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Autore: Nimue_    08/09/2014    4 recensioni
1944, una giovane donna viene prelevata con la forza e condotta in un luogo di cui nemmeno nel peggiore dei suoi incubi avrebbe immaginato l'esistenza.
Settantaquattro anni dopo la storia si ripete, ma quando Sybil Crowford ne capisce il disegno è troppo tardi.
Sua sorella è sparita. Loro sono venuti a prenderla, e lei ha detto di sì.
[Distopica - YA]
Dal capitolo:
"Che succede se me ne vado senza salutare? E se mi invento una scusa qualunque? Sono libera di andarmene quando voglio. O forse no. Dipende tutto da lui.
- Tua sorella è davvero, davvero un'ottima chimica , - sorride.
Poi la porta del laboratorio si spalanca."
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Entropy - Capitolo 5


Epinefrina: anche conosciuta come adrenalina; si tratta di un neurotrasmettitore coinvolto nelle reazioni di "fight or flight", "combatti o scappa". I suoi effetti sono riscontrabili nei momenti di intensa attività fisica, soprattutto in caso di scontro violento o di fuga. 

CAPITOLO 5.

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Tiro una spallata contro la portiera del furgone.
Quanti traumi deve superare il mio corpo prima di sviluppare una resistenza sufficiente al dolore? Continuo a sperare che succeda. Mi ripeto che la prossima spinta non farà così male, che posso sopportarla, ma più provo a liberarmi, più i colpi mi tolgono il respiro.
Il viaggio non finisce mai. Scalcio, tormentando i cilindri cavi delle manette fino a quando l'agitazione febbrile che mi tiene vigile non comincia a cedere alla stanchezza. Quando la rassegnazione prende il sopravvento, mi abbandono contro il sedile e reclino la testa all’indietro.
All'inizio nessuno dei miei sequestratori dice una parola. Regna un silenzio da far accapponare la pelle, qui dentro.
Il sangue raggrumato mi fa prudere le labbra, ma il casco mi impedisce di grattarmi la faccia, così penso fitto per distrarmi, passare il tempo, tenere a bada il panico. Rievoco quello che è successo e scrivo centinaia di possibili trame su quello che sta per accadere: provo a immaginare che cosa mi faranno, perché mi hanno aggredita e dove mi stanno portando.
Chi sono?
Chi è il ragazzo dagli occhi verdi che mi ha sollevato di peso e chiuso nel furgone?  A lui non riesco a smettere di pensare. È seduto al mio fianco - con la chiave delle manette nascosta nelle tasche, probabilmente -, ma faccio attenzione a non toccarlo.
- Qualcuno è a corto di C9H13NO3, mi pare.
La sua è la prima voce che sento dopo ore intere di viaggio. Non capisco di cosa stia parlando, comunque. Le ferite sulle braccia strepitano, coprendo la sua risata sprezzante per un po’. È controllata: né eccessiva, né forzata, come se si fosse esercitato a lungo per migliorarla.
- Epinefrina, se te lo stai chiedendo, - aggiunge, - sebbene ne dubiti fortemente.
Parla con me? Dal momento in cui non posso rispondere, né ho la minima idea del significato delle sue parole, rimango zitta e ascolto. Non so se a sconvolgermi di più sia il suo tono scocciato o il fatto che non possa avere più di diciotto anni. Un criminale precoce, il ragazzo.
- Adrenalina, - sbotta, - ti suggerisce niente?
Lo ignoro. Fa strani discorsi per essere un rapitore.
Mi volto verso il finestrino per non dargliela vinta, nonostante il casco mi impedisca di vedere quello che c’è fuori. Lui sospira con freddezza. Dopo il nostro breve scambio – a dire il vero il ragazzo ha fatto tutto da solo – il tempo scorre con una lentezza ostinata. Mi rassegno a uno stato di torpore che rifiuta perfino la paura: ho le gambe rigide, pesanti, tradite dalla circolazione, e i polsi gonfi che premono contro le manette.
Di tanto in tanto il ragazzo discute con i sequestratori seduti sui sedili anteriori, ma non fa che confondermi le idee, quindi smetto di farci caso. Almeno fino a quando non bisbiglia un ordine secco.
- Porta la velocità a 230 chilometri orari, sono stufo di stare qui dentro.
