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Autore: With H    12/09/2014    0 recensioni
Dopo un mese, Helis decide di scrivere su un quaderno i ricordi dell'estate appena passata che avrebbe ricordato per sempre come la più bella della sua vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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I respiri o il numero di battiti cardiaci durante la vita di una persona sono irrilevanti. Il nostro petto si gonfia miliardi di volte senza che ce ne rendiamo conto, i nostri polmoni richiedono sempre più aria e il nostro cuore continua a pompare sangue ed altro sangue ancora. È così per tutti gli esseri viventi, non si può cambiare.
Ciò che però rende diversa ogni vita dall’altra, sono i momenti. Quei momenti che il respiro te lo bloccano e ti inchiodano il cuore al petto.
È per momenti del genere che noi siamo vivi, non per il numero di battiti del nostro cuore o dei nostri respiri, quelli ci permettono di sopravvivere. E credo ci sia una bella differenza.

 

Helis rilesse più volte le parole che aveva scritto nella didascalia di una fotografia caricata su Instagram; era una foto di fuochi d’artificio, con un filtro che li rendeva ancora più brillanti, l’aveva scattata qualche settimana prima.
Quel giorno era esattamente un mese dall’inizio di quella che avrebbe per sempre ricordato come la più bella estate della sua vita. Bologna era fredda e grigia, sebbene fosse solo inizio settembre ed era così diversa dalla città in cui era atterrata con l’aereo trentuno giorni prima; Atene aveva un cielo di un azzurro splendente e, la temperatura che arrivava ai quaranta gradi, sembrò schiacciarla contro l’asfalto bollente appena uscì dall’aeroporto.
Ricordare quell’estate che sembrava già così dolorosamente lontana, le faceva male, ma non poteva farne altrimenti. Considerò che forse era un po’ masochista.
In quei giorni di totale solitudine nella città che l’aveva adottata per gli studi universitari, aveva maturato l’idea di scrivere una sorta di diario delle vacanze; forse perché non ne aveva parlato con nessuno, o meglio, aveva raccontato di quei meravigliosi quattordici giorni solo a sua cugina e ad un paio di amiche, ma aveva tralasciato i dettagli e si era resa conto che quella vacanza era stata caratterizzata soprattutto dai dettagli, dai momenti. Momenti che, come aveva scritto nella didascalia della fotografia appena pubblicata su Instagram, le avevano tolto il respiro.
Osservò il quaderno abbastanza doppio ma non troppo grande che aveva comprato, con la copertina in cuoio e le pagine leggermente ingiallite; le dava l’idea di qualcosa di vero, di vissuto ed era quello che voleva per il posto in cui avrebbe conservato qualcosa come un pezzetto della sua anima. Sorrise al riferimento che involontariamente aveva fatto ad uno dei suoi libri preferiti, poi prese il quaderno e lo aprì aspirando l’odore della carta, la penna blu era già nella sua mano sinistra, aveva pensato di scrivere in nero perché sarebbe stato un colore più appropriato, ma detestava scrivere in nero e allora lasciò perdere
La prima pagina del quaderno reclamava un titolo. Quello era difficile, necessitava di un titolo che racchiudesse in una o poche parole l’essenza di quello che poi avrebbe scritto, l’essenza di quell’estate. C’erano tante parole che potevano andare bene, perché tante avrebbero potuto descrivere quei momenti.
E mentre lo pensava, si rese conto che non aveva bisogno di cercare un titolo. Sfilò il tappo alla penna con vari gufi disegnati sulla plastica che conteneva l’inchiostro e con la sua grafia non troppo ordinata e tendente verso sinistra, scrisse la parola che aveva pensato.
Momenti.
In effetti non era poi tanto difficile. La parte complicata doveva ancora arrivare.
Si ritrovò a fissare il foglio successivo per svariati minuti, bianco, senza nessun segno, aspettava solo di contenere il peso dei suoi ricordi. Non sapeva da dove iniziare, quanto indietro doveva andare con la memoria per dare un giusto inizio a quella storia? 
Forse a quel cinque luglio quando finalmente era tornata a Napoli, dopo aver dato l’ultimo esame per quella sessione, dopo l’ansia che le aveva provocato forti dolori addominali, dopo la voglia di andare finalmente in vacanza? No. E neanche i giorni a Napoli così diversi dalla frenesia delle ultime settimane bolognesi.
