CAPITOLO DUE
Mi resi
conto con tutta evidenza che non era un cane randagio. Parlava. In quel
momento
era indubbiamente un punto a suo favore. Era un essere umano, ne ero
quasi
sicuro. Fece ancora un passo in avanti e mi resi conto che era un
essere umano
di sesso femminile. Facevo progressi. Immediatamente la mia mente corse
al
sesso, ma poi si scontrò con l’immagine e
cambiò idea. Era piccola e
scheletrica. Se io ero magro questa era trasparente. Il colore della
sua pelle
tendeva al bianco cadaverico. Aveva capelli neri tagliati cortissimi e
dei
vestiti addirittura peggio dei miei. Sembrava fosse andata a cercare
qualsiasi
pezzo di stoffa nera e se lo fosse buttato addosso. Intravidi anche un
pezzo di
sacco di plastica. In complesso l’aspetto poteva essere
quello di una bambina
di strada malata con la particolare mania del nero. Ma non lo era. Lo
capii
subito. Erano gli occhi. Benché pesti e con delle notevoli
occhiaie, mandavano
bagliori. Erano blu mare, e diventavano viola se pioveva, ma questo lo
avrei
scoperto in seguito. Intanto ero fermo a fissarla e a chiedermi cosa
avesse
detto. Aveva un sorrisino di disprezzo stampato in viso.
“Quo
vadis,
gnat? Dove vai… cosetto?”
Cosetto?
Cosetto io? E lei?
“Eh?
Oh…
buh.”
Scrollai le
spalle e continuai a fissarla. Si sistemò la calza a rete
che teneva sul
braccio.
“Non
hai il
permesso di stare aqui. Non ti voglio.”
Per un
attimo mi sembrò una bambina viziata che faceva i capricci.
“Chi
sei?”
“Non
importa chi sono. Vattene.”
Cominciava
decisamente a infastidirmi.
“Perché
dovrei andarmene?”
“Vuoi
che
ti do un po’ di buone ragioni?” Il suo tono era
decisamente annoiato. “Ragione
prima, ti sembra che io sia andata a casa tua senza permesso? Ragione
seconda,
non mi piace che ci siano estranei nel mio territorio. Ragione terza,
ci sono
un sacco di altri posti dove andare quando non vai a scuola che sono
molto più
interessanti di questo…”
“Ma…”
“E la
ragione quarta è dietro di te.” Fece un elaborato
gesto con la mano per farmi
voltare. Mi trovai a tu per tu con un cane delle dimensioni di un
vitello molto
cresciuto disteso a terra languidamente. Non aveva l’aria
minacciosa. Ma era
spaventosamente grosso. E nero. Non mi ero accorto del suo arrivo. Mi
scrutò da
sotto una palpebra assonnata.
“Uh,
ciaaaao…”
“Non
ti
ucciderà.”
Pausa.
“Se
non
glielo ordino.”
Il vitello
sembrava più intenzionato a farsi grattare dietro le
orecchie che non ad attaccare.
“Stai
bluffando, non farebbe male a una mosca”
Per tutta
risposta la bestia sbadigliò mostrandomi una dentatura
affilatissima. Sembrava
mi stesse prendendo in giro.
“Wyvern,
come here.”
Il mastino
si alzò e trotterellò a fianco della ragazza. Era
grande quasi quanto lei. Gli
lanciò un rametto. Wyvern, o come diavolo si chiamava, lo
afferrò al volo e lo
ridusse in frantumi. Poi andò a distendersi tranquillo
nell’erba.
“Non
sei
qui per vedere i numeri del mio cane”
“Eh
no”
“Cerchi
qualcosa?”
“Non
ho
altri posti dove andare”
“Ce
ne sono
un sacco, ad esempio la scuola”
“Tu
non ci
sei”
“Se
ci
fossi io andresti a scuola? Che fai, cerchi di rimorchiarmi?”
Di nuovo le
si disegnò un ghigno sul viso. Un bagliore negli occhi.
Fissi nei miei. Avevo
la vaga impressione che stesse cominciando a divertirsi, ma di un
divertimento
malsano. Come se io fossi stato la sua preda. E forse lo ero.
“Non
era
quello che intendevo dire. Neanche tu sei a scuola.”
“Dovrei?”
sollevò un sopracciglio. Gli occhi non mi mollavano. Scossi
la testa per
cavarmeli di dosso.
“Oh,
smettila di fare la superiore, avrai la mia età, anche meno!
O hai bigiato o a
scuola non ci sei mai andata”
“Spiacente
nessuna delle due, you’re wrong.”
