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Autore: Pretty_Liar    13/09/2014    6 recensioni
Barbara ha solo diciotto anni, ma ha deciso di sposarsi già con un giovane di Londra, l'affascinante Alan. Tutto sembra procedere a meraviglia, ma quando torna ad Holmes Chapel, per passare l'ultimo mese da ragazza libera prima del matrimonio, ogni cosa sembra precipitare. I suoi sentimenti per il futuro marito, sembrano scomparire alla vista di un vecchio nemico, Harry Styles, più grande di lei di ben sette anni. Il ragazzo ama le piante e tutto ciò che include la
natura, sospeso fra fantasia e realtà, con la spensieratezza che si addice a pochi ragazzi di venticinque anni. Barbara imparerà a conoscere il mondo in cui vive il suo nemico e capirà che infondo la loro non è solo una storia basata su un perenne scontro fra mente e cuore, logica e sentimenti, ma è semplicemente un misto di verità nascoste, un grande sentimento e tutto ciò che sta in mezzo.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
«Comunque porgi gli auguri da parte mia allo sposo», continuò.
«Perché?», chiesi stupita.
«Beh, dovrà essere un santo per sopportarti... Acida come sei. Sembra che hai ogni giorno il ciclo. Sei abbastanza irritante!».
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Solo per dimostrarmi che ti odio
«Che c'è? Ciclo?», chiese nervoso, continuando a seguirmi per tutta casa, con il pantalone macchiato di sugo che, con molta cura e tantissimo amore, gli avevo rovesciato addosso quando aveva detto che ero solo una nevrotica pazza!
Io?! Nevrotica pazza?!!! Parla lui, quello che parla con dei maledetti vegetali senza una cazzo di vita.
«La verità è che sei solo annoiata e te la prendi con me. Ma certo, tanto per la signorina Harry è un diversivo e anche un autista. Ieri per poco non mi usavi come manichino per provare quella merda di vestito al posto tuo!», sbraitò, facendomi girare di scatto.
Avevo le labbra serrate e gli occhi stretti in due fessure, come se potessero sputare fuoco da un momento all'altro.
Sicuramente l'idea di mia madre, ossia quella di chiamare Harry a farmi compagnia a pranzo, non era stata ottima. Eravamo finiti per litigare... Come al solito.
Mi trattenni dal tirargli un potente calcio nei coglioni, continuando a camminare verso il salone, fingendomi indaffarata a sistemare cose che stavano già in ordine.
«Mi sa che dovresti chiamare Alan e farti una sana scopata, perché sei più isterica di una pensionata!», concluse vicino il mio orecchio, rompendomi i timpani e facendomi sgranare gli occhi.
No, adesso è troppo!, pensai imbestialita, afferrando la prima cosa che mi capitava fra le mani, ossia una torta che mia madre aveva fatto per la signora accanto e, con forza e violenza, gliela schiattai in faccia, facendogli schiudere le labbra piene di panna.
Sembrava un pupazzo di neve e aveva le lunghe ciglia imbrattate dal cioccolato e, la punta del naso, era coperta da una piccola fragola.
«Perché far venire Alan da Londra se c'è Harry, il mio cameriere personale?! Ho deciso, oltre ad essere il mio autista, sarai anche il mio bersaglio preferito per quando dovrò giocare al tiro con la torta», sghignazzai, mettendomi le mani sui fianchi.
Dire che era incazzato nera era riduttivo. Dalle sue orecchie usciva fumo ed era più sporco quel pomeriggio che gli altri quando lavorava in giardino. 
I ricci ribelli, quelli che fuoriuscivano dalla fascia, coprendo la fronte ampia, erano sporchi anch'essi di panna ed era forse la cosa che più lo fece imbestialire, dato che ringhiò come un animale.
«Sei una maledettissima stronza! Ti picchierei a sangue se potessi, ma penso che anche le mie mani si rifiuterebbero di toccare un rifiuto come te», disse sorridendo glacialmente, facendo comparire le due fossette ai lati della bocca.
Non so cosa fu, forse quel viso da bambino o le labbra contornate dalla glassa rossa della torta, ma non riuscii a rispondergli a tono, ne a dargli uno schiaffo su quella faccia perfetta
«Sai cosa ti dico? Mi hai scocciata. Prima finisci quel maledetto giardino prima te ne vai a fare in culo una volta per tutte», mormorai, rimettendo il piatto della torta sul tavolo della cucina.
