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Autore: Its Ellie    12/09/2014    6 recensioni
Il Tour della Vittoria è ormai finito e gli abitanti di Capitol City attendono con ansia la cinquantaduesima edizione degli Hunger Games.
Dal momento che l'edizione precedente è stata considerata noiosa, il nuovo Capo Stratega Menelaus Stark sa bene di non poter deludere il pubblico ed è deciso a rendere questi Hunger Games memorabili.
L'arena è particolare, diversa. I tributi dovranno lottare fino all'ultimo respiro per poter vincere e tornare a casa. E saranno i vostri tributi.
(STORIA INTERATTIVA)
***
Dal capitolo 3:
"Era tutto pronto.
L’arena, gli ibridi, le trappole e, naturalmente, le telecamere.
Menelaus Stark osservò compiaciuto i tributi di quell’edizione, pregustando già il sapore della vittoria. Quell’anno Capitol City avrebbe avuto gli eccitanti giochi della fame che si aspettava e lui avrebbe ottenuto la meritata gloria.
Sentiva dietro di lui lo sguardo di ghiaccio del presidente Snow scrutarlo a fondo. Ma anche lui aveva un cuore duro e freddo, lui era uno Stark e non avrebbe permesso a nessuno di portargli via la fama per cui aveva versato sangue e sudore. [...]
Rise, e fu una risata priva di allegria.
Gelida."
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Flickerman, Haymitch Abernathy, Nuovo personaggio, Presidente Snow, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let the Games begin.'
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And the players have been chosen, and it seems like fate has spoken,
when it seems your faith has broken, by the second, losin' focus,
ain't no way to get off, get off, get off, get off,
unless you move foward.
Alicia Keys - It's On Again


REAPING
Part Two: Faith has broken (Districts 5-8)

 
Distretto Cinque

Electric, solar, and nuclear - District 5 harnesses the energy of the earth and the sky in order to power our great nation.

