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Autore: Doroth_    13/09/2014    0 recensioni
Paige Montgomery ha appena iniziato a frequentare il liceo della nuova cittadina in cui si è trasferita.
È ricca e molto molto graziosa e non le risulta minimamente difficile il farsi nuove "amiche".
Trascorre con loro gran parte del tempo e,quasi tutti i giorni,siede al tavolo della mensa con loro.
Ma c'è sempre un ragazzo che se ne sta da solo,in disparte,seduto ad un vecchio tavolo in un angolino un po' più riparato e scuro e lontano dagli sguardi indiscreti.
Paige vuole conoscerlo e tenta di informarsi su chi sia ma nessuno dice di sapere,nessuno dice di...vedere.
Perché quello della ragazza è un talento davvero particolare...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2. Prima parte.

 

Quando Paige intravide quel sottile raggio di sole, permeato attraverso un ricamo della pesante tenda bianca, era già sveglia.

Aveva spalancato gli occhi vitrei alle 5.09 e, da allora, non li aveva più imprigionati sotto la “coltre” delle sottili palpebre.

Non aveva riposato male. Nessun incubo aveva popolato l’oscurità della notte, né tantomeno una delle sue ansie.(Come, molte altre volte, le era già accaduto.)

Si mise lentamente a sedere e guardò dritto davanti a sé, incrociando il suo stesso sguardo raggelante, rimandato dallo specchio che se ne stava appoggiato alla parete, sotto la madre sorridente.

Nessun cambiamento. Solo la solita ragazzina. Solo Paige. Non Mia.

Mia.

Mia era il nome di sua madre. Già.

Avrebbe tanto voluto poter ricevere l’onore di somigliarle almeno un poco di più.

Lei, con quei capelli lunghi e mossi, corvini e lucenti. E quegli occhi! Racchiudevano tutto il mare e le speranze affievolitesi con le sue implacabili onde.

Una vera presunzione voler chiamare la figlioletta come lei stessa. Ma, a dirla tutta, non era stata nemmeno sua quell’idea insolita.

Charles aveva tanto insistito affinché la sua bambina portasse il nome della moglie con la sua esistenza e quei suoi sorrisi capaci di far sbocciare le rose d’inverno.

Ed ora eccola lì, dinanzi alla tragica verità, pronta a riderle in faccia mentre le confidava che quel piccolo grande desiderio mai si sarebbe avverato.

Scosse il capo, si stropicciò gli occhi e tirò indietro la massa folta e biondina.

Scese poi, scivolando dalla coperta ampia, mentre poggiava i sottili piedi nudi sulla moquette.

Ne afferrò alcuni peluzzi colorati con l’alluce e le altre dita e le strofinò sulla superficie sottostante, alla ricerca delle pantofole.

Ancora alquanto frastornata, si volse, puntando il grigio contro il cielo.

Il vento forte scuoteva gli alberi e, quelli più giovani, non potevano resistergli, tanto da piegarsi come fuscelli.

Quella mattina, era proprio inverno.

Poteva benissimo scorgere, attraverso la porta-finestra che si apriva sulla piccola veranda, la candida e delicata brina che, indisturbata, se ne stava a sonnecchiare sui ciuffi di erba, incurante dell’avvento del sole e dei suoi caldi raggi, in grado di scioglierla e scacciarla fino alla notte successiva.

La ragazza amava l’inverno e quel gelo pungente che ti cattura fra le sue spire e ti prosciuga da ogni sorta di calore.

Le trasmetteva pace e armonia. Serenità.

Un respiro profondo. Uno scatto in piedi.

“Bene… Ci sono riuscita, senza barcollare o ricadere all’indietro.”

Paige avanzò verso la porta del bagno e vi si rinchiuse per una ventina di minuti, giusto il tempo di una doccia veloce e rinfrescante: il massimo quando si è ancora nel mondo dei sogni.

Si sciacquò la bocca, dopo aver addentato un paio di biscottini che aveva nella ciotolina sul comodino (per ogni “Emergenza-Fame”, come le ricordava spesso Carla), e si parò davanti l’armadio, in biancheria.

Il reggiseno le fasciava quella seconda striminzita.

Odiava non avere il seno, come tutte le sue coetanee.

La portava a percepire un profondo senso di disagio. Ovviamente, non dava sfoggio di quella stupida preoccupazione agli altri ma, comunque, non le sarebbe dispiaciuto.

