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Autore: Il Saggio Trentstiel    10/09/2014    4 recensioni
«Stavo pensando...» riprese Castiel, stavolta con vago imbarazzo «Visto che domani abbiamo poche ore di lezione, ti andrebbe di venire a pranzo a casa mia? Insomma, potremmo studiare, scegliere le canzoni da proporre al club...».
Sorrise incerto in attesa della replica di Dean. Replica che sembrava fare fatica ad arrivare.
«D'accordo, perché no?».
O forse no. Un'altra maledizione mentale agli avventati geni Winchester e via, Dean si era lanciato senza paracadute.
Dovette però ammettere, remore a parte, che il sorriso radioso di Castiel al suo assenso lo aveva ripagato. Forse. Chissà perché, poi.
«Se è per ringraziarmi, sappi che non è necessario: non merito-» «Ringraziamenti,» completò Castiel per lui «lo so. Sai, con questo atteggiamento saresti un supereroe perfetto, Dean».
Recuperò il proprio zainetto e salutò Dean con un cenno e un sorriso.
«SuperDean» mormorò questi a se stesso «Suona bene!».

Dean ha una vita soddisfacente e soprattutto normale: questo prima di incontrare Castiel.
Castiel, con i suoi occhi rubaluce, la sua passione per il canto e la sua completa ignoranza in materia di musica rock. E Dean non può rimanere a guardare (ascoltare?) mentre il suo rock viene ignorato e messo da parte.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Charlie Bradbury, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: Let me be your guide through this life
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole3808
GenereCommedia, Romantico
Rating: Arancione
AvvertimentiHighschool!AU; Lime









 Il primo fine settimana scolastico era passato in un lampo e in men che non si dica un nuovo lunedì aveva travolto tutti con il suo carico di stanchezza, noia e malumore.
«Odio la Maddon».
«Se ti fossi deciso a studiare...».
Il temuto primo compito in classe di storia aveva mietuto senza pietà le sue vittime, tra cui uno stordito Dean Winchester. Questi si voltò offeso verso Benny e gli puntò un dito contro.
«Non farmi la predica, tu! Ho avuto altri impegni!».
L'amico roteò gli occhi e sospirò affranto.
«Tipo una full immersion di Moondoor?» domandò con aria inquisitoria «Immagino fosse fondamentale».
Prima che Dean potesse rispondere, Charlie si avvicinò loro avendo ascoltato (o origliato, o dir si voglia) i loro discorsi.
«Benny, caro... Hai dinanzi a te la futura regina di Moondoor, e una futura regina ha bisogno di un aitante cavaliere al suo fianco».
Dean, piuttosto che essere sollevato dal supporto dell'amica, si incupì maggiormente.
«Fa' poco la spiritosa, ti ho vista in aula: hai scritto dall'inizio alla fine senza mai fermarti!»
Charlie scrollò le spalle come a dire che non era niente di che.
«Come hai fatto? Hai anche rimorchiato una fatina, perciò...»
Benny rise sonoramente a questa rivelazione e Charlie abbozzò un sorrisetto.
«Ho fatto una cosa stranissima, Dean» replicò lei con aria da cospiratrice «Ho studiato! Tutta la settimana scorsa! Così ho avuto tempo di combattere per il trono e rimorchiare creature magiche» concluse soddisfatta, scuotendo la chioma rossa con finta vanità.
La ragazza controllò poi l'orologio e soffocò uno sbadiglio.
«Vado a mettere i libri nell'armadietto. Oh, tanto per dovere di cronaca... La fatina ci sapeva fare anche senza bacchetta magica!».
Ciò detto si allontanò lasciando i due amici, ormai abituati a uscite del genere, più esasperati che sconvolti. Il primo a riprendersi fu Dean.
«Se non fosse coinvolta Charlie la cosa sarebbe anche piuttosto eccitante».
Questo fece sì che l'espressione di Benny divenisse sconvolta: dopo aver fissato l'amico, alzò le mani e scosse il capo.
«Non voglio sapere altro» dichiarò «Vorrei dormire sonni tranquilli, stanotte».
