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Autore: Zia Isa    07/09/2014    1 recensioni
Come si sono conusciuti Luke, Annabeth e Talia? Com'è stato il periodo che hanno trascorso insieme prima di raggiungere il Campo Mezzosangue?
[Dal primo capitolo]
"Dopo un paio di passi sentì una fragorosa risata provenire dietro di sé.
-Ti ho salvato la vita, eh- le urlò dietro il biondino, come per ricordarle un dettaglio importante.
-Grazie allora- rispose lei senza nemmeno girarsi."
Genere: Avventura, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Talia Grace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Just call it “Revenge”

 

Talia era fuori di sé e avere lo stomaco vuoto di certo non aiutava. Era da un'ora buona che faceva tuonare il cielo dalla rabbia e non si era ancora calmata. Di solito quel metodo funzionava sempre quando litigava con la mamma: il fatto che tutti potessero sentire la sua ira la faceva sentire forte e la distoglieva dalle preoccupazioni.

Questa volta però era diverso. L'ebbrezza del potere durava solo fino a quando l'immagine del ragazzo faceva capolino nella sua mente. Come poteva sentirsi potente se era stata abbindolata a quel modo da un ragazzino qualunque?

Sbuffando si abbandonò a terra con poca grazia, ritrovandosi con la testa dentro la tenda e i piedi fuori, a pochi centimetri dalle braci quasi spente del piccolo fuocherello su cui avrebbe dovuto cuocere la sua cena.

Il cielo borbottò e la sua pancia fece altrettanto. Moriva dalla fame. Si prese la testa tra le mani sbuffando sonoramente: si era autocommiserata già abbastanza. Doveva spegnere il cervello per fermare quel flusso continuo e disordinato di pensieri. Chiuse gli occhi e si addormentò di colpo.

 

-Benvenuta mia cara! Oh, oops, forse è un po' buio, eh? Che ne dici? Aspetta un attimo...- Ci fu uno schiocco di dita e da qualche parte una fortissima luce si accese. Il bianco accecò Talia, che si portò immediatamente le mani al volto. Quando si fu abituata alla luminosità, aprì leggermente le dita per dare una occhiata veloce al posto in cui era finita e poco alla volta lasciò cadere le braccia lungo le gambe.

Si trovava sulle nuvole. I suoi piedi erano avvolti da una lieve cortina di vapore che le impediva di precipitare sotto. Stranamente, nonostante gli innumerevoli metri di altitudine a cui si trovava, non fu attaccata dalla consueta nausea da vertigini. Diede un'occhiata intorno a sé e il suo primo pensiero fu che qualcuno doveva aver per sbaglio traslocato un attico di New York nella stratosfera. L'arredamento era moderno, ben scelto, e rigorosamente bianco: un divano ad angolo in pelle, una tecnologica cucina con isola, una gigantesca cabina-armadio ad ante scorrevoli e un tavolino in vetro senza un filo di polvere. Persino il televisore al plasma, su cui scorrevano in muto immagini di quello che pareva essere un notiziario, era bianco. Lei, con i suoi vestiti dark, si sentiva leggermente fuori luogo. Non vi erano finestre, poiché non ce n'era bisogno: le nubi proteggevano dagli agenti atmosferici e con i loro giochi di vapore creavano panorami mozzafiato in perpetua evoluzione.

Restò incantata ad ammirare quello spettacolo fino a quando qualcuno disse: -E' bellissimo qui, non è vero Talia?-

Solo in quel momento la ragazza si accorse dell'uomo al centro dell'appartamento. Vestiva un elegante completo, ovviamente bianco e perfettamente ordinato; aveva due occhi blu elettrico, proprio come i suoi, che stavano osservando una nuvola che si stava lentamente avvolgendo in una spirale, mentre i capelli e la barba grigio-neri ondeggiavano leggermente come se fossero anch'essi parte del vapore delle nuvole.

-Sì... E'... è mozzafiato.-

L'uomo si voltò verso di lei e sorrise. Il cuore di Talia perse un battito.

-Zeus?-

-Sono felice che tu mi abbia riconosciuto, figliola.- rispose aprendo le braccia verso di lei, come se volesse un abbraccio. Come si permetteva? Per un sacco di tempo nessun messaggio, nessuna visita, niente di niente. E poi? E poi riappariva così? La ragazza sentì di nuovo la rabbia salire.