Mia madre mi avrebbe ammazzata, ma lo avrei rifatto mille volte se questo significava vedere il riccio sporco fin dentro le mutande.
«Amore ci andrei, ma mi toccherebbe condividere anche quel posto con te, dato che tu sei abituata a starci», disse cauto  quasi dolcemente, afferrando poi, dalla pila di panni stirati posta sul divano, la mia maglietta blu e scollata sulla schiena, quella che avevo pagato tantissimo e che Alan adorava.
Se l'appoggiò sulla faccia e, con un ghigno maledettamente fastidioso, se la pulì interamente, strofinando i bordi in pizzo sulle guance piene di cioccolato fondente.
Sgranai gli occhi e ringhia incazzata, stringendo le mani lungo i fianchi per evitare di frantumargli il vaso in testa, il preferito di mia madre. Avevo già commesso abbastanza casini.
«Ottima pezza. Lino? Quale mercatino la vende? Potrei comprarla e lavarci il pavimento del mio cesso», proferì soddisfatto, rimettendomi la maglia fra le mani tremanti, scosse da brividi di rabbia.
La strinsi convulsamente, ricordandomi quanto poco gusto per la moda avesse quel ragazzo senza un minimo di cervello.
«Ignorante! Sai quanto cavolo mi è costata? Ho dovuto spendere tutti i miei risparmi per questa maledetta maglietta», mi lagnai urlando, sentendo le lacrime di frustrazione agli angoli degli occhi.
«Beh bambolina», disse facendomi irritare ancora di più al suono di quell'appellativo,«È stata una truffa: a quella maglia manca tutto il pezzo di dietro».
Roteai esasperata gli occhi al cielo. Beata ignoranza! Sbuffai, battendo un piede a terra come una bambina capricciosa e, in un attimo, mi sembrava di essere tornata ai miei sei anni.
«Sei.... Aaargh! Alan adorava questa maglietta ed ora per colpa tua non potrà più vedermi indossarla. Sei nato per rovinare la vita di tutti!», sbraitai, vedendolo sorridere furbamente, alzando l'angolo sinistro della bocca.
Gli avrei mollato un pugno sullo zigomo, ma sapevo che mi sarei fatta più male io che lui.
«Cristo, Alan si eccita per così poco? Sensibile il ragazzo», mi fece l'occhiolino, squadrandomi poi da capo a piedi ed io, in quel momento, seppi che stava per dire una frase che mi avrebbe fatta incazzare più del dovuto. «E poi per eccitarsi alla tua vista bisogna essere gay».
Inizialmente sentii qualcosa spezzarsi dalle parti del cuore, ma forse era solo rabbia. Fatto sta, che il sangue prese a pulsare velocemente nelle vene, tanto che lo sentivo nelle orecchie ad elfo, come diceva lui, e sapevo che stavo per commettere una pazzia.
«D'accordo... Allora io», sussurrai, poi afferrai le forbici sul tavolo e, senza dire nulla, uscii di casa, camminando spedita nel vialetto in mattoni.
«Che cazzo fai? Hai deciso di pulire la strada dalle erbacce?», mi prese lui in giro ancora, seguendomi soddisfatto, con il mento alto e il solito sorriso da bastardo.
Non lo degnai di una risposta, fissando attentamente il mio obbiettivo: la sua schifosissima macchina.
«Barbara, cosa vuoi fare?», chiese titubante, vedendomi girare intorno il suo gioiellino nero, nuovo di zecca.
Deglutì a fatica e vidi nei suoi occhi un grande terrore verso quel paio di innocue forbici. Mi sarei divertita io adesso. Vediamo se ti ecciti alla vista di me che ti sfascio l'auto, pensai ghignando.
Poi, con naturalezza e un grande sorriso, senza distogliere lo sguardo dal suo cristallino, ficcai ardentemente la punta della forbice in una delle ruote.
«No, no! Merda! Sei una pazza stronza!», urlò, sbiancando come un cadavere e cercando di afferrarmi per le braccia, ma io raggiunsi l'altra parte dell'auto e, camminando, strisciavo la bellissima fiancata.
«Carino questo vetro», dissi sbattendo le palpebre civettuola, mentre Harry respirava velocemente e faceva scorrere lo sguardo dal mio volto alle forbici,«Così nuovo da poterci specchiare dentro».
Mi ravvivai giocosamente i capelli con la mano, prima di graffiare con la stessa punta anche il finestrino, sentendolo digrignare i denti.
Sembravamo due bambini, ma davvero mi stavo divertendo troppo.
«Vedi, amore, anche io posso essere cattiva», sussurrai nel suo orecchio, prima di camminare nuovamente verso casa, lasciandolo pietrificato lì fuori.
