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Autore: hello_tw    10/09/2014    1 recensioni
Bella Swan, giovane avvocato di New York. Intraprendente, sicura di sé. Solo un difetto: crede che si possa fuggire dall'amore. Ma ciò che la vita ha in serbo per lei non è esattamente quello che si sarebbe aspettata: un viaggio, ricco di sorprese e delle emozioni che mai avrebbe pensato di tornare a vivere. Se non siamo noi a decidere di seguire il cuore, è il cuore che ci trascina con sé!
Tratto dal Capitolo 6: "Lui prese la mia mano, stringendola in una morsa calda, e poteri giurare di averlo sentito sorridere a sua volta".
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Jasper Hale | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Buonasera! Mi rendo conto del ritardo... scusatemi!
Vi lascio al capitolo :) Buona lettura!

CAP 4

 

Londra – Bella Pov

 

Ero ancora lì imbambolata che fissavo il ragazzo alla porta.

Il suo viso era di una bellezza incredibile; non era perfetto, ma lo stesso straordinario.

Gli occhi erano di un verde brillante con piccole striature più scure verso l’interno; i capelli biondo ramato che svettavano in un ciuffo ribelle, tutti scompigliati. Un accenno di barba sul viso dai tratti marcati.

Mi guardava anche lui. Aveva un’espressione sorpresa, dolce.

<< Mi scusi se la disturbo signorina, ma Alice è in casa? >> chiese.

<< Non si preoccupi, nessun disturbo. Comunque Alice non c’è >>.

“È un amico? Il suo ragazzo?” pensai.

<< E per caso sa dirmi dove la posso trovare? >>

<< Credo che per raggiungerla le serva un aereo… è partita per New York >>

<< Partita? Come..? >>. Sembrava confuso.

Mi accorsi che stavamo ancora parlando sullo zerbino.

<< Le andrebbe di entrare? Così le spiego meglio… >>. E lo lasciai passare.

<< La ringrazio. E, mi perdoni, non mi sono presentato. Sono Edward, il fratello di Alice >>

Un altro fratello. Eppure così diverso da Emmet nei modi.

<< Io sono Isabella Swan, piacere di conoscerla >>

Gli porsi la mano. La sua stretta era decisa ma non troppo dura.

<< Piacere mio, signorina >>. E continuò a guardarmi con un lieve rossore sulle guance. Attribuii quella reazione al calore che il caminetto sprigionava all’interno della casa.

<< Oh, mi dia del tu la prego >>

<< Va bene, Isabella. Vale anche per te >> disse sorridendo.

Notai che aveva usato il mio nome per intero. Non gli avevo ancora detto che preferivo Bella. Ma a differenza di suo fratello, lui non sembrava prendersi confidenza non concessa.

<< Immagino vorrai sapere perché mi trovo a casa di tua sorella mentre lei è dall’altro capo del mondo >>

Attese paziente qualche spiegazione, senza smettere di osservarmi attentamente.

Aveva un che di ipnotico il suo sguardo.

<< Io vengo da New York e ho scambiato la mia casa con Alice per qualche settimana di vacanza >> Spiegai con fare sbrigativo.

<< Capisco. E da quanto sei qui? O meglio, da quanto lei è partita? >>

<< Da circa due giorni >>

<< E non mi ha detto nulla… strano >> sembrò parlare fra sé.

<< Ti dispiace se faccio una telefonata veloce? >> chiese preoccupato.

<< No no, fai pure >>

Prese il cellulare e compose rapidamente il numero.

Andai in cucina a vedere se trovavo qualcosa da offrirgli.

<< Emmet dove sei? Perché non me l’hai detto? Pensavo di trovarla da Alice.

Giusto, la segreteria. Scusami.

Dove siete adesso? Ok, l’importante è che stia bene.

Passo più tardi. Ciao >>

Mi raggiunse in cucina e, appoggiandosi ad una parete, si mise ad osservarmi con lo sguardo divertito mentre aprivo tutte le porte delle credenze cercando una bottiglia di vino o qualcosa di simile.

<< Hai già cenato, Isabella? >> chiese di punto in bianco.

Diedi un’occhiata all’orologio della cucina. Segnava le sette e trenta.

<< No, non ancora >>

<< Nemmeno io. Ti va allora di cenare insieme? >>. Lo guardai. Se ne stava ancora nella stessa posizione di prima, con le gambe incrociate e le mani nelle tasche del cappotto.

<< V-va bene, grazie. >>

<< Perfetto >> e mi regalò un sorriso capace di farmi perdere ogni facoltà intellettiva.

 

Il tragitto durò poco. Arrivammo davanti ad un ristorantino.

<< La cucina qui è ottima. Il cuoco è italiano >> rise sotto i baffi.

<< Ah allora è vero che gli inglesi non sanno cucinare, come si sente dire >>

<< Beh, non tutti gli inglesi >> disse ammiccando.

