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Autore: nafasa    28/09/2008    1 recensioni
Rimasi paralizzato. Ero in trappola. Tenni fissi gli occhi nel punto in cui avevo visto qualcosa, con la mente che valutava frenetica le possibilità di fuga e i muscoli rigidi, pronti a scattare. Ma feci un balzo in piedi, quando dall’ombra emerse la cosa più strana che avessi mai visto. “Quo vadis, gnat?”
Genere: Malinconico, Fantasy, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE

Mi resi conto con tutta evidenza che non era un cane randagio. Parlava. In quel momento era indubbiamente un punto a suo favore. Era un essere umano, ne ero quasi sicuro. Fece ancora un passo in avanti e mi resi conto che era un essere umano di sesso femminile. Facevo progressi. Immediatamente la mia mente corse al sesso, ma poi si scontrò con l’immagine e cambiò idea. Era piccola e scheletrica. Se io ero magro questa era trasparente. Il colore della sua pelle tendeva al bianco cadaverico. Aveva capelli neri tagliati cortissimi e dei vestiti addirittura peggio dei miei. Sembrava fosse andata a cercare qualsiasi pezzo di stoffa nera e se lo fosse buttato addosso. Intravidi anche un pezzo di sacco di plastica. In complesso l’aspetto poteva essere quello di una bambina di strada malata con la particolare mania del nero. Ma non lo era. Lo capii subito. Erano gli occhi. Benché pesti e con delle notevoli occhiaie, mandavano bagliori. Erano blu mare, e diventavano viola se pioveva, ma questo lo avrei scoperto in seguito. Intanto ero fermo a fissarla e a chiedermi cosa avesse detto. Aveva un sorrisino di disprezzo stampato in viso.

“Quo vadis, gnat? Dove vai… cosetto?”

Cosetto? Cosetto io? E lei?

“Eh? Oh… buh.”

Scrollai le spalle e continuai a fissarla. Si sistemò la calza a rete che teneva sul braccio.

“Non hai il permesso di stare aqui. Non ti voglio.”

Per un attimo mi sembrò una bambina viziata che faceva i capricci.

“Chi sei?”

“Non importa chi sono. Vattene.”

Cominciava decisamente a infastidirmi.

“Perché dovrei andarmene?”

“Vuoi che ti do un po’ di buone ragioni?” Il suo tono era decisamente annoiato. “Ragione prima, ti sembra che io sia andata a casa tua senza permesso? Ragione seconda, non mi piace che ci siano estranei nel mio territorio. Ragione terza, ci sono un sacco di altri posti dove andare quando non vai a scuola che sono molto più interessanti di questo…”

“Ma…”

“E la ragione quarta è dietro di te.” Fece un elaborato gesto con la mano per farmi voltare. Mi trovai a tu per tu con un cane delle dimensioni di un vitello molto cresciuto disteso a terra languidamente. Non aveva l’aria minacciosa. Ma era spaventosamente grosso. E nero. Non mi ero accorto del suo arrivo. Mi scrutò da sotto una palpebra assonnata.

“Uh, ciaaaao…”

“Non ti ucciderà.”

Pausa.

“Se non glielo ordino.”

Il vitello sembrava più intenzionato a farsi grattare dietro le orecchie che non ad attaccare.

“Stai bluffando, non farebbe male a una mosca”

Per tutta risposta la bestia sbadigliò mostrandomi una dentatura affilatissima. Sembrava mi stesse prendendo in giro.

“Wyvern, come here.”

Il mastino si alzò e trotterellò a fianco della ragazza. Era grande quasi quanto lei. Gli lanciò un rametto. Wyvern, o come diavolo si chiamava, lo afferrò al volo e lo ridusse in frantumi. Poi andò a distendersi tranquillo nell’erba.

“Non sei qui per vedere i numeri del mio cane”

“Eh no”

“Cerchi qualcosa?”

“Non ho altri posti dove andare”

“Ce ne sono un sacco, ad esempio la scuola”

“Tu non ci sei”

“Se ci fossi io andresti a scuola? Che fai, cerchi di rimorchiarmi?”

Di nuovo le si disegnò un ghigno sul viso. Un bagliore negli occhi. Fissi nei miei. Avevo la vaga impressione che stesse cominciando a divertirsi, ma di un divertimento malsano. Come se io fossi stato la sua preda. E forse lo ero.

“Non era quello che intendevo dire. Neanche tu sei a scuola.”