Mi sentivo finalmente soddisfatta o, almeno, mi imposi di esserlo. Perché dentro, avrei voluto solo che lui si rimangiasse quelle parole. Mi importava davvero tanto essere eccitante per lui? Si, un casino, ma soprattutto avrei voluto evitare di fargli quel guaio alla macchina.
Si passò una mano fra i capelli, sospirando pesantemente e, poi, si girò verso di me, fissandomi con occhi vuoti.
«Sai che ti dico, Barbara? Sei solo una ragazza gelata e senza cuore. Spero che tu e Alan possiate vivere felici per i prossimi ottomila anni. Fattelo da sola quel cazzo di giardino», sputò acido, prima di incamminarsi verso casa.
Cosa?! Io ero negata in tutto quello che implicava natura e sporco, non poteva farmi questo. Lo pagavamo, cazzo, e poi mancavano cinque giorni e due settimana all'arrivo della famiglia di Alan e del mio futuro sposo e sei giorni e due settimane al mio matrimonio. Dovevamo fare là il ricevimento e c'erano ancora alberi e siepi secche.
Lanciai un urlo di frustrazione, seguendolo, ma lui sembrava non curarsi di me. Di sicuro non gli avrei chiesto scusa, ne implorato di tornare da me. Mai, mai, mai! 
Bill, il cane che stava appostato sotto l'albero in giardino, ci guardava stranito, ma non si mosse di una virgola, per la prima volta. Di solito correva a salvarmi. Adesso si limitava solo a spostare lo sguardo da me ad Harry, furente.
«La tua macchina, Styles», lo avvisai, parandomi davanti a lui per impedirgli di continuare la sua corsa. 
Ogni passo che faceva corrispondeva a due affannati dei miei.
«Ha le ruote sgonfie, come cazzo vuoi che la guido Allen?», marcò il mio cognome, facendomi bollire di rabbia.
«Non ce la voglio davanti casa mia. Quindi chiama un carro-attrezzi o chicchessia e leva quella merda dal mio vialetto. Non mi importa quanto ci metterai, ne come farai, ma entro un'ora voglio libero lo spazio o chiamo la polizia!», sbraitai, tornandomene indietro.
Ebbi solo il tempo di sentire lui che imprecava contro di me, digitando il numero di qualcuno.
Certo, tutto quello gli sarebbe costato parecchio, ma se lo meritava dopo il modo in cui mi aveva trattata.
Lo odio, lo odio, lo odio. E io che per un attimo mi ero illusa di.... Amarlo? No, amarlo mai! Volergli bene tutto al più.
Ma evidentemente io e lui eravamo come due pezzi di un puzzle destinati a non incastrarsi. Il fuoco e la pioggia, Venere e Marte.
«Fottuto bastardo!», urlai una volta in casa, sbattendomi la porta dietro le spalle con veemenza.
Raggiunsi con una falcata il salone, notando le cornici piene di foto mie e di Harry. In tutte lui sorrideva compiaciuto, mentre io avevo un enorme broncio stampato sul viso.
Ne afferrai una in cui lui mi avvolgeva le spalle con un braccio, tirandomi una guancia.
«Sei solo un cazzone che ha il cervello nelle mutande!», urlai davanti il suo volto in fotografia,«La sai una cosa? Eh?», continuai, sobbalzando quando sentii il rumore della porta di casa che si apriva.
Corsi nel corridoio dell'ingresso, vedendo entrare Harry, con ancora tutti i panni sporchi di cibo, che ringhiava sommessamente.
«Esci! Harry giuro che ti ammazzo! È inutile che vieni qui per farti perdonare. Non lo fare mai, neanche se me lo chiedesse Alan!», gli sputai in faccia quelle parole  dandogli un colpetto sulla spalla.
«Tappati quella boccaccia, santo il dio! Non farei la pace con te neanche se fossi l'ultima mia speranza di salvezza, giuro. Sei la donna più irritante ed insopportabile che conosca! Infantile!», terminò con un grido, afferrando le chiavi della macchina e sventolandomele davanti gli occhi. «Mi servivano queste, altrimenti la macchina rimaneva davanti il tuo preziosissimo vialetto!».
«Bene!», dissi battendo le mani sui fianchi.
«Bene!», mi imitò lui, picchiando il palmo della grossa mano sul muro accanto, facendo tremare i quadri appesi.
«Benissimo. Spero che tu possa pagare miliardi per aggiustare quella schifezza di auto», gli augurai con il cuore, sfidandolo con lo sguardo.
I suoi occhi a mandorla e verdi mi fissarono furiosi e, in quel momento, mi ricordai che era di ben sette anni più grande di me.
«Perfetto! Ti odio più di quanto tu possa immaginare, Barbara», disse rocamente, facendomi bloccare sul posto.
