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Autore: Valka    10/09/2014    0 recensioni
First Larry ever! ♥
«Louis se ne stava sdraiato sul letto di Harry e osservava incuriosito le pillole per il sonno. Era abbastanza sicuro che sua zia, dopo la depressione post parto, avesse ingerito quantità industriali di quella roba. Chissà cosa avrebbe dovuto farci uno come Harry?
Pensò che avrebbe dovuto saperlo, perché la sera prima l'aveva baciato.
All'inizio era stata tutta una ripicca contro Eleanore, ma poi, vedendolo cosí indifeso era scattato qualcosa. Aveva saputo da Gemma che Harry era più piccolo di lui di un solo anno, ma ieri sera gli era sembrato un bambino, qualcosa da proteggere. Era l'unica cosa certa che ricordava; tutti quei baci che non avrebbero dovuto significare nulla avevano centrato proprio l'obiettivo di quello stupido gioco: confonderlo.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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2. Did I let you Know

 
- Se non ti sbrighi, giuro che ti lascio qui. – Harry sbuffò, perché Gemma l’aveva costretto a spegnere la Play Station – abbandonandolo nel bel mezzo del salvataggio di Sokolov, tra l’altro -, gli aveva urlato addosso che stavano facendo tardi, e ora non era pronta.
Anzi, frugava tragicamente nella borse, gridando che ‘era qui!’.
- Ge’, che diavolo cerchi? – le chiese, avvicinandosi a lei. Era spazientito. Non voleva andare a quella stupida festa e, se proprio doveva andare, sua sorella avrebbe fatto meglio a smettere di gridare come un’ossessa. Già gli scoppiava la testa, lo sentiva. Le tempie gli pulsavano in un modo alquanto fastidioso.
- Il mio lucidalabbra, mi serve, stasera Jake… - Harry sospirò, perché Gemma aveva il lucidalabbra tra le dita sottili, e perché Jake la stava solo usando. Le afferrò la mano, portandogliela di fronte agli occhi.
- Non è che cerchi questo, per caso? Lo so, sono un mago. Pensa, l’ho ritrovato tra le tue dita. E ora diamoci una mossa, o credo rimarrò qui a giocare a Metal Gear Solid… -
- No, dai che facciamo tardi! – Harry la fulminò con un’occhiataccia.
Persero un’altra ventina di minuti nel tragitto casa-scale-parcheggio-macchina, con grande sorpresa da parte di Harry. Ormai era convinto che sua sorella avesse un superpotere: quello del ritardo. Non solo arrivava sempre in ritardo, ma riusciva a far diventare una lumaca i compagni di viaggio, così da trasformare un ‘live ritardo’ in un ‘catastrofico ritardo’. Anche se in quel momento per Harry non era né lieve, né catastrofico. Voleva solo arrivare in quel posto e andarsene il prima possibile, anche se il tragitto in macchina sarebbe probabilmente stata la migliore parte della serata.
- Oh Dio, cos’è ‘sta roba? – domandò Gem dopo diversi minuti di viaggio, storcendo il naso alla radio.
Ad Harry piaceva quella roba, pur non sapendo cosa fosse, ma Gemma con un gesto veloce cambiò stazione, arrestandosi in una dove passavano per la millesima volta una canzone tremenda, che lo aveva perseguitato per tutta l’estate. Forse non sarebbe stato un bel viaggio.
Guardò fuori dai finestrini congelati. Le luci della città brillavano, ricordandogli un film che aveva visto tempo fa: i due protagonisti volavano sulle strade, di notte, per andare in un bosco nascosto da tutti.
Anche loro stavano guidando sulle strade, di notte. L’unica differenza era che loro erano diretti ad una festa piena di gente troppo ubriaca per sembrare simpatica, o troppo sobria per essere avvicinata.
 
Come prospettato, la villa era colma di gente. Facendo il loro ingresso dalla porta principale, la prima cosa che saltò all’occhio ad Harry erano le tende color cremisi tirate su dal pavimento, coperto di briciole di pop-corn e altre schifezze che avrebbe volentieri evitato.
Erano arrivati in ritardo, la mezzanotte sarebbe scoccata a breve, ma nessuno fece storie. Anzi, nessuno sembrò accorgersene – non che ad Harry importasse, anzi. -
Appena giunti in quella casa colossale, Gemma l’aveva abbandonato a sé stesso, e così si era messo a vagare per la casa, tanto per ficcanasare in qualcosa che lui non avrebbe mai e poi mai potuto permettersi. Con passo leggero aveva salito la prima gradinata e si era ritrovato di fronte ad un bel corridoio. Ci si affacciavano quelle che dovevano essere parecchie stanze, ognuna di esse colma di gente, tanto da fargli pensare che tutta Londra si fosse riunita in quella casa che era sì grande, ma non tanto da contenerli tutti.
