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Autore: Ammimajus    07/09/2014    3 recensioni
Louisa crede che ogni cosa abbia il suo posto: si definisce una nemica accanita della mobilità; quello che pensa è che la necessità di lavorare e ordinare meticolosamente le sia stata iniettata alla nascita - da un medico sadico e puntiglioso, probabilmente. Non si aspetterebbe mai che la vita abbia ordito la più ironica delle torture contro di lei.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Gender Bender
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Alle maggiorenni di questo mese: 
la maggior parte di loro ha segnato la mia vita. 
3
 
“[…] e il mio umore è così depresso, che questa vaga struttura,
la terra, mi sembra uno sterile promontorio.”
- William Shakespeare, Amleto.
 
“Tuo padre non torna a casa da tre giorni, Zayn, cosa pretendi che faccia?”
Trisha ha gli occhi gonfi, due scie livide che le solcano le guance e una maglia troppo stretta che le fascia succintamente il seno. Ha tentato di nascondere il proprio disagio annegando i dolori tra i denti di un pettine, e ha spazzolato i capelli così tante volte che adesso paiono lustrati da un parrucchiere. Impilati sul tavolo, quattro quotidiani – portati dal ragazzo dei fiori – giacciono inerti e vuoti, infausti ambasciatori di notizie sgradite.
Zayn sta lisciandosi le labbra con la punta della lingua, un gesto usuale, da parte sua, ogni qualvolta l’ansia gli preme insistentemente sul diaframma e gli mozza il fiato. “Che provi a comportarti da madre, forse?” dice a Trisha, tentando di provocarla pur di ottenere una reazione quantomeno sensata.
Ma quella continua imperterrita ad infagottare le carabattole del marito in grossi sacchi di plastica – Zayn si sofferma a pensare che quei sacchetti servono per la nettezza, che quello sia un segno, che la sua famiglia, putrida com’è, sia destinata ad un lercio bidone di periferia. In un ultimo gesto furioso, Trisha raccoglie tutto e scaraventa ogni traccia del marito accanto al secchio sporco della spazzatura, premurandosi che il messaggio arrivi chiaro e inequivocabile al diretto interessato.
Quella notte, mentre tutti dormono e Yaser non ha ancora bussato alla porta, Zayn si alza dalla propria brandina in punta di piedi, una copia delle Metamorfosi di Ovidio sottobraccio – con la copertina logora e ciondolante, presa in prestito dalla biblioteca pubblica – e si dirige sul ciglio della strada, asfissiato da un cuore in avaria che odora di olio esausto e putridume. Si siede a leggere delle rocambolesche avventure di Teseo, del compagno Ercole e dei Centauri nemici e si trova a sperare in una trasformazione, preferibilmente alla stregua di Gregor Samsa[1], che tenga lontano il mondo intero e lo conduca a morte certa. I suoi polmoni boccheggiano reclamando un poco di nicotina, ma Zayn ha finito i propri risparmi e non intende chiedere uno spicciolo ai genitori, sicuro che prima o poi la sensazione bruciante – quasi snervante – del bisogno disperato di una sigaretta lascerà anche lei un posto vuoto nel suo corpo. Maledice suo padre da ben tre giorni, quando quello si è allontanato da casa all’insaputa di tutti, scolandosi gli ultimi duecento dollari del fondo familiare in qualche bar malconcio e sufficientemente lontano dalla città. Poi pensa alle possibilità rimastegli, le conta sulle dita della mano e alza solamente il pollice. Uno: rimpiazzare suo padre. A lui, d’altro canto, le scelte non sono permesse; per di più, i destini alla Gregor Samsa sono pressoché utopistici e di uomini che si trasformano in scarafaggi non se n’è mai letto in nessun quotidiano.
Quella sera, Zayn si addormenta sul marciapiede come un mendicante qualsiasi, il libro ancora sottobraccio, la notte che, come una ragnatela, attrae incubi tra i propri fili d’argento.
 