Istintivamente mi allontano dallo sportello del furgone. 230 cosa? Pensavo fossimo su un’autovettura qualunque, non su un treno superveloce. Se fosse vero e la portiera si aprisse per errore, precipiterei fuori e... Scaccio l'immagine per non vomitare.
Drizzo le orecchie: forse il casco attutisce i rumori, ma non c’è alcun suono che tradisca lo sfrecciare del furgone. Mi convinco di aver capito male: nessuna strada consente di marciare a una velocità del genere, comunque.
- Jian dice che il ragazzo ha bisogno di cure. Sbrigatevi.
Alphy.
Il migliore amico di mia sorella, da qualche parte in un altro furgone, è in pericolo di vita. Provo a sbirciare sotto la visiera del casco per capire dove siamo diretti, ma non c'è verso di riuscirci.
Mi viene un’idea. 
Mi piego in avanti con il petto sulle ginocchia, e tossisco forte. Ho la bocca incollata dal casco e solo il naso libero, ma questo è un punto a mio vantaggio: dal rantolo che produce la mia gola sembra che stia per soffocare.
Uno degli uomini sul sedile anteriore pare allarmato.
- C’è qualcosa che non va. Apra il casco fin sotto gli occhi, per favore.
No, toglietemelo tutto, toglietemi questa roba di dosso.
Il rifiuto del ragazzo è categorico.
- Sta solo bluffando. Il casco viene continuamente rifornito d’ossigeno, non c’è niente che possa andare storto.
Simulo un tremito e cerco di avvicinarmi le mani al collo. Nelle recite scolastiche mi relegavano sempre sullo sfondo. Non sono mai stata una brava attrice.
- Seymour ci ha dato delle precise direttive!
Colgo un movimento: l’uomo si stende oltre il sedile e mi sfiora il retro della nuca con due dita, disegnando qualcosa di imprecisato sul casco. La visiera si alza di scatto, fino a metà del naso. Prendo un respiro profondo. Cominciavo a sentirmi in trappola.
- Stai bene, ragazzina?
- No, devo andare in bagno.
Lascio ricadere le braccia, delusa. Sono ancora cieca.
- Devo andare in bagno e voglio sapere che diavolo sta succedendo e che ne è stato di Alphy.
Mi faranno del male per il brutto scherzo che gli ho tirato? Se avessero voluto uccidermi avrebbero lasciato che quella donna mi tagliasse la gola, giusto?
- Posso chiudere il casco, adesso che avete avuto prova della vostra stupidità?
- Comincia con il chiudere quella maledetta bocca.
Lo bisbiglio a voce così bassa che io stessa faccio fatica a sentirmi parlare, eppure una canna cilindrica e fredda mi preme sulle labbra prima ancora che abbia finito la frase, mandandomi un brivido lungo la schiena. C’è lo scocco appena percettibile di una sicura che viene rimossa. Sembra quella di una pistola.
- Fossi in te, rimarrei a cuccia.
Il respiro del ragazzo è sulla mia guancia, a pizzicarmi la pelle. Gli altri sequestratori non osano fiatare: il ragazzo è un pezzo grosso, molto più grosso di loro.
Mi costringo ad ubbidire. Accetto di rimanere in silenzio, a patto che il casco resti semi-alzato.
Dopo un po’ il guidatore annuncia che siamo quasi arrivati e il furgone prosegue su una lunga salita; quando si ferma del tutto il ragazzo si tende sopra di me per aprire il finestrino e cacciare fuori un braccio. Rimango perfettamente immobile.
- Accesso consentito. Bentornato, Signor Reichenbach.
Il pavimento sotto le ruote si alza. Su, sempre più su, per secondi interminabili. Che posto è questo?
Per quanto la preghi di continuare a muoversi, di non consegnarmi a quello che mi aspetta senza reagire, la pedana si ferma.
- Datele da bere, medicatela e fatele trovare un bagno, ma non azzardatevi a toglierle il casco nei corridoi.
Il tono del ragazzo non ammette discussioni.
- Seymour riceverà la creaturina tra un’ora esatta: è una vostra responsabilità, adesso.
Un passo leggero si allontana dal furgone, ma non riesco a distinguere la direzione verso cui si dirige. Due persone mi alzano dal sedile e mi guidano nel buio senza commentare: nessuno di loro è il ragazzo dagli occhi verdi. Non riesco a spiegarmi come sia possibile, ma so che riconoscerei il suo tocco tra mille.
Reichenbach.
Il principe.