Dean sbuffò e sistemò lo spallaccio dello zaino che stava scivolandogli via dalla spalla. Come Charlie poco prima, controllò l'orologio e sbuffò per la seconda volta.
«Devo andare. Letteratura. Morrison».
L'ultima parola gli uscì più simile a un lamento che ad altro ma Benny lo bloccò prima ancora che potesse muoversi o dire altro.
«Frena, bello. Hai dimenticato che oggi c'è l'assemblea?».
L'espressione vacua di Dean indicava che sì, il ragazzo aveva tranquillamente rimosso dalla sua mente quella notizia meravigliosa. Assemblea voleva dire niente letteratura, uscita anticipata e l'intera giornata davanti per fare quel che si voleva.
Dean sorrise e si lasciò andare a un sospiro di sollievo, incurante della voce della sua coscienza – una voce molto simile a quella di Sam – che lo invitava a sfruttare in maniera produttiva quelle inaspettate ore di libertà. Accantonò in pochi secondi questo pensiero fin troppo responsabile e d'improvviso alla voce della coscienza se ne sostituì un'altra. Una voce femminile e delicata che andò a rievocare un episodio evidentemente rimosso da Dean.
«In quei fogli troverete alcune proposte per l'esibizione di lunedì, quando ci presenteremo ufficialmente durante l'assemblea scolastica».
Oh. Il Glee Club. L'esibizione del Glee Club.
Dean, complice la giornata dedicata a Moondoor e il fine settimana passato a oziare nei modi più disparati, si era completamente dimenticato anche di quel particolare. Annuì distrattamente all'indirizzo di Benny che, ignaro della momentanea alienazione dell'amico, stava continuando a parlare.
«Beh, andiamo?» domandò poi Dean improvvisamente curioso di vedere cosa si sarebbe inventato quel gruppetto così male in arnese per infiammare gli animi degli studenti. Benny gli diede una pacca sulla spalla e i due cominciarono a incamminarsi verso l'auditorium.
«Credo che mi siederò con Andrea» buttò lì Benny «La scuola è appena ricominciata e già abbiamo poche occasioni per stare insieme».
Dean emise uno sbuffo sarcastico e si voltò con un ghigno verso l'altro.
«Sei davvero cotto, amico! Vi vedete tutti i giorni a scuola!» replicò, ponderando con attenzione la sua frase successiva «Se però la tua idea è quella di sedervi in fondo e dar sfogo ai vostri istinti... Ehi, chi sono io per impedirtelo?».
Evitò con una risata il pugno che stava per ricevere da Benny, dandogli una leggera spallata per allontanarlo da sé.
«Non sprecare tutte le tue energie con me!».
«Cazzone...» borbottò l'altro a mezza voce, cominciando a guardarsi attorno non appena ebbero fatto il loro ingresso nell'affollato auditorium.
Dopo qualche istante vide Andrea sbracciarsi poco più in là e le sorrise: ignorò stoicamente le risatine di Dean – la ragazza era seduta piuttosto in fondo alla sala – e salutatolo con una smorfia e un rapido cenno la raggiunse.
Dean continuò a ridacchiare e nel contempo osservò i dintorni alla ricerca di Charlie o Sam. Individuò per primo il fratello, seduto tra Chuck e, con sua somma disperazione, Becky Rosen: l'appiccicosa biondina, che fin dal primo giorno aveva eletto Sam suo uomo ideale, era avvinghiata al braccio del ragazzo come una piovra. Una piovra logorroica e imbarazzante.
Intercettò lo sguardo disperato del fratello e, per nulla mosso a pietà, lo salutò da lontano ricevendo in risposta quello che, a giudicare dal movimento della labbra, era un “Vaffanculo”.
Alzò gli occhi al cielo e si allontanò ancora ma, non avendo trovato Charlie ed essendo l'assemblea in procinto di cominciare, si sedette sulla prima sedia libera accanto a dei chiassosi ragazzi del primo anno.