Avvicinandosi ad una grande portafinestra non potè fare a meno di notare che persino il prato e la piscina erano pieni. Una volta deciso che non c’era più nulla di interessante da guardare – metà delle porte erano sbarrate e l’altra metà era piena di gente fino a scoppiare -, decise di scendere di nuovo al pian terreno, per dare un’occhiata anche a quello.
Con sua grande meraviglia scoprì che per l’occasione era addirittura stato allestito un piano bar. Un tizio dai capelli biondicci, armeggiava con lo shaker pronto a servire bevande a tutti. Era affascinante vedere con quale maestria e velocità muoveva le mani, grazie anche ad una coordinazione non indifferente.
Harry rimase a guardarlo in silenzio per diversi minuti e poi gli chiese qualcosa. Certo, non aveva ancora i fatidici ventuno, ma non era il solo lì dentro e quel tizio non sembrava voler fare molte domande.
Difatti Hannabeth, una sua vecchia compagna delle elementari, stava cercando di uscire dalla piscina, totalmente zuppa, e continuava ad inciampare sempre sullo stesso gradino, causando una tremenda ilarità tra i presenti (non meno ubriachi di lei!).
Perfino ad Harry venne da ridere, ma cercò di trattenersi, ringraziando il bartender, e iniziando a sorseggiare qualsiasi-cosa-fosse dalla cannuccia. Una bella cannuccia rosa.
Chic, wow. Sorrise ancora, a sé stesso. Guardare quelle persone ridicole mettersi ancora èiù in ridicolo in un certo senso lo faceva stare bene. Lo faceva sentire superiore. Sapeva che si sarebbe ubriacato e allo stesso tempo sapeva, ne era certo, che non sarebbe mai diventato come uno di loro.
Il suo filo di pensieri venne spezzato da alcuni ragazzi che stavano giocando con un pallone. Uno di questi, troppo ubriaco anche solo per pensare di camminare, cadde all’indietro nella piscina, con ancora tutti i vestiti addosso.
Subito un altro uomo, che doveva essere quello che si era assunto la responsabilità di salvare la vita a tutti gli idioti che avessero fatto cose simili, si lanciò al recupero.
Un altro, un ragazzo tondo come una sfera, si stava occupando del barbecue. Aveva larghi riccioli biondi, e le guancie arrossate dall’alcol e dal caldo.
Attorno a lui stavano diverse persone, e ridevano come se fosse il più divertente degli ospiti.
Un’altra ragazza stava ballando, ma era così scoordinata e confusa da non sapere bene come dovesse mettere i piedi, con quei suoi tacchi dodici.
- Che bel quadretto. – un tipo, che aveva affatto l’aria di uno che stava guardando un bel quadretto, si appoggiò al bancone, ordinando qualcosa da bere.
Stava parlando con lui? Harry si voltò a guardarlo.
- E pensare che avevano detto che sarebbe stata una grande festa. – non aveva l’aria molto contenta, a dire il vero.
Harry si ritrovò a guardarlo sorseggiare ciò che stava bevendo come se si trattasse di un bicchiere d’acqua, e lui fosse un atleta particolarmente assetato. In breve, quello che stava bevendo, era sparito.
Di scatto abbassò la testa sul suo, di drink: non era nemmeno a metà, e non gli stava neanche tanto piacendo.
- Già – lo assecondò, non sapendo che altro dire e limitandosi piuttosto ad osservarlo. Dopotutto sembrava un tipo in vena di chiacchiere.
Il broncio che aveva gli faceva perdere gran parte del fascino che poteva potenzialmente avere; era alto, forse più alto di lui, e magro come un chiodo. Possedeva spalle abbastanza larghe da appartenere ad uno che pratica sport, una cascata di capelli castani e, forse la cosa più bella, occhi color verde acqua marina, incorniciati da ciglia incredibilmente lunghe.
Viso allungato, labbra sottili e collo nervoso.
Complessivamente bello, decisamente irritato e molto, molto più sobrio di quanto avrebbe voluto essere.
- Che maleducato, pardon. – nella sua voce c’era una nota di amara ironia. - Mi chiamo Louis. Piacere. – gli tese la mano grande e callosa. Una mano da musicista. O almeno, era l’ipotesi a cui voleva credere.
- Piacere mio. – gli strinse la mano, fissandolo ancora. E poi sbattè le palpebre un paio di volte.
- Harry. – aggiunse.