Se non mi uccidono prima, farò bene a ricordarmi il suo sguardo di giada, la pressione delle sue mani, il modo in cui tiene il mento leggermente alzato in una posa fiera.
La prossima volta terrò più stretto quel coltello.

 ***

 La prima cosa che vedo quando mi tolgono il casco è una fila di alte vetrate sulla parete di un vecchio salotto. I miei occhi, finora costretti al buio, rifuggono i raggi del sole che rinasce: combatto per tenere alzate le palpebre, e dopo un po’ riesco ad aprirle del tutto. La luce inonda la stanza di un colore acceso, rosso vivo.
L’alba.
La rincorsa della mattina sulle ore della notte, la conquista di un altro giorno. Credevo che non l'avrei più rivista, e invece mi ritrovo a sorridere impercettibilmente. Sono qui, e respiro ancora.
- Sybil?
E anche lui respira. Così debolmente che non mi ero accorta della sua presenza, ma respira. Mi precipito da Alphy, lasciandomi cadere in ginocchio vicino al divano su cui è steso: le sue mani sottili e un po' sudaticce sono incrociate sopra il ventre; una camicia pulita, ben lontana dal ricordare la sua t-shirt, gli avvolge il busto smilzo e spigoloso, lasciando intravedere le macchie bluastre dei lividi sul petto.
- Pensavo che non fossimo arrivati in tempo per salvarti. Dio, credevo che fossi morto!
Ammicca al fianco fasciato e mugugna che sta bene, che non devo preoccuparmi. Vorrei riuscirci, ma mi sento in debito con lui: è come se ne fossi responsabile. Alphy porta il lutto per la scomparsa di Lilith quando non ce la faccio, e io in cambio lo proteggo. Solo questo, nient’altro. Esiste una specie di patto tra noi due.
- La donna che me l'ha medicato ha detto che era un taglio poco profondo.
Mi guardo intorno per assicurarmi che siamo soli: gli uomini che mi hanno condotta fin qui se ne sono andati. Mi alzo le maniche della felpa fin sopra i gomiti per scoprire le fasciature e sapere che cosa ne pensa; dalle braccia passo alle ginocchia e al viso, dove la guancia destra si è sgonfiata. Alphy ha perso gli occhiali, e per osservarmi deve avvicinarsi fin quasi a toccarmi con il naso.
- Qualcuno ha medicato anche me, - annuisco, - ma non sono riuscito a vederlo in faccia.
Lui non sembra sorpreso che gli abbiano risparmiato il casco, visto che è praticamente cieco. Mi chiede di descrivergli il salotto, e all’inizio non so come iniziare. Non sono mai stata gli occhi di qualcun altro: richiede una fiducia che nessuno si è mai preso il rischio di darmi.
Gli parlo della stanza circolare come la descriverei se stessi scrivendo un libro, partendo da lontano: le vetrate sconfinate, le teche di cristallo lungo i muri, piene di strumenti dall’aria costosa e antica; solo in un secondo momento mi avvicino, mettendo a fuoco i particolari: il divano sulla quale siamo poggiati, con le zampe di leone che poggiano sul pavimento di marmo, e una singolare scrivania  al centro della stanza.
- Ha una forma strana, come una mezzaluna dalla superficie liscia.
La maggior parte delle famiglie dalle nostre parti non riesce ad arrivare a fine mese, figuriamoci a mantenere un posto del genere. Sento il portafoglio piangere non appena poso lo sguardo da qualche a parte. Ma non è detto che mi trovi ancora nei dintorni della mia città, visto che il viaggio è durato fino all’alba. Chissà dove siamo.
- Dove siamo capitati, Alphy?
Ho bisogno di una risposta più di quanto non abbia bisogno di dormire e recuperare le energie. Una singola certezza, una sola; è tutto quello che mi serve.
Lui però scuote la testa e si abbandona di nuovo sul divano. Chiude gli occhi dalle ciglia lunghissime.
Lilith lo ha mai visto dormire?
- Non riesco a credere che tutto questo stia succedendo, – sussurro, più a me stessa che a lui. Mi alzo per lasciarlo riposare e giro il salotto in lungo e in largo. Mi fermo su una teca contenente un cannocchiale che ruota, posto su una pedana circolare. Due “G” sono incise sull’anello più stretto dello strumento.
- C’è una sola spiegazione: siamo stati presi di mira dalla Mafia.
Una risata. Ma non è quella di Alphy.