Di lì a poco fece la sua comparsa sul palco dell'auditorium il preside Crowley, un sorriso più simile a un ghigno stampato sul volto e gli occhi che saettavano da una parte all'altra della sala. Batté due colpetti sul microfono e il silenzio calò all'istante.
«Benvenuti, studenti e colleghi! Un nuovo anno scolastico è cominciato e sono lieto di...».
Bastarono quelle poche parole perché Dean – e dozzine di altri studenti – smettessero di prestare attenzione. Il solito barboso discorso di inizio anno, le solite stupide raccomandazioni e i soliti, banali avvisi: dopo quattro anni in quel liceo Dean conosceva quasi a memoria ogni parola enunciata dal preside, dunque preferì impiegare il proprio tempo sognando a occhi aperti.
Come avrebbe potuto impiegare quella giornata? Di certo non studiando, era fuori discussione. Magari avrebbe potuto dare una mano in officina a Bobby, perché no, oppure semplicemente rilassarsi ascoltando per l'ennesima volta la discografia dei Led Zeppelin...
Bastò il solo pensiero della musica per risvegliarlo dal torpore in cui stava cadendo. Musica. A breve avrebbe assistito all'esibizione del Glee Club e di Castiel. Non era certo di come sentirsi al riguardo.
Ci volle un altro quarto d'ora di ciarle inutili e ripetitive perché il preside, con un ampio sorriso, fece l'annuncio che almeno lui attendeva.
«Bene, dopo queste formalità sono lieto di dare il benvenuto sul palco al nostro Glee Club!».
Cominciò ad applaudire e qualcuno – ben poche persone – lo imitò subito dopo. Dean adocchiò Raphael seduto qualche fila più avanti: aveva un'espressione calcolatrice che poco piaceva a Dean e al suo fianco era seduto quel bastardo di Ephraim. Stette a osservarli per qualche altro istante ma quando il sipario cominciò ad aprirsi la sua attenzione fu distolta dai due.
L'esiguo gruppetto di cantanti in erba era già schierato sul palco e il ragazzo asiatico – Kevin, giusto? – imbracciava una chitarra. Attesero che le chiacchiere in sala si quietassero completamente, poi il giovane cominciò a suonare.
Le dita di Kevin si muovevano agili sulle corde dello strumento e una melodia lenta fu subito udibile: poi Anna si fece avanti, gli occhi chiusi e le mani giunte davanti al petto.
«Picture perfect memories, scattered all around the floor...».
Fu il turno di Meg di avanzare e il suo atteggiamento non poteva essere più diverso da quello di Anna: ammiccante, sicura di di sé e sorridente.
«I wanna leave my footprints on the sand of time...».
Dean inarcò le sopracciglia. Quella canzone non c'entrava nulla con quella abbozzata da Anna... Si trattava forse di un... Mash-up?
Ebbe solo il tempo di rammentare il termine esatto prima che Anna proseguisse con la strofa seguente.
«Reaching for the phone, cause I can't fight it anymore...».
Il sorriso di Meg si fece più ampio. Quell'atteggiamento stonava alla grande con le canzoni scelte, due lagne a detta di Dean.
«Know there was something that, and something that I left behind...».
Gli occhi di Dean individuarono infine Castiel, preciso ed elegante come al solito, in piedi appena dietro le due ragazze e affiancato da Garth.
«And I wonder if I ever cross your mind...».
«When I leave this world, I'll leave no regrets...».
Dopo una breve pausa e una rapida occhiata le due ragazze ripresero a cantare in contemporanea, creando un mix di voci e parole ben poco comprensibile. Dean occhieggiò nuovamente Castiel ma il ragazzo sembrava imperscrutabile: che fosse stato tutto studiato? L'espressione poco convinta di Kevin, però, non lasciava adito a dubbi. L'esibizione stava degenerando pian piano.
«And I wonder if I ever cross your mind... For me it happens all the time...» «Leave something to remember, so they won't forget...».
Finalmente (finalmente?) Castiel si sistemò in prima linea assieme a Garth: lui affiancò Anna mentre il secondo prese posto accanto a Meg che, senza alcuna vergogna, roteò infastidita gli occhi.