-Già, ne sono sorpresa anche io, dato che sono... Me lo dici tu quanti anni sono passati dall'ultima volta che ti ho visto? Credo di aver perso il conto.- gli sputò contro.

L'espressione sul volto di Zeus passò dalla gioia al rammarico. Il dio dei cieli si voltò con un sospiro e, dandole le spalle, prese a misurare la stanza a grandi passi, con lo sguardo a terra. Talia non poté fare a meno di notare che nel suo essere maestosamente divino, il padre pareva incredibilmente umano, tanto che riusciva quasi a vedere l'enorme montagna di preoccupazioni e responsabilità che lo schiacciava. A quella vista capì di essere stata troppo dura con lui. Gli si avvicinò lentamente da dietro, incerta sul da farsi, e mormorò un timido -Scusa.-

-Non sei tu quella che deve scusarsi.- rispose lui secco.

-No, davvero, sono stata egoista, cioè, capisco... insomma, il Re degli Dei, quindi... ecco...-

-Hai ragione tu. Nemmeno io so quanti anni sono passati e me ne vergogno tantissimo.- Zeus si voltò verso di lei e la guardò con infinita tristezza – Avrei davvero voluto passare più tempo con te, vederti crescere... essere un vero padre. – Lei era sbalordita. Cosa stava succedendo? Perché suo padre le stava parlando così? Perché tutta quella tristezza? Intanto il dio prese un altro grande sospiro e si accasciò sul divano. -Talia, io voglio aiutarti.- annunciò.

La ragazza spalancò gli occhi. -Aiutarmi?- chiese la ragazza con un filo di speranza nella voce. “Dandomi una mappa dei boschi degli Stati Uniti? Fornendomi di cibo per l'eternità?” continuò nella sua mente.

-Sì. Voglio aiutarti con la tua vendetta- rispose deciso.

-La mia... vendetta?- Cosa si era fumato suo padre?

Probabilmente lui lesse la perplessità sul volto della figlia e rise: -Oh, Talia! Non dimenticarti che nel tuo DNA c'è parte del mio e il gene della vendicatività è proprio quello che generalmente accomuna me a tutti i miei figli. Tu sei una di loro, che ti piaccia o no, quindi ora, di grazia, non far finta di non volergliela far pagare a quel buffone d'un ladro.-

Quando Talia aprì la bocca per rispondere si accorse di averla già aperta dallo stupore.

Boccheggiò un attimo in cerca delle parole da dire. -Emh, beh, no, cioè... Sì, ovviamente!- Sì, ovviamente lei desiderava vendicarsi con tutto il suo cuore, ma non era quella la sua priorità.

-Cosa c'è?- chiese il padre, notando il suo disappunto.

-Beh, ecco... Diciamo che, date le mie condizioni di vagabonda senza meta, la mia idea di aiuto del mio padre divino spaziava da scorte di cibo a un appartamento con vista sul mare, ma se è chiedere troppo...-

Zeus scoppiò in una risata così fragorosa da far sorridere anche Talia. -Oh, no, non sarebbe assolutamente chiedere troppo, ma...- si interruppe come se fosse incerto su cosa dire – Ma, vedi cara, ci sono cose che nemmeno un dio può cambiare.-

-Papà, cosa... - tentò di dire lei, ma fu subito interrotta.

-Ripetilo.-

-Papà.-

I suoi occhi si fecero di nuovo immensamente tristi, poi sospirò. –Continua pure; cosa stavi dicendo? -

-Cosa intendi dire con “cose che nemmeno un dio può cambiare”?-

-Il destino. E' al di sopra del controllo di noi dei. Anche noi ne subiamo le decisioni e, per quanto possano essere incomprensibili, dobbiamo impegnarci affinché gli eventi seguano il loro giusto corso.- rispose senza abbandonare quell'espressione addolorata.

-Sostanzialmente mi stai dicendo che nel mio destino c'è scritto che io mi devo vendicare di quel ragazzo.-

-Beh, direi che è una sintesi efficace. Ora capisco perché sei la più brava della tua classe in Inglese.-

-Aspetta, tu come sai che... Uff, lasciamo perdere. Come mi posso vendicare?-

-Qui entro in gioco io.-

-Tu?-

-Sì. Io ho il ruolo fondamentale di dirti in che modo vendicarti.-

Talia stava capendo poco o niente di tutto quel discorso sul destino e sulla vendetta, ma decise di assecondare il padre.

