Epinefrina: anche conosciuta come adrenalina; si tratta di un neurotrasmettitore coinvolto nelle reazioni di "fight or flight", "combatti o scappa". I suoi effetti sono riscontrabili nei momenti di intensa attività fisica, soprattutto in caso di scontro violento o di fuga.
CAPITOLO 5.
Tiro
una spallata contro la portiera del furgone.
Quanti traumi
deve superare il mio corpo prima di sviluppare una resistenza
sufficiente al
dolore? Continuo a sperare che succeda. Mi ripeto che la prossima
spinta
non farà così male, che posso sopportarla, ma
più provo a liberarmi,
più i colpi mi tolgono il respiro.
Il viaggio non finisce mai. Scalcio, tormentando i cilindri cavi delle
manette fino a quando l'agitazione febbrile che mi tiene vigile
non comincia a cedere alla stanchezza. Quando la rassegnazione prende
il
sopravvento, mi abbandono contro
il sedile e reclino la testa all’indietro.
All'inizio nessuno dei miei sequestratori dice una parola. Regna un
silenzio da
far accapponare la pelle, qui dentro.
Il sangue raggrumato mi fa prudere le labbra, ma il
casco mi impedisce di grattarmi la faccia, così penso fitto
per distrarmi, passare
il tempo, tenere a bada il panico. Rievoco quello che è
successo e scrivo
centinaia di possibili trame su quello che sta per accadere: provo a
immaginare che cosa mi faranno, perché
mi hanno aggredita e dove mi stanno portando.
Chi sono? Chi è il ragazzo dagli occhi verdi
che mi ha sollevato di
peso e chiuso nel furgone? A lui non
riesco a smettere di pensare. È seduto al mio fianco - con
la chiave delle
manette nascosta nelle tasche, probabilmente -, ma faccio attenzione a
non toccarlo.
- Qualcuno è a corto di C9H13NO3,
mi pare.
La sua è la prima voce che sento dopo ore intere di viaggio.
Non capisco
di cosa stia parlando, comunque. Le ferite sulle braccia strepitano,
coprendo la sua risata sprezzante per un po’. È
controllata: né
eccessiva, né forzata, come se si fosse esercitato a lungo
per
migliorarla.
- Epinefrina, se te lo stai
chiedendo, - aggiunge, - sebbene ne dubiti fortemente.
Parla con me? Dal momento in cui non posso rispondere, né ho
la minima
idea del significato delle sue parole, rimango zitta e ascolto. Non so
se a
sconvolgermi di più sia il suo tono scocciato o il fatto
che non possa avere più di diciotto anni. Un criminale precoce, il
ragazzo.
- Adrenalina, - sbotta, - ti suggerisce niente?
Lo ignoro. Fa strani discorsi per essere un rapitore.
Mi volto verso il finestrino per non dargliela vinta, nonostante il
casco mi
impedisca di vedere quello che c’è fuori. Lui
sospira con freddezza. Dopo il
nostro breve scambio – a dire il vero il ragazzo ha fatto
tutto da solo – il
tempo scorre con una lentezza ostinata. Mi rassegno a uno stato di
torpore che
rifiuta perfino la paura: ho le gambe rigide, pesanti, tradite dalla
circolazione, e i polsi gonfi che premono contro le manette.
Di tanto in tanto il ragazzo discute con i sequestratori seduti sui
sedili anteriori, ma non fa che confondermi le idee, quindi smetto di
farci caso. Almeno fino a quando non bisbiglia un ordine secco.
- Porta la velocità a 230 chilometri orari, sono stufo di
stare qui
dentro.
Istintivamente mi allontano dallo sportello del furgone. 230 cosa? Pensavo
fossimo su un’autovettura qualunque, non su un treno
superveloce. Se fosse vero e la portiera si aprisse per errore,
precipiterei
fuori e... Scaccio l'immagine per non vomitare.
Drizzo le orecchie: forse il casco attutisce i rumori, ma non
c’è alcun
suono che tradisca lo sfrecciare del furgone. Mi convinco di aver
capito male:
nessuna strada consente di marciare a una velocità del
genere, comunque.
- Jian dice che il ragazzo ha bisogno di cure. Sbrigatevi.
Alphy.
Il
migliore amico di mia sorella, da qualche parte in un altro furgone,
è in
pericolo di vita. Provo a sbirciare sotto la visiera del casco per
capire dove
siamo diretti, ma non c'è verso di riuscirci.
Mi viene un’idea.
