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Autore: atticus    13/09/2014    1 recensioni
La loro canzone incomincia con un assolo di chitarra, per poi concludersi con un lamento.
"Estate,arrivederci" nasce dall'incontro tra le note e il testo di un brano e si sviluppa arricchendosi della personalità di sei persone, delle loro risate cristalline, ma anche delle loro lacrime.
Nonostante si facciano più rigide e fredde le giornate, Jongin rivive ancora sulla pelle il ricordo di quell'estate in cui ha conosciuto Kyungsoo, e ha baciato una persona per la prima volta.
La prima cosa che Jongin notò di Kyungsoo,furono le sue labbra. Aveva labbra tumide e rossissime e dalla forma curiosa. Ogni volta che sorrideva,perché Lu Han gli aveva richiamato alla memoria un ricordo del passato o per una presa in giro fatta da Chen,le sue labbra assumevano l'aspetto di un cuore. La carnagione candida e lattea risaltava parecchio il rosso acceso delle labbra,e più rievocava a Jongin la sagoma di un cuore. Chissà come sarebbero state morbide le sue labbra,se qualcuno le avesse baciate. Avrebbe incontrato la consistenza di un cuscino,forse avrebbero avuto un sapore dolciastro.
Poteva l'amore,in tutta la sua interezza,essere espresso nel calore di un bacio?
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, D.O., D.O., Kai, Kai, Lu Han, Lu Han, Xiumin, Xiumin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non molto tempo fa ricordo di aver letto un racconto d'amore. Niente baci,carezze o sesso, scaturiva solamente la certezza in due ragazzi, che fossero perfetti al 100% l'uno per l'altro. Come se un computer ne avesse calcolato l'affinità di coppia. Immagino, tuttavia, che nel 1986 (l'anno in cui il racconto fu trasferito su carta) la tecnologia non fosse arrivata sino a questi livelli, e che a quei tempi Haruki Murakami non avesse previsto roba simile. Succede che dopo numerose ricerche, i due giovani si ritrovino faccia a faccia e, su una panchina del parco, si mettano a parlare, parlano, senza stufarsi mai. Ora, il mio encefalo partoriva parecchie aspettative, quali mettere in moto la macchina in destinazione di un hotel o la casa della ragazza. Mi aspettavo che facessero l'amore; è quello che fa spesso la gente quando capisce che si è innamorati. Ciononostante i due ragazzi nutrono un piccolissimo dubbio: in questo momento, ora è tutto ancora troppo diretto, rischioso.
«Senti, facciamo un'altra prova. Se siamo veramente perfetti al 100% l'uno per l'altra , di sicuro un giorno ci incontreremo di nuovo da qualche parte. E quando ci rincontreremo, se ci troveremo ancora perfetti al 100%, ci sposeremo, lì sul posto. Sei d'accordo?»
Così i due si separano. Una brutta influenza li fa camminare per molte settimane su un filo, in bilico tra la vita e la morte, e al risveglio dimenticano completamente il proprio passato. Dopo tanti anni, si incrociano a metà di una strada di Harajuku e per un attimo, i vecchi ricordi illuminano i loro cuori. Eppure si passano accanto senza rivolgersi la parola e scompaiono tra le folle in direzioni opposte.
Non pensa che sia una storia molto triste? 

(*)





Capitolo tre: Fissando un ragazzo perfetto al 100% in una domenica di novembre

La nonna aveva sempre riconosciuto due distinte categorie di bambini.
Jongdae rientrava nella categoria dei bambini buoni, essendosi comportato sempre nel modo giusto, perciò veniva spesso premiato e fatto di lui un modello da seguire.
Non faceva arrabbiare la nonna e non la disturbava mai quando aveva bisogno di schiacciare un sonnellino nella sua grande camera matrimoniale. Ma anche se fosse stato un bambino disobbediente e cattivo,non avrebbe mai avuto il coraggio di varcare le soglie della sua stanza. 
Non una seconda volta. La sua mente era offuscata quando sfogliava le frangi della propria memoria, rinvenendo pochi ricordi dell'infanzia. In quelli più vividi, inspirava profondamente il ricordo della nonna.
La prima volta che gli era capitato di entrare indisturbato nella sua stanza, la nonna viveva con loro da cinque mesi. La nonna lo aveva sempre messo in guardia e ammonito di non mettere piede nella sua camera, per paura che il piccolo rompesse qualcosa di prezioso, come i gioielli della bisnonna e il bastone del nonno. 
Jongdae stava giocando sul pavimento del salotto e le ruote gommose della macchinina rossa guidata dalla sua mano, percorrevano gli angoli più angusti della casa. Era subentrato nella stanza proibita senza accorgersene, e realizzato di avere disobbedito alla nonna quando sollevò il capo e si ritrovò in un luogo sconosciuto e poco illuminato,che odorava pesantemente di farmaci,piante medicinali e di nonna.