Quanto mi odiava? Ah, che cavolo mi interessava, io lo odiavo molto di più.
«Mi sta venendo una voglia di andarmene che neanche immagini», continuò gesticolando ampiamente, afferrando il pomello della porta.
«E a me sta venendo una voglia che tu te ne vada che neanche immagini», replicai, gesticolando a mia volta e gettandolo con fatica fuori. «Buon viaggio Styles».
«Fottiti Allen», sorrise, stringendo in un pugno le chiavi e afferrando la porta, sbattendomela lui in faccia.
Ci picchiai forte il naso piccolo e a punta sopra, gemendo per il dolore. Dio lo ammazzo!, pensai e, con un secco scatto fulmineo, aprii la porta, pronta a dirgliene di tutti i colori.
Ovviamente non immaginavo che fosse così vicino all'uscio così, appena il legno che ci separava fu scomparso, volendo entrambi parlare ed insultare l'altro per primo, ci gettammo inconsapevolmente in avanti e, per pochi secondi, le nostre labbra vennero a contatto.
Le mie mani si poggiarono sulle sue spalle, per evitare di cadere in avanti, mentre le sue braccia mi cinsero la vita, per non farmi cadere a faccia a terra.
L'attimo in cui le nostre labbra si toccarono, fu breve ma carico di tensione e sensazioni stranamente piacevoli.
Il mio stomaco si chiuse e centinai di farfalle lo invasero, mentre rabbrividivo maledettamente. 
Ci staccammo bruscamente, sgranando entrambi gli occhi. Io schiusi le labbra come a dire qualcosa, per giustificare quello che era successo, ma lui mi precedette, girandosi di spalle e camminando velocemente verso il carro-attrezzi che si stava trascinando via l'auto. Ci salì sopra, senza neanche degnarmi di uno sguardo.
Respirai affannosamente, rientrando in casa nuovamente, chiudendo la porta e scivolando con la schiena lungo il legno.
Colpa. Mi sentivo maledettamente in colpa per quello che avevo provato per una cosa che neanche si poteva definire bacio. Le nostre labbra si erano semplicemente incastrate e, se il contatto era durato a lungo, era perché eravamo troppo scioccati e non riuscivamo a muoverci, vero? Avevo come la sensazione che io invece volevo che continuasse all'infinito. 
Portai una mano sul mio cuore: mi batteva ancora all'impazzata e mi girava la testa.
Il salone era un disastro a causa dei pezzetti di torta a terra e sapevo che mia madre mi avrebbe ammazzata, ma non riuscivo a non pensare a quanto Harry avesse delle labbra morbide. Così diverse da Alan. Così diverse da quello che mi trasmettevano quelle di Alan.
Scossi velocemente la testa. Io lo odiavo e continuai a ripetermelo, ma mi sembrava quasi stupido anche solo pensarlo.
«No. No! Barbara non lo ami. Dimostralo!», urlai a me stessa come una pazza mentale.
Salii velocemente le scale, afferrando il cellulare sulla scrivania e digitando velocemente un messaggio ad Harry, che inviai con l'anonimo.
Caro signor Styles, 
Abbiamo ricevuto la sua proposta per entrare nella nostra università qui a Londra ed è con grande piacere che vogliamo comunicarle che accettiamo. Spero di poterla incontrare all'università di Holmes Chapel. Un mio assistente, Mark Collins, le parlerà del trasferimento.
Distinti saluti.
Inviai senza pensarci, immaginandomi la sua faccia soddisfatta quando l'avesse letto e anche quella dispiaciuta quando avrebbe scoperto che non esisteva nessun Mark Collins e che era tutta una falsa.
La vecchia me, quella di tredici anni, si sarebbe stesa sul letto con un sorriso soddisfatto. Ma la Barbara di diciott'anni continuò a girarsi fra le coperte tutta la notte.
Era la cosa giusta? Cosa stava succedendo veramente? Amavo Alan? Ero convinta di volermi sposare?
Cercai di non pensarci e, in parte, ci riuscii. 
Ma il mattino seguente, quando mia madre mi disse che Harry non sarebbe venuto per il giardino perché aveva un colloquio con un insegnate all'università, non potei fare altro che dire la verità a lei e scusarmi con Anne, che essendo troppo gentile non si arrabbiò molto. Come faceva? Io ero una stronza! Harry aveva ragione.
Mia madre, al contrario, non mi rivolse la parola. Lei amava Harry, essendo il figlio maschio che non aveva mai avuto.
Aspettai ansiosamente il pomeriggio per parlargli, ma non si fece vedere e neanche i due giorni successivi.
Avevo combinato 