Mi piego in avanti con il petto sulle ginocchia, e tossisco forte. Ho
la
bocca incollata dal casco e solo il naso libero, ma questo è
un punto a mio
vantaggio: dal rantolo che produce la mia gola sembra che stia per
soffocare.
Uno degli uomini sul sedile anteriore pare allarmato.
- C’è qualcosa che non va. Apra il casco fin sotto
gli occhi, per favore.
No, toglietemelo tutto,
toglietemi questa roba di dosso.
Il rifiuto del ragazzo è categorico.
- Sta solo bluffando. Il casco viene continuamente rifornito
d’ossigeno,
non c’è niente che possa andare storto.
Simulo un tremito e cerco di avvicinarmi le mani al collo. Nelle recite
scolastiche mi relegavano sempre sullo sfondo. Non sono mai stata una
brava attrice.
- Seymour ci ha dato delle precise direttive!
Colgo un movimento: l’uomo si stende oltre il
sedile e mi sfiora il retro della nuca con due dita, disegnando
qualcosa di
imprecisato sul casco. La visiera si alza di scatto, fino a
metà del naso.
Prendo un respiro profondo. Cominciavo a sentirmi in trappola.
- Stai bene, ragazzina?
- No, devo andare in bagno.
Lascio ricadere le braccia, delusa. Sono ancora cieca.
- Devo andare in bagno e voglio sapere che diavolo sta succedendo e che
ne è stato di Alphy.
Mi faranno del male per il brutto scherzo che gli ho tirato? Se
avessero voluto uccidermi avrebbero lasciato che quella donna mi
tagliasse
la gola, giusto?
- Posso chiudere il casco, adesso che avete avuto prova della
vostra stupidità?
- Comincia con il chiudere quella
maledetta bocca.
Lo bisbiglio a voce così bassa che io
stessa faccio fatica a sentirmi parlare, eppure una
canna cilindrica e fredda
mi preme sulle labbra prima ancora che abbia finito la frase,
mandandomi un
brivido lungo la schiena. C’è lo scocco appena
percettibile di una sicura che
viene rimossa. Sembra quella di una pistola.
- Fossi in te, rimarrei a cuccia.
Il respiro del ragazzo è sulla
mia guancia, a pizzicarmi la pelle. Gli altri sequestratori non osano
fiatare: il ragazzo è un pezzo grosso, molto più
grosso
di loro.
Mi costringo ad ubbidire. Accetto di rimanere in silenzio,
a patto che il casco resti semi-alzato.
Dopo un po’ il guidatore annuncia che
siamo quasi arrivati e il furgone prosegue su una lunga salita; quando
si ferma del tutto il ragazzo si tende sopra di me per aprire il
finestrino e cacciare fuori un braccio. Rimango
perfettamente immobile.
- Accesso consentito. Bentornato, Signor Reichenbach.
Il pavimento sotto le ruote si alza. Su, sempre più su, per
secondi
interminabili. Che posto è questo?
Per quanto la preghi di continuare a
muoversi, di non consegnarmi a quello che mi aspetta senza reagire, la
pedana
si ferma.
- Datele da bere, medicatela e fatele
trovare un bagno, ma non azzardatevi a toglierle il casco
nei corridoi.
Il tono del ragazzo non ammette discussioni.
- Seymour riceverà la creaturina tra un’ora
esatta: è una vostra
responsabilità, adesso.
Un passo leggero si allontana dal furgone, ma non riesco a distinguere
la
direzione verso cui si dirige. Due persone mi alzano dal sedile e mi
guidano
nel buio senza commentare: nessuno di loro è il ragazzo
dagli occhi verdi. Non
riesco a spiegarmi come sia possibile, ma so che riconoscerei il suo
tocco tra mille.
Reichenbach.
Il principe.
Se non mi uccidono prima, farò bene a ricordarmi il suo
sguardo di giada,
la pressione delle sue mani, il modo in cui tiene il mento leggermente
alzato in una posa fiera.
La prossima volta terrò più stretto quel
coltello.
***
La
prima cosa che vedo quando mi tolgono il casco è una fila di
alte vetrate sulla parete di un vecchio salotto. I
miei occhi, finora costretti al buio, rifuggono i raggi del sole che
rinasce:
combatto per tenere alzate le palpebre, e dopo un po’ riesco
ad
aprirle del tutto. La luce inonda la stanza di un colore acceso, rosso
vivo.