No, la sua storia sarebbe iniziata verso l’undici agosto, così come era giusto che fosse, dopo il weekend con le amiche in giro per la Costiera Amalfitana e dopo la prenotazione all’ultimo minuto in un’anonima agenzia turistica nella periferia di Napoli.
Helis non aveva dormito molto quella notte, come al solito. Provava quel misto di attesa, entusiasmo e, naturalmente, ansia prima della partenza. Ricordava di aver fatto un sogno strano sulle valige, forse perché si era ridotta come al solito all’ultimo momento per prepararle ed aveva passato il giorno precedente a scavare nell’armadio alla ricerca di quello che avrebbe portato; erano solo due settimane, eppure la prima volta che aveva fatto la valigia, sembrava che dovesse partire per qualche anno in previsione di una probabile guerra aliena e la distruzione di tutti i negozi di vestiti, così si era ritrovata a pesare la valigia e a rendersi conto che superava di almeno il doppio il limite di peso consentito dalla compagnia aerea con cui avrebbe viaggiato. La disfece tre volte prima di raggiungere solo quattro chili in più rispetto al limite consentito.
La giornata scorreva lenta, non aveva molto da fare e decise di riordinare la libreria di iTunes dividendo le varie canzoni per album, anno di pubblicazione ed artista. Pensò di essere totalmente pazza. 
Dopo pranzo sentì l’adrenalina aumentare, mancava ormai poco alla partenza, per cui decise di anticipare sua madre che di lì a breve avrebbe iniziato a tartassarla ed andò a lavarsi. Indossò una canottiera blu cobalto e dei pantaloni in cotone leggero, con una fantasia un po’ indianeggiante, sotto un paio di ballerine color panna; non si sentiva particolarmente carina, ma visto quello che l’aspettava nelle prossime ore, era il meglio che potesse trovare. Soprattutto comodo.
Iniziò a caricare le valige in auto mentre sua madre si occupava della casa; in realtà avrebbe dovuto aspettarla, aveva ancora le mestruazioni e, sebbene fosse uno degli ultimi giorni, si sentiva ancora spossata soprattutto a causa del caldo. Quando chiuse il portabagagli, le girava un po’ la testa ma, per non sentire il “te l’avevo detto” di sua madre, si mise seduta sul sedile del passeggero ed impostò il navigatore per Bari.
Mezz’ora più tardi l’autostrada sfrecciava attraverso i finestrini aperti e la voce meccanica e femminile del navigatore indicava loro la strada.
Helis non aveva idea di come sarebbe stata quella vacanza. Era il primo anno senza le sue due amiche storiche, che però non erano più amiche e quella consapevolezza bruciava come quando aveva fatto il tatuaggio a forma di tre stelline che aveva all’interno del polso sinistro, a sedici anni, convinta che la loro amicizia che era iniziata forse ancora prima della loro nascita dato che i loro genitori erano amici a loro volta da anni, sarebbe durata per sempre. Però andava in un villaggio turistico, dopo anni di assenza dai villaggi sia come villeggiante che come animatrice; inoltre aveva Atene ad un’ora e mezza di autobus e, comunque sarebbe andata la vacanza, avrebbe comunque avuto la possibilità di visitare una città incredibile la cui storia e cultura avevano sempre suscitato una forte attrazione per Helis.
Il suo iPod collegato allo stereo dell’auto iniziò a suonare “Make You Feel My Love” nella versione del telefilm Glee cantata da Lea Michele. Helis aveva dedicato quella canzone all’unico ragazzo di cui si fosse mai innamorata davvero e che continuava ad amare da quasi due anni, nonostante tutto. Era stata una storia complicata, fatta più di rifiuti e sotterfugi che di momenti reali e felici ed era certa che avrebbe continuato a soffrire per lui per molto tempo ancora. Si disse che era decisamente masochista.
Il sole tramontò alle loro spalle e fu presto sostituito da un’incredibile luna piena e rossa che si alzava lentamente nel cielo mentre ormai mancavano appena trenta minuti all’arrivo in aeroporto. Helis guardò incantata quella luna e decise che voleva prenderla come un segno positivo, quasi a voler cercare nel satellite terrestre una conferma che quell’estate sarebbe stata bella.
Arrivarono in aeroporto dopo un po’, perché il parcheggio che avevano prenotato era abbastanza distante e fu difficile raggiungerlo, sua madre tirò fuori dalla borsa due panini che mangiarono stanche e in silenzio mentre il tabellone elettronico segnalava l’imbarco per l’ultimo volo della giornata al quale seguiva il volo per Atene alle sei del mattino seguente.
