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Autore: Hiraedd    11/09/2014    3 recensioni
A Godric’s Hollow tutti conoscono i Potter:
la signora Dorea, donna tutta d’un pezzo, bella, furba, con quello splendido sorriso sulle labbra delicate;
il signor Potter, Charlus, sempre con una buona parola per tutti in bocca e quell’imprecazione così strana, “dannati serpeverde!”, a terminare tre frasi su cinque, specie quelle rivolte alla moglie;
i due ragazzi, poi, chi potrebbe non conoscerli? James e Sirius, hanno dietro una fila di cuori infranti che va dalla porta di Casa Potter fin al centro della piazza del paese, circa al monumento dei caduti.
Tuttavia, è degli ultimi due arrivi che si fa un gran parlare.
La signora Bensy ha detto alla signora Segrfid, la moglie del panettiere, di aver sentito da Jhon il calvo –gran pettegolo, quello!- che la signora Remsy –l’altra buona- ha ospitato per un intero pomeriggio uno dei due figli dei Potter, e la di lui ragazza, a casa sua.
Per giudicare l’altra ragazza, è bastato guardarla appena: bella come la morte e con un sorrisetto malizioso sul volto. Le ragazze del paesello sono concordi: è a dir poco insopportabile… e, no, non c’entra nulla l’aver tolto dalla piazza quel gran bel pezzo di figliolo che è Sirius Black.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fabian Prewett, Gideon Prewett, Marlene McKinnon, Mary MacDonald, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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NOTE DA UNA SCIAGURATA:

So benissimo che la maggior parte di voi probabilmente mi odiano e hanno pure ragione. So che è passato un anno dall'ultimo aggiornamento di questa FF e che chi non mi odia probabilmente non lo fa solo perchè si è dimenticato di me. Come dargli torto.

Non posso garantire nulla, tra l'altro, per quanto riguarda i prossimi capitoli. Questo capitolo è diviso in 2 parti che verranno pubblicate una oggi e una domani, perchè era un capitolo davvero troppo lungo e necessitava di un'interruzione, secondo me. 

Siccome in questo capitolo compare un nuovo personaggio (già presente in Primavera non bussa) volevo pubblicare questo capitolo insieme al 17° di Primavera in modo che fosse più comprensibile come carattere. Purtroppo non ci sono riuscita, mi dispiace. Comunque, come ho già sottolineato altrove, nè questa nè quella ff sono o rimarranno incomplete, lo giuro. Probabilmente ci metterò tutta la vita, ma vedranno la fine.

Buona lettura a chi è rimasto,
Hir


ECCO A VOI QUELLO CHE VI SIETE (sicuramente) DIMENTICATI DI “L’AMORE AI TEMPI DELL’ODIO”
 
Nel presente: Al Ministero sta per essere approvato un “Progetto di Protezione e Sicurezza Babbani”, con cui i Mangiamorte non sono d’accordo. Una serie di attentati/rapimenti/omicidi vengono perpetrati ai danni dei pezzi grossi del Ministero che supportano questo progetto, con lo scopo di scoraggiarne l’approvazione con la paura. Fergus McDonald, padre di Mary McDonald, da il suo appoggio al progetto, per cui la figlia viene rapita in una strada buia, a sera inoltrata, mentre sta fuggendo da un pesante litigio avuto con una delle sue migliori amiche, Alice.
Mary fa parte, insieme a tutti i suoi amici, dell’Ordine della Fenice. Grazie all'arrivo di un misterioso bigliettino e ad alcuni ritrovamenti Mary viene localizzata in una tenuta nel nord della Scozia, dove viene tratta in salvo da una squadra di Auror del Ministero e prontamente portata al San Mungo. 

LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
ALICE
FRANK
REMUS
PETER
REGULUS 
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
CAPITOLO 15


VILLA MCKINNON
 
 
Sono due ore ormai che Alecto Carrow tiene banco con le proprie chiacchiere vuote.
 
Cinthia Rosier in McKinnon non riesce davvero a credere di essere stata amica di una tale oca giuliva, ai tempi della scuola.
 
Il pensiero le sovviene proprio mentre torna ad appoggiare la teiera bollente, con la quale ha versato il tè ai suoi tre ospiti, sul vassoio d’argento dei folletti.
 