L’alba. La rincorsa della mattina sulle
ore della notte, la conquista di un altro giorno. Credevo che
non l'avrei più rivista, e invece mi ritrovo a sorridere
impercettibilmente. Sono qui, e respiro ancora.
- Sybil?
E anche lui respira. Così debolmente che non mi ero
accorta della sua presenza, ma respira. Mi
precipito da Alphy, lasciandomi cadere in ginocchio vicino al divano su
cui è
steso: le sue mani sottili e un po' sudaticce sono incrociate sopra il
ventre; una
camicia pulita, ben lontana dal ricordare la sua t-shirt, gli avvolge
il busto smilzo e spigoloso, lasciando intravedere le macchie
bluastre dei lividi sul petto.
- Pensavo che non fossimo arrivati in tempo per
salvarti. Dio, credevo che fossi morto!
Ammicca al fianco fasciato e mugugna che sta bene, che
non devo preoccuparmi. Vorrei riuscirci, ma mi sento in debito con lui:
è come
se ne fossi responsabile. Alphy porta il lutto per la scomparsa di
Lilith
quando non ce la faccio, e io in cambio lo proteggo. Solo questo,
nient’altro. Esiste una specie di patto tra noi due.
- La donna che me l'ha medicato ha detto che era un
taglio poco profondo.
Mi guardo intorno per assicurarmi che siamo soli:
gli uomini che mi hanno condotta fin qui se ne sono andati. Mi alzo le
maniche della felpa fin sopra i gomiti
per scoprire le fasciature e sapere che cosa ne pensa; dalle
braccia passo
alle ginocchia e al viso, dove la guancia destra si è
sgonfiata.
Alphy ha
perso gli occhiali, e per osservarmi deve avvicinarsi fin quasi a
toccarmi con il naso.
- Qualcuno ha medicato anche me, - annuisco, - ma non sono
riuscito a vederlo in faccia.
Lui non sembra sorpreso che gli abbiano risparmiato il
casco, visto che è praticamente cieco. Mi chiede di
descrivergli il salotto, e
all’inizio non so come iniziare. Non sono mai stata gli occhi
di qualcun altro:
richiede una fiducia che nessuno si è mai preso il rischio
di darmi.
Gli parlo della stanza circolare come la descriverei se stessi
scrivendo
un libro, partendo da lontano: le vetrate sconfinate, le teche di
cristallo
lungo i muri, piene di strumenti dall’aria costosa e antica;
solo
in un secondo momento mi avvicino,
mettendo a fuoco i particolari: il divano sulla quale siamo poggiati,
con le
zampe di leone che poggiano sul pavimento di marmo, e una singolare
scrivania al centro della stanza.
- Ha una forma strana, come una mezzaluna dalla
superficie liscia.
La maggior parte delle famiglie dalle nostre parti non
riesce ad arrivare a fine mese, figuriamoci a mantenere un posto del
genere.
Sento il portafoglio piangere non appena poso lo sguardo da qualche a
parte.
Ma non è detto che mi trovi ancora nei dintorni della mia
città, visto che il viaggio è durato fino
all’alba. Chissà dove siamo.
- Dove siamo capitati, Alphy?
Ho bisogno di una risposta più di quanto
non abbia bisogno di dormire e recuperare le energie. Una
singola certezza, una sola; è tutto quello che mi serve.
Lui però scuote la testa e si abbandona di nuovo sul divano.
Chiude gli
occhi dalle ciglia lunghissime.
Lilith lo ha mai visto
dormire?
- Non riesco a credere che tutto questo stia succedendo, –
sussurro, più a me stessa che a lui. Mi alzo per lasciarlo
riposare e giro il
salotto in lungo e in largo. Mi fermo su una teca
contenente un cannocchiale che ruota, posto su una pedana circolare.
Due “G”
sono incise sull’anello più
stretto dello strumento.
- C’è una sola spiegazione: siamo stati presi di
mira dalla Mafia.
Una risata. Ma non è quella di Alphy.
Entrambi ci voltiamo di scatto verso la porta di legno
intarsiato. Dove prima non c’era nessuno un giovane uomo si
piega in un
leggero inchino. Ogni centimetro del mio corpo si elettrizza alla
sua vista. Serro i pugni ben stretti per essere pronta ad attaccare, ma
lui alza le mani in
segno di pace. Raggiunge la scrivania a falce, invitandomi a prendere
posto
vicino ad Alphy.
Non smetto di tenerlo d’occhio.