«Che c'è? Ciclo?», chiese nervoso, continuando a seguirmi per tutta casa, con il pantalone macchiato di sugo che, con molta cura e tantissimo amore, gli avevo rovesciato addosso quando aveva detto che ero solo una nevrotica pazza!

Io?! Nevrotica pazza?!!! Parla lui, quello che parla con dei maledetti vegetali senza una cazzo di vita.

«La verità è che sei solo annoiata e te la prendi con me. Ma certo, tanto per la signorina Harry è un diversivo e anche un autista. Ieri per poco non mi usavi come manichino per provare quella merda di vestito al posto tuo!», sbraitò, facendomi girare di scatto.

Avevo le labbra serrate e gli occhi stretti in due fessure, come se potessero sputare fuoco da un momento all'altro. Sicuramente l'idea di mia madre, ossia quella di chiamare Harry a farmi compagnia a pranzo, non era stata ottima. Eravamo finiti per litigare... Come al solito.

Mi trattenni dal tirargli un potente calcio nei coglioni, continuando a camminare verso il salone, fingendomi indaffarata a sistemare cose che stavano già in ordin.e

«Mi sa che dovresti chiamare Alan e farti una sana scopata, perché sei più isterica di una pensionata!», concluse vicino il mio orecchio, rompendomi i timpani e facendomi sgranare gli occhi.

No, adesso è troppo!, pensai imbestialita, afferrando la prima cosa che mi capitava fra le mani, ossia una torta che mia madre aveva fatto per la signora accanto e, con forza e violenza, gliela schiattai in faccia, facendogli schiudere le labbra piene di panna. Sembrava un pupazzo di neve e aveva le lunghe ciglia imbrattate dal cioccolato e, la punta del naso, era coperta da una piccola fragola.

«Perché far venire Alan da Londra se c'è Harry, il mio cameriere personale?! Ho deciso, oltre ad essere il mio autista, sarai anche il mio bersaglio preferito per quando dovrò giocare al tiro con la torta», sghignazzai, mettendomi le mani sui fianchi.

Dire che era incazzato nera era riduttivo. Dalle sue orecchie usciva fumo ed era più sporco quel pomeriggio che gli altri quando lavorava in giardino. I ricci ribelli, quelli che fuoriuscivano dalla fascia, coprendo la fronte ampia, erano sporchi anch'essi di panna ed era forse la cosa che più lo fece imbestialire, dato che ringhiò come un animale.

«Sei una maledettissima stronza! Ti picchierei a sangue se potessi, ma penso che anche le mie mani si rifiuterebbero di toccare un rifiuto come te», disse sorridendo glacialmente, facendo comparire le due fossette ai lati della bocca.

Non so cosa fu, forse quel viso da bambino o le labbra contornate dalla glassa rossa della torta, ma non riuscii a rispondergli a tono, ne a dargli uno schiaffo su quella faccia perfetta.

«Sai cosa ti dico? Mi hai scocciata. Prima finisci quel maledetto giardino prima te ne vai a fare in culo una volta per tutte», mormorai, rimettendo il piatto della torta sul tavolo della cucina.

Mia madre mi avrebbe ammazzata, ma lo avrei rifatto mille volte se questo significava vedere il riccio sporco fin dentro le mutande.

«Amore ci andrei, ma mi toccherebbe condividere anche quel posto con te, dato che tu sei abituata a starci», disse cauto  quasi dolcemente, afferrando poi, dalla pila di panni stirati posta sul divano, la mia maglietta blu e scollata sulla schiena, quella che avevo pagato tantissimo e che Alan adorava.

Se l'appoggiò sulla faccia e, con un ghigno maledettamente fastidioso, se la pulì interamente, strofinando i bordi in pizzo sulle guance piene di cioccolato fondente. Sgranai gli occhi e ringhia incazzata, stringendo le mani lungo i fianchi per evitare di frantumargli il vaso in testa, il preferito di mia madre. Avevo già commesso abbastanza casini.

«Ottima pezza. Lino? Quale mercatino la vende? Potrei comprarla e lavarci il pavimento del mio cesso», proferì soddisfatto, rimettendomi la maglia fra le mani tremanti, scosse da brividi di rabbia.

La strinsi convulsamente, ricordandomi quanto poco gusto per la moda avesse quel ragazzo senza un minimo di cervello.

«Ignorante! Sai quanto cavolo mi è costata? Ho dovuto spendere tutti i miei risparmi per questa maledetta maglietta», mi lagnai urlando, sentendo le lacrime di frustrazione agli angoli degli occhi.

«Beh bambolina», disse facendomi irritare ancora di più al suono di quell'appellativo,«È stata una truffa: a quella maglia manca tutto il pezzo di dietro».

Roteai esasperata gli occhi al cielo. Beata ignoranza! Sbuffai, battendo un piede a terra come una bambina capricciosa e, in un attimo, mi sembrava di essere tornata ai miei sei anni.