Sarebbe stata una nottata lunga.
La sala d’attesa era già popolata da un gruppo di ragazzi, probabilmente anch’essi in attesa del volo per Atene, che erano accampati a terra accanto ad alcune sedie su cui avevano lasciato le borse e giocavano a carte, Helis e sua madre si diressero alla fila successiva di sedie e si misero sedute. Erano di ferro, fredde e comode solo per la prima mezz’ora dopo la quale Helis iniziò ad avvertire un formicolio ai glutei ed un risentimento alla schiena, provò più volte a cambiare posizione e poi capì che tanto sarebbe stato inutile provare a dormire; le risultava difficile addormentarsi quando era in un letto comodo con il silenzio totale che la circondava, per cui era certa che lì, su quelle scomode sedie, con il rumore prima dei fuochi d’artificio e, a notte inoltrata, della macchina per pulire i pavimenti, sarebbe stato impossibile.
Tirò dalla borsa l’iPad, inforcò i suoi occhiali da vista con la montatura rosso scuro che usava solo per la stanchezza ed iniziò il primo capitolo di Harry Potter E Il Calice Di Fuoco. Da qualche anno aveva la tradizione di rileggere tutta la saga durante l’estate e prima di partire era riuscita a finire i primi tre libri; sebbene li conoscesse quasi a memoria, non si stancava mai di rileggerli quando poteva e quello sembrava il momento adatto per continuare.
Era arrivata al sesto capitolo quando arrivarono tre ragazzi forse poco più grandi di lei, Helis li guardò da sopra gli occhiali e notò che non erano male, in particolare quello più alto che sembrava molto carino. Si misero seduti sulle due sedie più vicine a lei, separati solo da una base a forma di cactus che intervallava ogni gruppo di quattro sedie e che aveva le prese per la corrente.
Ritornò a leggere distraendosi di tanto in tanto solo per guardare i tre ragazzi, anche loro sembravano girarsi spesso verso la sua direzione. Si chiese se li avrebbe poi rivisti al villaggio in cui era diretta, villaggio di cui in quel momento non ricordava nemmeno il nome, doveva essere tipo Eritrea o qualcosa del genere.
Aveva letto un paio di capitoli quando notò che la maggior parte delle persone che popolavano quella sala e che erano aumentate senza che lei se ne accorgesse, stavano dormendo; alcuni seduti, altri in posizioni strane sulle sedie o sui tavolini accanto ad esse ed altri, come il ragazzo carino del piccolo gruppo alla sua sinistra, per terra. Anche sua madre si era stesa tra la sedia e il tavolino ed aveva iniziato a dormire mentre Helis restò seduta, con i piedi scalzi poggiati sulla sua valigia e l’iPad sulle gambe. Li invidiava molto, sapeva che avrebbe dovuto dormire, ma non ci riusciva e comunque non aveva poi tanto sonno.
Il tempo sembrava scorrere a velocità dimezzata e spesso Helis si chiedeva come fosse possibile che fossero passati solo dieci minuti dall’ultima volta che aveva guardato l’orario, quando a lei sembrava un secolo.
Lesse più della metà del libro, andò un paio di volte al bagno ed incrociò spesso lo sguardo con il ragazzo steso a terra che per un po’ era rimasto sveglio, poi le sveglie sugli smartphone delle varie persone iniziarono a suonare simultaneamente e nell’aeroporto entrarono altre persone.
Erano le quattro del mattino. 
Tutti ancora intorpiditi dal sonno si avviarono lentamente verso il piano di sotto dove a breve si sarebbe aperto il check-in, Helis sentiva invece che l’energia che l’aveva tenuta sveglia per tutta la notte, si stava velocemente consumando ed iniziò a desiderare i sedili più o meno comodi dell’aereo quasi come se fossero la “terra promessa”. Ma anche il check-in fu lento, venne dato loro un opuscolo delle escursioni sulla costa della Grecia con la Balkan Express, l’agenzia che avrebbe accompagnato ognuno di loro nei diversi villaggi e poi, dopo un’ora, si diressero al gate. Helis e sua madre riuscirono giusto a mangiare un cornetto prima dell’imbarco e poi salirono sulla navetta che li avrebbe portati in aereo.
Il sole stava appena sorgendo e quell’alba creava un’esplosione di colori meravigliosi sulle piste dell’aeroporto; per la prima volta da quando si era svegliata quasi ventiquattro ore prima, si sentì davvero consapevole che stava partendo e fu invasa da un calore rassicurante che l’accompagnò mentre saliva e prendeva posto sull’aereo. 