- Qualcuno aveva puntato tutto sul fatto che mi
avreste aggredito non appena avessi messo piede qui dentro, - sorride.
Le sue
guance arrossiscono come quelle di un bambino imbarazzato.
- Sono felice di aver vinto questa scommessa.
Sei ancora in tempo per perderla, penso, ma a che
scopo? Saltargli addosso sarebbe un tentativo troppo avventato perfino
per me.
- Per farci sparare un colpo in testa?
L’uomo ha l’aria sconsolata, come se si sentisse
terribilmente in colpa. Non so che cosa mi aspettassi dai miei
sequestratori,
ma di certo non questo.
Provo a mantenere allerta il buon senso e ad avere paura
di lui, ma c’è qualcosa nel modo in cui si muove
che lo rende impossibile.
- No, grazie, abbiamo visto abbastanza proiettili per
una vita intera.
Per poco ad Alphy non prende un colpo. Lo rassicuro con una buona dose
di fatalismo. Potrebbero ucciderci in qualunque momento, se volessero;
tanto
vale scoprire perché.
- Non vi farei mai del male, - dice l’uomo, e il suo tono
è serio, - mai.
Quello che è successo
ieri sera è stato un errore irreparabile.
Quando rapiscono tua sorella c’è ancora la
possibilità che di errore si possa parlare, ma
quando fanno
per pronunciare il suo nome puntandoti un coltello alla gola,
non
c’è alcuna coincidenza che regga.
- Dov’è Lilith?
Alphy non perde tempo. Si muove piano, come se dovesse
ridursi in polvere da un momento all’altro, tirandosi su con
le
braccia. Niente
gli impedisce di chiedere di lei, anche se sarebbe stato più
logico pretendere delle spiegazioni riguardo l'aggressione. Aveva
centinaia di domande a disposizione, e ne ha scelta una sola.
L’uomo - deve essere Seymour - abbassa lo sguardo. Sfiora
le venature del legno con un dito e la superficie della scrivania
scivola via,
lasciando spazio a uno schermo illuminato. Una specie di proiezione
dalle
numerose interfacce si accende.
È...incredibile,
e viene voglia di toccarla. Dicevano che il progresso tecnologico si
fosse spezzato
come tutto il resto, tre
anni fa. Forse con il denaro si può aggiustare ogni cosa.
Seymour accarezza la proiezione, sfogliando i documenti
come pagine di un manuale di carta.
- Lilith Crowford, quasi diciassette anni. Sua
sorella, non è vero?
Il suo nome mi provoca una fitta acuta al petto.
Annuisco. Avevamo ragione a pensare che fosse tutto collegato.
- Lei sa che cosa le è accaduto, non è vero?
- Datemi del tu, per favore. Lo fanno tutti, anche chi
non dovrebbe. Il mio nome è Xanders Seymour, piacere di
conoscervi.
Ho la sensazione che non ci sia alcun bisogno di
presentarsi, quindi non ricambio la cortesia. Seymour fa di tutto per
metterci a nostro agio, ma i suoi modi educati non fanno che
confondermi.
- Che cosa le avete fatto?
Un sospiro. Xanders è dispiaciuto, ma non sembra
preoccuparsi di quello che potrebbe scatenare il rapimento di due
sedicenni; o
meglio, tre.
Le ricerche saranno cominciate da un pezzo e la USD potrebbe
già
essere sulle nostre tracce. Spero.
- Immagino che mentirvi a questo punto sia del tutto
inutile. So che cosa ne è stato di Lilith, - dice.
Ma c’è un ma, naturalmente.
- Ma non
ne sono responsabile, come non lo sono le
persone che rappresento in questo momento.
Fa una pausa in cui cerco di capire se stia scherzando
o no. Se sono sveglia o no. Se posso fidarmi di quello che sentono le
mie
orecchie oppure no.
Una parte di me viene attratta dalla verità come se fosse il
centro stesso della Terra, e vuole disperatamente crederci, per avere
la conferma che avevo
ragione sull'esistenza di quegli uomini dalle tute bianche.
L’altra rifiuta di accettare una realtà tanto
assurda.
- Mi sta confermando che mia sorella è viva?
- Certo.
- Che è stata rapita?
- Sì, e che l’attentato alla scuola che
frequentavate era solo un pretesto per portarla via.
Qualsiasi cosa Xanders abbia aggiunto, io non la
capisco. Per un po’ le parole mi scivolano di dosso come
acqua corrente,
altrettanto, gelide, sfuggenti. Poi però mi sommergono fino
a quando non riesco più a
risalire in superficie, e affogo, affogo, affogo in quello che Seymour
continua a ripetere.