-Allora- continuò lui -Troverai il ragazzo a due alberi a Nord e quattro a Ovest da dove ti trovi tu. Usa la nebbia. E anche i fulmini. Sì, nebbia e fulmini.- concluse.

-Tutto qui?- disse Talia sconcertata.

-Esattamente. In questo momento stai dormendo, ma non appena ti sveglierai dovrai entrare in azione. Il resto verrà da sé.- Talia non si chiese nemmeno il significato dell'ultima frase. Di quella conversazione con il padre aveva afferrato il senso forse solo di un quarto delle cose che aveva detto.

-Fantastico, quindi ora vado a svegliarmi?-

Zeus non rispose, ma le accarezzò una guancia. Il suo tocco era delicato e gentile, come una brezza di primavera. -Figlia mia, sei una guerriera. Combatti.- Dicendo questo, schioccò le dita e la luce si spense di nuovo.

 

Il sole iniziava a filtrare tra le foglie, ma il bosco era comunque avvolto in una pesante penombra. Doveva essere mattino molto presto. Talia, nonostante avesse praticamente trascorso la notte a chiacchierare col padre, si sentiva ben riposata. Un forte brivido di freddo la scosse e si rese conto di essersi addormentata praticamente fuori dalla tenda. Si infilò una giacca a vento e, quando si fu scaldata, si alzò in piedi, piegò la tenda, sistemò lo zaino e disperse le braci.

Si orientò grazie al muschio. “Due alberi a nord.” Uno. Due. “Quattro alberi ad ovest.” Girò verso sinistra. Uno. Due. Tre. Il quarto, un gigantesco albero con il tronco di due metri buoni di diametro, si trovava a circa cinque passi dal terzo, dietro al quale lei si era appostata. Il biondino se ne stava raggomitolato in un sacco a pelo in uno spazio delimitato da due grosse radici.

Talia strinse i pugni: gliel'avrebbe fatta pagare. Chiuse gli occhi e si concentrò. Percepiva l'umidità racchiusa in ogni foglia e in ogni filo d'erba. Le ordinò di sollevarsi in fitti banchi di nebbia. Questa obbedì e si alzò una bianca coltre che impediva completamente la vista. Solamente Talia poteva orientarvisi dentro. Non che potesse vedere oltre la nebbia, ma percepiva chiaramente gli oggetti intorno a lei, come gli ultrasuoni dei pipistrelli: con la mente vedeva un grande spazio grigio abitato da ombre nere, che erano gli oggetti da lei percepiti. Aveva scoperto questa sua abilità qualche giorno prima, durante un attacco notturno.

“Perfetto.” pensò. “Prima parte del piano completata con successo.” Si avvicinò facendo attenzione a non fare rumore. Raggiunse il grosso albero, posizionandosi dalla parte opposta a quella del ragazzo. Chiuse gli occhi per concentrarsi. Con il suo radar interiore visualizzò la posizione di ogni albero intorno a sé. Era pronta.

Il primo fulmine cadde a una decina di metri da loro. Fu tanto potente da scuotere il terreno. L'imprecazione che subito dopo provenne dall'altra parte del tronco la fece sorridere d'istinto. Talia scaricò altri fulmini, sempre più potenti e sempre più vicini.

Dal canto suo, il ragazzino si stava prendendo proprio un bello spavento. Lo sentiva cercare con fretta i suoi oggetti nel bianco lattiginoso della nebbia, sussultando ad ogni scoppio e infarcendo il tutto con espressioni molto colorite e fantasiose che facevano sbellicare la ragazza dalle risate: nulla la ripagava più del sentirlo terrorizzato e agitato.

Continuò ad attaccare, visualizzando prima nella sua mente la zona da colpire, per poi indicarla con il dito scaricando il fulmine: si sentiva potente come non mai.

Sapeva di averlo già spaventato abbastanza, ma voleva terminare in modo spettacolare e la sua idea di “chiusura in bellezza” comprendeva un fulmine caduto a un metro dalla vittima e lei, spaventosamente bella, che emergeva dalla nebbia. Sì, sua madre le aveva fatto vedere un po' troppi film.

Chiuse gli occhi e visualizzò il paesaggio intorno a sè: il grande albero dietro di lei, il bosco, il ragazzino ormai paralizzato dalla paura. Tanto meglio se stava fermo, le avrebbe solo facilitato il lavoro. Chiamò a sé l'elettricità, che rispose subito con un lieve crepitio nel cielo, e la concentrò tutta in un unico punto tra le nubi.