<< Mi ha fatto davvero piacere poter fare di nuovo due chiacchiere con te, cara >>  la sente infatti dire con quel tono tanto affettato quanto falso con cui è sempre stata solita rivolgerle la parola << Dopo il tuo matrimonio ti sei praticamente isolata. Vivi chiusa nelle proprietà dei McKinnon e questa cosa non ti fa affatto bene. Guarda la tua bella pelle, hai un colorito così sciupato! >>.
 
<< Per fortuna che ho un’amica come te, allora, che ha così a cuore il mio ricordo da poter sprecare ore preziose per farmi visita >>
 
Il tono velato di sarcasmo non sfugge ad Alecto, che raddrizza la testa stupita assomigliando per un attimo ad un gufo colto di sorpresa.
 
Quando ancora andavano a scuola tra di loro era tutto diverso. Era Hogwarts, a rendere tutto diverso. Lì era facile inneggiare alla supremazia del Sangue Puro, quando qualche commento audace e denigratorio pesava soltanto qualche sguardo impaurito e qualche lacrima da parte delle persone più deboli.
 
Sono stata una persona orribile, pensa Cinthia cinicamente portandosi la tazza di fine porcellana alle labbra.
 
Seduta sulla poltrona davanti alla sua, Alecto le rivolge un lungo sguardo inquisitorio. Si sente scrutata anche dagli altri due ospiti, Cinthia.
 
<< Come stanno mamma e papà, Evan? E Al? >>.
 
Lei e suo fratello non hanno mai avuto un vero e proprio rapporto.
 
Cresciuti con troppi anni di distanza a separarli, forse. Molto più probabilmente, a separarli realmente è quella luce fanatica che Cinthia riesce a scorgere negli occhi di lui, e il tatuaggio nero che nemmeno il polsino bianco d’una camicia d’alta sartoria riesce a celare del tutto.
 
<< I nostri genitori ti mandano i loro saluti >> risponde a mezza voce Evan, ignorando deliberatamente l’ultima domanda << Ti mandano le loro scuse per non aver potuto farti visita negli ultimi giorni, purtroppo nostro padre lavora molto e nostra madre è preda di violente emicranie >>
 
<< Nulla di grave, spero >>.
 
Chissà se se lo immaginavano, ai piani alti, che i progetti per non perdere il controllo dei McKinnon avrebbero portato anche una Rosier a sfuggire dalle loro grinfie.
 
<< Nulla di grave, no. Tuttavia nemmeno tu vieni a trovarli. Nostra madre si chiede il perché di questo repentino allontanamento >>.
 
No, nessuno l’aveva previsto. Si, tutti l’hanno notato.
 
Rabastan Lestrange, seduto nella poltrona accanto a quella di Alecto, la guarda come un gatto guarderebbe un topolino grasso. Quel ragazzo la inquieta, i suoi occhi fanno paura e Cinthia non ha la minima idea di che cosa voglia dire la sua presenza lì. Ha gli occhi più folli di quelli di Evan.
 
<< Non dire sciocchezze, Evan, non mi sto allontanando proprio da nulla >> mormora disinvolta appoggiando nuovamente la tazza di porcellana sul vassoio per evitare che il tremito delle sue mani si noti << Mi sono appena sposata, sono solo piena di impegni >>.
 
<< Tuo marito lavora molto, Cinthia? >>.
 
<< Signora McKinnon per te. Max è un uomo impegnato, Lestrange >>.
 
<< Hai legato molto con il resto della famiglia? Timothy? Marlene? >>.
 
Cinthia solleva uno sguardo perplesso davanti alla strana tensione nel tono di Rabastan. Ora anche Evan sta rivolgendo un lungo sguardo pensieroso all’amico, tuttavia non sembra particolarmente scocciato dall’invasione della domanda. Dall’ingresso giunge il rumore sordo del battente del portone, segno che l’elfo domestico ha appena fatto entrare qualcuno in casa.
 
<< Penso che questi non siano affari che ti riguardino, Lestrange >>.
 
<< Mi stavo chiedendo semplicemente con quale stato d’animo la piccola di casa McKinnon avesse appreso la notizia del miracoloso ritrovamento della sua amichetta, avvenuto due giorni fa. Cinthia. >>
 
<< E io mi chiedo da quando io e te possiamo ritenerci talmente amici da giustificare una tua visita per il tè in un tranquillo pomeriggio estivo >>.
 