Le persiane non erano completamente abbassate e lasciavano passare pochi spiragli di luce che a stento irradiavano la stanza buia. Avvertiva in quella camera una densa presenza della nonna nonostante non ci fosse, perché era andata con la mamma ad approfittare dei saldi invernali. 
Aveva scostato la mano dal giocattolo per sollevarsi in punta di piedi e guardare gli oggetti posti sulla cassettiera e le pareti incorniciate di fotografie monocromatiche, raffiguranti i due nonni insieme, sorridenti e abbracciati, qualche decennio prima.
Non si era mai sentito così dentro alla nonna. In quei cinque mesi trascorsi assieme, non l'aveva mai avvertita così vicina a lui.
Guardava con attenzione, e senza toccare, gli oggetti che le erano appartenuti da giovane e che erano stati conservati con cura. Percepiva la forza del legame che univa la nonna ai suoi oggetti e comprendeva il suo terrore che ci fosse lui a romperli. 
Danneggiare le sue cose avrebbe significato rubarle un pezzo di vita, della sua anima.
Poi la nonna era rincasata insieme alla mamma e Jongdae aveva riconosciuto il suono della chiave che girava nella serratura, e il cuore che gli scoppiava nel petto.
La stanza lo intimoriva ora e sembrava che la nonna avesse voluto rincasare in quell'esatto momento, appositamente per sgridarlo. 
Sgattaiolò velocemente dalla stanza (quella della nonna si trovava a due o a tre stanze prima del portone di casa) e corse a giocare con la sua piccola macchina fiammante sul pavimento, assumendo l'espressione più impassibile che conosceva. Dentro, al contrario, era terrorizzato nel caso avesse lasciato tracce e aspettava in silenzio il momento in cui la nonna avrebbe scoperto la violazione dei patti.
Da allora Jongdae si era promesso di comportarsi bene, perché credeva di aver tradito in qualche modo la fiducia della nonna e aveva iniziato a bere molto latte, come i bambini buoni ed educati, perché voleva diventare alto.
I bambini buoni davano il meglio di sé stessi per studiare e rendevano orgogliosi i genitori, portando a casa il massimo dei voti. Sorridevano sempre,perché a nessun genitore sarebbe piaciuto avere tra i piedi un bambino frignone e cupo.
Per questo non si lamentavano mai e sapevano quand'era il caso di stare zitti. Non chiedevano mai 'perché?' per non riempire i genitori di domande insignificanti a cui bisognava rispondere e soprattutto non frignavano. Trattenevano le lacrime dietro gli occhi,come una diga blocca lo scorrere di un fiume.
Quando la madre si ammalava, la facevano coricare sul divano e le portavano un bicchiere d'acqua; oppure andavano incontro al padre che ritornava spossato da una sfiancante giornata di lavoro e gli prendevano la borsa, il cappotto e il cappello, cosicché potesse subito cenare senza compiere altre azioni. 
Non bisbigliavano nell'orecchio dell'altro ed erano sempre pronti a dire la verità, perché era molto importante essere onesti l'uno con l'altro.
Erano ubbidienti e giocavano senza arrecare fastidio e creare alcun brusio. Non ciarlavano troppo e non facevano troppe domande, frenando la loro curiosità che cresceva con il passare degli anni. 
Poi c'erano quelli irrequieti, divenuti tali in seguito a un tentativo fallito di educarli e un relativo abbandono nel completare la parziale educazione spartana.
Quelli erano i bambini cattivi.
Erano tremendamente incontentabili e insoddisfatti di ciò che avevano. Tormentavano per settimane le orecchie della madre con la loro vocina infantile e supplichevole, gli occhi sognanti e la voce squillante perché volevano un certo giocattolo di ultima generazione, con le luci e tutto, intravisto nella vetrina di un negozio; e si tappavano le orecchie quando la mamma respingeva le richieste perché loro quel gioco lo volevano subito.
La tormentavano finché non dava segni di arrendevolezza e si decidesse a comprare il dannato gioco. Allora, per i primi due giorni tacevano e non disturbavano più la povera madre ed erano tutti concentrati nell'acquisto del nuovo giocattolo che emetteva luci, produceva suoni, muoveva le braccia e vattelapesca.
Capitava, allora, che il giorno dopo si stufassero del nuovo giocattolo perché avevano concentrato la loro attenzione sul nuovo (più nuovo dell'altro) giocattolo in vetrina. E pretendevano ancora. Ancora...Ancora...
Avevano anche uno sguardo perfido e facevano dei parco giochi una proprietà privata, allontanando gli altri piccoli con un minaccioso "Non hai il nostro permesso di giocare qui".