Il rombo del fulmine in arrivo cresceva sempre più. Doveva solo indicare la zona dove si sarebbe dovuto scaricare e il gioco sarebbe stato fatto, ma Talia vide improvvisamente sbucare nel suo radar una macchia nera enorme, proprio a pochi metri da lei, che si muoveva sinuosamente, come un serpente... Un serpente gigante a più teste, però.

Ci fu un potente ruggito e la semidea cadde a terra per lo spavento. Quando spalancò gli occhi, la prima cosa che vide fu il suo indice puntato in direzione del ragazzo.

 

 

Per tutto quel tempo, altro non aveva fatto che darsi dello stupido. Come aveva potuto mettersi contro un altro mezzosangue? Per di più una figlia di Zeus! Non che lei si fosse dimostrata chissà quanto abile, ma... Sentiva che c'era il suo zampino dietro quella foschia e quei fulmini, che parevano avvicinarsi pericolosamente sempre più. Durante le ultime ore aveva pensato più volte agli avvenimenti della sera precedente, al momento in cui lo zaino della ragazza le era capitato sotto il naso mentre lei era distratta, e ogni volta non riusciva a fare a meno di notare quanto gli fosse risultato facile e naturale -quasi corretto- rubarle il cibo.

Si appiattì contro il tronco, nonostante una vocina nella sua testa -forse quella dell'istruttore del corso di sopravvivenza a cui aveva dovuto partecipare a scuola- gli dicesse che, in caso di temporale, attaccarsi a un albero è la prima cosa da evitare. In quel momento però non riusciva a trovare migliori alternative: come poteva fuggire se non vedeva nemmeno i suoi piedi?

“Usa il cervello. Pensa. C'è sempre una soluzione.” Per quanto riflettesse, però, non gli venivano idee. “Pensa, cavolo, pensa. Fulmine uguale elettricità. Quali sono i materiali isolanti? Vedi di ricordare! Ehm.. forse plastica, legno e gomm... Cosa? Legno?” Si tastò la cintura alla ricerca del coltellaccio da pane che teneva sempre con sé. “Sono un genio!” continuava a ripetersi. Una volta trovato si mise a cercare a tentoni i rami più bassi. Sapeva di avere poco tempo: il temporale si stava avvicinando con una velocità innaturale e non era nemmeno certo che l'idea che si era appena formata nella sua mente fosse realmente attuabile. Fu abbastanza fortunato da trovarne dopo pochi secondi uno piuttosto spesso e prese subito a tagliarlo.

Un rombo assordante. Il ragazzo aumentò la forza con cui stava maneggiando il coltello. “Eh dai, staccati!”

L'albero accanto al suo spiccò nella nebbia, come uno scheletro nero, illuminato da una potente luce bianca ad intermittenza che ne delineava i contorni. “Il prossimo sarà il mio.” pensò.

Non c'era più tempo. Con un colpo secco strappò totalmente via il ramo dal tronco. Un dolore lancinante ed improvviso lo prese alla mano sinistra, seguito da una sensazione non troppo gradevole di viscido calore. “Oh si che bello! Sarà tutto molto più facile con un dito in meno. Grazie dell'aiuto, Papi.” borbottò. Cercò di ignorare il dolore mentre afferrava il ramo e lo sollevava con tutte le sue forze, come se fosse un'antenna.

Il crepitio elettrico, che ormai aveva imparato a temere, aumentava sempre più. Il cielo brontolò e capì che il momento era vicino. Strinse i denti: superato quello, non avrebbe avuto più nulla da temere, anche se doveva ammettere che, in realtà, non era esattamente ansioso di scoprire le condizioni della sua mano. “Sempre che ci sia ancora una mano.”

I muscoli iniziavano a bruciare per la fatica di sostenere il peso del legno e le schegge gli si conficcavano nei polpastrelli, ma cercò di non curarsene: sapeva bene che la sua sopravvivenza dipendeva esclusivamente dalla sua resistenza.

Sentì un ruggito potente, come quello di un mostro, e lo attribuì al fulmine che lo stava raggiungendo a velocità impressionante.

Quando fu colpito, vide il mondo farsi bianco, poi il nulla.

 

 

Talia era ancora seduta a terra, troppo sconvolta anche solo per pensare. Attorno a lei aveva iniziato ad imperversare una bufera. Non erano necessarie grandi facoltà mentali per comprendere che la situazione le era completamente sfuggita di mano. Il vento era implacabile eppure non riusciva a spazzare via la nebbia che sembrava invece infittirsi sempre più. Foglie e rami volavano graffiandole il volto e la pioggia fangosa s'infiltrava nei vestiti. Il radar pareva essere scomparso dalla sua testa insieme ad ogni altra energia..