Si può essere più idioti?
- Scusa, non è che beva spesso – spiegò, mostrandogli il bicchiere.
Lo straniero gli concesse un bel sorriso, il primo che aveva fatto da quando gli si era messo vicino.
- Non hai l’aria di uno che si sta divertendo troppo. –
Pensò a Gemma, chiusa da qualche parte con Jake. Pensò alla gente ubriaca che ben presto si sarebbe trasformata in gente in fila per il bagno, o per un luogo dove vomitare senza essere visti da quello o da quella.
- Be’, nemmeno tu così contento, o sbaglio? –
L’affermazione parve pungere Louis nel vivo. - Nah, ma scherzi? Mi sto divertendo da impazzire! Guarda, sono venuto qui con la mia ragazza. – gli indicò la moretta che poco prima si muoveva in maniera scoordinata. Ora si era sfilata le scarpe, ed era avvinghiata ad un tipo, tanto stretta che Harry, sulle prime, non era nemmeno stato in grado di distinguerli come due corpi separati.
- Oh. Oh. – adesso quello messo male era lui.
- Quanto vorrei levarmi di qui e basta. –.
- A chi lo dici. – commentò Harry, rimanendo a guardare invece la sua fidanzata. Quella aveva un volto familiare, per quanto riuscisse a vedere.
- Potremmo iniziare con lo spostarci da un’altra parte. Ho visto che c’è un’ala del giardino, e ci sono solo una ventina di persone vomitanti – ironizzò Louis. Harry ridacchiò. – E va bene, possiamo anche spostarci. Ma solo perché non sopporto questo odore di carne bruciata. – Harry storse il naso. Quella puzza ero ovunque, perché il meraviglioso angelo grasso che faceva la guardia alle costolette a quanto pareva aveva deciso di filare a farsi un bagno.
E tutti erano parecchio decisi ad ignorare quella povera carne.
- Andiamo, allora –
 
La parte del giardino era davvero bella. Non c’era nessuno perché per scendervi bisognava percorrere una rampa di gradini in legno. E nessuno era tanto abile da poterlo fare. In più, se a Harry girava già la testa dopo un qualsiasi-cosa-fosse, gli altri ospiti dovevano proprio essere messi male. Quel posto era completamente immerso nel buio, e la musica arrivava ovattata e decisamente più tollerabile. Da lì si vedevano bene le luci della città, in lontananza.
- Non ti ho mai visto ad una festa di Mike – esordì il moretto, dopo essersi messo seduto sull’erba fresca, e probabilmente bagnata dagli idranti che dovevano essere stati in funzione fino a qualche istante prima, constatò.
Harry lo seguì, solo che più cautamente. Non avrebbe fatto le solite figuracce che lo portavano a non voler uscire di casa per secoli. Nossignore.
- Perché non ci sono mai venuto, e non so chi sia questo Mike. Mia sorella è stata invitata qui dal suo ragazzo, e sono stato costretto ad accompagnarla. Cioè, più che altro, le reggo il gioco. Mia madre si incazza sapendola a questi festini, perciò le diciamo che stiamo andando a casa di amici ed ecco fatto. – scrollò le spalle, strappando qualche filo d’erba che al buio non era più verde.
- Almeno ti paga? – Louis si lasciò sfuggire una grande risata, prima di scuotere la testa. - Hai una faccia familiare. Magari conosco tua sorella. –
- Gemma Styles. Il ragazzo si chiama Jake-qualcosa
- Ah. Ge’. Certo, Eleanore esce spesso con lei. –
Ecco chi gli ricordava la ragazza di Louis. Harry arrossì di botto, memore di una figura di merda tremenda che aveva fatto con la ragazza dell’altro.
Non sapendo che era rimasta a dormire per la notte da loro, quando la mattina dopo Harry si era diretto in bagno, non si era nemmeno preso il disturbo di chiudere la porta a chiave. Così si era fatto una doccia e lei era entrata proprio quando lui, totalmente nudo, stava per mettersi addosso un asciugamano.
- Ah. Eleanore, dici? –
- La conosci? –
- Diciamo di sì… -
Harry gli raccontò di quella cosa.
Non sapeva nemmeno perché, in realtà non ci teneva molto ad informare sconosciuti dei suoi fatti più o meno privati, ma forse Louis aveva bisogno di essere tirato su, e Harry non vedeva altre via se non quella di mettersi in ridicolo. In senso positivo, più o meno.
Fortunatamente, alla fine della storia abbozzò una smorfia. O forse stava tentando di trattenere una risata?