“Dovrei?” sollevò un sopracciglio. Gli occhi non mi mollavano. Scossi la testa per cavarmeli di dosso.

“Oh, smettila di fare la superiore, avrai la mia età, anche meno! O hai bigiato o a scuola non ci sei mai andata”

“Spiacente nessuna delle due, you’re wrong.”

Si sedette per terra a gambe incrociate, lentamente.

“Ci sono andata, ma non ci vado più”

“Lavori?”

Quel discorso mi stava cominciando a piacere sempre meno. Era inquietante. Volevo farlo diventare una chiacchierata molto sul normale, ma sembrava impossibile. Soprattutto dopo che notai che i suoi stracci non erano disposti in maniera da nascondere i punti base delle ragazze. Se muoveva in una certa maniera la spalla le si scopriva un seno.

“Sto lavorando?”

“No”

“E allora non lavoro.”

“Ma cos’è un indovinello?”

“No, affatto. Siediti.”

Stava di nuovo facendo quel movimento con la spalla. Il mio cervello corse di nuovo al pensiero da cui era fuggito. Era una femmina in fondo. Il buon vecchio parametro del “Basta che respiri”. Mi sedetti docilmente.

“E tu come mai non sei andato a scuola?”

Il tono non era aggressivo, ma da conversazione.

“Compito.”

La guardai in faccia, scoprii che mi stava fissando. Occhi negli occhi. Un tuffo nel blu. Sostenni lo sguardo. Si muovevano. Diventavano sempre più grandi, enormi, e non erano più occhi, erano mari in tempesta con velieri di marinai terrorizzati da mostri marini che fuoriuscivano tra i flutti sopra ai quali danzavano sirene con gabbiani e fiumi mescolavano la loro vita perdendola in quella del mare e piangevano mentre un vecchio pescatore tirava su la rete in fretta spaventato e si metteva a remare e cominciava a piovere da grandi nubi nere e la pioggia veniva spazzata dal vento in vortici e tutto si muoveva e tra i flutti si vedevano affogare i marinai ma le sirene li salvavano e li portavano sui resti della nave galleggianti dove c’ero io e erano nude e mi baciavano e mi si strusciavano e mi mettevano le mani nei pantaloni e… Merda. Mi stavo eccitando. Mi succedeva spesso in quel periodo. Mi scossi e distolsi subito lo sguardo. Dovevo trovare il modo di andarmene. Dovevo scappare. Cos’era stato? Cosa era successo?

Mi stava fissando incuriosita.

“… Va bene, io vado. Tanto mi stavi cacciando. Ho delle cose da fare.”

E tentai di alzarmi in una maniera contorta, con le mani in tasca e facendo ricadere tutta la stoffa dei pantaloni sul davanti. Mi girava anche un po’ la testa.

“Tu non hai niente da fare.”

“Forse no, ma troverò qualcosa da fare che non sia stare qui con una ragazzina psicopatica!”

Non lo pensavo, ma lo dissi. Non capivo quello che era successo, ero stordito ma volevo andarmene. Volevo darle una botta. Volevo staccarmela.

“Cosa hai visto?”

La sua voce era bassa e sottile. Mi sorprese.

“Cosa ho visto dove?”

Alzò la testa e mi guardò.

“Quando ti ho guardato cosa hai visto?”

Sembrava triste, molto triste. La sua voce proveniva da lontano. Da altri mondi. Come un lamento profondo usciva dalla terra stessa. Ero terrorizzato. Se prima mi chiedevo come mi erano arrivate quelle immagini, ora mi chiedevo come non ero ancora fuggito. E di corsa. Ma lo sapevo. Dovevo finire qualcosa. Dovevo sapere di più di quello che avevo visto. Mi teneva ancorato. O forse ero io stesso. La mia curiosità. Mi salì un nodo alla gola. Non sapevo che fare.

“Dimmi solo cosa hai visto, poi vattene e non farti vedere più.”

Non ne sembrava molto convinta. Mi ricordo ancora la desolazione che emanava, come fosse un odore. Mi prese il cuore. La mia erezione scemò.

“Ho visto il mare”

Lei annuì. Non sembrava bastarle.

“Nel mare c’era un veliero. Con dei marinai.”

Feci una pausa. Aspettavo che dicesse qualcosa. Ma era profondamente concentrata su un lembo della sua stoffa.