Aveva ucciso. Aveva ucciso un ragazzino per un paio di barrette dietetiche. E una bistecca. Secca.

Quell'ombra spaventosa l'aveva distratta e nel cadere il suo dito aveva indicato il bersaglio sbagliato. Era quello il prezzo per chi osava troppo.

“Potrebbe essere sopravvissuto” le suggeriva una vocina nella sua testa, ma le riusciva strano anche il solo pensarlo: aveva usato tutte le energie che le erano rimaste per quell'ultimo potentissimo fulmine.

Lei era un mostro. Non aveva mai fatto nulla di buono nella vita. Sarebbe rimasta lì, ferma e immobile a marcire sotto la pioggia: solo così forse avrebbe contribuito alla salvezza del mondo.

“Figlia mia, sei una guerriera. Combatti.”

Il ricordo della voce del padre la riscosse. Non era sola. In quel mondo che pareva odiarla c'era qualcuno che credeva in lei e quel qualcuno era suo padre -Zeus, signore dei cieli e padre di tutti gli dei, che diamine!-. Era stato lui a dirle di vendicarsi, perciò doveva sapere come sarebbe andata a finire. “Il resto verrà da sé.” aveva detto. Forse suo padre intendeva dire che il ragazzino era ancora vivo?

Con le pochissime forze che aveva, si alzò in piedi. Se esisteva qualche minima probabilità di tirare fuori quell'insopportabile biondino dal disastro che lei stessa aveva combinato, lei ci sarebbe riuscita, quant'era vero che si chiamava Talia Grace.

Quindi urlò. Urlò con quanto fiato aveva in gola, fino a sovrastare l'ululato del vento, fino a quando la sua determinazione spazzò via la nebbia, fino a quando la tempesta non si fu placata. Aveva vinto: era lei la vera bufera.

Corse dall'altra parte del gigantesco albero. A terra, quasi completamente coperto da una montagna di cenere e trucioli di legno e con una mano sanguinante, c'era il ladro. Si precipitò accanto a lui e prese a scuoterlo violentemente. Non lo conosceva, ma lui l'aveva salvata una volta e non poteva permettere che morisse per un suo errore.

-Svegliati! Svegliati, cavolo! E' stato un incidente! Solo un incidente! Tu non vuoi morire in questo modo, no? Nessuno vorrebbe. Dai, respira! Dii immortales, sono troppo giovane per finire in prigione...-

-...sei...- bisbigliò impercettibilmente l'altro. Talia proruppe in una risata di sollievo e cercò di aiutarlo a sollevare la testa.

-Sì, sono io, da bravo, respira!-

-...sei...sei un'ego...un'egoista...- concluse lui.

-Lo so, lo so! Sono un'egoista, un'egocentrica, una permalosa, una stupida...- Talia ormai, anche se allo stremo delle forze, parlava a ruota libera, con le lacrime agli occhi: si era davvero salvato! Non l'aveva ucciso! Non riusciva a crederci. Le energie la stavano abbandonando, ma riuscì comunque a mettere il ragazzo seduto con la schiena appoggiata al tronco dell'albero

-...Per...perchè?- disse lui con un soffio di voce.

Lei rise nervosamente. -Chiamala semplicemente vendetta- disse, prima di perdere i sensi.

 

Angolo autrice:

 

Ciao a tutti!

Lo so. Avevo detto che avrei aggiornato una volta a settimana, ma, come si è potuto vedere, non sono in grado di farlo. Chiedo umilmente perdono. Ovviamente ora non dirò che ci ritenterò, perché l'inizio della scuola è vicino (troppo vicino) e sarebbe ancora più impossibile.

I capitoli arriveranno, non so quando, ma arriveranno. Mi piace davvero tanto scrivere questa storia, quindi non la abbandonerò.

Abbiate pazienza con la vostra povera zietta.

Per quanto riguarda Zeus, ho voluto descriverlo come una fusione tra ciò che ha scritto il Sommo Riordan e come me lo immagino io, per questo è più dolce di quanto lo sia nei libri.

Sarò molto contenta di sapere cosa pensate del capitolo e della storia.

Bacioni a tutti!

 

Zia Isa

  
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