Entrambi ci voltiamo di scatto verso la porta di legno intarsiato. Dove prima non c’era nessuno un giovane uomo si piega in un leggero inchino. Ogni centimetro del mio corpo si elettrizza alla sua vista. Serro i pugni ben stretti per essere pronta ad attaccare, ma lui alza le mani in segno di pace. Raggiunge la scrivania a falce, invitandomi a prendere posto vicino ad Alphy.
Non smetto di tenerlo d’occhio.
- Qualcuno aveva puntato tutto sul fatto che mi avreste aggredito non appena avessi messo piede qui dentro, - sorride. Le sue guance arrossiscono come quelle di un bambino imbarazzato.
- Sono felice di aver vinto questa scommessa.
Sei ancora in tempo per perderla, penso, ma a che scopo? Saltargli addosso sarebbe un tentativo troppo avventato perfino per me. 
- Per farci sparare un colpo in testa?
L’uomo ha l’aria sconsolata, come se si sentisse terribilmente in colpa. Non so che cosa mi aspettassi dai miei sequestratori, ma di certo non questo. Provo a mantenere allerta il buon senso e ad avere paura di lui, ma c’è qualcosa nel modo in cui si muove che lo rende impossibile.
- No, grazie, abbiamo visto abbastanza proiettili per una vita intera.
Per poco ad Alphy non prende un colpo. Lo rassicuro con una buona dose di fatalismo. Potrebbero ucciderci in qualunque momento, se volessero; tanto vale scoprire perché.
- Non vi farei mai del male, - dice l’uomo, e il suo tono è serio, - mai. Quello che è successo ieri sera è stato un errore irreparabile.
Quando rapiscono tua sorella c’è ancora la possibilità che di errore si possa parlare, ma quando fanno per pronunciare il suo nome  puntandoti un coltello alla gola, non c’è alcuna coincidenza che regga.
- Dov’è Lilith?
Alphy non perde tempo. Si muove piano, come se dovesse ridursi in polvere da un momento all’altro, tirandosi su con le braccia. Niente gli impedisce di chiedere di lei, anche se sarebbe stato più logico pretendere delle spiegazioni riguardo l'aggressione. Aveva centinaia di domande a disposizione, e ne ha scelta una sola.
L’uomo - deve essere Seymour - abbassa lo sguardo. Sfiora le venature del legno con un dito e la superficie della scrivania scivola via, lasciando spazio a uno schermo illuminato. Una specie di proiezione dalle numerose interfacce si accende.
È...incredibile, e viene voglia di toccarla. Dicevano che il progresso tecnologico si fosse spezzato come tutto il resto, tre anni fa. Forse con il denaro si può aggiustare ogni cosa.
Seymour accarezza la proiezione, sfogliando i documenti come pagine di un manuale di carta.
- Lilith Crowford, quasi diciassette anni. Sua sorella, non è vero?
Il suo nome mi provoca una fitta acuta al petto. Annuisco. Avevamo ragione a pensare che fosse tutto collegato.
- Lei sa che cosa le è accaduto, non è vero?
- Datemi del tu, per favore. Lo fanno tutti, anche chi non dovrebbe. Il mio nome è Xanders Seymour, piacere di conoscervi.
Ho la sensazione che non ci sia alcun bisogno di presentarsi, quindi non ricambio la cortesia. Seymour fa di tutto per metterci a nostro agio, ma i suoi modi educati non fanno che confondermi.
- Che cosa le avete fatto?
Un sospiro. Xanders è dispiaciuto, ma non sembra preoccuparsi di quello che potrebbe scatenare il rapimento di due sedicenni; o meglio, tre. Le ricerche saranno cominciate da un pezzo e la USD potrebbe già essere sulle nostre tracce. Spero.
- Immagino che mentirvi a questo punto sia del tutto inutile. So che cosa ne è stato di Lilith, - dice.
Ma c’è un ma, naturalmente.
- Ma non ne sono responsabile, come non lo sono le persone che rappresento in questo momento.
Fa una pausa in cui cerco di capire se stia scherzando o no. Se sono sveglia o no. Se posso fidarmi di quello che sentono le mie orecchie oppure no.
Una parte di me viene attratta dalla verità come se fosse il centro stesso della Terra, e vuole disperatamente crederci, per avere la conferma che avevo ragione sull'esistenza di quegli uomini dalle tute bianche. L’altra rifiuta di accettare una realtà tanto assurda.