<< Ti invito a ricordare i motivi per cui hai sposato Mc… >>
 
 << Signora McKinnon, Padrona? Emmeline Vance e Paul Sanders sono all’ingresso. Fiddie li fa accomodare? >>.
 
La vocetta gracidante dell’elfo domestico irrompe nella conversazione richiamando l’attenzione dei tre ospiti e di Cinthia, bloccatasi nell’atto di alzarsi dalla poltrona in preda ad una furia a stento trattenuta. Entrare in quella casa a dettare ordini, ecco cosa ha intenzione di fare quel ragazzino folle che è Rabastan Lestrange! Un bambino che ancora va a scuola, presuntuoso arrogante!
 
<< Padrona? >>
 
I pensieri irosi passano con un solo lampo negli occhi della nuova Signora McKinnon. D’altronde, la dissimulazione è un’arte che si impara presto tra i Purosangue, mondo fatto d’apparenza, teatro perpetuo.
 
<< Fai accomodare qui con noi i nuovi arrivati, Fiddie, ma va a chiamare Marlene in camera sua. Gli ospiti sono per lei >>.
 
Uno sguardo veloce alla pendola del salotto. Gli ospiti si tratterranno ancora per almeno un quarto d’ora. Un lunghissimo quarto d’ora.
 
Che Merlino mi conceda la pazienza.
 
 
*
 
 
<< Sono molto influenti i McKinnon nel mondo magico, vero? >>.
 
La domanda di Paul Sanders mi coglie di sorpresa mentre ancora sono intenta a guardarmi meravigliata intorno. L’androne di Villa McKinnon è… opulento, direi. È una grande sala riccamente decorata da stucchi barocchi e drappeggi dai colori chiari, e sul fondo, vicino ad una porta che deve portare probabilmente alla zona giorno, parte una grande scalinata di marmo bianco che dovrebbe condurre, a rigor di logica, alla zona notte. Il soffitto è abbellito da affreschi dai colori vivaci e alle pareti fanno bella mostra di sé numerosi quadri che ritraggono scene mitologiche.
 
<< Da cosa lo deduci? >> chiedo in risposta con un sorrisetto.
 
Non avevo mai messo piede a casa di Marlene, la immaginavo più simile a quella di James e Mary che non a Buckingham Palace se devo essere onesta.
 
Un elfo domestico dall’aria ordinata, lo stesso che è venuto poco fa ad aprirci il portone di casa, ci viene incontro chiedendoci di seguirlo dalla padrona.
 
Paul, accanto a me, sembra addirittura più stupito della sottoscritta. Anche lui è di origini babbane e forse, come me, non si aspettava di ritrovarsi catapultato in questo splendore barocco semplicemente bussando alla porta di casa di una nostra compagna di scuola.
 
<< Sto resistendo all’impulso di rubare un posacenere >>.
 
Mica per niente è l’ex ragazzo di Mary McDonald, ricordo. Il pensiero mi fa sorridere.
 
<< Voi dovete essere compagni di scuola di Marlene, se non sbaglio >>.
 
Vorrei prendermi qualche attimo per poter osservare meglio il bellissimo salotto in cui l’elfo domestico ci ha condotto, ma una voce cortese e fredda mi distrae. I ragazzi della Patria dei Bellocci mi avevano detto che la nuova moglie del fratello di Marlene, Cinthia, è molto graziosa. E tuttavia non credo che l’aggettivo “graziosa” renda al meglio l’idea.
 
La donna slanciata ed elegante che ho davanti è molto più che graziosa; avvenente, direi. Ha i capelli chiari raccolti in una complicata treccia che parte dalla nuca per arrivare oltre la spalla destra fino a sotto il seno, e gli occhi chiari, dal taglio lievemente felino.
 
<< Si, infatti >>.
 
Quando mi rendo conto della poca cortesia con cui ho risposto alla domanda cerco di porvi rimedio, imbarazzata dal silenzio e dalla situazione.
 
<< Noi... ci scusiamo per il disturbo, siamo solo… eravamo d’accordo con Lène di uscire insieme questo pomeriggio per andare a trovare una nostra amica al San Mungo. Non volevamo disturbare >>.
 
Nello sguardo della ragazza, imperscrutabile, passa un lampo di curiosità e poi, per un secondo, quella che sembra preoccupazione. Alcune figure comodamente sedute nella stanza si palesano ai nostri occhi. Fissa com’ero su Cinthia non le avevo ancora notate.
 