Georgette Tricked chiuse gli occhi e ascoltò il mormorare dell’acqua del fiume che entrava nella centrale idroelettrica per poi uscirne sottoforma di piccola cascata. Era rilassante e aveva l’impressione che anche gli abitanti del Distretto Cinque, una volta giunti in piazza, si tranquillizzassero all’improvviso nell’udire quel suono.
Essere l’accompagnatrice del Cinque non le era mai dispiaciuto più di tanto. Nonostante molti dei presenti fossero semplici operai, non avevano gli stessi sguardi ostili della gente del Distretto Undici o del Dodici e Georgette considerava già da tempo il posto come la sua seconda casa. Ogni scusa era buona per andare a visitare i vincitori e passeggiare per le vie del centro.
Spostando lo sguardo verso l’orizzonte poteva scorgere le serre della centrale geotermica e le turbine eoliche sparse intorno ad esse. La grande valle aveva il suo fascino e Georgette non poteva far altro che apprezzarla.
«Buongiorno a tutti, cari cittadini del Distretto Cinque! Sono molto felice di essere qui con voi oggi!»
Notando le telecamere spostare l’inquadratura nella sua direzione, si sistemò velocemente la parrucca color porpora, assicurandosi che fosse bel salda alla testa. Non voleva di certo ripetere l’errore dell’anno precedente, quando per il troppo vento la sua bellissima parrucca color argento era volata via. Non era stato bello e le sue amiche avevano riso di lei per tutta la durata degli Hunger Games.
Ma, per fortuna, quel giorno il sole splendeva su tutto il Distretto – a beneficio dei pannelli solari impiantati sul tetto del Palazzo di Giustizia – perciò poteva stare tranquilla.
«Come al solito, prima di cominciare, abbiamo sui mega-schermi il filmato arrivato per voi direttamente da Capitol City. Buona visione!»
Si pentì di averlo detto poco dopo. “Buona visione”? Suonava un po’ ridicolo. Il video, nonostante fosse diverso da quello dell’anno prima e di quello prima ancora, parlava comunque delle stesse cose ed era chiaro che tutte le persone che in quel momento stavano osservando il filmato inespressive conoscevano già a memoria la storia di Panem.
Dovremmo cambiarlo, pensò. Magari si potrebbe mostrare un breve resoconto dell’edizione precedente, oppure parlare dell’onore e della gloria che si possono ottenere vincendo.
Raggiunse nuovamente il microfono con la mente immersa nei pensieri. Magari avrebbe potuto parlarne con il Capo Stratega e lui, a sua volta, lo avrebbe riferito al presidente. Perché no?
Raggiante per l’idea geniale che aveva trovato, sorrise a trentadue denti.
«Bene bene bene! È ora di scoprire chi di voi adorabili fanciulle parteciperà agli Hunger Games!» trillò eccitata.
Curiosa anche lei di vedere la ragazza, pescò velocemente un bigliettino e lesse il nome scritto all’interno.
«Ginger... Amira... Melanie... Evelyn... Shiori... Watts!» esclamò scandendo bene ogni nome.
Nella zona delle sedicenni le ragazze si voltarono ad osservare la loro coetanea, che spalancò gli occhi ambrati e si irrigidì di colpo, portandosi una mano alla bocca. Una di loro la strinse in un abbraccio e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Ginger annuì e prese un lungo respiro, poi si avviò con decisione verso il palco, di nuovo calma ed impassibile.
Era una ragazza di media altezza, dal fisico sano e forte, i capelli di un castano tendente al rosso raccolti in uno spillone, la carnagione chiara e coperta di lentiggini.
«Che bei capelli, Ginger!» Georgette osservò con invidia i boccoli naturali della ragazza. «Mi piacciono tanto!»
«Grazie» sussurrò lei, accennando ad un sorriso, apparentemente sincero. La capitolina si stupì di tutta quella gentilezza. In genere i suoi tributi si limitavano ad ignorarla per gran parte del tempo.
«Di niente, tesoro! E ora vediamo chi sarà il tuo compagno negli Hunger Games.»
E di nuovo immerse la mano tra i pezzetti di carta, di nuovo ne afferrò uno e lesse il nome del tributo maschile.
«Andy Layle!»
Il ragazzo, dopo alcuni instanti di shock, cominciò a muovere qualche passo, ma tra la folla che assisteva alla Mietitura e non vi prendeva parte qualcuno cominciò a correre e spingere via gli altri, urlando «No! No! Mi offro volontario! Mi offro volontario come tributo!»
E, quando il ragazzo si fece finalmente vedere, ci furono parecchie esclamazioni sorprese.
«Jesse
Andy lo fissava a bocca aperta. Doveva essere un’allucinazione. Jesse non poteva essere lì, probabilmente era tutto nella sua testa.
«Andy, va’ via. Vattene.»
«Ma tu... tu...»
Jesse gli lanciò uno sguardo disperato. «Andy, ti prego, vai via di qui. Ne parleremo dopo. Mi dispiace tanto, ora vai.»
Poi, ignorando le occhiate stupite, incredule, confuse e anche un po’ spaventate che gli riservavano gli altri, salì sul palco.
Georgette intanto stava farfugliando. «Ma... ma... tu non eri con gli altri... non dovresti...»
«Ho sedici anni, sono ancora sorteggiabile, perciò posso offrirmi volontario» ribatté duro lui.
«Io... oh, e va bene.» Georgette gli portò il microfono alle labbra. «Allora, qual è il tuo nome?»
«Jesse Layle.»
«Quello era il tuo fratellino, capisco!»
No, non capisci proprio niente, pensò Jesse. Chiuse gli occhi e pregò il cielo che lo lasciassero stare, che non lo portassero via. Non poteva lasciare che Andy rischiasse la vita.
Ginger, intanto, rifletteva. Aveva già sentito quel nome, ma dove? Fissò curiosa il volto del suo compagno, cercando di capire. E ricordò.
Non aveva già sentito quel nome, lo aveva già visto.
Al cimitero, accanto alla lapide di suo cugino.
Jesse ricambiò il suo sguardo confuso senza esitare e, quando le strinse la mano tra gli applausi dei suoi concittadini, capì di non aver paura.
Lo avrebbe fatto per suo fratello.
Per lui sarebbe morto una seconda volta, se fosse stato necessario.


Distretto Sei

Our hovercraft, our high-speed trains, and our cargo trains come to us from District 6. Ironically, the citizens here have little love for travel.