- Mi sta confermando che mia sorella è viva?
- Certo.
- Che è stata rapita?
- Sì, e che l’attentato alla scuola che frequentavate era solo un pretesto per portarla via.
Qualsiasi cosa Xanders abbia aggiunto, io non la capisco. Per un po’ le parole mi scivolano di dosso come acqua corrente, altrettanto, gelide, sfuggenti. Poi però mi sommergono fino a quando non riesco più a risalire in superficie, e affogo, affogo, affogo in quello che Seymour continua a ripetere.
- Sono morte quarantuno persone, - boccheggio, e quel numero suona proibito.
- Chi rischierebbe tutto questo per sequestrare una ragazza?
- Qualcuno disposto a inscenare una rapina finita male solo per togliervi di mezzo, perché sapete troppo.
Al solo ricordo mi viene la pelle d'oca.
- Voglio dire, perché sconvolgere quello che è rimasto del Mondo per una persona qualunque?

Gli occhi di Xanders, di un azzurro senza macchie, tradiscono un guizzo.
- Non una persona qualunque. 
- Sybil, immagino che se ne sia accorta da tempo, ormai. Lilith è speciale.
Ovviamente. È quello che mi ripetono da sempre. Brillante, di un’intelligenza duttile e superiore; prestante, gentile, geniale. Lilith ha i riflettori di tutti puntati addosso fin dal giorno in cui è nata.
Ma questo che vuol dire?
- Si spieghi meglio.
- Commetterei un crimine se lo facessi.
Gli mostro i palmi graffiati delle mani.
- Scusi? – sbotto, - Non è stato un crimine l’averci quasi ucciso ieri sera, l’averci portati qui?
Non sembra che se ne curi troppo, dopotutto.
Il suo viso giovane, coperto da un accenno di barba rossiccia, si contrae per il dispiacere.
- Vi ho portati qui per proteggervi dalle persone che hanno preso tua sorella, Sybil, e me ne assumo le conseguenze. Ma né io, né i miei affiliati abbiamo infranto la legge.
"Affiliazione" non è un termine che sento dire tutti i giorni.
- Chi siete voi, esattamente?
Mano a mano che il sole si alza la scrivania, come una mezzaluna, riduce il proprio bagliore.
Vengo colpita dall’indecisione nell’espressione di Xanders, come se avesse paura di rivelarci troppo. Questo potrebbe significare che non ha intenzione di farci fuori, a patto di tenerci all’oscuro di qualcosa.
Xanders ci riflette su. Nel frattempo una bambina dai capelli cortissimi ci porta tre tazze di cioccolata speziata nel salotto. 
- Non avevo chiesto di te, Leslie. 
La bambina ci guarda come se fossimo il giocattolo più strambo che abbia mai visto e ridacchia di continuo.
- Ciaaaaaao!
Fa parte di un'organizzazione criminale anche lei? 
- Ciao, - rispondo, e Leslie sembra proprio soddisfatta. Almeno fino a quando Xanders non la caccia dal salotto.
Lo stomaco mi brontola, e sono troppo affamata per pensare che la bevanda calda potrebbe essere avvelenata. Mando giù un sorso, assaporandone il retrogusto esotico. Cannella, pepe nero, zafferano e qualcos'altro che non riesco a riconoscere: è deliziosa.
- Dicevamo, lei è della Mafia? Sa, per le armi da fuoco, le auto blindate, e tutta questa roba costosa.
- No, certo che no! Mettiamola in questo modo: faccio parte di una grande società di uomini a cui sta a cuore il futuro del Pianeta. Una famiglia che ha bisogno di persone capaci, qualcuno come Lilith.
- Scopritori di talenti?
- Qualcosa del genere. Solitamente facciamo in modo che questi talenti nascano nelle nostre cerchie, in modo da poterli preservare senza dover affrontare la USD e il codice della Rottura. Sapete che le organizzazioni private sono state sciolte con la forza, non è vero?
- A parte quelle criminali, - dice Alphy. Ha l’aria attenta, concentrata; si slaccia e riallaccia i polsini della camicia in continuazione.
- Noi non facciamo niente di sbagliato, Signor Fleming. Utilizziamo le nostre abilità a favore del progresso, ecco tutto. Investiamo nelle nuove tecnologie e nella ricerca quasi tutto il denaro di cui disponiamo.
Sposta lo sguardo da me ad Alphy.