***
 
Pacifica è puntualmente bagnata dal sole e la camicetta di Louisa è troppo stretta sul collo perché lei si goda una banalissima bella giornata. Liam Payne, accanto a lei, blatera lamentele insensate mentre mangia un hamburger di coniglio con la voracità di un animale. L’argomento di discussione, negli ultimi tre giorni, è stato solo ed esclusivamente Zayn Malik. “Perché ha preferito il ragazzo dei fiori a me?”, “Pensi che dovrei provare a chiarire?”, “Cos’avrò fatto di male per meritarmi un simile trattamento?”. Proprio da tre giorni a questa parte, Louisa ha scoperto – non senza alcuno stupore – che al mondo esistono esseri umani capaci di snocciolare parole su parole nell’arco di pochi secondi, facoltà che finora aveva riconosciuto solamente ad Eminem (e a lei Eminem non piace affatto). Invece, suo malgrado, Liam potrebbe battere qualsiasi record mondiale se solo si sottoponesse all’esame di giudici esperti, anziché rigurgitare le proprie preoccupazioni al tavolo della mensa. Sembra che intrecci pensieri uno dopo l’altro, fittamente, e che questi gli affollino la mente come una ressa rumorosa, frantumandosi sulla sua lingua in rivoli d’ansietà.
Attorno a lui ci sono la storica fidanzata, Danielle, che continua a rimirare l’opera suprema compiuta da un’estetista sulle sue unghie, un Niall divertito che si spancia puntualmente dalle risate, e Ed, amico d’infanzia di Niall, chioma rossa e ossessione per la birra, che di tanto in tanto rotea gli occhi pregando che il supplizio giunga al termine. Louisa non può che condividere la sua reazione. Tuttavia, nessuno ha il coraggio di fermare Liam, forse perché lui è il solo che ammetta quanto Zayn Malik stia diventando preoccupante. A questo proposito, Louisa supplica da giorni il professor Lloyd perché le faccia accumulare crediti in altro modo, ma quello continua a ribadire che “Zayn è la chiave” – testuali parole – e oramai scaccia la ragazza dall’aula ogni volta che questa tenta di avvicinarlo.
Danielle, appollaiatasi improvvisamente sul braccio di Liam, esordisce: “Beh, almeno risponde con più gentilezza ai tuoi messaggi e alle tue chiamate” all’orecchio di lui, premurandosi che tutti la sentano.
Niall manda giù un boccone in fretta e replica prontamente, come solo chi presta servizio alla verità sa fare: “Ad essere sinceri, per quanto risponda, ci impedisce comunque di aiutarlo. Non credo che questo sia un bene.”
Ed, al contrario di Niall, non si preoccupa di farsi capire dal resto del gruppo e a bocca piena borbotta qualcosa a proposito di quanto sia essenziale entrare in contatto con il ragazzo dei fiori. Ad ogni modo, l’orgoglio ferito di Liam vieta a chiunque di ammettere che Ed abbia ragione, e che il ragazzo dei fiori possa essere l’unica – l’ultima – opzione rimasta, data la palese ritrosia di Zayn.
“Io non ho intenzione di farmi infarcire il cervello con le baggianate di quel tipo” commenta Niall, d’un tratto rigido e inflessibile.
Ed gli assesta una gomitata in pieno petto a cui l’amico risponde con un’imprecazione, poi aggiunge: “Nialler, il tuo cervello è già infarcito di baggianate.” In una manciata di istanti, ripulisce il vassoio di ogni briciola rimasta e sistema gli auricolari nelle orecchie, facendo partire il suo iPod – e Louisa è pronta a giurare che stia ascoltando per l’ennesima volta una canzone di Damien Rice. Poco prima di rintanarsi nel suo mondo, aggiunge: “Fate un po’ come volete, ma poi non dite che non vi avevo avvertiti”.
Danielle sta ancora molestando il braccio inerme di Liam – accarezzandolo, picchiettandolo, riservandogli pizzicotti leggeri -, quando si dice d’accordo con Ed; tuttavia, a differenza di quest’ultimo, mostra una grazia e un’accortezza degna di pochi e, meglio di lui, muove le coscienze di un gruppo intero. Quando annuncia la propria opinione sorride appena, dolcemente, e Louisa se la immagina con un peplo addosso, ferma immobile al centro di un’agorà ad interpretare il ruolo di Afrodite, venerata da tutti. In segreto, nascosto in un angolo lontano del suo cuore, Louisa serba per lei un pizzico d’invidia, addolcito da un’incommensurabile ammirazione: Danielle non studia quanto lei, non programma tutto né impone le proprie opinioni, eppure è capace di conquistarsi il mondo.
Ad ogni modo, il solo sentimento che nutre nei confronti della ragazza – quel giorno in particolare – è un fastidio profondo, un pizzicore alla nuca che non fa male, ma continua a ronzare rumorosamente, come uno sciame di api all’attacco. Louisa ha come l’impressione che prima o poi verrà punta, e che trascorrerà ore a grattare via con forza quel prurito, fino a che il morso non avrà stillato qualche goccia di sangue. E, giura, la colpa è solo di Zayn Malik.
Quando, poco più tardi, si ritrova a lezione con Liam, i due non possono fare a meno di cincischiare sommessamente, discutendo se sia più opportuno continuare ad utilizzare le buone maniere e lasciare a Zayn il proprio spazio o se portarlo a forza nel luogo al quale dovrebbe appartenere: la scuola, la sua famiglia, i suoi amici.
“Grazie, perché sei disposta ad ascoltarmi” dice infine Liam, sebbene una decisione non sia ancora stata presa. Ha la fronte leggermente corrucciata, come quella di un padre in pena, e Louisa lo immagina già stempiato a guardare una partita di football alla televisione, con una famiglia numerosa quanti sono i suoi talenti.
Lei, dal canto suo, arrossisce appena e non risponde, trovando improvvisamente interessanti le punte lucide dei suoi mocassini. “Di nulla”.
Liam sorride. “Tu non sai cosa significa. Zayn è il mio caso umano. È la sola persona che sia stata capace di farmi crescere, è uno che vede oltre le cose e non trova mai spazio per se stesso. Adesso è il mio turno: devo occuparmi di lui”.
Louisa incassa la testa nelle spalle e gioca nervosamente con una matita. “Non so cosa significhi avere un caso umano” sussurra, assicurandosi che nessuno faccia caso ai suoi vaneggiamenti.
Eppure, tra i poteri sovrannaturali di Liam sembra anche esserci un udito smisurato. “Forse perché tu lo sei” asserisce lui, come se quella fosse una verità ovvia.
 
