla mia vita, conosco la facoltà a cui vorrei iscrivermi anche se ho finito la quarta liceo e mi aspetta l’anno finale.
Io sono cresciuta perché anche se la gente intorno a me mi guarda come se fossi un’extraterrestre, continuo ad indossare le mie antennine verdi, perché mi hanno sempre detto che si intona al colore dei miei capelli, e non rinnego la patente per astronavi.
Esatto, vengo dal pianeta dove non tutti i ragazzi devono essere i “giovani-d’oggi-la-nostra-generazione-non-era-così” e, udite udite, anche se sembrerà assurdo, vado in giro a testa alta anche senza mai aver fumato qualcosa di nascosto.
Non mi serve niente di questo per capire chi sono e quanti anni ho.
Per quello tengo sempre con me la carta d’identità. Dicono che sia meno nociva alla salute, anche se poi ogni volta il mio sorriso dalla fototessera mi toglie quattro anni di vita, dando un duro colpo alla mia autostima.

Il mio lungo monologo interiore venne interrotto da un movimento, al mio fianco.
Gianluca prese e se ne andò. Senza una parola.
Beh, la parola ce l’avevo io, ma il tono ironico era compreso nel prezzo, prendere o lasciare.
E così lanciai un –ciao- che credo interpetò, giustamente, come “ciao, non è che potresti degnarti di salutare?”.
Allora quel bambino cresciuto, quel ragazzo che si atteggiava a modello, quel cugino che non riconoscevo, si voltò.
-vado dai miei amici-
Anche mio nonno lo salutò. E lui se ne andò, mani in tasca e passo un po’ cadenzato, molto studiato, magari davanti allo specchio in camera di mamma.
Se ne andò da quegli amici che aveva ignorato fino a quando non aveva dovuto dimostrare alla cugina più grande che lui era lì col branco, ops, volevo dire gruppo.
E non si rese conto, forse me ne accorsi in ritardo pure io, che quella sua maschera era così trasparente che mi faceva solo venire voglia di abbracciarlo, così magari si sarebbe sciolta un po’.
E mentre formulavo quel pensiero mi diedi mentalmente della cretina.
Che razza di pensieri andavo a fare?
Riportai l’attenzione sulla corsa in bicicletta ma mi accorsi che mio nonno guardava da un’altra parte.
Seguii i suoi occhi e riconobbi la polo firmata e i capelli scuri di mio cugino, dall’altra parte della strada.
Se ne stava appoggiato ad una transenna. Pochi metri più indietro stavano arrivando tre ragazze.
Chissà se tra loro c’era anche quella che stava con lui.
No, non credo: gli altri due scherzavano, ridevano con loro. Lui se ne stava di spalle, sempre appoggiato alla transenna con le braccia piegate.
Qualche volta gettava un’occhiata al mio cane.
Scemo. Ma che ti costava accarezzarlo?
Va beh, non sono problemi miei.

La serata finì in fretta. Era ora di tornare a casa. Finalmente.
Ma le mie furono speranze vane.
Mia nonna sa essere sadica e non perde occasione di esserlo.
-Stefania, ti fermi qui a dormire?-
Oh, no, no, no...
-Volentieri, ma il cane?-
-sta con noi, cani li abbiamo sempre avuti-
Ah, ah, ah...ma che bello.
-oh, poi ho le lenti a contatto-
Ma mia mamma ha un lucido sprazzo di memoria, tanto raro quanto inopportuno.
-ma sono quelle giornaliere, le devi comunque buttare-
Aiuto.
-ma per domani? Non posso stare senza occhiali-
Mia nonna è sadica, l’ho già detto?
-domani le andiamo a comprare-
-ah-  esaurii le motivazione diverse dal “no, non voglio rimanere in questo buco di gente snob.”
Il brutto è che se ne accorsero tutti.
-il letto è già pronto-
Wow...ma come puoi dire di no a quei visi sorridenti?
Io e il cane, che continuava imperterrito a far danzare la sua coda di Spaniel, imboccammo le scale e ci chiudemmo in camera.
L’unica cosa che amo di quella stanza è il grande specchio a muro. In quel momento rifletteva la figura di una ragazza piuttosto bassa ma snella, capelli lunghi e assolutamente lisci senza bisogno di piastra o shampoo miracolosi, castani, di un colore reso ancora più caldo dai colpi di sole dorati.
Castani come gli occhi.  Un naso, preso tutto dal padre, leggermente grande, un po’ troppo, ma le labbra piuttosto belle e piene.
Non avevo notato le mie labbra fino al giorno in cui un mio compagno di classe, facendomi un ritratto, non l’aveva fatto vedere al mio compagno di banco.
Quello gli aveva fatto notare alcune cose, ma di tutta la risposta mi era rimasta in mente una frase sulla forma della mia bocca.
E così all’intervallo mi ero specchiata in bagno.
Caspita. Non l’avevo notato.
Sorrisii a quel ricordo di qualche anno prima. Da allora le mie labbra mi piacevano.
Mi sfilai il lungo gonnellone marrone scoprendo le gambe, abbastanza lunghe, secondo mio esclusivo parere un po’ troppo grandi in zona cosce. Su quelle nessuno aveva mai fatto ritratti o commenti.
Contavo sullo specchio.
Via anche la canotta viola acceso, con spalline sottili e scollatura più profonda del solito.
E fu allora che ripensai a Gianluca.
Ormai sarà stato a casa.
Mi tolsi le lenti a contatto ritrovando il mio spazzolino da denti nell’armadietto e il mio sapone preferito in un flacone nuovo di zecca. Ok, la città era una città di vecchi orafi con la puzza sotto il naso, ma forse due o tre giorni in quella casa, riverita e coccolata, in totale relax, lontana dalle liti furiose dei miei genitori... buon viso a cattivo gioco. Si, potevo farcela e godermela. L’unica cosa che mi mancava era il mio portatile, l’accesso a internet, la finestra lampeggiante di Messenger, ma soprattutto una bianca pagina di word che attendeva solo di essere riempita.
Beh, avrei scritto su carta.
Colta da un’illuminazione frugai nella mia borsa e ci trovai un libro appena iniziato.
Felice come una Pasqua mi gettai a letto e accesi la lampada da comodino.
Aveva una luce un po’ pallida e giallognola.
Poco efficace ma molto soft. Faceva molto atmosfera.
La spensi quasi un’ora dopo e mi addormentai tra quelle lenzuola che sapevano di una casa diversa.
In quel momento non mi accorsi, però, che il mio cellulare lampeggiava ad indicare un nuovo messaggio.
Numero sconosciuto.
  
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