Anche solo per un pizzichino di autostima di più.

Aveva sempre voluto potersi sentire più femminile e, magari, anche permettersi qualche scollatura in più.

Purtroppo, però, madre natura le aveva trasferito il grasso previsto per quella zona, sulle cosce.

Già. 53 centimetri di puro orrore.

Non le piaceva affatto quel fisico.

Quella Paige dello specchio era orribile, piena di difetti e troppe imperfezioni.

Tutte balle.

Erano i suoi sguardi ad essere corrotti dall’odio verso sé stessa e la sua figura.

Era tanto magra. Un fuscello di un metro e settanta, quasi.

Tutte le invidiavano quella conformazione “perfetta”.

Ma, come in ogni caso, lei non lo notava o, semplicemente, non voleva crederci.

Distolse lo sguardo e afferrò un paio di collant a scacchi neri e bianchi e vi abbinò una gonna scura a vita alta che, ovviamente, le risaltava quel vitino tanto piccolo e alla Audrey Hepburn, stranamente proporzionato al resto del corpo.

Per finire, un ampio maglione lilla, con qualche fiocchetto qua e la, abbastanza lungo da coprirle tre quarti della gonna, in modo da farla apparire più minuta di quanto non fosse in realtà.

Si passò il mascara sulle ciglia, volumizzando i suoi già oltremodo enormi occhi, per poi utilizzare una sottilissima linea di eye-liner, che, a suo parere, non doveva mai mancare.

Infine, raccolse i capelli in uno chignon “sovrappeso”, largo e florido di capelli, con qualche treccia alla sommità, a nascondere l’elastico marrone scuro, altrimenti troppo visibile e antiestetico.

-Finito!- Esclamò, sospirando.

Non vedeva l’ora di uscire di casa e poter respirare quel freddo che le avrebbe ghiacciato le ossa.

L’aria, lì dentro, era del tutto stantia. Fin troppo pesante per i suoi gusti.

Paige corrugò la fronte, avvicinandosi alla maniglia della porta.

“Anzi. Posso già rimediare”

Girò rapidamente e spalancò l’anta, lasciandosi investire da una ventata gelida.

La ragazza, incurante, allargò le braccia e si parò davanti a quella corrente, reclinando il capo all’indietro.

Sorrise, estasiata da quella sensazione di libertà che solo quella stagione le conferiva.

Aprì gli occhi e li puntò alle nuvole brune che grugnivano nel cielo.

-Meglio muovermi… -Si disse, afferrando un ombrello gride e rosso-arancio, dal suo portaombrelli.

Preferiva evitare di beccarsi tutta l’acqua e arrivare a scuola con un 10 chili in più, solo di abiti zuppi.

Scese rapidamente le scale, mentre lanciava delle occhiate per casa.

Papà non c’è.

Roteò gli occhi, sbuffando. 

E quale sarebbe la novità?!

L’ironia era la chiave di tutto. Indispensabile per andare avanti nella più completa serenità.

Charles Montgomery non era quasi mai nei paraggi.

La casa, in pratica, era solo della figlia, sempre sola, immersa nella lettura il più delle volte, nella sua stanzetta al piano superiore.

Sempre indaffarato per chissà quali motivi, nel suo “laboratorio”, nella stanza collegata al garage.

Già. In genere, se ne stava lì a sperimentare nuovi macchinari, come le raccontava spesso.

Paige non ne era particolarmente attratta e non lo ascoltava affatto, durante uno dei suoi soliti deliri a riguardo.

Salutò Carla, accennando ad un sorriso forzato e si avvicinò all'attaccapanni.

Indossato il cappottino e la sciarpa in lana, sgattaiolò fuori dal portone, prendendo a percorrere il lungo viaggetto che poi la avrebbe condotta sulla strada principale.

Tutto era calmo e solo l’ululare insistente della tramontana la accompagnava, così come le cuffie con il volume altissimo che le sfondava i timpani.

 

 

 

.:Doroth_dice:.

 

Salve a tutti!

Questa è la prima parte del cap.2, per farmi perdonare!

Mi spiace, in questi giorni il brutto tempo mi ha tolto la connessione.

Spero vi piaccia e che continuiate a seguire la mia storia:)

Alla prossima,

D_

 

 

 

 

  
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