- Sono morte quarantuno persone, - boccheggio, e quel
numero suona proibito.
- Chi rischierebbe tutto questo per sequestrare una ragazza?
- Qualcuno disposto a inscenare una rapina finita male solo per
togliervi di mezzo, perché sapete troppo.
Al solo ricordo mi viene la pelle d'oca.
- Voglio dire, perché sconvolgere quello che è
rimasto del Mondo per una persona
qualunque?
Gli occhi di Xanders, di un azzurro senza macchie,
tradiscono un guizzo.
- Non una persona qualunque.
- Sybil, immagino che se ne sia accorta da tempo, ormai. Lilith
è speciale.
Ovviamente.
È quello che mi ripetono da sempre.
Brillante, di un’intelligenza duttile e superiore; prestante,
gentile, geniale.
Lilith ha i riflettori di tutti puntati addosso fin dal giorno in cui
è nata.
Ma questo che vuol dire?
- Si spieghi meglio.
- Commetterei un crimine se lo facessi.
Gli mostro i palmi graffiati delle mani.
- Scusi? – sbotto, - Non è stato un crimine
l’averci
quasi ucciso ieri sera, l’averci portati qui?
Non sembra che se ne curi troppo, dopotutto.
Il suo viso giovane, coperto da un accenno di barba
rossiccia, si contrae per il dispiacere.
- Vi ho portati qui per proteggervi dalle persone
che hanno preso tua sorella, Sybil, e me ne assumo le conseguenze. Ma
né io, né i miei affiliati abbiamo infranto la
legge.
"Affiliazione" non è un termine che sento dire
tutti i giorni.
- Chi siete voi,
esattamente?
Mano a mano che il sole si alza la scrivania, come
una mezzaluna, riduce il proprio bagliore.
Vengo colpita
dall’indecisione
nell’espressione di Xanders, come se avesse paura di
rivelarci troppo.
Questo
potrebbe significare che non ha intenzione di farci fuori, a patto di
tenerci all’oscuro di
qualcosa.
Xanders ci riflette su. Nel frattempo una bambina dai capelli
cortissimi ci porta tre tazze di cioccolata speziata nel
salotto.
- Non avevo chiesto di te, Leslie.
La bambina ci guarda come se fossimo il giocattolo più
strambo che abbia mai visto e ridacchia di continuo.
- Ciaaaaaao!
Fa parte di un'organizzazione criminale anche
lei?
- Ciao, - rispondo, e Leslie sembra proprio soddisfatta. Almeno fino a
quando Xanders non la caccia dal salotto.
Lo stomaco mi brontola, e sono troppo affamata per pensare che la
bevanda calda potrebbe essere avvelenata. Mando giù un
sorso,
assaporandone il retrogusto esotico. Cannella, pepe nero, zafferano e
qualcos'altro che non riesco a riconoscere:
è deliziosa.
- Dicevamo, lei è della Mafia? Sa, per le armi da fuoco, le
auto blindate, e tutta questa roba costosa.
- No, certo che no! Mettiamola in questo modo: faccio parte di una
grande società
di uomini a cui sta a cuore il futuro del Pianeta. Una famiglia che ha
bisogno
di persone capaci, qualcuno come Lilith.
- Scopritori di talenti?
- Qualcosa del genere. Solitamente facciamo in modo
che questi talenti nascano nelle nostre cerchie, in modo da poterli
preservare
senza dover affrontare la USD e il codice della Rottura. Sapete che le
organizzazioni private sono state sciolte con la forza, non
è vero?
- A parte quelle criminali, - dice Alphy. Ha l’aria
attenta, concentrata; si slaccia e riallaccia i polsini della camicia
in continuazione.
- Noi non facciamo niente di sbagliato, Signor
Fleming. Utilizziamo le nostre abilità a favore del
progresso,
ecco tutto. Investiamo nelle nuove tecnologie e nella ricerca quasi
tutto il denaro di cui disponiamo.
Sposta lo sguardo da me ad Alphy.
- Un momento, - dice lui, - come fate a selezionare le persone
speciali fin dalla nascita?
- Sì, - gli faccio eco, - come fate?
A dire il vero non so che cosa stia insinuando, ma sembra
essere una questione importante. Xanders non si aspettava di avere a
che fare con qualcuno di sveglio, a quanto pare. Si massaggia le tempie
e
prende un respiro profondo.