 
Un fischio assordante risuonò nell’aria, subito accompagnato dal rumore del treno che sferragliava sulle rotaie prima di fermarsi davanti alla stazione.
Orbace Tweed, nel suo primo anno, aveva odiato il Distretto Sei. La stazione dei treni si trovava proprio dietro il Palazzo di Giustizia e, poiché nel giorno della Mietitura ne arrivava uno ogni dieci minuti, significava che lui ogni dieci minuti doveva tapparsi le orecchie sensibili per non dover udire ogni santa volta quel dannato fischio.
Poi ci aveva fatto l’abitudine (più o meno) e si era rassegnato al dover praticamente gridare per farsi ascoltare sopra il rumore dei treni.
L’unico lato positivo era il non dover fare chissà quanti giri per arrivare alla stazione: bastava varcare un portone di legno ed ecco che ci si ritrovava con i binari sotto il naso.
Un forte odore di cavolo riempì l’aria. Chiaramente il treno proveniva dal Distretto Undici.
«Oh, diamine!» Orbace si tappò il naso e fece una smorfia. «Che puzza!»
In un altro momento la scena sarebbe potuta sembrare quasi comica, ma quel giorno nessuno aveva voglia di ridere. Nessuno sembrava far caso all’odore di ortaggi tranne il capitolino.
«Okay, okay, cominciamo» borbottò infine lui. «Salve a tutti, benvenuti a questa cinquantaduesima Mietitura. Visto che le mie narici non sopporteranno questa puzza ancora per molto, vediamo di sbrigarci.»
Raggiunse la boccia di vetro con i nomi delle ragazze quasi di corsa, cosa che gli era possibile visto che, a differenza di tutti i suoi colleghi, odiava i tacchi. Quel giorno indossava una semplice camicia bianca ed elegante e dei normalissimi pantaloni blu scuro, abbinati a delle scarpe comode. Sarebbe potuto sembrare un ragazzo qualsiasi, se non fosse stato per i capelli tinti di un azzurro acceso, l’unica stravaganza che si era concesso.
Afferrò un biglietto con un piccolo sospiro e lo aprì subito, senza nemmeno tornare prima davanti al microfono.
«Ma-»
Un altro fischio squarciò l’aria e l’ennesimo treno passò davanti alla stazione. Una folata di vento investì il capitolino e gli strappò il biglietto dalle mani. Orbace si voltò irritato e vide vagoni pieni di carbone. Distretto Dodici.
Sempre meglio dei cavoli... si disse.
Si girò di nuovo e pescò un altro bigliettino, scocciato.
«Cindy Ferill!»
Dopo qualche secondo una ragazza si staccò dal gruppo delle quindicenni. Era piuttosto esile, ma anche molto alta. Aveva i capelli nerissimi e gli occhi scuri lucidi e traboccanti di lacrime. La pelle, invece, era molto pallida, tanto da sembrare quasi bianca. Quando Cindy gli fu accanto, Orbace notò una sottile cicatrice nascosta dietro la frangetta.
Cindy, intanto, si era accorta che il suo fratellino, Rino, era corso dai suoi genitori e stava piangendo. Diana, invece, era rimasta dov’era e la fissava con espressione ferma. Non arrenderti, diceva il suo sguardo. Non lo farò, le rispose Cindy con il suo.
Gli occhi erano tornati asciutti e la ragazza si obbligò ad assumere un’espressione calma.
Orbace decise di non dire niente per non peggiorare la situazione, anche perché sembrava che se la ragazza avesse aperto bocca sarebbe scoppiata a piangere.
Le diede una piccola pacca sul braccio e si voltò, dirigendosi verso la boccia con i nomi dei ragazzi.
Immerse la mano fino a toccare il fondo e prese un bigliettino. Senza perdere tempo annunciò il nome scritto all’interno.
«Hybrid Evans!»
Il ragazzo avanzò subito, abbattuto ma non esitante. Raggiunse gli scalini a grandi passi e in un attimo fu sul palco, così che Orbace riuscì a prendersi del tempo per studiarlo meglio.
Era alto e magro, non aveva un fisico particolarmente robusto ma non era neanche esile. Aveva lunghi capelli biondi che gli coprivano appena gli occhi grigi, che lo fissavano ostili da dietro gli occhiali da vista.
Sembrava molto meno sconvolto della sua compgna, così il capitolino si azzardò a chiedergli che età avesse.
Hybrid rispose dopo un’eternità. «Sedici.»
Orbace gli domandò qualcos’altro, ma il ragazzo non lo stette neanche a sentire. Non sembrava intenzionato ad aprire di nuovo bocca, così l’accompagnatore decise di finirla lì.
«Ed ecco a voi Cindy Ferill e Hybrid Evans, i tributi del Distretto Sei! Fate un bell’applauso a questi due coraggiosi ragazzi!» esclamò senza molta convinzione.
L’applauso fu debole e, quando il treno delle due sfrecciò dietro il Palazzo di Giustizia, venne completamente coperto e rimasero solo persone dalle espressioni spente che battevano piano le mani.
Nessun incoraggiamento per Cindy e Hybrid.
Non erano mai stati così soli in vita loro.