<< Dunque è vero quello che dicono, la cara Mary è tornata a casa >>.
 
Lo scherno nella voce di Rabastan Lestrange basterebbe da solo a mettere addosso una gran rabbia perfino al più santo degli uomini. Io, oltre che arrabbiata, sono anche impaurita. Non riesco nemmeno a guardare questo essere immondo negli occhi.
 
Mi ci vuole qualche attimo per capire che, oltre la paura, provo solo uno sbalordimento indignato.
 
Come osa mostrarsi in pubblico, o anche solo in questa casa? O forse, proprio perché stiamo parlando della casa di Marlene, migliore amica mia e di Lily, e poi di Mary, con quello che è successo…
 
<< All’ospedale, hai detto? Spero di cuore che sia ancora tutta intera. Povera creatura >>.
 
Prima ancora che io riesca a riprendermi dallo stupore di sentirlo ancora parlare sento vicino a me Paul scattare.
 
<< Razza di fetente bastardo >> sbotta rivolto a Lestrange << Come osi dire addirittura il suo nome con quella tua bocca lurida? >>.
 
Delle due figure che si trovano insieme a Rabastan, entrambe a me sconosciute, l’unica donna arriccia il naso guardandoci con aria disgustata.
 
<< Cara Cinthia, permetti che due ragazzini parlino in questo modo ai tuoi ospiti in casa tua? >>.
 
<< Questa, Carrow, non è casa sua più di quanto non lo sia tua >> sibila la voce gelida di Marlene dalle nostre spalle.
 
Lène è appoggiata allo stipite della porta, vestita di tutto punto e perfettamente pronta per uscire.
 
<< Ti sarei grata, Cinthia >> continua poi la mia amica guardando gli ospiti con furia a stento trattenuta << Se evitassi di ricevere i tuoi amici criminali sotto questo tetto >>.
 
<< Io non… >>.
 
<< Sto uscendo. Ne riparliamo stasera, comunque. Emme, Paul, volete seguirmi? >>.
 
Mentre seguo Marlene senza emettere alcun suono non posso fare a meno di chiedermi di quali strane dinamiche siamo stati inaspettati spettatori io e Paul.
 

 
 
*
 
 
C’è un sentiero in mezzo al bosco.
 
È fatto di terra, sale su per una collina che lei non può vedere ed è delineato di grandi lastre di pietra bianca e corrosa.
 
Probabilmente sono vicino al mare.
 
È un pensiero, il suo. Un pensiero stupido, forse, perché non senta alcun odore salmastro e, anche se ci prova, non riesce ad alzare lo sguardo per scrutare il panorama. Tutto quello che vede è questo, un sentiero ripido che sale in collina, di quando in quando sconnesso e delineato di pietra bianca e corrosa.
 
Il mare deve essere vicino.
 
No. Stop. Da qui ci siamo già passati. Ci sono già state riflessioni su un mare probabilmente inesistente e i pensieri paiono aver fatto un giro completo.
 
Comunque.
 
Il sentiero è in mezzo ad un bosco. Gli alberi, mani scheletriche che si protendono verso il cielo in quello che sembra un urlo disperato, sono spogli.
 
Quindi è inverno. È inverno, ed il mare è vicino.
 
Non che abbia molto senso pensare cose del genere, ma d’altronde i sogni non devono averlo per forza, un senso. È proprio per questo, crede, che di tanto in tanto il cervello si permette di sognare cose illogiche: perché la realtà non lo permette, e la mente ha pur bisogno di staccarsi dal mondo.
 
Perché quello è un sogno, e la ragazza lo sa di stare solo sognando.
 
È un pensiero veloce quest’ultimo, un pensiero veloce che velocemente si allontana –ma forse è lei stessa ad allontanarlo- così come è giunto. E di nuovo riesce a concentrarsi sul sentiero e sul bosco –perché di certo è un bosco- d’alberi spogli, d’inverno, vicino al mare perché la pietra è corrosa.
 
Comunque.
 
Non scosta lo sguardo dal bosco, lei, ma vede un margine di cielo. Grigio, forse nuvoloso. Non piove.
 
Gli alberi sono neri, ma non sono bruciati. Il sentiero si arrampica sulla collina –che pare più ripida, ora- delineato da lastre di pietra bianca che oltre ad essere corrosa è chiaro adesso sia anche macchiata.
 