- Un momento, - dice lui, - come fate a selezionare le persone speciali fin dalla nascita?
- Sì, - gli faccio eco, - come fate?
A dire il vero non so che cosa stia insinuando, ma sembra essere una questione importante. Xanders non si aspettava di avere a che fare con qualcuno di sveglio, a quanto pare. Si massaggia le tempie e prende un respiro profondo.
- Genetica. Oh, è complicato; è la faccenda più complicata che possiate immaginare. E non avrei dovuto dirvelo.
Non ci lascia prendere la parola.
- Le cose stanno così: sua sorella era troppo preziosa per poterne sprecare le doti, - si affretta a spiegare.
Tossisco fino alle lacrime. Alphy mi batte la schiena con una mano, lamentandosi per il dolore agli arti. Siamo un duo ridicolo.
- Lilith è stata rapita perché troppo intelligente?
Vengo investita da migliaia di moventi orribili per cui potrebbero averla sequestrata. Non voglio che le facciano del male senza prima essermi scusata per aver rotto il suo sismografo.
- Vogliono sezionarle il cervello?
Alphy mi guarda storto. Sul serio?
- No, ma credono di avere il diritto di sfruttarne il potenziale.
Mi sporgo in avanti, sul bordo del divano.
Chi può vantare il diritto di strappare Lilith alla sua famiglia? Tutto questo non ha alcun senso. E in ogni caso rimane l'incognita dell'attentato: non bastava rapirla per strada, e farla sparire nel nulla?
Xanders coglie il restio sul mio viso e si schiarisce la gola.

- Come reagireste se vi confidassi che c’è qualcosa nel DNA di Lilith, che la rende più simile a me che alla sua stessa famiglia?
Come reagirei, vuol sapere.
Io -
Non - 
DNA, cioè -
Faccio per posare la tazza vuota sul vassoio. Le dita mi tremano forte, e non le sento più mie. La tazza cade e si rompe in cocci appiccicosi. Xanders mi rassicura che manderà qualcuno a pulire. Mi chino lo stesso e comincio a raccoglierli.
- Sybil, so che è difficile da credere, - azzarda, ma un pezzo aguzzo di porcellana è finito sotto il divano e non ci arrivo e per prenderlo devo abbassarmi.
C'è una bella macchia, qua sotto.
- Quattordici anni fa scoprimmo che tua sorella era un vero e proprio miracolo, e ne fummo colti alla sprovvista. Il suo fenotipo era infinitamente superiore a quello di un comune essere umano, e non riuscimmo a spiegarcelo: da sempre controlliamo che la nostra specie prosegua secondo discendenze monitorate, così da non perderne nessuno. Nessun bambino.
Il coccio è per metà sotto la scarpa slacciata di Alphy. Mi piego sulle ginocchia e gli spingo il piede. Lui non accenna a muoversi. Gli tiro i lacci delle scarpe e lui è immobile come pietra grezza e io comincio a perdere la pazienza. Come faccio a ripulire tutto se manca quel pezzo e Alphy non si sposta?
- E poi arriva Lilith, spuntando dal nulla. Una gemella eterozigote con il genotipo parzialmente diverso da quello della sorella e con due genitori privi del suo potenziale allelico. I rischi che qualcuno lo scoprisse erano una minaccia troppo grande per poter essere affrontata, e fummo costretti a votare sul da farsi. La maggioranza scelse di farle vivere la propria vita senza obbligarla nelle proprie scelte, ma tutti gli altri lo presero come un affronto. Noi decidemmo di lasciarla libera, all’oscuro di tutto, e di non reclamarla mai. A quanto pare, però, qualcun altro non era disposto a mantenere la promessa.
- Sposta il piede, - dico.
Basta un centimetro.
Alphy non mi considera affatto.
- Alphy, sposta il piede.
- Lei sta dicendo che Lilith non è figlia dei Crowford? - chiede lui.
La porcellana mi apre il polpastrello da parte a parte, in superficie. Il taglio non è profondo, e sembra sbagliato che esca così tanto sangue a sporcare il pavimento. Sbagliato, è tutto molto sbagliato. Mi rialzo piano, con il coccio tra le dita, e guardo Xanders: lo fisso in silenzio, perché sembra un sogno, questo. E nei sogni, per quanto ti sforzi di parlare, la voce si perde sempre.
- Sì, - annuisce, - lo è. Generata per mezzo di una fecondazione assistita. Ed è questo il punto.