***
 
Zayn ha rifilato l’ennesima bugia a sua madre. Si sente un traditore, un fuggitivo, la reincarnazione di un padre che ha perduto da qualche parte nel mondo. Il senso di colpa lo divora come una fiamma ardente e, solo a camminare per le strade del suo vecchio quartiere, strofina i palmi l’uno contro l’altro, calcia il vuoto che va distribuendo attorno a sé nel tentativo di riempire quello in cui l’hanno incastrato. Per di più, sospira ad un ritmo inquietantemente regolare.
Sul tavolo di casa ha lasciato un bigliettino scritto di fretta: “Per favore, non cercatemi voi” recita. “Appena posso, mi farò vivo io. Vendete tutto ciò che io e papà abbiamo lasciato in casa. Rimboccatevi le maniche. Ce la farete, io credo in voi. Vi voglio bene” ha scritto. Poi si è allontanato furtivo dalle sue quattro donne e dalla sua ultima fonte di sicurezza.
Ciò che ha guadagnato, in cambio, è un insopportabile dolore al calcagno, per via della camminata, e una spalla escoriata dal borsone pesante. Ha portato con sé una decina di libri, quelli che pensava gli sarebbero serviti, e ora questi gravano tutti sulle scapole – per un attimo, Zayn ride tra sé e sé pensando che quello che si porta dietro è veramente il peso della cultura.
Quando passa davanti alla sua vecchia casa, si ferma per qualche istante ad osservare la dimora del dolore; spera che essere scappato da quel posto gli abbia aperto nuove strade, ma il solo fatto che suo padre sia sparito non costituisce un buon presagio. Al secondo piano c’è una finestra aperta, eppure lui è sicuro che prima di andar via Trisha abbia chiuso ogni possibile entrata, e si chiede se suo padre sia mai tornato lì, dopo il trasloco. L’ipotesi gli sembra più che sciocca e si convince che i nuovi proprietari abbiano iniziato a fare delle ricognizioni della casa, prima di avviare i lavori di ristrutturazione.
“Alla buonora” dice una voce languida al suo fianco. Zayn si volta appena solo per riconoscere il volto serafico del ragazzo dei fiori, che gli circonda le spalle con un braccio e se lo stringe al petto delicatamente. “Dovresti smetterla di guardare la morte in faccia, non è prudente” gli alita a pochi centimetri dall’orecchio, alludendo alla villetta fatiscente che hanno di fronte.
Zayn preferisce dargli ascolto e, abbandonatosi a un accesso di malinconia, ricambia l’abbraccio. “Grazie della disponibilità” sussurra al petto dell’altro, nascondendo nel suo grembiule una manciata di lacrime amare.
Il ragazzo dei fiori lo accoglie in casa con eccessivo entusiasmo, offrendosi di trasportare il suo borsone e fingendo di non soffrire sotto il peso dei libri. Sistema le magliette di Zayn nel cassetto, riserva uno scaffale della libreria ai volumi che il suo amico si è portato dietro e, infine, riutilizza lo scontatissimo detto “Mi casa es tu casa” invitandolo ad utilizzare qualunque oggetto dei suoi, ché tanto lui non è un tipo geloso o, peggio, avaro. Zayn si perde in ulteriori – superflui – ringraziamenti e si ripromette di ritagliarsi uno spazio insignificante in quella casa, come ha sempre fatto nel corso della sua vita, perché odia approfittare delle risorse altrui. Non mette piede in quella villetta