«Sei.... Aaargh! Alan adorava questa maglietta ed ora per colpa tua non potrà più vedermi indossarla. Sei nato per rovinare la vita di tutti!», sbraitai, vedendolo sorridere furbamente, alzando l'angolo sinistro della bocca.

Gli avrei mollato un pugno sullo zigomo, ma sapevo che mi sarei fatta più male io che lui.

«Cristo, Alan si eccita per così poco? Sensibile il ragazzo», mi fece l'occhiolino, squadrandomi poi da capo a piedi ed io, in quel momento, seppi che stava per dire una frase che mi avrebbe fatta incazzare più del dovuto. «E poi per eccitarsi alla tua vista bisogna essere gay».

Inizialmente sentii qualcosa spezzarsi dalle parti del cuore, ma forse era solo rabbia. Fatto sta, che il sangue prese a pulsare velocemente nelle vene, tanto che lo sentivo nelle orecchie ad elfo, come diceva lui, e sapevo che stavo per commettere una pazzia.

«D'accordo... Allora io», sussurrai, poi afferrai le forbici sul tavolo e, senza dire nulla, uscii di casa, camminando spedita nel vialetto in mattoni.

«Che cazzo fai? Hai deciso di pulire la strada dalle erbacce?», mi prese lui in giro ancora, seguendomi soddisfatto, con il mento alto e il solito sorriso da bastardo.

Non lo degnai di una risposta, fissando attentamente il mio obbiettivo: la sua schifosissima macchina.

«Barbara, cosa vuoi fare?», chiese titubante, vedendomi girare intorno il suo gioiellino nero, nuovo di zecca.

Deglutì a fatica e vidi nei suoi occhi un grande terrore verso quel paio di innocue forbici. Mi sarei divertita io adesso. Vediamo se ti ecciti alla vista di me che ti sfascio l'auto, pensai ghignando. Poi, con naturalezza e un grande sorriso, senza distogliere lo sguardo dal suo cristallino, ficcai ardentemente la punta della forbice in una delle ruote.

«No, no! Merda! Sei una pazza stronza!», urlò, sbiancando come un cadavere e cercando di afferrarmi per le braccia, ma io raggiunsi l'altra parte dell'auto e, camminando, strisciavo la bellissima fiancata.

«Carino questo vetro», dissi sbattendo le palpebre civettuola, mentre Harry respirava velocemente e faceva scorrere lo sguardo dal mio volto alle forbici,«Così nuovo da poterci specchiare dentro».

Mi ravvivai giocosamente i capelli con la mano, prima di graffiare con la stessa punta anche il finestrino, sentendolo digrignare i denti. Sembravamo due bambini, ma davvero mi stavo divertendo troppo.

«Vedi, amore, anche io posso essere cattiva», sussurrai nel suo orecchio, prima di camminare nuovamente verso casa, lasciandolo pietrificato lì fuori.

Mi sentivo finalmente soddisfatta o, almeno, mi imposi di esserlo. Perché dentro, avrei voluto solo che lui si rimangiasse quelle parole. Mi importava davvero tanto essere eccitante per lui? Si, un casino, ma soprattutto avrei voluto evitare di fargli quel guaio alla macchina.

Si passò una mano fra i capelli, sospirando pesantemente e, poi, si girò verso di me, fissandomi con occhi vuoti.

«Sai che ti dico, Barbara? Sei solo una ragazza gelata e senza cuore. Spero che tu e Alan possiate vivere felici per i prossimi ottomila anni. Fattelo da sola quel cazzo di giardino», sputò acido, prima di incamminarsi verso casa.

Cosa?!

Io ero negata in tutto quello che implicava natura e sporco, non poteva farmi questo. Lo pagavamo, cazzo, e poi mancavano cinque giorni e due settimana all'arrivo della famiglia di Alan e del mio futuro sposo e sei giorni e due settimane al mio matrimonio. Dovevamo fare là il ricevimento e c'erano ancora alberi e siepi secche.

Lanciai un urlo di frustrazione, seguendolo, ma lui sembrava non curarsi di me. Di sicuro non gli avrei chiesto scusa, ne implorato di tornare da me. Mai, mai, mai! 

Bill, il cane che stava appostato sotto l'albero in giardino, ci guardava stranito, ma non si mosse di una virgola, per la prima volta. Di solito correva a salvarmi. Adesso si limitava solo a spostare lo sguardo da me ad Harry, furente.

«La tua macchina, Styles», lo avvisai, parandomi davanti a lui per impedirgli di continuare la sua corsa. 

Ogni passo che faceva corrispondeva a due affannati dei miei.