- Genetica.
Oh, è complicato; è la faccenda più
complicata che possiate immaginare. E non avrei dovuto dirvelo.
Non ci lascia prendere la parola.
- Le cose stanno così: sua sorella era troppo preziosa per
poterne sprecare le doti, - si affretta a spiegare.
Tossisco fino alle lacrime. Alphy mi
batte la schiena con una mano, lamentandosi per il dolore agli arti.
Siamo un
duo ridicolo.
- Lilith è stata rapita perché troppo
intelligente?
Vengo investita da migliaia di moventi orribili per cui potrebbero
averla
sequestrata. Non voglio che le facciano del male senza prima
essermi scusata per aver rotto il suo sismografo.
- Vogliono sezionarle il cervello?
Alphy mi guarda storto. Sul
serio?
- No, ma credono di avere il diritto di sfruttarne il potenziale.
Mi sporgo in avanti, sul bordo del
divano.
Chi può vantare il diritto di strappare Lilith alla sua
famiglia? Tutto
questo non ha alcun senso. E in ogni caso rimane l'incognita
dell'attentato: non bastava rapirla per strada, e farla sparire nel
nulla?
Xanders coglie il restio sul mio viso e si
schiarisce la gola.
- Come reagireste se vi confidassi che
c’è qualcosa nel DNA di Lilith, che la
rende più simile a me
che alla sua
stessa famiglia?
Come reagirei, vuol sapere.
Io -
Non -
DNA, cioè -
Faccio per posare la tazza vuota sul vassoio. Le dita mi tremano forte,
e
non le sento più mie. La tazza cade e si rompe in cocci
appiccicosi.
Xanders mi rassicura che manderà
qualcuno a pulire.
Mi chino lo stesso e comincio a raccoglierli.
- Sybil, so che è difficile da credere, - azzarda, ma un
pezzo aguzzo di
porcellana è finito sotto il divano e non ci arrivo e per
prenderlo devo abbassarmi.
C'è una bella macchia, qua sotto.
- Quattordici anni fa scoprimmo che tua sorella era un vero e proprio
miracolo, e
ne fummo colti alla sprovvista. Il suo fenotipo era
infinitamente
superiore a quello di un comune essere umano, e non riuscimmo a
spiegarcelo:
da sempre controlliamo che la nostra specie prosegua
secondo discendenze
monitorate, così da non perderne nessuno. Nessun bambino.
Il coccio è per metà sotto la scarpa slacciata di
Alphy. Mi piego sulle
ginocchia e gli spingo il piede. Lui non accenna a muoversi. Gli tiro i
lacci
delle scarpe e lui è immobile come pietra grezza e io
comincio a perdere la
pazienza. Come faccio a ripulire tutto se manca quel pezzo e Alphy non
si
sposta?
- E poi arriva Lilith, spuntando dal nulla. Una gemella eterozigote con
il
genotipo parzialmente diverso da quello della sorella e con due
genitori privi del suo potenziale allelico. I rischi che
qualcuno lo scoprisse
erano una
minaccia troppo grande per poter essere affrontata, e fummo costretti a
votare
sul da farsi. La maggioranza scelse di farle vivere la propria vita
senza
obbligarla nelle proprie scelte, ma tutti gli altri lo presero come un
affronto. Noi decidemmo di lasciarla libera, all’oscuro di
tutto,
e di non reclamarla mai. A quanto pare, però, qualcun altro
non era disposto a mantenere la promessa.
- Sposta il piede, - dico.
Basta un centimetro.
Alphy non mi considera affatto.
- Alphy, sposta il piede.
- Lei sta dicendo che Lilith non è figlia dei Crowford? -
chiede lui.
La porcellana mi apre il polpastrello da parte a parte, in superficie.
Il
taglio non è profondo, e sembra sbagliato che esca
così
tanto sangue a sporcare il pavimento. Sbagliato, è tutto
molto
sbagliato. Mi rialzo piano, con il coccio tra le dita, e
guardo Xanders: lo fisso in silenzio, perché sembra un
sogno,
questo. E nei
sogni, per quanto ti sforzi di parlare, la voce si perde sempre.
- Sì, - annuisce, - lo è. Generata per mezzo di
una
fecondazione assistita. Ed è questo il punto.
Fenotipo, genotipo, potenziale allelico. Specie.
Copro la voce di Alphy, ma non lo faccio apposta. Me ne accorgo a
stento.