Si sedette
per terra a gambe incrociate, lentamente.
“Ci
sono
andata, ma non ci vado più”
“Lavori?”
Quel
discorso mi stava cominciando a piacere sempre meno. Era inquietante.
Volevo
farlo diventare una chiacchierata molto sul normale, ma sembrava
impossibile.
Soprattutto dopo che notai che i suoi stracci non erano disposti in
maniera da
nascondere i punti base delle ragazze. Se muoveva in una certa maniera
la spalla
le si scopriva un seno.
“Sto
lavorando?”
“No”
“E
allora
non lavoro.”
“Ma
cos’è
un indovinello?”
“No,
affatto. Siediti.”
Stava di
nuovo facendo quel movimento con la spalla. Il mio cervello corse di
nuovo al
pensiero da cui era fuggito. Era una femmina in fondo. Il buon vecchio
parametro del “Basta che respiri”. Mi sedetti
docilmente.
“E tu
come
mai non sei andato a scuola?”
Il tono non
era aggressivo, ma da conversazione.
“Compito.”
La guardai
in faccia, scoprii che mi stava fissando. Occhi negli occhi. Un tuffo
nel blu.
Sostenni lo sguardo. Si muovevano. Diventavano sempre più
grandi, enormi, e non
erano più occhi, erano mari in tempesta con velieri di
marinai terrorizzati da
mostri marini che fuoriuscivano tra i flutti sopra ai quali danzavano
sirene
con gabbiani e fiumi mescolavano la loro vita perdendola in quella del
mare e
piangevano mentre un vecchio pescatore tirava su la rete in fretta
spaventato e
si metteva a remare e cominciava a piovere da grandi nubi nere e la
pioggia
veniva spazzata dal vento in vortici e tutto si muoveva e tra i flutti
si
vedevano affogare i marinai ma le sirene li salvavano e li portavano
sui resti
della nave galleggianti dove c’ero io e erano nude e mi
baciavano e mi si
strusciavano e mi mettevano le mani nei pantaloni e… Merda.
Mi stavo eccitando.
Mi succedeva spesso in quel periodo. Mi scossi e distolsi subito lo
sguardo. Dovevo
trovare il modo di andarmene. Dovevo scappare. Cos’era stato?
Cosa era
successo?
Mi stava
fissando incuriosita.
“…
Va bene,
io vado. Tanto mi stavi cacciando. Ho delle cose da fare.”
E tentai di
alzarmi in una maniera contorta, con le mani in tasca e facendo
ricadere tutta
la stoffa dei pantaloni sul davanti. Mi girava anche un po’
la testa.
“Tu
non hai
niente da fare.”
“Forse
no,
ma troverò qualcosa da fare che non sia stare qui con una
ragazzina
psicopatica!”
Non lo
pensavo, ma lo dissi. Non capivo quello che era successo, ero stordito
ma
volevo andarmene. Volevo darle una botta. Volevo staccarmela.
“Cosa
hai
visto?”
La sua voce
era bassa e sottile. Mi sorprese.
“Cosa
ho
visto dove?”
Alzò
la
testa e mi guardò.
“Quando
ti
ho guardato cosa hai visto?”
Sembrava
triste, molto triste. La sua voce proveniva da lontano. Da altri mondi.
Come un
lamento profondo usciva dalla terra stessa. Ero terrorizzato. Se prima
mi
chiedevo come mi erano arrivate quelle immagini, ora mi chiedevo come
non ero
ancora fuggito. E di corsa. Ma lo sapevo. Dovevo finire qualcosa.
Dovevo sapere
di più di quello che avevo visto. Mi teneva ancorato. O
forse ero io stesso. La
mia curiosità. Mi salì un nodo alla gola. Non
sapevo che fare.
“Dimmi
solo
cosa hai visto, poi vattene e non farti vedere
più.”
Non ne
sembrava molto convinta. Mi ricordo ancora la desolazione che emanava,
come
fosse un odore. Mi prese il cuore. La mia erezione scemò.
“Ho
visto
il mare”
Lei
annuì.
Non sembrava bastarle.
“Nel
mare
c’era un veliero. Con dei marinai.”
Feci una
pausa. Aspettavo che dicesse qualcosa. Ma era profondamente concentrata
su un
lembo della sua stoffa.
“C’era
un
pescatore che tirava su la rete. In fretta. Il mare era in
tempesta”
Si
irrigidì. Non potevo dirle tutto. Era un sogno. Era una cosa
mia. Anche se era
stata lei a mostrarmelo. Mio Dio, ma cosa aveva fatto?