Una cameriera ci condusse al nostro tavolo e ordinammo.

<< Grazie, Claire >> disse Edward.

E la ragazza, rivoltogli un sorriso, se ne andò ancheggiando, sperando che lui la seguisse con lo sguardo.

Ma non appena ci ebbe lasciati, Edward tornò a girarsi verso di me.

<< Allora, “Isabella di New York” >> disse enfatizzando con il tono di voce << che cosa avevi in programma di fare se non fossi arrivato io? >>

<< La mia agenda è davvero piena di impegni, mai una serata libera >> lo guardai scherzosa. << Peccato che l’abbia lasciata in America >>

Fece una risatina. << Quindi riconosci che ti ho appena salvata da una serata in solitudine e all’insegna della noia? >>, l’espressione compiaciuta.

La solitudine non era mai stato un grosso problema per me. I miei amici mi conoscevano, e sapevano che non mi spaventava. Adoravo starmene a casa immersa nei libri o ad ascoltare musica, per conto mio. Avevo il tempo di riflettere su tante cose a cui gli impegni di lavoro e la vita frenetica di città mi impedivano di prestare attenzione.

“Ma”, continuavo a ripetermi, “questa è una vacanza”.

Perciò annuii. << Proprio così, Mr Cullen. Immagino dovrei farle dono di una lauta ricompensa per ringraziarla di questo suo magnanimo gesto >> dissi con finta nobiltà.

Lui non rispose; si limitò a lanciarmi un’occhiata sensuale e decise di cambiare discorso.

Sentii le guance in fiamme e distolsi lo sguardo.

<< Allora Isabella, che fai nella vita di tutti i giorni? >>

<< Sono un avvocato >>

<< Un brillante avvocato, immagino >> disse con mezzo sorrisetto sulle labbra.

<< Beh ecco… Io.. Grazie >> risposi timidamente.

<< Cosa ti ha spinta a scegliere questa professione? >> Mentre mi parlava sembrava studiarmi con lo sguardo. In genere riuscivo a capire facilmente quello che traspariva dalle espressioni della gente, ma con lui risultava tremendamente difficile.

<< Mio padre è un poliziotto ed il “mito” della legge è sempre stato di casa nella mia famiglia. Perciò era inevitabile per me intraprendere questa strada. E tu? >>

<< Io sono un medico. Un cardiochirurgo >>

Un medico. Non lo avrei mai detto.

<< La pecora nera della famiglia? >>

<< Come scusa? >> mi domandò sospeso tra l’iniziale confusione e stando sulla difensiva.

<< Intendo dire… Ho sfogliato una rivista a casa di tua sorella e a quanto ho capito, Alice ed Emmet lavorano nel campo della moda. Immaginavo che anche tu ne facessi in qualche modo parte >>

A questa mia sommaria spiegazione seguì la sua risata.

<< No no, io non ho mai avuto quel genere di passione, sebbene mia sorella qualche volta abbia cercato di “convertirmi”, ma con scarsi risultati. Non sarei mai potuto sopravvivere in quel mondo! >> e rise di nuovo.

<< Allora da cosa deriva la tua scelta? >>

Esitò un attimo, continuando a fissare distrattamente il suo bicchiere di vino.

<< Mio padre >> disse. Mi aspettai che continuasse, ma troncò la frase sul nascere.

Inoltre era molto giovane per aver già completato la specializzazione e lavorare. Non sembrava avere più di una trentina d’anni.

<< Allora… come mai hai deciso di passare le vacanze di Natale qui, tutta sola? >>

Non potevo dirgli la verità. Sarei morta per la vergogna se gli avessi raccontato di Jacob.

<< Un diversivo >>

Non sembrò bersela. << Un diversivo eh? Dall’altra parte del pianeta? >> e tornò a fissarmi lanciandomi uno di quei sorrisi che attentavano alla vita delle persone.

Semmai mi fosse venuto un infarto, almeno non avrei dovuto avere paura di morire visto che mi trovavo con la persona giusta. Sperai che fosse tanto bravo a rianimarmi se fossi svenuta quanto lo era a mettermi KO con il suo fascino.

<< E la tua famiglia? Non dovresti essere con loro visto che tra due giorni è Natale? >>

<< Oh, se la caveranno anche senza di me per quest’anno… a terrorizzarmi è ciò che mi aspetta il prossimo quando dovrò farmi perdonare per la mia assenza >>

Era elegante in tutto quello che faceva: dal modo in cui mangiava a quello in cui tagliava la bistecca, dalla camminata alla guida della sua auto alla sua risata. In una parola: attraente.

Ad un certo punto ricordai che era rimasto sorpreso della partenza di sua sorella.

<< Ma Alice non ti aveva detto che sarebbe partita? >>

<< Probabilmente si, deve aver lasciato un messaggio nella segreteria, ma mi sono scordato di controllarli. Il lavoro e tutto il resto.. >>

“Che intende con tutto il resto?” pensai. Quel suo lasciare le frasi a metà mi incuriosiva sempre di più sul suo conto. Lo avvolgeva in una nuvola di mistero.