- "La nostra specie", ha
detto. La vostra specie di scopritori di talenti? Di criminali, di
cantastorie?
Quale delle tre? O tutte insieme?
Lui mi guarda con infinita tenerezza. Povera piccola, povera stupida.
Proprio non ci arriva.
- La nostra specie, - dice solo, e io non capisco che cosa
c’entri quella
cosa in tutta questa storia. La genetica.
Prendo Alphy per un braccio e lo costringo ad alzarsi: si lascia tirare
come una bambola di pezza.
- Andiamo via, torniamo a casa. Vieni, Alphy.
Ma non so dove siamo, non so come raggiungere casa mia. E non mi
lasceranno uscire di qui.
Mi artiglio alla manica della sua camicia e giro sui tacchi.
- Andiamo via, - ripeto lo stesso.
- Ranulph, giusto? Sei un ragazzo intelligente, sai di che cosa sto
parlando?
- Eugenetica, - balbetta lui, - ed è contro qualunque
principio etico-morale.
Paroloni su paroloni su
paroloni su paroloni.
- Dimentica per sempre quel termine. È più di
questo, è Evoluzione. Le persone come Lilith non
sono speciali per caso, ma per un fattore scientifico e tangibile e...
Xanders fa il giro della scrivania e
gli prende le spalle. Sorride proprio come un poppante. A quel punto
Alphy si china verso di lui e sussurra.
- Lei è folle. Si faccia curare. Intanto noi andiamo dalla
polizia.
Mi segue verso la porta.
- Datemi qualche giorno! Mi occuperò personalmente di
rassicurare le
vostre famiglie, a patto che rimaniate qui e che mi diate
l’opportunità di
spiegare. Posso dimostrarvi che tutto questo è reale, e
posso riportare
indietro Lilith. A voi chiedo solo del tempo!
Gocce pesanti cadono dalla punta delle mie dita, scandendo i secondi.
Mancano pochi passi. Dieci, nove. Quanti prima che ci rimettano
le manette?
- Dovete solo avere fiducia!
Devo avere fiducia. Questo
è stato il mio credo per le ultime 52 settimane, ed ecco fin
dove mi ha portato.
- Come posso fidarmi di lei, dopo quello che è successo? La
sua combriccola ha rapito mia sorella!
- No, non la fazione a cui ho giurato fedeltà! La Rottura ha
cambiato
tutto: c’è stato uno spaccamento definitivo nella
nostra comunità, e molti di Noi hanno
deciso di agire per degli ideali discutibili. Sono gli stessi che
quattordici anni fa votarono contro la decisione di lasciar vivere la
propria vita a Lilith.
Troppe informazioni, tutte insieme. E io sono così stanca,
confusa, e il
dito mi pulsa senza sosta. Quando realizzo il significato delle parole
di
Xanders l’ultimo residuo di energia che mi tiene in piedi
rischia di spegnersi. Barcollo.
- Quindi non sa come riportarla indietro, - dico, e anche Alphy si
riscuote.
- Lei ci ha portati qui con la forza e ci ha raccontato tutto questo,
ma in verità
non c'è niente che possa fare. Se Lilith è in
mano ai
suoi nemici, o quello che è, - taglio corto il suo tentativo
di correggermi. Non mi interessa. So che cosa vuole dire: non sono dei
nemici, non proprio.
- Non può fare niente per lei.
- Sì che posso. Possiamo, è un dovere della mia
fazione. C’è solo bisogno
di tempo per chiarire la questione.
- La questione è semplice, - sbotta Alphy.
Improvvisamente i suoi
lineamenti si deformano in una maschera di rabbia che non gli si addice.
- Avete detto che secondo la vostra legge, nessuno avrebbe dovuto
torcerle
un solo capello, figuriamoci far saltare in aria quarantuno persone
innocenti. Tutto il Mondo ne parla. Non
potete, che ne so, sporgere denuncia?
Xanders si rassegna. Socchiude gli occhi limpidi e non trova
più il coraggio di guardarmi.
- Tutto quello che possiamo denunciare per ottenere un risultato
è l’aggressione ingiustificata ai
vostri danni, niente di più.
Che significa? E il rapimento, l’esplosione? Tutti quei
feretri calati nella
terra?
- L’unico motivo per cui i nostri oppositori
possono aver agito
in
maniera tanto drastica, è perché sapevano che la
legge,
per quanto dura, non li
avrebbe puniti. Sono sicuri che non ci siano prove tangibili per
dimostrare che da mesi comunicavano con Lilith, nonostante il divieto
che
era stato loro imposto. Posso solo immaginare cosa le abbiano inculcato
in testa.