 
Distretto Sette
 

This beautiful district is lush with trees, from which these citizens supply our lumber and paper. The people of District 7 are hardworking and down-to-earth.


Airy Cretonne si guardò intorno, imbarazzata, cercando di ignorare le luci dei riflettori puntate su di lei.
Non le era mai piaciuto essere costantemente al centro dell’attenzione. Era una persona molto introversa e la folla numerosa, insieme al brusìo assordante, la faceva sentire  a disagio.
Perché aveva deciso di accontentare sua madre? Perché aveva ceduto alla sua idea di farla diventare una degli accompagnatori? Forse perché desiderava tanto vederla sorridere soddisfatta, orgogliosa di lei, almeno una volta nella vita. Ma non era mai successo.
Cercò di inumidire un po’ le labbra con la lingua, ma la gola continuava a dolerle. Avrebbe dovuto accettare quel bicchiere d’acqua prima di salire sul palco.
Prese un lungo respiro per poi cercare di sollevare gli angoli della bocca in su, in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso.
Possibile che – anche dopo tanti anni da accompagnatrice – non si era ancora abituata all’idea di avere gli occhi di tutti puntati addosso?
«Salve a tutti, abitanti del Distretto Sette!» esclamò con falso tono entusiasta. «Anche quest’anno avrò l’onore di estrarre i due tributi che rappresenteranno questo bellissimo Distretto agli Hunger Games!»
I ragazzi non erano di certo d’aiuto. La fissavano astiosi con i loro sguardi accusatori, quasi fosse stata Airy la colpevole di tutto ciò a cui erano obbligati ad assistere.
La capitolina tornò seria e si morse un labbro, nervosa. «D’accordo, allora vediamo un po’ chi sarà il tributo femminile di quest’edizione...»
Raggiunse velocemente la boccia, decisa a non perdere tempo. Non avrebbe fatto soffrire oltre quella povera gente.
Immerse la mano tra i biglietti e la tirò fuori velocemente con un fogliettino stretto tra le dita.
Mi dispiace tanto, sussurrò mentalmente alla proprietaria del nome contenuto al suo interno.
«Celeste... T.?»
Fissò confusa la scritta. Perché il cognome non era stato scritto per intero?
Eppure una ragazza si fece comunque avanti, le mani in tasca, il passo pesante, la testa bassa, lasciando in gruppo delle diciassettenni. Era magra, troppo magra, chiaramente denutrita. Aveva la pelle lattea e le guance costellate di lentiggini, i capelli neri come il carbone tenuti in modo che ricadessero davanti al viso, contratto in una smorfia infelice, ma non spaventata. Sembrava quasi arrabbiata.
Si fermò al fianco di Airy, che le chiese come mai sul biglietto fosse stata riportata solo l’iniziale del suo cognome. Celeste si voltò lentamente e la incenerì con lo sguardo. I suoi occhi, dello stesso colore del cielo terso di quel giorno, inquieti, inchiodarono la capitolina lì dov’era.
«Perché i miei genitori, quando mi hanno abbandonata davanti l’orfanotrofio, non hanno avuto la decenza di completarlo» fu la sua risposta secca, poi si girò di nuovo e non la degnò più di uno sguardo.
Airy aprì la bocca, alla ricerca di qualcosa da dire, ma la richiuse. Sospirò, abbassò la testa e mormorò «E ora il ragazzo...»
Poco dopo era di nuovo davanti al microfono. Senza nemmeno fingere un sorriso, annunciò «Damien Powell.»
Il brusìo che si era dapprima calmato quando Airy aveva dato il benvenuto agli abitanti cominciò nuovamente a diffondersi tra la gente e, quando il ragazzo nominato si fece avanti, divenne davvero forte.
Molti lo fissavano ostili, i Pacificatori cominciarono ad agitarsi, ma Damien non sembrava curarsene. Salì gli scalini in tutta tranquillità, con un’espressione terribilmente seria a velargli gli occhi color nocciola, e prese posto sospirando leggermente.
Airy lo osservò meglio: alto, muscoloso, dalle spalle larghe. Anche lui aveva i capelli neri, che gli ricadevano sulla fronte spettinati. Aveva i tratti del viso duri e la mascella leggermente squadrata. Sembrava un tipo davvero poco affidabile.
«Quanti anni hai, Damien?» gli chiese titubante.
«Diciotto.»
Il mormorare delle persone non si calmava, ma non era più quello a preoccupare l’accompagnatrice. Erano i Pacificatori: fissavano intensamente il ragazzo e parlottavano animatamente tra loro.
«C’è... c’è forse qualcosa che non va?»
Airy ormai capiva ben poco di quel che stava succedendo. Il Capo Pacificatore, Augustus Krant, salì sul palco e disse qualcosa al Sindaco Blake, che annuì cupo per poi replicare brevemente. Krant fece cenno di sì e scese dal palco. Intanto Damien aveva osservato tutta la scena con sorrisetto appena accennato. L’aveva scampata di nuovo.
«Può proseguire, signorina Cretonne» disse il Sindaco senza aggiungere altro, facendole capire che era meglio non fare domande e concludere lì la Mietitura. Airy, rassegnata si rivolse di nuovo alla folla.
«Ed ecco qui i tributi del Distretto Sette: Celeste T. e Damien Powell! Fate loro un bell’applauso!»
Gli abitanti applaudirono controvoglia, come ogni anno.
Celeste e Damien si scambiarono una stretta veloce e uno sguardo inquietante.
Airy, dal canto suo, pregava che l’anno successivo le capitassero due tributi normali.
I tributi imprevedibili non mi piacciono, pensò. Non mi sono mai piaciuti.