Fenotipo, genotipo, potenziale allelico. Specie.
Copro la voce di Alphy, ma non lo faccio apposta. Me ne accorgo a stento.
- "La nostra specie", ha detto. La vostra specie di scopritori di talenti? Di criminali, di cantastorie?
Quale delle tre? O tutte insieme?
Lui mi guarda con infinita tenerezza. Povera piccola, povera stupida. Proprio non ci arriva.
- La nostra specie, - dice solo, e io non capisco che cosa c’entri quella cosa in tutta questa storia. La genetica. 
Prendo Alphy per un braccio e lo costringo ad alzarsi: si lascia tirare come una bambola di pezza.
- Andiamo via, torniamo a casa. Vieni, Alphy.
Ma non so dove siamo, non so come raggiungere casa mia. E non mi lasceranno uscire di qui.
Mi artiglio alla manica della sua camicia e giro sui tacchi.
- Andiamo via, - ripeto lo stesso.
- Ranulph, giusto? Sei un ragazzo intelligente, sai di che cosa sto parlando?
- Eugenetica, - balbetta lui, - ed è contro qualunque principio etico-morale.
Paroloni su paroloni su paroloni su paroloni.
- Dimentica per sempre quel termine. È più di questo, è Evoluzione. Le persone come Lilith non sono speciali per caso, ma per un fattore scientifico e tangibile e...
Xanders fa il giro della scrivania e gli prende le spalle. Sorride proprio come un poppante. A quel punto Alphy si china verso di lui e sussurra.
- Lei è folle. Si faccia curare. Intanto noi andiamo dalla polizia.
Mi segue verso la porta.
- Datemi qualche giorno! Mi occuperò personalmente di rassicurare le vostre famiglie, a patto che rimaniate qui e che mi diate l’opportunità di spiegare. Posso dimostrarvi che tutto questo è reale, e posso riportare indietro Lilith. A voi chiedo solo del tempo!
Gocce pesanti cadono dalla punta delle mie dita, scandendo i secondi. Mancano pochi passi. Dieci, nove. Quanti prima che ci rimettano le manette?
- Dovete solo avere fiducia!
Devo avere fiducia. Questo è stato il mio credo per le ultime 52 settimane, ed ecco fin dove mi ha portato.
- Come posso fidarmi di lei, dopo quello che è successo? La sua combriccola ha rapito mia sorella!
- No, non la fazione a cui ho giurato fedeltà! La Rottura ha cambiato tutto: c’è stato uno spaccamento definitivo nella nostra comunità,  e molti di Noi hanno deciso di agire per degli ideali discutibili. Sono gli stessi che quattordici anni fa votarono contro la decisione di lasciar vivere la propria vita a Lilith.
Troppe informazioni, tutte insieme. E io sono così stanca, confusa, e il dito mi pulsa senza sosta. Quando realizzo il significato delle parole di Xanders l’ultimo residuo di energia che mi tiene in piedi rischia di spegnersi. Barcollo.
- Quindi non sa come riportarla indietro, - dico, e anche Alphy si riscuote.
- Lei ci ha portati qui con la forza e ci ha raccontato tutto questo, ma in verità non c'è niente che possa fare. Se Lilith è in mano ai suoi nemici, o quello che è, - taglio corto il suo tentativo di correggermi. Non mi interessa. So che cosa vuole dire: non sono dei nemici, non proprio.
- Non può fare niente per lei.
- Sì che posso. Possiamo, è un dovere della mia fazione. C’è solo bisogno di tempo per chiarire la questione.
- La questione è semplice, - sbotta Alphy. Improvvisamente i suoi lineamenti si deformano in una maschera di rabbia che non gli si addice.
- Avete detto che secondo la vostra legge, nessuno avrebbe dovuto torcerle un solo capello, figuriamoci far saltare in aria quarantuno persone innocenti. Tutto il Mondo ne parla. Non potete, che ne so, sporgere denuncia?
Xanders si rassegna. Socchiude gli occhi limpidi e non trova più il coraggio di guardarmi.
- Tutto quello che possiamo denunciare per ottenere un risultato è l’aggressione ingiustificata ai vostri danni, niente di più.
Che significa? E il rapimento, l’esplosione? Tutti quei feretri calati nella terra?