Lastre di pietra bianca macchiata di gocce di denso nero. Inchiostro?
 
La ragazza si china, con due dita tocca una delle macchie e non si sorprende quando, ritraendole, le trova sporche.
 
Anche la mia felpa è sporca di nero.
 
Terzo pensiero che rapidamente svanisce, che poi lei neanche ce l’ha una felpa a casa. Sono anni che non ne indossa una.
 
Il sentiero continua per quelli che saranno un centinaio di passi, più o meno, prima di interrompersi improvvisamente.
 
Una casa? Una villa.
 
Ha un portone davanti al naso e non ci aveva nemmeno fatto caso. Legno nero, anche questo come quello degli alberi, e la villa sembra più un castello e il castello è fatto di pietra bianca e corrosa, per colpa del ma…
 
No, Alice, non ricominciare.
 
Il portone si apre da solo –nei sogni questo succede-.
 
Se nel mondo magico una porta si apre da sola, la cosa meno saggia che tu possa fare è attraversarne la soglia.
 
Naturalmente anche questo, come tutti gli altri pensieri, è qualcosa che la sfiora ma non la cattura. Un pensiero che poi va via, lasciandola da sola ad entrare nella stanza.
 
Quelle stesse gocce di inchiostro che prima macchiavano solo le pietre del sentiero ora macchiano anche il pavimento –bianco, nemmeno a dirlo- attraversandolo tutto fino all’altro capo della sala.
 
La sala forse è vuota, forse no. Non le interessa.
 
La seconda porta è più piccola del portone d’ingresso, ma è anch’essa di massiccio legno nero.
 
Inquietudine. I rami spogli, l’inchiostro nero, il sentiero ripido e in salita, grigio e bianco, e il cielo forse nuvoloso.
 
Manca solo un lamento tetro.
 
<< Alice! >>.
 
<< Mary! >>.
 
Mary è in fondo alla stanza, dall’altro lato, ed è poco più che un mucchio di stracci bianchi che respira. Un mucchio di stracci bianchi macchiati –come le pietre, il pavimento e la felpa-. Un mucchio di stracci bianchi macchiati di nero che respira affannosamente con difficoltà.
 
<< Mary! >>.
 
Muoversi diventa difficile davanti a quella visione, e chinarsi sulla ragazza la obbliga a guardare.
 
Mary è pallida e magra. Troppo magra.
 
La pelle tirata del volto esangue si annerisce sotto e attorno agli occhi, in vistose e terribili occhiaie. I capelli, radi ciocche nere, sono appiccicate al viso dal sudore.
 
E l’inchiostro? Cola dal petto, sulle braccia, sulle mani. E poi dalle labbra, nero come la pece da quelle labbra così esangui.
 
È sangue.
 
Questa volta il pensiero non vola via velocemente, ma batte, ritmato, proprio al centro della fronte, nella mente. Martella, ruggisce, stordisce. È sangue.
 
<< Mary, dobbiamo… >>
 
<< mi hai uccisa tu, Alice >>.
 
Pietra bianca macchiata di sangue, corrosa dal mare che forse c’è e forse non c’è. È inverno, il mare è vicino, la pietra bianca è macchiata di sangue e il sentiero corre in salita e alla fine c’è un castello -che è una villa e che è Villa Selwyn, la ragazza lo sa- il cielo è grigio e la porta è nera, e il pavimento bianco è macchiato di sangue e anche i suoi vestiti lo sono –la felpa, la felpa è macchiata di sangue- e poi c’è Mary, che è un insieme di stracci che respira con affanno e poi c’è il sangue, sul suo petto e tra le sue labbra e.
 
Mi hai uccisa tu, Alice.
 

 
 
*
 

 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE
QUARTO PIANO, Lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata di incantesimi, eccetera
ORE 9.00 DEL 6 AGOSTO 1978
 
 
<< Alice! Prewett, svegliati! >>.
 
Diverse voci preoccupate e un paio di mani grandi che la scrollano per le spalle. Gentilezza, anche se con un lieve accenno di tensione nelle dita artigliate sulle braccia.
 
<< …mi fa male la gola >> mormora la ragazza portandosi una mano alla bocca e poi lungo il collo.
 