I bambini cattivi imprecavano e dicevano parolacce perché era probabile che le avessero imparate dalla bocca di qualcun altro; si infilavano le dita nel naso e avevano sempre le unghie nere,come smaltate dalla sporcizia. 
Indicavano le persone e le osservavano, puntando gli occhi su di loro, come se volessero consumare la loro immagine.
"Ricordati,Jongdae,di non fissare troppo le persone. Hanno la sensazione di essere scrutati fin nel profondo e a loro non piace essere guardati come sono veramente."
Jongdae ricordava bene le parole della nonna, il tono calmo che usava per spiegargli come funzionavano certe cose e quello apprensivo che lo consolava quando si faceva male.
Chissà quale tono di voce avrebbe usato quando avrebbe scoperto che Jongdae stava fissando un ragazzo da una mezz'oretta. 
Jongdae aveva immediatamente puntato gli occhi castani sulla figura del ragazzo che preparava le bevande dietro il bancone del café, e nonostante fosse terribilmente spaventato che lo avrebbe notato, continuava ad osservarlo come un maniaco.
La voce della nonna sarebbe salita di un'ottava e lo avrebbe rimproverato. 
E Jongdae avrebbe annuito da una parte divertito e dall'altra un po' dispiaciuto di avere disobbedito alla nonna. 
-Sì, sì, nonna. Ho capito, mi dispiace!- scoppiando in una risata cristallina e riuscendo a strapparle un sorriso. 
Sollevando il capo, avrebbe visto l'espressione corrugata della nonna cambiare in un sorriso appena accennato. La nonna non era mai stata molto brava a manifestare affettuosità, per via del suo carattere un po' misantropo e solitario, ma le voleva un mondo di bene lo stesso.
Le voleva bene e lei ne voleva a lui e questo bastava a renderlo felice. 
Ma la voce della nonna non sarebbe riuscita a raggiungere le sue orecchie perché era mancata anni prima, inalando l'ultimo respiro nel letto matrimoniale.
Jongdae era una di quelle persone che con le altre, di pazienza ne possedeva davvero poca.
Non era un ragazzo che si faceva prendere facilmente dalla collera, ma quando accadeva che ne fosse vinto, sentiva che tutte le cose dovessero rompersi. Lanciava spesso oggetti quando era molto arrabbiato. 
Il suono dei bicchieri che si frantumavano serviva a placare il cuore che batteva furiosamente nello sterno. Non sentiva i suoni esterni al rumore del cuore che impazziva, e tutto procedeva al rallentatore. 
Vedeva il cristallo arrivare al suolo e perdere i suoi pezzi, come un puzzle. Si smontava, l'oggetto che cadeva per terra. 
Urlava anche. La sua voce si spezzava insieme al bicchiere. E tutto si calmava immediatamente. 
Immediato.
Raccoglieva i vetri rotti con la scopa e la paletta e li buttava nell'immondizia,traendo un lungo sospiro.
Con molta calma. 
Ritrovata.
E ritornava poi ad essere il solito Chen. Un po' scherzoso,un po' cattivello,un po' giocherellone,un po' gentile,un po' di tutto.
Quando non voleva che gli altri lo vedessero in quello stato, Jongdae si rifugiava dalla mamma di sua madre. 
Perché pensava di avere un aspetto un po' intimidatorio, tipico dei pazzi maniaci assassini. Si era guardato allo specchio che aveva il respiro pesante e gli occhi spalancati. 
Avrebbe spaccato anche quello.
Un sorriso, anche uno solo, riusciva sempre ad aggiustare le cose.
Come un bicchiere di latte caldo o un abbraccio rassicurante dalla mamma.
Però passava subito. Perdeva la pazienza facilmente,ma non era veramente arrabbiato e tutto si risistemava. 
Secondo Jongdae,nei rapporti delle persone era necessario discutere. Per confermare l'autenticità del rapporto e ricordare che ci si vuole bene,anche dopo aver litigato.
Non era un tipo da mettere il muso per più di cinque minuti.
Tutto ciò di cui Jongdae aveva bisogno, era calore. 
In qualunque forma fosse.
Anteponeva l'estate all'inverno, la pesante trapunta a motivi colorati alle fredde piastrelle bianche del pavimento, i gesti alle parole, le serate con gli amici invece del sabato sera passato a fare zapping per un'ora davanti alla televisione. 
A Jongdae piaceva il calore confortevole che trasmettevano le cose, come quello che adesso aleggiava in aria,nella caffetteria in cui sorseggiava un cappuccino.
Il locale parlava attraverso il chiacchiericcio vivace che giungeva alle sue orecchie come la melodia di una vecchia canzone,una di quelle il cui disco veniva fatto ascoltare in un giradischi.