da qualche mese, nonostante le occasioni non siano mancate, e la trova estremamente diversa dall’ultima volta che vi è entrato: le sedie attorno al tavolo da pranzo sono scomparse, sostituite da due vecchi divanetti usurati, alla parete sono comparse locandine di vecchi film – “La valle dell’Eden”, “8 e mezzo”, “Colazione da Tiffany” – e in salotto non c’è più il divano bucherellato a tre posti, quello per gli ospiti, ma un ben più ampio futon giapponese coperto da un tessuto a fantasia etnica. “E’ qui che dormirò?” domanda Zayn, fermandosi ad osservare il materasso basso che, ne è sicuro, gli procurerà dei fastidiosi mal di schiena.
Il ragazzo dei fiori ride appena, scuotendo la chioma folta, e lascia cadere le braccia lungo i fianchi. “Certo che no!” esclama. “Questo è ancora un salotto, fino a prova contraria, e quel futon è molto più accogliente di un banalissimo divano: i miei ospiti potranno distendersi, anziché sedersi, se vorranno. Tu non sei mica un ospite, Zay.”
Per tutta risposta, Zayn aggrotta la fronte e solleva un sopracciglio. “No?”
“Sei il nuovo coinquilino.”
E siccome Zayn non trova la forza di rispondere, si lascia trascinare fino ad una cameretta angusta, buia, con una finestrella quadrata come unica fonte di luce. È spoglia, spartana, niente di più che la cella di un carcere, con un letto al centro e un piccolo armadio addossato alla parete – niente comodino, niente scaffali o scrivania. Tuttavia, Zayn non se la sente di giudicare e immagina che quella stanza vada bene, soprattutto se – come spera – riuscirà a lavorare ogni giorno, ogni sera, senza fermarsi mai. Tornerà in quella casa solo per dormire e, allora, un letto e qualche cassetto saranno più che sufficienti.
“Ti piace?” domanda entusiasta il ragazzo dei fiori. “L’ho spogliata di ogni cosa perché pensavo fosse giusto che la decorassi a modo tuo” spiega, accostando le mani l’una all’altra e battendole ritmicamente, come a voler dare un ordine alla sua soddisfazione.
Zayn è grato che qualcuno abbia scavato un posto interamente suo, in quel mondo del quale non si è mai sentito parte, e annuisce emozionato omettendo la parte più importante del suo piano - e cioè che tornerà a casa non appena avrà guadagnato abbastanza per consentire alle sue sorelline di iniziare tranquillamente il successivo anno scolastico. Doniya è troppo grande perché qualcuno si occupi di lei ed essendo la più testarda della famiglia, sarà troppo orgogliosa per lasciarsi assistere, troppo operosa per rimanere con le mani in mano. Zayn è sicuro che, adesso che anche lui ha lasciato la famiglia in balia del destino, Doniya troverà il modo di epurarla da ogni residuo di infelicità. Tuttavia, è ancora convinto di poter fare qualcosa per le sorelle minori e per la madre, perché accettino una volta per tutte la sua indipendenza e gli lascino seguire la strada che più gli piace, o quella che ritiene migliore per tutti quanti. Il ragazzo dei fiori lo aiuterà a trovare un lavoro, a disintossicarsi dall’asfissiante angoscia che ha ridotto in cocci la sua bella famigliola e, perché no?, a trovargli un posto nel mondo che non lo renda immune e irraggiungibile alle altre persone.
 