 
Distretto Otto
 

From the simple, lovely fabrics of the districts to the brocades favoured in the Capitol, District 8 makes it all.


Flimsy Slight trovava che il Distretto Otto – per quanto deprimente ed anonimo con quelle fabbriche tutte uguali, addossate l’una all’altra – fosse uno dei più importanti di Panem.
Dopotutto, era grazie ad esso che gli abiti, le gonne e le camicette di stoffa morbida arrivavano già confezionati a Capitol City, pronti per essere indossati.
E poi essere l’accompagnatrice dell’Otto aveva i suoi vantaggi: ogni anno, prima di scortare i due tributi al treno, ne approfittava sempre per fare un salto nei magazzini delle fabbriche e scovare i pacchi pronti per essere spediti a Capitol City. Una volta adocchiati i vestiti che voleva, bastava semplicemente tirare fuori i soldi e i proprietari delle fabbriche non avevano improvvisamente più niente da ridire. Non solo risparmiava molto di più, ma era sempre la prima a sfoggiare i capi più esclusivi delle nuove collezioni e questo faceva morire d’invidia le sue colleghe.
Gongolando all’idea dell’abito da sera viola che aveva scelto dal catalogo il giorno prima e all’espressione che avrebbe fatto Frothy quando gliel’avrebbe visto addosso, raggiunse il microfono con le labbra tinte di un rosso troppo acceso incurvate in un sorriso ebete.
«Eccoci qua di nuovo tutti insieme, abitanti del Distretto Otto!» esclamò sinceramente emozionata. «Siete contenti?»
Ignorando gli sguardi inespressivi dei ragazzi, si rispose da sola con un bel “Ma certo!” convinto.
«Direi che possiamo anche passare all’estrazione del tributo femminile, non vi pare?»
Ancora silenzio.
«Ovvio!»
Detto questo, si avviò barcollando verso la boccia di vetro alla sua sinistra. Sorrise alla folla, indugiò con le dita tra i biglietti in superficie, poi le immerse fino in fondo, estraendo due biglietti. Li osservò attentamente, poi scelse quello dietro. Intanto qualcuno aveva già cominciato a piangere.
«E la fortunata è... Clemency Forest!»
La ragazza nominata sbarrò gli occhi, mentre le mani affusolate cominciavano a tremare. Senza che potesse impedirlo, una lacrima le rigò la guancia, ma lei se l’asciugò velocemente e sbatté le palpebre un paio di volte per impedire alle altre di seguirla.
Alla fine cominciò a muovere qualche passo, cercando di nascondere come poteva il tremolio delle mani. Era bassa per avere quindici anni e magra, con poche curve, aveva i capelli corti fino alle orecchie di un biondo così chiaro da sembrare quasi bianco, gli occhi grandi e leggermente allungati, verde foresta, il naso piccolo e all’insù e le guance rosse.
Una volta salita sul palco cercò di mantenere lo sguardo dritto davanti a sé, ma non ci riuscì. Quasi inconsciamente i suoi occhi cercarono tra la folla ancora e ancora, finché non li trovarono. Eccoli, i suoi genitori, Magnus e Isabel, nella divisa da Pacificatori. Naturalmente facevano finta di non conoscerla, non potevano fare altrimenti. Sembravano completamente indifferenti alla faccenda ed effettivamente era così. Era stata Clemency, in preda alla disperazione, a voler illudersi per un attimo che potessero anche essere addolorati, almeno un po’. Ma no, lei era la figlia indesiderata, che non sarebbe dovuta mai nascere. Già, probabilmente erano anche contenti di non averla più tra i piedi.