Guarda in alto e vede un paio di occhi blu scrutarla con uno sguardo serio, meditabondo.
 
<< Hai urlato per l’ultimo mezzo minuto, quasi. Credo che sia meglio andare a prendere qualcosa di caldo, ti farà passare il mal di gola >>.
 
Benjamin Fenwick si rivolge alla ragazza in tono sommesso, aiutandola ad alzarsi dalle piastrelle su cui è stata seduta per gran parte della notte e su cui, quella mattina presto, ha ceduto alla stanchezza addormentandosi.
 
<< No, io non… Mary… >>
 
<< Non era una proposta, Alice. Vieni di sopra con me >>.
 
 
 
*

 
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
quinto piano: sala da tè per i visitatori e negozio.
 
 
<< Sarebbe meglio che mangiassi qualcosa, sei molto pallida >>.
 
Fenwick sussurra con un tono di comando quando mi porge un piccolo involto di biscotti al burro. Li ha appena comprati al grande bancone della sala da tè, e adesso, seduto davanti a me, zucchera il suo caffè senza fretta ne agitazione, quasi fossimo in pausa pranzo.
 
<< Non ho fame, ti ringrazio >>.
 
Sento ancora il sangue di Mary addosso e sono costretta a fare violenza su me stessa per impedirmi di strofinare le mani sul maglione per ripulirmi di macchie immaginarie.
 
<< Dovresti mangiarne almeno uno, davvero >> insiste.
 
<< Tu invece non dovresti essere qui, mi pare >> ribatto stranamente irosa << Moody ha detto chiaramente a tutti voi di non venire a trovare Mary. È pericoloso, per voi e per l’integrità dell’Ordine >>.
 
La perfetta occhiata innocente che mi viene restituita riesce a strapparmi un sorriso divertito. Quei grandi occhioni blu che ora mi guardano dall’alto riuscirebbero ad ingannare Merlino in persona, grazie alle abili doti recitative di Benjamin.
 
<< Non sono mica qui per Mary >> scrolla le spalle leggermente << Jared, un mio collega di lavoro, si è fatto esplodere il calderone tra le mani. Ho dovuto accompagnarlo qui all’ospedale per forza, dal momento che in laboratorio non c’era nessun altro >>.
 
Hanno strappato Mary dalle mani dei Mangiamorte solo due giorni fa, eppure sembrano anni quelli che ho passato sul pavimento all’esterno della sua stanza qui in ospedale. I primi a vederla sono stati gli auror, per raccogliere la deposizione. Poi i parenti più stretti.
 
Dalla sua stanza esce ed entra una fiumana di persone, una processionaria che pare destinata a non finire mai. Emmeline è uscita dalla stanza con gli occhi colmi di lacrime e un sorriso meraviglioso e contraddittorio dipinto in volto.
 
Non so cosa Mary abbia rivelato agli auror che per primi sono entrati ad ascoltarla, ma so che una volta uscito dalla sua stanza Alastor Moody vantava un’espressione più truce del solito. Ero appoggiata al muro con le spalle, seduta sul pavimento poco distante dalla porta della stanza, e ho sentito benissimo cosa ha detto quando si è rivolto verso Caradoc e Amelia intimando loro di lasciare l’ospedale e non farvi più ritorno per visitare Mary.
 
<< I muri hanno orecchie. Vigilanza costante, ragazzi >>.
 
Le parole di Benjamin mi riportano alla realtà, alla sala da tè e alla scomoda sedia di ferro battuto che occupo davanti a lui.
 
<< Alastor si preoccupa troppo, in fondo è una chioccia >> scherza scrollando una mano per indicarmi di lasciar perdere il discorso << Piuttosto, dimmi. È tutto pronto per il matrimonio? Mancano solo un paio di settimane, ormai >>.
 
Sono categorica quando sospiro.
 
<< Non ho intenzione di partecipare ad alcun matrimonio fino a quando Mary non si reggerà in piedi da sola >>.
 
Il ragazzo davanti a me mi osserva con un piccolo, enigmatico sorrisetto.
 
<< Pensavo lo sapessi. Mary si regge già in piedi perfettamente >>.
 
<< Volevo dire che… >>
 
<< Ovviamente non sei andata a visitarla, altrimenti l’avresti vista con i tuoi occhi >> mi interrompe prendendo a sorseggiare il suo caffè <>.
 