«Ha le ruote sgonfie, come cazzo vuoi che la guido Allen?», marcò il mio cognome, facendomi bollire di rabbia.

«Non ce la voglio davanti casa mia. Quindi chiama un carro-attrezzi o chicchessia e leva quella merda dal mio vialetto. Non mi importa quanto ci metterai, ne come farai, ma entro un'ora voglio libero lo spazio o chiamo la polizia!», sbraitai, tornandomene indietro.

Ebbi solo il tempo di sentire lui che imprecava contro di me, digitando il numero di qualcuno. Certo, tutto quello gli sarebbe costato parecchio, ma se lo meritava dopo il modo in cui mi aveva trattata.Lo odio, lo odio, lo odio. E io che per un attimo mi ero illusa di.... Amarlo? No, amarlo mai! Volergli bene tutto al più. Ma evidentemente io e lui eravamo come due pezzi di un puzzle destinati a non incastrarsi. Il fuoco e la pioggia, Venere e Marte.

«Fottuto bastardo!», urlai una volta in casa, sbattendomi la porta dietro le spalle con veemenza.

Raggiunsi con una falcata il salone, notando le cornici piene di foto mie e di Harry. In tutte lui sorrideva compiaciuto, mentre io avevo un enorme broncio stampato sul viso. Ne afferrai una in cui lui mi avvolgeva le spalle con un braccio, tirandomi una guancia.

«Sei solo un cazzone che ha il cervello nelle mutande!», urlai davanti il suo volto in fotografia,«La sai una cosa? Eh?», continuai, sobbalzando quando sentii il rumore della porta di casa che si apriva.

Corsi nel corridoio dell'ingresso, vedendo entrare Harry, con ancora tutti i panni sporchi di cibo, che ringhiava sommessamente.

«Esci! Harry giuro che ti ammazzo! È inutile che vieni qui per farti perdonare. Non lo fare mai, neanche se me lo chiedesse Alan!», gli sputai in faccia quelle parole  dandogli un colpetto sulla spalla.

«Tappati quella boccaccia, santo il dio! Non farei la pace con te neanche se fossi l'ultima mia speranza di salvezza, giuro. Sei la donna più irritante ed insopportabile che conosca! Infantile!», terminò con un grido, afferrando le chiavi della macchina e sventolandomele davanti gli occhi. «Mi servivano queste, altrimenti la macchina rimaneva davanti il tuo preziosissimo vialetto!».

«Bene!», dissi battendo le mani sui fianchi.

«Bene!», mi imitò lui, picchiando il palmo della grossa mano sul muro accanto, facendo tremare i quadri appesi.

«Benissimo. Spero che tu possa pagare miliardi per aggiustare quella schifezza di auto», gli augurai con il cuore, sfidandolo con lo sguardo.

I suoi occhi a mandorla e verdi mi fissarono furiosi e, in quel momento, mi ricordai che era di ben sette anni più grande di me.

«Perfetto! Ti odio più di quanto tu possa immaginare, Barbara», disse rocamente, facendomi bloccare sul posto.

Quanto mi odiava? Ah, che cavolo mi interessava, io lo odiavo molto di più.

«Mi sta venendo una voglia di andarmene che neanche immagini», continuò gesticolando ampiamente, afferrando il pomello della porta.

«E a me sta venendo una voglia che tu te ne vada che neanche immagini», replicai, gesticolando a mia volta e gettandolo con fatica fuori.

«Buon viaggio Styles».

«Fottiti Allen», sorrise, stringendo in un pugno le chiavi e afferrando la porta, sbattendomela lui in faccia.

Ci picchiai forte il naso piccolo e a punta sopra, gemendo per il dolore.

Dio lo ammazzo!, pensai e, con un secco scatto fulmineo, aprii la porta, pronta a dirgliene di tutti i colori.

Ovviamente non immaginavo che fosse così vicino all'uscio così, appena il legno che ci separava fu scomparso, volendo entrambi parlare ed insultare l'altro per primo, ci gettammo inconsapevolmente in avanti e, per pochi secondi, le nostre labbra vennero a contatto. Le mie mani si poggiarono sulle sue spalle, per evitare di cadere in avanti, mentre le sue braccia mi cinsero la vita, per non farmi cadere a faccia a terra.

L'attimo in cui le nostre labbra si toccarono, fu breve ma carico di tensione e sensazioni stranamente piacevoli. Il mio stomaco si chiuse e centinai di farfalle lo invasero, mentre rabbrividivo maledettamente.

 Ci staccammo bruscamente, sgranando entrambi gli occhi. Io schiusi le labbra come a dire qualcosa, per giustificare quello che era successo, ma lui mi precedette, girandosi di spalle e camminando velocemente verso il carro-attrezzi che si stava trascinando via l'auto. Ci salì sopra, senza neanche degnarmi di uno sguardo.