Sospirò e distolse lo sguardo, senza ascoltare ciò che le stava dicendo Flimsy che, ancora una volta ignorata, decise di andare ad estrarre il tributo maschile.
La mano piccola e delicata della capitolina si mosse rapida e strinse tra le dita un unico bigliettino. Lo aprì e lesse il nome.
«Hannibal Lightning!»
All’inizio Flimsy non riuscì ad individuare il ragazzo. In genere chi veniva nominato reagiva quasi subito e non ci voleva molto per trovarlo. Quella volta, tuttavia, non successe.
Dopo un po’ qualcuno si fece avanti. Era un ragazzo alto e dal fisico robusto e slanciato, i capelli neri e mossi, gli occhi grigi e sottili. Aveva un’espressione leggermente accigliata, con le sopracciglia appena aggrottate, come se tutto quello fosse stato semplicemente un imprevisto, qualcosa che non si era aspettato del tutto. Quando raggiunse l’accompagnatrice sul palco, era già ritornato inespressivo.
Flimsy lo guardò meglio: aveva i lineamenti del viso duri, la mascella squadrata e la sua compostezza e lo sguardo freddo gli ricordavano tantissimo qualcuno. In quel momento, tuttavia, non riuscì ad associare il suo volto a nessuno.
Scrollò le spalle e non ci pensò più. «Allora, Hannibal, quanti anni hai?»
«Diciassette.»
«E come ti senti?»
La fronte del ragazzo si aggrottò nuovamente. La guardò in silenzio per qualche secondo, poi rispose. «Sto bene.»
Flimsy si sentiva quasi a disagio. Hannibal sembrava strano. Sembrava... che gli mancasse qualcosa.
Cercò di ignorare la sensazione e si aprì nuovamente in un grande sorriso, volgendo nuovamente lo sguardo alla folla.
«D’accordo! Signore e signori, fate un grandissimo applauso a questi due meravigliosi ragazzi, Clemency Forest e Hannibal Lightning!»
Gli abitanti del Distretto applaudirono svogliatamente.
La capitolina, intanto, fissava rassegnata i suoi due tributi.
Che ragazzini difficili!







Ellie's Corner
Prima di cominciare, mi scuso per il ritardo.
Avevo detto che avrei aggiornato presto e invece sono passati... quanti? Venti giorni? Scusatemi, ma ho avuto una serie di problemi che non sto qui ad elencarvi e non ho potuto aggiornare presto come speravo.
Devo dire che non sono neanche tanto soddisfatta del capitolo, ma i pareri li lascio a voi.

Blue_glo: Ho leggermente modificato la storia di Clemency. I Pacificatori in teoria non possono avere figli, quindi ho dovuto cambiare qualche cosetta. Vedrai più avanti, ma in generale la sua storia è rimasta com'è.

TheBerserker: Devo ammettere che Hannibal mi ha dato parecchio filo da torcere! Non sono sicura di averlo caratterizzato bene, perciò vorrei sapere cosa ne pensi tu.

Alcuni di voi mi hanno indicato dei prestavolti per i loro tributi, quindi vi lascio qua quelli dei ragazzi conosciuti fino ad ora nel caso li vogliate vedere.

Glass Sparks, D1 (Chloè Moretz)
Seraphine Rapier, D2 (Maya Neubert)
Rick Devillers, D2 (Logan Lerman)
Calum Arwed, D4 (Zac Efron)
Ginger Watts, D5 (Kate Mara)
Damien Powell, D7 (Dylan O'Brien)

Mi farò viva presto, promesso.
Alla prossima!
Ellie



 
   
 
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