CAPITOLO 6.
L’inchiostro della penna era quasi finito. Era una biro blu, fantastica compagna di avventura, durante le ultime e terribili verifiche di fine anno che con un ultimo tratto d’addio, mi stava lentamente lasciando. 
“No, non te ne andare!” pensai in preda all’irritazione.
“Che stupida, sto parlando con una penna…” aggiunsi chiudendo gli occhi stanchi e poggiando la testa pulsante sulle mie esili braccia bianche e ossute.
Non era colpa mia se non mangiavo, era solo… una voglia involontaria di scacciare ogni tipo di cibo che mi venisse offerto.
Ma il mio stomaco stava letteralmente ruggendo in quel momento e, mancavano solo due ore prima che la campanella di fine lezioni, suonasse. Che inferno.
Cercai di fare uno scarabocchio sul foglio di quaderno a righe davanti a me, per riuscire ad intercettare ancora un ultima scintilla vitale della penna.
Niente da fare.
Ormai era finita la sua ora. Sempre lo stesso ciclo. La si compra tra le migliaia in offerta sul bancone di un negozio sconosciuto, la si porta a casa, e poi se era fortunata veniva persa tra i meandri della casa oppure scaricata fino all’ultima goccia d’inchiostro, fino a finire nel cesto della rumenta. Che schifo di vita.
Qualcuno mi fece distogliere dai miei bizzarri pensieri.
- Signorina Dolley, signorina Dolley…- una voce adulta.
- Io, cosa, come..?- alzai di scatto la testa e all’improvviso uno scroscio  di risate apparve tra le mura di quell’aula tanto odiata.
- Dolley. E’ possibile che non possa stare attenta almeno nell’ora di narrativa? Non mi sembra che l’argomento sia così noioso- due occhi neri mi penetrarono nello sguardo come due spilli e mi resi conto di essere al centro dell’attenzione.
- Veramente…- brancolai nel buio, cercando di inventarmi una scusa decente, ma fui subito interrotta.
- Jodie- sospirò la donna difronte a me, con un dito tra le pagine rilegate di un libro di favole – Non prendertela, ma è meglio che esci fuori a prendere un po’ d’aria e rinfrescarti le cellule grigie, perché intanto è inutile che resti qua, non prestando attenzione a ciò che dico- mi ordinò Mrs. Smith. I suoi lunghi capelli biondo scuro e sciupato, furono attraversati da una mano scheletrica e rimessi in ordine. Non mi aspettava altro che alzarmi, raccogliere le mie cose e sparire dalla classe sotto lo sguardo serpentino dei miei compagni.
- Va-va bene Mrs. Smith…- mormorai timida. Avrei voluto scavarmi un’ enorme fossa per saltarci dentro e sotterrarmi. Avevo gli occhi di tutti addosso. Cosa che non ho mai sopportato.
Così con le gambe tremanti uscii dalla classe di fretta e per poco non inciampai nei miei stessi piedi. I miei orecchi riuscirono ad intercettare qualche sciocca risatina dal fondo dell’aula e mi si strinse il cuore in una morsa gelida.
Che cos’avevo che non andava?
Ero sempre assente, con la testa tra le nuvole. O sotto terra.
Forse la seconda opzione era più esatta.
Non me ne andava una giusta.
Mentre camminavo assorta, con la testa bassa, qualcosa mi fece cadere tutto ciò che tenevo fra le mani, in equilibrio precario.
Appena sollevai il mio sguardo, mi accorsi che non era qualcosa, ma qualcuno.