- L’unico motivo per cui i nostri oppositori possono aver agito in maniera tanto drastica, è perché sapevano che la legge, per quanto dura, non li avrebbe puniti. Sono sicuri che non ci siano prove tangibili per dimostrare che da mesi comunicavano con Lilith, nonostante il divieto che era stato loro imposto. Posso solo immaginare cosa le abbiano inculcato in testa.
- Ciò che gli mancava, - continua, - era un modo di portare tua sorella dalla loro parte, e così è stata lei a trovarne uno. Di certo sarà questa la loro difesa. Ufficialmente loro l'hanno solo salvata da un tentativo di...suicidio. 
- Questa era l'unica parte del patto che ci permetteva di reclamarla. Se Lilith è in pericolo di vita, è nostro dovere proteggerla.
Alphy comincia a scuotere forte la testa. No, balbetta, no, no. Capisce prima di me, come sempre.
- Dica quello che deve dire una volta per tutte.
Xanders lo fa.
E io non dovrei piangere, perché è quello che ho sempre voluto, non è vero? Che Lilith fosse cattiva, per riuscire ad odiarla senza sensi di colpa, né invidia, né rimorsi. E allora da dove piovono queste lacrime di vergogna?
- Abbiamo ragione di credere che in quanto minorenne, e non perseguibile penalmente, sia stata Lilith a organizzare l’attentato. Lei ha fatto esplodere quella bomba, perché sapeva come riuscirci. Era sicura che se avesse finto di volersi togliere la vita qualcuno l'avrebbe portata al sicuro. 
- Sybil, l'ordigno che ha distrutto la scuola è stato costruito da sua sorella.
All’improvviso questa stanza diventa insopportabilmente stretta. E io non riesco a reggere più di quelle quarantuno famiglie distrutte per sempre. Raggiungo la porta troppo in fretta, e la spalanco con troppa violenza, e spero solo di trovare qualcuno, qui fuori, che mi dica che non è vero. Che sono davvero pazza, dopotutto.
E invece non riesco a fare due passi oltre la soglia che lui mi afferra la felpa per trattenermi. È sempre stato qui dietro, a origliare. A spiare nel buco della serratura con quei suoi occhi verdi. Gli tiro uno schiaffo, ma blocca il mio gancio destro e mi inchioda contro il muro.
Reichenbach.
Lo odio.
Lo odio come odio mia sorella.
E ho abbastanza epinefrina, adesso, da stringere il pezzo aguzzo di porcellana e squarciargli il braccio che mi tiene ferma.
Lui mi disarma per la seconda volta in poche ore, ma non è abbastanza rapido. Del sangue comincia a sgorgare dalla carne viva, correndo giù per il polso.
Reichenbach si soffia una ciocca bionda dalla faccia, furioso. All'inizio tutto in lui mi distrae, e quasi non me ne accorgo. Quando
torno ad osservare la ferita - l'ho fatta io sono stata io sono capace di fare del male alle persone - il mio cuore salta un battito. Il taglio si rimargina come se a chiuderlo ci fosse una cerniera. La pelle si ricuce, il sangue smette di uscirne fuori, e mentre il mio polpastrello ancora piange rosso, la sua cicatrice comincia a sbiadire.
Lui liquida tutto come se fosse perfettamente normale, ma si arrabbia più di prima. 
- Tu, - ringhia, rivolto a Xanders, - tu sei un povero idiota.
- E Tu.
Afferra la medaglietta che ho appesa al collo da quando sono piccola ed emette una risata sarcastica alla vista della piccola scritta che vi è incisa sopra.
Frei. Liberi.
- Tu non vai più da nessuna parte, creaturina.


Angoletto:  aggiorno così tardi perché ho vissuto l'intero mese di Agosto a Londra, e a mia discolpa dico che questo capitolo è stato il più difficile da buttare giù. Negli YA le rivelazioni centrali della trama vengono fatte tutte in una volta, ma a me sembra sempre poco realistico, quindi ho deciso di introdurre le mie un po' per volta. Se non capite tutto adesso non temete, ma sentitevi liberissimi di fare domande. Non ci sono note particolari, solo una: "frei" è una parola tedesca. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che abbiate voglia di lasciare un commento (positivo o negativo). Vi assicuro che la voce del lettore sprona tantissimo! Ringrazio di cuore le 54 persone che mi hanno inserito tra gli autori preferiti, e mando un bacio a chi passerà di qui. 
Forse non vi ho mai segnalato il "fic-trailer" della storia; in caso eccolo qui.


   
 
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