- Ciò che gli mancava, - continua, - era un modo di portare
tua sorella dalla
loro parte, e
così è stata lei a trovarne uno. Di certo
sarà
questa la loro difesa. Ufficialmente loro l'hanno solo salvata da un
tentativo di...suicidio.
- Questa era l'unica parte del patto che ci
permetteva di reclamarla. Se Lilith è in pericolo di vita,
è nostro dovere proteggerla.
Alphy comincia a scuotere forte la testa. No, balbetta, no, no. Capisce
prima di
me, come sempre.
- Dica quello che deve dire una volta per tutte.
Xanders lo fa.
E io non dovrei piangere, perché è quello che ho
sempre voluto, non è
vero? Che Lilith fosse cattiva, per
riuscire ad odiarla senza sensi di colpa, né invidia,
né rimorsi. E allora da dove piovono
queste lacrime di vergogna?
- Abbiamo ragione di credere che in quanto minorenne,
e non perseguibile penalmente, sia stata Lilith a organizzare
l’attentato. Lei
ha fatto esplodere quella bomba, perché sapeva come
riuscirci. Era sicura che se avesse finto di volersi togliere la vita
qualcuno l'avrebbe portata al sicuro.
- Sybil,
l'ordigno che ha distrutto la scuola è stato costruito da
sua
sorella.
All’improvviso questa stanza diventa insopportabilmente
stretta. E
io non riesco a reggere più di quelle quarantuno famiglie
distrutte per sempre.
Raggiungo la porta troppo in fretta, e la spalanco con troppa violenza,
e spero
solo di trovare qualcuno, qui fuori, che mi dica che non è
vero. Che sono
davvero pazza, dopotutto.
E invece non riesco a fare due passi oltre la soglia
che lui mi
afferra la felpa per trattenermi. È sempre stato qui dietro,
a origliare. A spiare nel buco della serratura con quei suoi occhi
verdi. Gli
tiro uno schiaffo, ma blocca il mio gancio destro e mi inchioda contro
il muro.
Reichenbach.
Lo odio.
Lo odio come odio mia sorella.
E ho abbastanza epinefrina, adesso, da stringere il pezzo aguzzo di
porcellana e squarciargli il braccio che mi tiene ferma.
Lui mi disarma per la seconda volta in poche ore, ma non è
abbastanza rapido. Del sangue comincia a sgorgare dalla carne viva,
correndo giù per il polso.
Reichenbach si soffia una ciocca bionda dalla faccia,
furioso. All'inizio tutto in lui mi distrae, e quasi non me ne accorgo.
Quando
torno ad osservare la ferita -
l'ho fatta io sono stata io
sono capace di fare del male alle persone - il mio cuore
salta un
battito. Il taglio si rimargina come se a chiuderlo ci fosse una
cerniera. La pelle si ricuce, il sangue smette di uscirne fuori, e
mentre il mio polpastrello ancora piange rosso, la sua cicatrice
comincia a sbiadire.
Lui liquida tutto come se fosse
perfettamente normale, ma si arrabbia più di prima.
- Tu, - ringhia,
rivolto a Xanders, - tu
sei un povero idiota.
- E Tu.
Afferra la medaglietta che ho appesa al collo da quando sono piccola ed
emette una risata sarcastica alla vista della piccola scritta che vi
è incisa sopra.
Frei. Liberi.
- Tu non vai più da nessuna parte,
creaturina.
Angoletto: aggiorno così tardi perché ho vissuto l'intero mese di Agosto a Londra, e a mia discolpa dico che questo capitolo è stato il più difficile da buttare giù. Negli YA le rivelazioni centrali della trama vengono fatte tutte in una volta, ma a me sembra sempre poco realistico, quindi ho deciso di introdurre le mie un po' per volta. Se non capite tutto adesso non temete, ma sentitevi liberissimi di fare domande. Non ci sono note particolari, solo una: "frei" è una parola tedesca. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che abbiate voglia di lasciare un commento (positivo o negativo). Vi assicuro che la voce del lettore sprona tantissimo! Ringrazio di cuore le 54 persone che mi hanno inserito tra gli autori preferiti, e mando un bacio a chi passerà di qui.
Forse non vi ho mai segnalato il "fic-trailer" della storia; in caso eccolo qui.