- Be’, comunque io sono affiliato alle figure di merda. – Harry scrollò le spalle, buttando la testa all’indietro per ispirare l’aria fresca della notte. – Sono rassegnato. -
Sentiva gli occhi dell’altro che bruciavano, sulla sua pelle.
- Del tipo? – chiese Louis, distendendosi su un fianco, senza smettere di osservarlo. Da piccolo avevano insegnato ad Harry che ‘quando parli con una persona, devi guardarla negli occhi’. Ma così era… troppo.  
- Dai, quella che è capitata a tutti almeno una volta nella vita… hai presente, specchiarsi sui finestrini di qualcuno e dopo un po’ accorgersi che il proprietario è all’interno? –
Harry si bloccò, perché Louis stava ridendo.
Rideva. Di nuovo.
L’alcol stava dando i suoi frutti?
- Ti giuro che non mi è mai successo! –
- Non è possibile. Allora non ti è nemmeno mai successo di dover salutare qualcuno e finire col baciarlo sulle labbra. –
- Quello sì, è stato tremendo. Hai presente il tipo che stava cuocendo le salsicce? –
- No, non dirmi che… -
- Oh sì. Giuro. Ah, e poi un’altra volta ero a Camden Town, e stavo aspettando la mia ex. Insomma, ad un certo punto la vedo girata di spalle, mi avvicino e le cingo la vita con le braccia. Poi si è girata, e ti giuro che non avevo mai visto quella tipa in vita mia. Mai. –
Anche Harry abbozzò un sorriso, scuotendo la testa.
Gli bruciavano le guance, e se l’altro avesse continuato a guardarlo probabilmente sarebbe andato a fuoco.
- Aspetta qui. – annunciò Louis, tirandosi su.
- Dove vai? –
- Siamo ad una festa con superalcolici gratuiti, meglio approfittare. – Louis gli strizzò un occhio, risalendo per le scalette e lasciandogli finalmente un secondo di tregua.
Harry non riuscì a capacitarsi di quegli occhi, che brillavano anche al buio.
Gemma lo prendeva sempre in giro perché si impallava quasi maniacalmente con i dettagli, e forse poteva essersi un po’ fissato sui suoi occhi. Magari non era Louis che lo stava guardando così tanto, magari era solo lui a sentirsi in imbarazzo, e un po’ in colpa, perché stava continuando a spiarlo e guardarlo di nascosto. Anzi, no, era così per certo.
Quando il moretto tornò, reggeva tra le mani due bicchieri pieni fino all’orlo.
Uno era di un verdino inquietante, l’altro bianco.
- Quale preferisci? – gli chiese Louis. Harry, andando totalmente a casaccio, indicò quello dal colore più normale. Probabilmente era vodka, e alui la Vodka faceva schifo, ma cercò di non pensarci troppo su. Dopotutto, erano ad una festa con dei superalcolici gratuiti.
Louis gliela porse, tornando a sedersi accanto a lui e, proprio in quell’istante, la canzone che aveva sentito in macchina con Gemma, riprese a suonare.
- Questa canzone… - scattò Harry, cercando di assimilare il testo.
- Did I let you know? – gli domandò Louis, inarcando le sopracciglia in un’espressione che ancora non aveva avuto il tempo di conoscere.
- Non ho idea di come si chiami, ma mi piace. –
- Sono i Red Hot, a chi non piacciono i Red Hot? – chiese Louis, con un mezzo sorriso indignato.
- A mia sorella. – Harry ridacchiò – Te ne intendi di musica? – gli domandò, con un insolito coraggio. Era una cosa abbastanza stupida da chiedere, ma se poteva distrarlo dal pensiero della sua ragazza… - Più o meno. Suono la chitarra. O meglio, la suonavo, ultimamente ho lasciato un po’ perdere. –
- Mi piacerebbe suonare la chitarra – sussurrò Harry, più a sé stesso che a Louis. In cambio si ritrovò gli occhi verdi puntati nei suoi, pronti a ribattere – Magari posso insegnarti. Potremmo diventare amiconi, dopo stasera – le guancie di Louis si piegarono in due adorabili  fossette, un istante prima di portare la cosa che stava bevendo alle labbra.
Di nuovo, quando Harry arrivò a metà, si ritrovò a fissare il bicchiere di Louis. Totalmente vuoto
Il ragazzo si strinse  nelle spalle, lasciandosi poi cadere sul prato.
- Perché da qui non si vedono le stelle? – e da quella domanda Harry intuì che non gli stava chiedendo per quale motivo scientifico non potessero vedere le stelle. Gli stava chiedendo per quale ingiustizia divina o celeste, in quel momento non potesse vederle. Che cosa avesse fatto di male per non poterle vedere.