“C’era un pescatore che tirava su la rete. In fretta. Il mare era in tempesta”

Si irrigidì. Non potevo dirle tutto. Era un sogno. Era una cosa mia. Anche se era stata lei a mostrarmelo. Mio Dio, ma cosa aveva fatto?

“Perché me lo chiedi?”

“Per saperlo.”

Quel pezzo di stoffa doveva essere molto interessante.

“Dovrei sapere io. Cosa mi hai fatto?”

Non rispose.

“Assomigliava a un film, ma anche no. Vedevo come tutto insieme, dall’alto, da dentro. Sentivo ogni cosa. Vedevo come ogni personaggio, ma anche come la pioggia.”

E mentre lo dicevo mi accorsi che era vero. Il lembo di stoffa perse ogni attrattiva.

“C’erano sirene?”

Beccato.

“Dimmi se c’erano, ti prego. È importante.”

“Solo se tu mi spieghi.”

“Prima raccontami.”

“E dopo mi spieghi. Giuralo. Sul cane.”

Non so come mi era venuto in mente, ma l’avevo incastrata. Ora ero io a capo.

“Su Wyvern?”

“Si, vabbe. Quella cosa là.”

“All right, lo giuro. Ora però devi raccontarmi. Tutto.”

Incastrato. Ma mi sedetti. Questa volta perché lo volevo io.

“Allora c’era questa tempesta, e c’era un veliero. Era in difficoltà. I marinai si davano un sacco da fare ma stavano per naufragare. E poi c’erano anche dei mostri.”

“Che genere di mostri?”

Era tesissima. Pendeva dalle mie labbra.

“Del mare… avevano tentacoli. Ma non sono usciti dall’acqua. Comunque distruggevano la nave.”

“Che nave era? Aveva qualche segno, qualcosa? Com’erano le vele?”

“Ma non lo so! Erano mezze strappate, non ho notato niente. Comunque era un veliero. A tre alberi.”
“Dove comparivano le sirene? Cosa facevano?”

Mi sentii sprofondare.

“Beh erano tra le onde e ballavano con i gabbiani.”

Che cosa stupida da dire, eppure la dissi proprio così. Come fosse la cosa più naturale del mondo.

“Poi ha cominciato a piovere e c’era questo pescatore che tirava su la rete. E c’era un fiume, che era triste. Perché perdeva la sua anima”

Lo dissi in maniera interrogativa. Non sapevo se potesse essere giusto o se le importasse. Fece un gesto con la mano. Non le importava.

“I fiumi sono sempre tristi quando sfociano. Non ti ha detto come si chiamava?”

“Come scusa? Il fiume?”

“Lascia perdere. Il pescatore moriva?”

“Ma non lo so! Poveretto, spero di no.”

“La sua barca non affondava? E quella dei marinai? Le sirene hanno salvato qualcuno?”

Sembrava essere proprio questo il punto che le interessava. Dannazione.

“Non lo so… Rimettevano sui resti del veliero dei marinai… comunque non ho visto se il pescatore affondava.”

“Non eras tutto? Non videas todo?”

Stava perdendo il controllo. Cominciava a parlare strano. Ma io non avevo fatto niente. Cercai di difendermi.

“Ma si, ma solo fino a un certo punto. Poi no.”
“Perché?”

Perché ero troppo occupato a farmi toccare da delle sirene nude! Cosa voleva che le dicessi? Poi capii.

“Perché ero io. Cioè sono diventato un marinaio.”

Respirò profondamente. Non le avevo detto bugie.

“Quindi hai smesso di vedere tutto e ti sei concentrato su te stesso? E’ così?”

“Si.”

“Le sirene hanno salvato i marinai hai detto? Hai visto se li hanno portati a terra?”

“No, non l’ho visto. Li mettevano sui pezzi di legno, ma non li portavano a terra.” In cambio però salivano sui pezzi di legno con me e mi slinguazzavano…

“Non c’era altro? Niente altro?”

“Si, ma solo quando ero già diventato io, no? Non ero più tutto.”

Si rilassò. “No, ma mi interessa sapere i desideri terreni di un ragazzo di questo mondo.” Sorrise, pericolo scampato. “Perché quando sei diventato tu hai visto i tuoi desideri, no?”

“Si.”

Mi fissava in silenzio. Sorrideva di nuovo. Aspettava che le dicessi qualcosa. Quando capì che non avrei aperto bocca sospirò e disse:

“Sono anche io una sirena.”

 

  
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