«It's a quarter after one, I'm all alone and I need you now...».
Brividi irragionevoli percorsero la spina dorsale di Dean non appena Castiel ebbe cominciato a cantare assieme ad Anna. La voce della ragazza, di nuovo, non reggeva il confronto con quella del compagno. Dean si ritrovò a fissare quasi ipnotizzato le labbra di Castiel che si muovevano lentamente, tessendo storie e sentimenti e facendogli dimenticare che quella canzone – e l'esibizione in sé – faceva veramente pena.
La seconda coppia fece loro eco con la strofa seguente.
«I was here... I lived, I loved, I was here... I did, I've done, everything that I wanted and it was more that I thought it would be...».
I ragazzi accanto a Dean furono presi da un attacco di risatine. Come dargli torto, dato che la voce di Garth sembrava lo stridere di unghie su una lavagna? Dean sbuffò mentre Meg, sul palco, non celava il proprio fastidio.
Poco più in là Anna tentennò appena ma si riprese appena in tempo per unirsi a Castiel in quella che, si sperava, doveva essere la conclusione della pietosa esibizione.
«Said I wouldn't call, but I lost all control, and I need you now...».
«I will leave my mark...».
Ora a ridere e a vociare non erano più solo i ragazzi lì accanto, ma molte altre persone nell'auditorium. A Dean parve di udire anche un paio di fischi di scherno.
«And I don't know how, I can do without...».
«So everyone will know...».
Ci fu una breve pausa, durante la quale il vocio degli studenti fu più chiaro che mai, poi il quartetto mise la parola “fine” allo spettacolo.
«I just need you now...» «I was here...».
Ecco, una degna conclusione di merda. Garth aveva cominciato a cantare prima di Meg, rendendo il finale una cacofonia confusa di voci.
Sulle ultime note della chitarra di Kevin i ragazzi del Glee Club fecero un breve inchino, ricevendo più risate e fischi che applausi. Dean non mosse un muscolo, troppo concentrato sull'espressione di Castiel, imperscrutabile come sempre.
Il preside Crowley risalì sul palco e batté le mani un paio di volte, prima di riappropriarsi del microfono e congedare gli abbattuti ragazzi.
«Grazie al Glee Club per questa, uhm... Singolare esibizione».
Era palese che quel “singolare” era solo un modo non compromettente di dire “schifosa” e in tal modo parvero pensarla anche gli studenti nell'auditorium a giudicare dalle risate.
Mentre l'uomo poneva fine all'assemblea, Dean scattò in piedi senza riflettere. Fendette la fiumana di studenti che già cominciavano a uscire dalla sala e a fatica raggiunse le quinte del palcoscenico.
Incrociò Anna che si allontanava in tutta fretta, così dispiaciuta e umiliata da non notarlo neppure; Meg, comparsa poco dopo, gli fece un sorrisetto noncurante.
«Gli autografi dopo, Winchester».
Il ragazzo non replicò, oltrepassandola e ritrovandosi dietro il sipario appena richiuso: strizzò gli occhi nella penombra e individuò Castiel, solo, seduto su una sedia abbandonata lì.
Fece per avvicinarglisi ma la parte razionale di lui lo costrinse a bloccarsi. Perché era lì? Cosa voleva fare, consolare un ragazzo che conosceva appena?
Un ragazzo che ti ossessiona, fece eco la vocetta fastidiosamente simile a quella di Sammy nella sua testa. Scosse bruscamente il capo e fu allora che Castiel lo notò.
Gli sorrise appena, gli occhi stranamente spenti. Non lo chiamò né lo salutò e Dean si sentì terribilmente in colpa, pur non avendo fatto nulla di male.
Fece un paio di passi esitanti in direzione di Castiel tentando di rispondere al suo sorriso.
«Ehi».
Questi scrollò appena le spalle e si alzò in piedi. Sollevò il capo e, fissandolo dritto negli occhi, esalò le ultime parole che Dean si sarebbe aspettato di sentire.
«Mi dispiace».