Harry non seppe trovare una risposta precisa, ma anche a lui sarebbe piaciuto vederle. Provò a balbettare qualcosa, ma finì come al solito in una delle sue figure, e allora si rassegnò a non dire un bel niente. Louis sbuffò un altro po’, ma poi sembrò riprendersi e, un po’grazie al dialogo e un po’ grazie alla Vodka che ancora stringeva tra le dita, Harry riuscì a trovare l’audacia di porgergli un’ altra domanda.
- Hai parlato con… con lei? – gli domandò, prendendo un’altra sorsata.
Gli bruciava nella gola, gli bruciava da morire, e la sensazione di bruciore cresceva ad ogni sorsata.
In teoria dovrebbe diminuire. O no?
- Sì, ma lei ha detto che vuole divertirsi e io le sto troppo addosso. – spiegò – Così ora ha la sua libertà. Spero la sfrutti bene. –
- Le darai una seconda possibilità, non è vero? – Harry si distese accanto a lui. Louis strinse le labbra e socchiuse gli occhi, sospirando. Nella sua voce si fece spazio la rassegnazione.
- … sì. –
- Non dovresti. –
- Ma lo farò. –
- La ami così tanto? –
- Affatto. – Louis scoppiò in una risata – Amare Eleanore, amico? Spero scherzi. Lei è bella, è simpatica, è sexy. È tutto quello che per anni ho voluto. Solo che la vittoria ha un sapore amaro. –
Harry non credeva di capire.  - Tu ce l’hai una ragazza? –
- Eh? – Harry si sentì stupido. Aveva capito la domanda, ma non aveva trovato un modo migliore per rispondere. Inoltre, stava per aprire bocca sul fatto che avesse appena cambiato discorso, quando fu interrotto da un’altra domanda del ragazzo.
- E allora com’è lui? – chiese infatti Louis.
Harry sgranò gli occhi, alzandosi di scatto a sedere.
- No, no! Non c’è nessun lui! – scosse la testa così forte che la cascata di ricci che aveva in testa gli franò sugli occhi.
- E potrebbe esserci? – anche Louis tornò a sedersi, sporgendosi verso di lui. Probabilmente si stava divertendo un mondo, ad osservare le sue reazioni a quelle frecciatine.  Harry avrebbe voluto sembrare anche un po’ più intelligente, ma la stupida Vodka non aiutava, e il fatto che continuasse a balbettare senza sosta… be’, nemmeno. Si ritrovò ancora una volta a fissare gli occhi dell’altro, colpevole. Non avrebbe potuto fare diversamente. Lui era così vicino, e quelli erano di gran lunga in lizza per il concorso ‘Gli occhi preferiti di Harry Styles’.
Si ritrovò a domandarsi come avesse potuto chiedergli una cosa del genere. Magari stava solo facendo dell’ironia, o magari pensava davvero che ad Harry interessassero i ragazzi. In preda al dubbio, decise che non voleva saperlo e che soprattutto non gli importava. Inoltre non era pronto a rispondere ad una domanda del genere neanche con se stesso, figurarsi con lui.
- No. – sbottò Harry, quasi cacciando via i propri pensieri. – Certo che no.  – aggiunse dopo qualche secondo, giusto per sembrare più convinto.
Harry guardò l’orologio. Erano già le tre? Ma come diavolo c’erano arrivati, alle tre?
- Merda. Merda, questa è la volta buona che Thomas mi ammazza… - mugolò, prendendosi la testa tra le mani.
- Che ore sono? –
- Le tre. E saranno le quattro prima che riesca a prendere le chiavi da Gemma. –
- Ti porto io. A casa, o dove devi andare. –
- No, davvero, non c’è bisogno che ti disturbi… -
- Sono le tre e la mia ragazza è capitata per caso sulla bocca di un altro. Quanta voglia ho, secondo te, di restare qui? – Harry fissò la città luminosa per qualche istante, indeciso sul da farsi. Sentì ancora gli occhi di Louis sulla sua pelle, bucarlo ed esaminarlo fino ai più reconditi desideri della sua anima. Se accettare un passaggio da un semi-sconosciuto significava poterlo salvare, nel senso più sciocco e meno importante del termine, allora l’avrebbe fatto.
- D’accordo, accetto. –
Louis gli porse una mano callosa, aiutandolo a tirarsi su. Harry gliel’afferrò con forza. Il giramento di testa era passato, e anche il sapore disgustoso che aveva avuto in bocca fino a poco prima. Adesso era rimasta solo l’ansia di non poter rivedere quegli occhi per molto, molto tempo.

 
   
 
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