“Perché
me
lo chiedi?”
“Per
saperlo.”
Quel pezzo
di stoffa doveva essere molto interessante.
“Dovrei
sapere io. Cosa mi hai fatto?”
Non
rispose.
“Assomigliava
a un film, ma anche no. Vedevo come tutto insieme, dall’alto,
da dentro.
Sentivo ogni cosa. Vedevo come ogni personaggio, ma anche come la
pioggia.”
E mentre lo
dicevo mi accorsi che era vero. Il lembo di stoffa perse ogni
attrattiva.
“C’erano
sirene?”
Beccato.
“Dimmi
se
c’erano, ti prego. È importante.”
“Solo
se tu
mi spieghi.”
“Prima
raccontami.”
“E
dopo mi
spieghi. Giuralo. Sul cane.”
Non so come
mi era venuto in mente, ma l’avevo incastrata. Ora ero io a
capo.
“Su
Wyvern?”
“Si,
vabbe.
Quella cosa là.”
“All
right,
lo giuro. Ora però devi raccontarmi. Tutto.”
Incastrato.
Ma mi sedetti. Questa volta perché lo volevo io.
“Allora
c’era questa tempesta, e c’era un veliero. Era in
difficoltà. I marinai si
davano un sacco da fare ma stavano per naufragare. E poi
c’erano anche dei
mostri.”
“Che
genere
di mostri?”
Era
tesissima. Pendeva dalle mie labbra.
“Del
mare…
avevano tentacoli. Ma non sono usciti dall’acqua. Comunque
distruggevano la
nave.”
“Che
nave
era? Aveva qualche segno, qualcosa? Com’erano le
vele?”
“Ma
non lo
so! Erano mezze strappate, non ho notato niente. Comunque era un
veliero. A tre
alberi.”
“Dove comparivano le sirene? Cosa facevano?”
Mi sentii
sprofondare.
“Beh
erano
tra le onde e ballavano con i gabbiani.”
Che cosa
stupida da dire, eppure la dissi proprio così. Come fosse la
cosa più naturale
del mondo.
“Poi
ha
cominciato a piovere e c’era questo pescatore che tirava su
la rete. E c’era un
fiume, che era triste. Perché perdeva la sua anima”
Lo dissi in
maniera interrogativa. Non sapevo se potesse essere giusto o se le
importasse.
Fece un gesto con la mano. Non le importava.
“I
fiumi
sono sempre tristi quando sfociano. Non ti ha detto come si
chiamava?”
“Come
scusa? Il fiume?”
“Lascia
perdere. Il pescatore moriva?”
“Ma
non lo
so! Poveretto, spero di no.”
“La
sua
barca non affondava? E quella dei marinai? Le sirene hanno salvato
qualcuno?”
Sembrava
essere proprio questo il punto che le interessava. Dannazione.
“Non
lo so…
Rimettevano sui resti del veliero dei marinai… comunque non
ho visto se il
pescatore affondava.”
“Non
eras
tutto? Non videas todo?”
Stava
perdendo il controllo. Cominciava a parlare strano. Ma io non avevo
fatto
niente. Cercai di difendermi.
“Ma
si, ma
solo fino a un certo punto. Poi no.”
“Perché?”
Perché
ero
troppo occupato a farmi toccare da delle sirene nude! Cosa voleva che
le
dicessi? Poi capii.
“Perché
ero
io. Cioè sono diventato un marinaio.”
Respirò
profondamente. Non le avevo detto bugie.
“Quindi
hai
smesso di vedere tutto e ti sei concentrato su te stesso? E’
così?”
“Si.”
“Le
sirene
hanno salvato i marinai hai detto? Hai visto se li hanno portati a
terra?”
“No,
non l’ho visto. Li mettevano sui pezzi di legno, ma non
li portavano a terra.” In cambio però salivano sui
pezzi di legno con me e mi
slinguazzavano…
“Non
c’era altro? Niente altro?”
“Si,
ma solo quando ero già diventato io, no? Non ero
più
tutto.”
Si
rilassò. “No, ma mi interessa sapere i desideri
terreni
di un ragazzo di questo mondo.” Sorrise, pericolo scampato.
“Perché quando sei
diventato tu hai visto i tuoi desideri, no?”
“Si.”
Mi fissava in
silenzio. Sorrideva di nuovo. Aspettava che le
dicessi qualcosa. Quando capì che non avrei aperto bocca
sospirò e disse:
“Sono
anche io una sirena.”