Quasi trasalì e aprì la bocca per replicare, ma non un suono ne venne fuori. Ci pensò Castiel a trarlo d'impaccio.
«Avevi ragione tu, Dean» e il suo nome, pronunciato da quella voce che poteva compiere magie, parve risuonare come una melodia «Abbiamo operato delle scelte sbagliate, e il risultato è stato quello che hai visto».
Sempre più stupito, Dean fece un altro paio di passi in avanti e sbuffò appena, a disagio.
«Non è andata così male...» mentì, e la bugia doveva essere evidente perché Castiel sorrise divertito e scosse il capo.
«No, apprezzo la tua gentilezza ma è stato un fiasco» dichiarò con semplicità «Avremmo dovuto ascoltarti, qualche giorno fa. Avevi ragione» ripeté.
E fu quello, assieme alla massiccia dose di avventatezza che lo contraddistingueva, a spingere Dean a pronunciare una frase che mai, mai avrebbe pensato di sentir dire con la sua voce in una situazione simile.
«Voglio aiutarvi».
Castiel sgranò gli occhi e, lentamente, un sorriso ben diverso da quello mesto di poco prima cominciò a farsi spazio sul suo volto.
«Dean, io...» balbettò «Grazie. Non so cosa dire...».
«E allora non dire nulla» lo interruppe lui, burbero «Non voglio dare soddisfazione a Raphael».
L'altro annuì e gli porse una mano che lui strinse senza esitare.
«Ti ringrazio, Dean».
Questi si schermì dall'ennesimo ringraziamento e lasciò andare la mano di Castiel.
«Figurati. Avete tutti talento, a parte Garth probabilmente... E te!» si affrettò ad aggiungere «Cioè, non che tu non abbia talento! Insomma non ti ho mai sentito cantare chiaramente, ma immagino che... Che tu sia bravo!».
Castiel abbassò lo sguardo e sorrise mentre Dean si insultava mentalmente con qualunque imprecazione gli passasse per la testa. Il repentino sollevarsi della testa di Castiel lo costrinse a interrompere l'elenco di insulti e il ragazzo tentò di metter su un'espressione per nulla colpevole. O almeno così sperava.
«Stavo pensando... Ti andrebbe di sentirmi cantare? Tanto per fugare i tuoi dubbi».
La situazione stava sfuggendo di mano a entrambi. Si trattava di una proposta innocente e dettata dal contesto, senza dubbio, eppure c'era qualcosa di sbagliato. Se Dean avesse assistito a una scena simile senza esserne coinvolto, l'avrebbe bollata come serenata. Ma in fondo era ancora in tempo per tirarsi indietro con onore, no?
«Va bene» fece stringendosi nelle spalle.
No.
Castiel sorrise – Dean notò come i suoi occhi avessero riacquistato tutta la luminosità che li contraddistingueva – e gli fece segno di seguirlo verso un pianoforte che prima Dean non aveva notato.
«Ma quanti pianoforti ci sono in questa scuola?» borbottò astioso strappando una risatina a Castiel.
«Credo solamente due: questo e quello che hai visto nella sala prove».
Dean batté un paio di volte le palpebre.
«Era una domanda retorica».
«Oh» fu la breve replica di Castiel «Le mie scuse».
Si sedette poi sul basso sgabello posto dinanzi allo strumento, sempre osservato con attenzione dall'altro. Castiel aveva un che di misterioso e di affascinante: carezzò quasi con reverenza la tastiera del pianoforte, pigiando delicatamente qualche tasto per valutare se fosse accordato o meno. Aveva lo sguardo concentrato e le labbra serrate come se tutto se stesso fosse teso a cogliere una qualunque imperfezione sonora; evidentemente non ve n'era alcuna perché il ragazzo lanciò un'occhiata soddisfatta a Dean e si schiarì la voce.
«Spero di non annoiarti, e... Mi piacerebbe sapere cosa te ne pare».
Senza ulteriori indugi, cominciò a far volare le dita sottili sui tasti del pianoforte, traendone una melodia lenta che strappò un basso sospiro rassegnato a Dean. Era mai possibile che quel ragazzo conoscesse solo nenie del genere?