<< Sei già stata altre volte a Londra? >>

<< Si, una volta circa quattro anni fa per un master >>

<< Quindi non hai avuto occasione di visitarla come si deve.. >> suppose.

<< In effetti non ho visto molto.. Speravo di rimediare questa volta >>

Parve illuminarsi. Sul suo volto comparve un sorriso, come quello dei bambini quando hanno appena avuto un’intuizione geniale e pregustano già la vittoria.

<< Potrei guidarti io, turni permettendo.. Sempre se ti fa piacere >> disse dolcemente.

<< O-ok, ti ringrazio >>

Dentro di me una vocina mi ammoniva per aver accettato, mentre un’altra stava già festeggiando.

Anche se può sembrare un’azione avventata, diedi ascolto alla seconda.

 

Finita la cena uscimmo dal ristorante.

<< Ti va di andare a bere qualcosa? O hai già voglia di fiondarti sotto le coperte al caldo? >>

Mi guardò ironico, prendendo il mio braccio sotto il suo. Così vicino ,sembrava ancora più alto.

O meglio, io mi sentivo piccola.

<< Sai, non dispongo di un jet privato per venire ogni volta che voglio a bere alcolici inglesi direttamente qui. Quindi certo che mi va >>

Quattro birre dopo, mi resi conto che cominciavo a non essere più del tutto in me. Ridevo ad ogni sua battuta come una povera cretina e ad ogni passo che facevo rischiavo di finire con la faccia spiaccicata al suolo.

Edward invece, da bravo inglese, riusciva a reggere di più l’alcool e manteneva un controllo un po’ migliore del mio, visto che doveva anche mettersi a guidare.

Il ritorno durò più dell’andata. L’auto procedeva con un’andatura più lenta e prudente. Quando arrivammo al cottage, tentai di sganciare la cintura di sicurezza che mi incollava al sedile. Vedendo che non riuscivo in quell’immane impresa, Edward venne in mio soccorso e mi liberò. Mentre mi aiutava a scendere mi passò un braccio attorno alla vita stringendomi i fianchi. Io sentivo le gambe molli, e non era certo per via dell’alcool.

Arrivati davanti alla porta d’ingresso gli buttai le braccia al collo temendo di non reggermi in piedi. Lui, non proprio sobrio, mi sorrise e, prima che potessi accorgermene, le nostre labbra erano incollate.

Una volta entrati superammo l’ostacolo dei cappotti lasciandoli cadere sul pavimento.

Mi prese in braccio e gli circondai i fianchi con le gambe. La camera da letto era troppo lontana per entrambi, e così ci accontentammo del divano. Raggiunta la meta, mi lasciai cadere di schiena e lui, lentamente, si stese sopra di me e cominciò a lasciare una scia di baci lungo il mio collo, dietro alle orecchie, per poi tornare ad impadronirsi della mia bocca.

Io cercavo di usare la poca lucidità che mi era rimasta per concentrarmi sui bottoni della sua camicia. Tolta di mezzo anche quella feci scorrere le mani lungo il suo petto non troppo muscoloso, ma scolpito e perfetto, mentre lui continuava a torturarmi con i suoi baci.

<< E-edward… >>

<< Si? >> ansimò.

<< Non ti ho detto una cosa.. >>

<< Cosa? >> chiese, mentre faceva scorrere le sue mani lungo i miei fianchi e si intrufolava sotto il maglione che indossavo, a contatto con la pelle nuda.

<< Chiamami Bella >. Mi strinsi alle sue spalle larghe e forti.

<< Bella… Bella >> Ripeteva il mio nome ad ogni bacio che lasciava sul mio volto.

Mi tolse il maglione e rimasi in reggiseno sotto il suo sguardo. I nostri bacini, seppur ancora separati dai pantaloni, lasciavano trapelare ogni emozione. Soprattutto il suo.

Proprio quando stavo per infilare le mani tra i suoi meravigliosi e morbidi capelli, lui si bloccò e mi fissò attentamente. Si reggeva sui gomiti per non pesarmi addosso. Sul suo volto era sparito il desiderio che c’era fino a pochi secondi prima. Si formò una piccola ruga di disappunto tra le sue sopracciglia.

Io ero ancora confusa per via della scorpacciata di alcool, e vivevo al rallentatore tutto quello che stava succedendo.

Edward si staccò da me e si rivestì, cappotto compreso.

Non capivo cosa stesse facendo. Perché non mi voleva più?

<< Bella.. Io.. Oddio scusami! Non so cosa mi è preso! >>. Si stava avviando verso la porta, con me barcollante al suo seguito.

Si passava una mano sulla faccia, massaggiandosi le tempie.

<< Scusami.. Buonanotte >>

E uscì chiudendosi la porta alle spalle.

  
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