Posso sentire lo sguardo perforante di Benjamin fisso su di me mentre abbasso il mio e mi porto alla bocca uno dei biscotti che lui stesso mi ha offerto poco fa. Pesa come un macigno l’occhiata che mi sento rivolgere.
 
<< Perché tutti voi volete che io la incontri? >>.
 
Alla fine riesco ad alzare lo sguardo fino ad incrociare quello di Benjy, e quello che vi leggo è una calma piatta e imperturbabile. Ciò mi rincuora; Emmeline ha tentato per tutta la mattina di convincermi ad entrare in quella benedetta stanza, e ho sentito per tutta la giornata di ieri gli occhi colmi di rimprovero di Lily sulla nuca.
 
<< Io non voglio che tu la incontri >> sospira Benjamin portandosi ancora la tazza di caffè alle labbra << Cosa vuoi che me ne importi, di chi incontri oppure no? Solo per curiosità… di cosa hai paura, Alice? >>.
 
Mi hai uccisa tu, Alice.
 
Non riesco a trattenere un brivido. Tutto quel sangue.
 
<< Io… >>.
 
Non riesco ad andare avanti. Chiudo la bocca, la riapro e prego che esca qualcosa di tutto quello che ho dentro. Niente.
 
<< Tu? >> mi asseconda lui con un gentile sorriso sulle labbra.
 
Sospiro.
 
<< Ho paura di tutto. Di quello che è successo e di quello che succederà. Di quello che le hanno fatto. Più di tutto il resto ho paura di quello che le ho fatto io prima che questa storia avesse inizio. Se lei non mi perdonasse, non riuscirei a perdonarmi neanche io stessa >>.
 
Ora Benjy ha chiaramente un’espressione confusa dipinta in volto.
 
<< E cosa dovrebbe perdonarti esattamente Mary? >>.
 
Ripenso a quello che è successo prima che venisse rapita. Non solamente durante l’ora prima, al nostro ultimo litigio, ma anche ai giorni, e ai mesi in cui mi sono permessa di giudicarla e di intromettermi nella sua vita come non avevo assolutamente il diritto di fare.
 
 << So che non è colpa mia se quella sera sono riusciti a rapirla. Sono consapevole che non fu il nostro litigio a fare in modo che finisse tra le mani di… insomma, hai capito. La tenevano d’occhio da giorni, l’avrebbero comunque rapita. Ma non cambia niente, vedi… le parole, tutto ciò che le ho urlato contro. Avrebbero potuto essere le ultime parole tra di noi, e sono state orribili. Io le ho detto cose orribili, e in quel momento ero decisa nel dire ciò che stavo dicendo. Se lei fosse morta lo avrebbe fatto con la consapevolezza che io quelle cose le pensavo davvero. Per lo meno in quel momento. E Mary… non dovevo permettermi di giudicarla, davvero. Come ho potuto pensare di poterlo fare? Come?  >>.
 
Se Fenwick rimane tramortito dal flusso di pensieri che mi esce dalle labbra non lo da per nulla a vedere. Continua, con uno sguardo gentile e un piccolo sorriso, a sorseggiare il suo tè con calma. Quello che dice alla fine del mio piccolo monologo mi sorprende.
 
<< è bello che tu te ne sia resa conto da sola, Alice >>.
 
Posa la tazza sul tavolo, con lentezza, guardandomi negli occhi. E io penso all’improvviso che forse non c’è persona migliore di Benjamin Fenwick per parlare di questo: l’atipico Serpeverde alchimista che vive la sua vita amando alla luce del sole un uomo, e che nella sua vita giudicato dagli altri forse lo è stato molto più spesso di quanto non si possa pensare.
 
<< Pensare che il proprio modo di vivere sia quello giusto porta a credere che ogni modo diverso con cui entriamo in contatto sia per sua natura sbagliato. Ma è una cosa bella che tu ti sia resa conto da sola di non avere il diritto di giudicare Mary. Anche se ci hai messo qualche tempo per capirlo >>.
 
<< Mi sono intestardita sul far cambiare idea sul matrimonio a Mary perché sono ancora una stupida ragazzetta appena uscita da Hogwarts >>.
 
<< E ti sei accorta di sbagliare perché stai maturando >>.
 
Il sorriso dolce di Benjy è talmente spontaneo da costringermi a ricambiarlo.
 