Poi Castiel cominciò a cantare. Dean non poté evitare di sospirare di nuovo, stavolta con ammirazione.
«Can't get you out of my mind so I, try and get space and go outside, but then there you are... Never very far from me here...».
La mente di Dean era alla deriva. Il ragazzo aveva assunto una postura rigida con tanto di braccia strettamente incrociate, e solo la sua espressione vacua lasciava intendere che i suoi pensieri erano lontani mille miglia almeno.
Dean vedeva Castiel suonare, lo sentiva cantare, ma non si trovavano più su un palco polveroso e quasi immerso nel buio. Erano in un bosco, i raggi del sole che gli accarezzavano la pelle e il fruscio delle fronde che si confondeva con la voce carezzevole di Castiel.
Questi aveva gli occhi socchiusi ma la luce del sole giocava comunque con le sue iridi blu, traendone riflessi scintillanti e misteriosi.
«Try and discuss the simplicity and love of a, wood burning fire in front of me, think of other times... Ignore wishes that you were mine...».
Non era la prima volta che Dean si lasciasse inebriare da una canzone che stava ascoltando ma di solito avveniva con canzoni ben diverse e, soprattutto, non a tali livelli. Inspirò profondamente e quasi gli parve di percepire il profumo di alberi e fiori distanti chissà quanti chilometri.
«Bright, bright lights... Spotlight makes it hard to see the stars at night...».
Ora Dean “vedeva” un cielo profondo e immenso, punteggiato da milioni di stelle ammiccanti. Soffriva forse di allucinazioni?
«Everyday has become my stage and I... Feel I have made one, two, three, many mistakes... One, two, three, many mistakes...».
La voce di Castiel si era alzata, sferzante come vento freddo ma dolce come brezza estiva. Dean si costrinse a riaprire gli occhi, accorgendosi solo in quell'istante di averli chiusi.
«One, two, three, many mistakes...».
Vide Castiel rilassarsi e sfiorare appena il pianoforte, voltandosi con un sorriso verso di lui. Lo stomaco di Dean ebbe un lieve, inspiegabile sobbalzo.
«Bright, bright, lights...» quasi sussurrò Castiel, accarezzando un'ultima volta la tastiera e chiudendo poi li occhi. Il silenzio si dilatò tra i due, l'uno seduto e rilassato, l'altro in piedi e teso come una corda di violino.
«Beh...» tentò Dean «Beh, è stato... Interessante».
Non riusciva a trovare parole che rendessero giustizia a una performance di tale entità né, tanto meno, voleva esporsi e far sì che Castiel capisse quanto in realtà quella canzone – e quella sua fottutissima voce – lo avesse colpito.
Il moro riaprì gli occhi e si alzò lentamente, un ampio sorriso sul volto.
«Grazie. Mi fa davvero piacere» esordì, lasciando Dean a domandarsi perché mai la sua banale e borbottata opinione sembrava rallegrarlo così tanto «È una canzone che ho scritto io».
Stavolta Dean non fu pronto a mascherare le proprie emozioni e un'espressione di genuino stupore gli si dipinse in volto, facendo ridere Castiel.
«La cosa ti sconvolge tanto?».
«No, è solo che... Hai talento da vendere» ammise, sollevando appena gli angoli della bocca.
I due rimasero a fissarsi per diversi istanti come timorosi di dire altro o di fare qualcosa di sbagliato, le ultime note vibranti della canzone di Castiel sembravano ancora essere sospese nell'aria.
Dean spostò il peso da un piede all'altro, abbassando lo sguardo di fronte agli occhi dell'altro che davano l'impressione di leggergli dentro e di sapere cosa avesse pensato fino a qualche momento prima.
«Dunque...» infranse prudentemente il silenzio «Quando sarà la vostra prossima riunione?» domandò azzardando un'occhiata in tralice al compagno.
Se non fosse stato un ragazzo duro e tutto d'un pezzo, probabilmente si sarebbe sciolto come neve al sole davanti all'espressione di pura gioia comparsa sul volto di Castiel.