Respirai affannosamente, rientrando in casa nuovamente, chiudendo la porta e scivolando con la schiena lungo il legno.

Colpa.

Mi sentivo maledettamente in colpa per quello che avevo provato per una cosa che neanche si poteva definire bacio. Le nostre labbra si erano semplicemente incastrate e, se il contatto era durato a lungo, era perché eravamo troppo scioccati e non riuscivamo a muoverci, vero? Avevo come la sensazione che io invece volevo che continuasse all'infinito.

 Portai una mano sul mio cuore: mi batteva ancora all'impazzata e mi girava la testa.

Il salone era un disastro a causa dei pezzetti di torta a terra e sapevo che mia madre mi avrebbe ammazzata, ma non riuscivo a non pensare a quanto Harry avesse delle labbra morbide. Così diverse da Alan. Così diverse da quello che mi trasmettevano quelle di Alan.

Scossi velocemente la testa. Io lo odiavo e continuai a ripetermelo, ma mi sembrava quasi stupido anche solo pensarlo.

«No. No! Barbara non lo ami. Dimostralo!», urlai a me stessa come una pazza mentale.

Salii velocemente le scale, afferrando il cellulare sulla scrivania e digitando velocemente un messaggio ad Harry, che inviai con l'anonimo.


Caro signor Styles, Abbiamo ricevuto la sua proposta per entrare nella nostra università qui a Londra ed è con grande piacere che vogliamo comunicarle che accettiamo. Spero di poterla incontrare all'università di Holmes Chapel. Un mio assistente, Mark Collins, le parlerà del trasferimento. Distinti saluti.

 

Inviai senza pensarci, immaginandomi la sua faccia soddisfatta quando l'avesse letto e anche quella dispiaciuta quando avrebbe scoperto che non esisteva nessun Mark Collins e che era tutta una falsa. La vecchia me, quella di tredici anni, si sarebbe stesa sul letto con un sorriso soddisfatto. Ma la Barbara di diciott'anni continuò a girarsi fra le coperte tutta la notte.

Era la cosa giusta?

Cosa stava succedendo veramente?

Amavo Alan?

Ero convinta di volermi sposare?

Cercai di non pensarci e, in parte, ci riuscii. 

Ma il mattino seguente, quando mia madre mi disse che Harry non sarebbe venuto per il giardino perché aveva un colloquio con un insegnate all'università, non potei fare altro che dire la verità a lei e scusarmi con Anne, che essendo troppo gentile non si arrabbiò molto.

Come faceva? Io ero una stronza! Harry aveva ragione. Mia madre, al contrario, non mi rivolse la parola. Lei amava Harry, essendo il figlio maschio che non aveva mai avuto. Aspettai ansiosamente il pomeriggio per parlargli, ma non si fece vedere e neanche i due giorni successivi.

Avevo combinato un casino enorme.   

 

Nota Autrice:

Saaaaaalve! Allora, come vi sembra questo capitolo? Io lo amo e mi è piaciuto un casino scriverlo perché mi sono ispirata ad un mio episodio. Inoltre, vi volevo dire che Putroppo la scuola è iniziata e io sono già piena di compiti grazie alla mia amabile professoressa di greco e latino, quindi penso che non riuscirò a postare i capitoli molto velocemente. Vi chiedo quindi di avere pazienza e non odiarmi, perché io vi adoro per i bellissimi commenti che mi lasciate. Grazie.

Oggi è anche il compleanno di Niall: AUGURI AMORE! Non ci credo che fa 21 anni. Per me rimarrà sempre il biondo tinto che si presentò a X-Factor con il maglione rosso e i denti storti. 

Ora vado altrimenti questa nota diventa più lunga della storia.... E non è il caso. Alla prossima :D

 

Ps: vi lascio qui una piccola anticipazione del prossimo capitolo, in cui parlerà Harry per la prima volta:

 

«Ciao Barbara, vedi mi hai spezzato il cuore ancora di più. Ma non preoccuparti, ci sono abituato», scrollai le spalle, facendo fatica a parlare fra i singhiozzi.

Mi avvicinai maggiormente alla porta finestra, vedendoli parlare e sorridere gioiosamente, come se avessero aspettato tanto solo per guardare uno negli occhi dell'altro.

«Ah, comunque volevo dirti che ti amo, così tanto che non mi importa se mi fai del male ogni giorno di più, cioè.... Tanto il mio cuore è tuo e puoi giocarci ancora un po', perché penso che qualche frammento da calpestare ci sia rimasto».

 

  
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