***
 
“Liam? Liam, ciao, sono Trisha.” È con queste parole che il giovane Payne si è sentito apostrofare, non appena ha trascinato il dito sullo smartphone per accettare la chiamata in arrivo. La voce di Trisha suona diversa quel giorno: pare tesa come una corda di violino, sottile e acuta – quasi irritante – al punto che, per qualche istante, il cuore di Liam si annoda fermandosi. Si è appena destato dal suo pisolino pomeridiano e, dopo aver imprecato velocemente per aver dimenticato acceso il cellulare, ha risposto languidamente ad una Trisha che non saprebbe se definire affranta o disperata – non che tra le due alternative vi sia molta differenza.
“Salve, signora” la saluta lui, che non ha mai smesso di rivolgersi educatamente ai genitori dei propri amici. Controlla l’orario sul display del suo orologio e realizza che, quel giorno, salterà l’allenamento per la corsa campestre, dato che questioni molto più importanti sembrano urgere impazienti.
“Zayn è … lì da te?” la voce di Trisha è  flebile, tremante, e alterna acuti e gravi senza un ordine preciso.  
Liam si acciglia per qualche istante, prima di rispondere. È preoccupato per Zayn, certo, ma si scopre sempre più stanco di inseguire il suo amico qua e là, tentando di interpretare i suoi umori uterini, i suoi messaggi criptici e gelidi o – quel che è peggio – la sua assenza. “No” risponde seccamente, infastidito dall’idea che Zayn non si trovi effettivamente lì con lui, al riparo da qualsiasi dolore.
Trisha geme mestamente, e mentre Liam la sente armeggiare con il cellulare, tira su con il naso, un gesto che ha ben poco di femminile. “Come no? Cielo, adesso come faccio?”
“Cosa succede?”
“È andato via di casa …”
Liam non può crederci. L’ultimo sms che Zayn gli ha mandato diceva chiaro e tondo che il padre era sparito all’improvviso, lasciando Trisha in balia dell’amarezza, senza preoccuparsi di dare alcuna spiegazione. È quasi paradossale che Zayn abbia compiuto la stessa scelta, che abbia lasciato dietro di sé una scia ancor più ampia di vuoto e delusione. Liam non può pensare che quello sia il suo migliore amico, e si chiede se il bisogno cambi le persone a tal punto da scolorire le tonalità più accese della loro indole. Certo, il vero Zayn Malik non avrebbe mai fatto una cosa simile. Così, Liam tenta di fornire spiegazioni lucide e razionali a Trisha, perché entrambi possano tirare un sospiro di sollievo o trovare la forza di risolvere anche quell’inconveniente. “È successo qualcosa, ultimamente?”
“Yaser è sparito da un giorno all’altro, probabilmente sarà ubriaco fradicio in qualche bar, e così ieri sera Zayn mi ha implorato di prendere in mano le redini della situazione e occuparmi della famiglia. Devo essergli sembrata terribilmente debole e vittimista, forse per questo ha deciso di andare via …”
“Non credo proprio” asserisce l’altro. Zayn ama la sua famiglia, non è un codardo che abbandona le persone di cui si sente tutore. Liam lo conosce abbastanza bene da sapere che, con ogni probabilità, si troverà da qualche parte in città a rimboccarsi le maniche per scovare una soluzione che pare essersi persa nel buio più pesto. “Senta, signora, mi metto subito a cercarlo, non può essersi volatilizzato.”
A quel punto, la voce di Trisha si spezza del tutto: “Ha lasciato un biglietto in cui diceva che avremmo fatto meglio a non cercarlo, non so se sia nostro  diritto …”
“Lei mi ha chiamato per sapere dove fosse suo figlio” la interrompe Liam. “Penso che nessuno di noi due sia intenzionato a seguire i consigli di Zayn.”
 