Questi gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla sinistra: Dean, che aveva sempre avuto il suo bel daffare a predicare in giro di “rispetto degli spazi personali”, non si sottrasse a quel vago, innocuo contatto.
«Domani pomeriggio alle cinque, se per te va bene» disse tutto d'un fiato «Dean, io...».
«Basta ringraziamenti!» lo bloccò lui in tono scherzoso «Non sai neanche se potrò esservi effettivamente utile».
Castiel scosse con veemenza il capo, rischiando di far scivolare a terra gli occhiali: se li sistemò con un gesto rapido e sorrise ancora.
«Sono sicuro che con il tuo aiuto le cose miglioreranno» dichiarò con semplicità.
Dean sentì una bolla d'orgoglio gonfiarsi nel suo petto e si domandò intimamente se la sindrome dell'eroe di cui parlava spesso Sam lo affliggesse davvero.
Infine Castiel allontanò la mano dalla spalla di Dean e si passò una mano tra i capelli.
«Non vorrei chiederti troppo, ma potresti preparare una breve esibizione? Solo per noi del Glee Club!» aggiunse in fretta notando l'espressione men che lieta dipintasi sul volto di Dean.
Il ragazzo deglutì e prese un bel respiro, trovandosi poi ad annuire come se una forza incontrastabile lo avesse spinto a farlo.
«D'accordo. Ho la canzone giusta per farvi conoscere il rock» acconsentì con un sorriso.
Castiel rise e i due si ritrovarono a stringersi la mano per la seconda volta prima di separarsi e dirigersi all'uscita, almeno nel caso di Dean.
«Devo recuperare degli spartiti» gli spiegò Castiel vedendolo fermarsi «Ci vediamo domani».
Dean annuì e continuò a camminare verso un lato del palco ma non aveva fatto in tempo ad abbandonare la scena – letteralmente – che la voce dell'altro lo richiamò.
«Dean?».
Lui si voltò ed ebbe la netta sensazione che qualcosa stesse per accadere. Ma cosa?
Castiel gli sorrise – un sorriso ampio, sincero, colmo di felicità – e continuò a raccogliere dei fogli sparsi qua e là.
«Non vedo l'ora».
Dean quasi boccheggiò e dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per limitarsi a borbottare un laconico “Ok” e allontanarsi rapidamente senza dare l'impressione di stare fuggendo.
Uscito dall'auditorium strizzò gli occhi contro la luce del sole che entrava dalle finestre e riprese a respirare più liberamente. Quell'ultima frase di Castiel lo aveva fatto sentire come se una mano invisibile gli avesse improvvisamente stretto lo stomaco. Prima le allucinazioni, poi quello... Forse aveva l'influenza. Forse.
Borbottò qualcosa di indistinto e si allontanò a passo deciso verso l'uscita della scuola. La spalla su cui Castiel aveva posato la mano poco prima sembrava quasi ardere.


















Angolo ottuso dell'autore
Bu-bu-settete!
Lo so, sono un essere abbietto e imperdonabile, ma comprendetemi: la mia laurea è messa in discussione dagli ultimi esami, quindi sono stato (come si dice a Roma) “più de là che de qua”.
Ordunque, niù ciapter e niù ivents! Dean infine ha ceduto – chissà come mai... – e nel prossimo capitolo avremo il piacere di “sentirlo” cantare. Che cosa, chiederete voi? Potete indovinare, sono certo che le vostre mentoline sapranno darmi la risposta esatta :3
Passando al musical corner, qui abbiamo robetta interessante! Nelle esibizioni abbiamo un mash-up (abbozzato dal sottoscritto :3) tra “Need you now” dei Lady Antebellum e “I was here” di Beyoncé; la canzone che Castiel ha cantato *coffcoff* dedicato *coffcoff* a Dean è “Lights” di Nellie Veitenheimer (ex concorrente della seconda stagione del Glee Project, molto brava).
Al solito, millemila grazie a chi recensisce, segue, preferisce, ricorda e anche a chi silenziosamente legge questa storia: lovvovi <3
   
 
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