<< Credo che questo clima orribile aiuti >> ed è chiaro che non mi sto riferendo al rarissimo sole estivo di Londra << Con questa guerra in corso tra qualche mese ci sentiremo tutti novantenni >>.
 
Benjamin non aggiunge nulla, e continua a sorseggiare il suo caffè con estrema lentezza. Tace per minuti interi, ma il suo silenzio non mi mette a disagio.
 
Alla fine accenna nuovamente un sorriso, posa sul tavolino la tazza ormai vuota e si alza in piedi.
 
<< Andrai a visitarla? >>.
 
Nella sua domanda colgo un pizzico di curiosità ma nessun rimprovero. Se io non gli rispondessi adesso, lui non solo non me ne farebbe una colpa, ma sarebbe totalmente capace di uscire da questa stanza dimenticandosi della questione, senza morbosità.
 
Ecco una persona capace di farsi i fatti suoi.
 
<< Ho ancora paura >> chiarisco ripensando a cosa farò quando finalmente mi deciderò ad entrare e rivedere Mary. Ormai sono giorni che non penso ad altro che a quello.
 
<< Sarebbe peggio se tu non l’avessi. Vuol dire che tieni a lei. Ma fidati se ti dico che rimandare il momento in cui chiederai scusa non può fare altro che incrementare la paura. Di certo non risolverai nulla restando a guardare quella porta in eterno >>.
 
 

 
*
 
 
La stanza non è molto grande, ma due vetrate a malapena coperte da tendaggi sottili fanno si che sia molto luminosa.
 
Sull’armadietto accanto al letto e sul tavolino vicino ad una delle due finestre fanno bella mostra di sé numerosi vasi colmi di fiori variopinti. Gardenie, camelie, girasoli e margherite colorate. Ce n’è per tutti i gusti. Perfino un voluminoso mazzo di rose bianche e delicate, posizionate con particolare cura proprio vicino al letto. Quando la ragazza entra nella stanza, quelle rose sono la prima cosa che vede e, sorpresa ed intenerita, sorride.
 
Il letto dell’ospedale è vuoto, le lenzuola candide sono ammonticchiate sul fondo del materasso e il cuscino è sgualcito.
 
<< Sei qui >>.
 
È un sussurro roco quello che proviene dal lato opposto della stanza.
 
Mary Abigail McDonald è appoggiata al muro vicino alla finestra, quella più lontana dal letto, e la osserva con interesse. Sul volto emaciato e pallido i suoi occhi scuri sembrano grandi come piattini da tè. Avvolta nella vestaglia bianca è talmente pallida da fare luce.
 
<< Io non… >>.
 
Alice non sa cosa dire. Si capisce, mentre si osserva attorno e l’aria della stanza sembra rarefarsi al punto da non lasciarla respirare.
 
<< Non ho portato niente. Sono proprio una stupida; tutti ti hanno portato qualcosa, ma io niente. Libri, fiori, dolci, io… >>.
 
<< Oh, si, sono arrabbiatissima con te per questo >>.
 
La risposta di Mary è addolcita da un sorriso caldissimo e brillante. La voce è un po’ roca e sul volto ha ancora i segni di qualche graffio, eppure ha la forza di sorridere ancora così, quasi prepotentemente.
 
Alice fatica perfino a deglutire, perché vorrebbe correre incontro alla sua migliore amica e stringerla tra le braccia tanto forte da poterla sentire, veramente. Ma sa che non può farlo, perché Mary è ancora debole e l’ultima volta che si sono parlate si sono urlate cose orribili. Che diritto ha lei di abbracciarla e goderne la presenza quando è stata la causa del suo rapimento?
 
<< Come stai? >>.
 
Alla fine si risolve a porre solo una domanda, la più importante di tutte.
 
Mary sembra sapere esattamente cosa intende, poiché il sorriso luminoso di poco prima diventa ancora più brillante.
 
<< Se vieni fino a qui e mi abbracci starò anche meglio. Scusa per tutto quello che ho detto quella sera e i giorni prima e… >>
 
E non c’è più spazio per scuse inutili, soffocate dall’abbraccio consolatorio tanto agognato da entrambe.
 
 
 

ANCORA NOTE DA UNA SCIAGURATA:

Per chi è rimasto fino a qui, grazie. Ora potete tranquillamente insultarmi se ne avete voglia. A domani con Lily e Lène!
   
 
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