Un paio d’ore dopo, Liam ha già concluso l’inutile giro di tutti i posti in cui sarebbe probabile trovare Zayn Malik. La biblioteca cittadina era mortalmente silenziosa, ad esclusione del flebile ronzio di un anziano computer; il bar poco distante dalla scuola, quello in cui Zayn si è sbronzato per la prima volta sotto lo sguardo vigile dell’amico, era un covo di alcolisti senza nome; il parco cittadino sembrava essere stato abbandonato alla desolazione di quella giornata uggiosa. Liam contempla l’ultima opzione rimastagli e continua a ripetersi che Zayn ha davvero superato il limite, se intende lasciar deperire qualsiasi forma di affetto nella sua vita.
La vecchia abitazione di proprietà dei Malik ha cominciato ad assomigliare ad un ammasso di macerie, tuttavia Liam nota una finestra aperta al secondo piano che in realtà dovrebbe essere sbarrata. Mette a tacere la vocina nella sua testa che gli sussurra quanto sia degradante e misera l’ipotesi che Zayn si sia trasferito in quel covo di putridume e chiude gli occhi, esausto. Non ha voglia di suonare furiosamente il campanello, così si siede a gambe incrociate sul marciapiede e comincia a riempire d’aria i polmoni. “Zayn” dice la prima volta, una tonalità più alta del normale e tuttavia troppo debole perché quello possa sembrare un rimprovero. “Zayn!” grida poi. Nessuna risposta. “Zayn! Se non esci fuori, dovunque tu sia rintanato, giuro che questa è l’ultima volta che senti la mia voce” e a quel punto la minaccia di Liam risuona perentoria oltre il tetro silenzio del quartiere. È già buio, l’illuminazione è insufficiente, e perciò non riesce a capire da dove arrivi il sottile fruscio che crede di udire.
Poi, all’improvviso, spuntato dal nulla, il netto rumore di mani che battono lo fa sussultare. Zayn è dietro di lui e sta applaudendo, gli occhi spenti, dello stesso colore della notte, e una maglietta bucata a fasciargli il petto esile. “Complimenti per la scenata” commenta, il tono distaccato e inespressivo.
Liam inclina la testa da un lato e lo guarda con fare interrogativo. “No, complimenti a te per il silenzio.”
Zayn non risponde. Rimane in piedi, immobile, e volge lo sguardo mesto alla sua vecchia casa.
Liam, invece, che il silenzio lo ha mal sopportato per tutta la vita, asserisce: “E’ arrivato il momento di dirmi se sono ancora tuo amico oppure no.”
 
 
Angolo autrice.
Dunque, cari i miei due lettori – hahaha – ho appena letto una mpreg Larry dopo secoli di assenza dal fandom, la qual cosa mi ha fatto disperatamente desiderare di concludere questo capitolo orribile. Nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, sì: è un capitolo di passaggio, niente di più e niente di meno.
Mi sono terribilmente stancata del vittimismo di Zayn, e così mi sono impersonata in Liam e gli ho donato molto più coraggio di quanto ne avrei io in una situazione simile.
Awww, che ne dite della comparsa di Ed nella storia? Penso che lo adorerò, magari il suo personaggio riuscirà a dare un po’ di colore alla fic. Btw, tutto quello che ho scritto finora non ha molto senso. Perdonatemi, sono confusa e indecisa e ultimamente mi è importato degli One Direction molto meno del consueto.
Allora, all’inizio del capitolo ci sono due riferimenti letterari. Nel caso in cui vi siate persi qualche passaggio, Gregor Samsa è il protagonista de La Metamorfosi di Franz Kafka, un uomo che d’un tratto si trasforma in uno scarafaggio e, tra mille sconforti, finisce per morire; invece, Ovidio è un autore latino che, in un’opera omonima, ha descritto le metamorfosi di vari personaggi o divinità. Le due opere mi sono sembrate collegate, anche perché pure io – come Zayn – penso spesso alla possibilità di una trasformazione, quando sono depressa.
Ho avuto un incidente ieri, e questo ha reso difficile scrivere senza che il collo e l’addome mi dolessero, così passerà un po’ di tempo (non troppo, comunque), prima di riuscire ad iniziare il nuovo capitolo.
I miei ringraziamenti, sempre più sentiti, a Krista, a Giorgia e a Marta – ognuna di loro sa perché.
Alla prossima,
Cassie. x 
 
[1] È il protagonista de La Metamorfosi di F. Kafka, commesso viaggiatore che perde la vita e l’identità in  seguito alla misteriosa trasformazione in uno scarafaggio. 
   
 
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