Del viaggio non ricordava nulla, si addormentò appena allacciò la cintura di sicurezza per svegliarsi solo quando il comandante annunciò che erano atterrati ad Atene.
Quell’ora e mezza non le era bastata, ma l’eccitazione di trovarsi finalmente lì riuscì ad attenuare il suo sonno. Recuperarono i bagagli e poi furono accolti da varie operatrici della Balkan Express che li accompagnarono verso i vari autobus per i villaggi; fuori dall’aeroporto Helis entrò per la prima volta in contatto con il caldo di quella parte della Grecia e pensò che, con la sua pressione bassa e i continui cali di pressione, non si sarebbe mai abituata. 
Salì sull’autobus per il suo villaggio che si chiamava Eretria Village - Holidays In Evia Hotel e constatò con una certa delusione che i tre ragazzi che aveva visto in aeroporto, salivano su un altro autobus. Accusò il colpo.
— Ciao a tutti. Io sono Eleonora, della Balkan Express, tra un’oretta e mezza saremo all’Eretria Village. Adesso vi do dei moduli da compilare che consegnerete poi in reception una volta arrivati, così da velocizzare le cose. — aveva la voce squillante e il viso simpatico e continuo a dare varie informazioni sul villaggio, ma dopo un quarto d’ora, Helis si addormentò di nuovo per poi risvegliarsi solo quando il pullman entrò nel resort. 
La prima cosa che vide fu la reception che si trovava al piano terra del palazzo in cui c’era l’hotel, lei invece sarebbe stata nelle stanze più ampie dall’altra parte del villaggio, più vicina al ristorante dove c’era la piscina più grande e all’anfiteatro e più lontana dalla spiaggia e dall’altra piscina dove si sarebbero svolte tutte le attività dell’animazione. 
Fu servito loro un cocktail di benvenuto e poi Eleonora li accompagnò al ristorante perché le stanze non erano ancora pronte. Si trovava accanto ad una piscina enorme con due ponti che la attraversavano un bordo all’altro, al ristorante si accedeva attraverso il bar e poi si salivano alcune scale alla fine delle quali c’era una grande sala pieni di tavoli sistemati anche sulla terrazza; il cibo era a buffet e si poteva scegliere tra una grande varietà di piatti diversi, da più tipi di carne, ai primi, al pesce e diverse verdure cotte o crude. Ma Helis aveva i gusti piuttosto complicati e già in quel momento, mentre il suo piatto era praticamente vuoto rispetto agli altri, capì che avrebbe mangiato poco in quelle due settimane ma, tutto sommato, non le dispiacque poi tanto. Nonostante avesse perso alcuni chili negli ultimi mesi e più di una decina negli ultimi due anni, aveva intenzione di dimagrire ancora per non sentirsi mai più grassa e brutta come un tempo, non poteva dire di avere un fisico perfetto, ma non era più come prima ed aveva iniziato a piacere a sé stessa e agli altri.
Dopo pranzo Helis e sua madre ritornarono in reception a prendere i bagagli ed aspettarono che qualcuno del service le accompagnasse in camera con la golf car.
— State andando via?
La domanda arrivò in inglese, da una bella voce maschile, Helis si girò e vide due animatori; quello che aveva parlato era alto, aveva un bel fisico, i capelli castano scuro e gli occhi nocciola e, se lei non fosse stata così stanca, di sicuro sarebbe arrossita perché era decisamente carino, tanto da non farle prestare quasi attenzione all’altro.
— Emh, no. Siamo appena arrivate, andiamo in camera a posare le borse. — lui annuì soddisfatto della risposta, come se fosse contento che lei non andasse via e poi, dopo averle salutate, se ne andarono; lei si sentì una stupida perché non parlava in inglese da molto tempo ed era certa di aver sbagliato la composizione della frase, forse anche la pronuncia. Sperò di recuperare in fretta le lacune che aveva accumulato a causa dell’assenza di pratica.
Furono accompagnate nella loro camera, la 2205 abbastanza vicina alla zona ristorante e, come avrebbe scoperto qualche giorno dopo, anche agli alloggi degli animatori; sistemarono il contenuto delle tre valige negli armadi e poi si concessero un paio d’ore per dormire dato che faceva troppo caldo per girare per il villaggio ed Helis non avrebbe ancora potuto fare il bagno.

   
 
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