Tutte le persone erano particolarmente allegre,come se tutte le loro angosce fossero svanite insieme al soffio che si liberava quando si spalancava la porta del café.
Le persone sedute ai tavoli chiacchieravano animatamente e velocemente, come se il tempo non fosse sufficiente per avere una pausa dalla vita; e fossero venuti qui, per respirare e prendere un caffè con gli amici. Sentivano la felicità del mondo,o almeno quel poco che c'era. 
Anche lui, Jongdae, si sentiva stranamente più tranquillo da quando aveva oltrepassato la soglia della caffetteria.
Faceva particolarmente freddo per una giornata di novembre e Jongdae non aveva avuto abbastanza impegni che lo tenessero occupato la domenica tra le fredde mura di casa sua. Fredde perché non erano ancora state riscaldate dal tepore dei termosifoni.
Mesi prima si era sentito con un amico al telefono che lo aveva informato dell'esistenza di una buona caffetteria aperta la domenica dei mesi freddi.
Da allora lo aveva frequentato qualche volta, e non spesso.
La scuola procedeva piuttosto bene. Nonostante il drastico trasferimento a una scuola totalmente nuova, e compagni del tutto estranei, era già entrato in confidenza con qualche compagno. Come Kim Jongin.
I ragazzi della nuova classe in cui si era ritrovato erano per lui dei dongsaengs, nonostante non presentassero lineamenti più giovani e fossero alti quanto Jongdae. I nuovi professori lo avrebbero scambiato per un coetaneo della loro stessa età, senza farsi troppi problemi. 
Chiuso il portone di casa alle spalle, rabbrividì nel suo giaccone e ripetendosi a mente le indicazioni,le strade e vie da prendere, raggiunse il café.
Lo aveva trovato con i vetri lucidati e le luci accese e aveva spinto la porta in vetro con il peso del proprio corpo, perché aveva le mani occupate a levarsi le cuffie dalle orecchie e ad attorcigliarle attorno al cellulare.
Un odore pungente di caffè e uno dolcissimo di pasticcini penetrò nelle narici, mentre il calore del locale lo avvolse nella sua giacca a vento.
Era un posto parecchio luminoso e caldo. 
Le sedie,i tavolini,il bancone e tutto ciò che arredava il café avevano un taglio rustico, e per un momento davano l'impressione di essere magicamente sbarcati in Italia, il paese dall'altra parte del mondo. 
Poi, lo aveva visto.
Sembrava che lo stesse aspettando da anni,dietro quel bancone in legno che li separava. Stava consumando una bevanda calda,probabilmente preparata per proprio conto, mentre con l'unghia dell'altra mano grattava annoiato il retro dell'orecchio. Aveva istintivamente voltato il capo in direzione dello acchiappa-sogni che annunciava un nuovo cliente, e lentamente abbassò la tazza, squadrandolo da capo a fondo.
Le ciglia sbatterono e la sua espressione cambiò. 
Gli stava sorridendo.
Definirlo "carino" avrebbe sparpagliato via le ultime misere convinzioni di essere eterosessuale, perché affibbiare un aggettivo del genere a un ragazzo sarebbe stato troppo "gay" per Jongdae.
Ma fu la prima parola che gli balenò in mente,quando il ragazzo gli sorrise.
E la voce che soffiò fuori dalle sue labbra,quando lo accolse con un sorriso professionale che ancora gli aleggiava agli angoli della bocca, suonò adorabile e calzò a pennello con il suo viso. Perché era davvero carino.
-Ciao! Benvenuto al Cassandra!- fece il barista da dietro il bancone. 
Jongdae gli sorrise titubante di rimando e a serpentina gli occhi cercarono tra le persone sedute un tavolino libero.
Arretrò di un passo, stringendosi dentro il suo giaccone, quando il barista aveva deciso personalmente di uscire dal bancone e di accompagnarlo a sedere.
-Allora, tavolo per una persona?- chiese con voce leggermente nasale.
-Sì...-
Semplicemente lo seguì mentre percorrevano il café in cerca di un tavolo libero in cui sedersi. Ce n'erano parecchi.
Arrestò il proprio passo quando la schiena del barista si piegò per posare il menù su un tavolino vicino a una vetrata della caffetteria. Il ragazzo lo congedò con un prego e Jongdae lo osservò mentre spariva dietro il bancone. 
E da questo preciso momento partorì tutti questi pensieri, semplicemente guardando con la coda dell'occhio il ragazzo impiegato a preparare le bevande. 
Era terrorizzato di venire scoperto mentre lo guardava abusivamente. Temeva che il barista avesse un'espressione guardinga sul volto e si voltasse per confermare i suoi sospetti. Allora avrebbe incontrato i suoi occhi circospetti e non avrebbe saputo come reagire dopo.
Nonostante la presa di terrore che lo attanagliava al cuore, era ipnotizzato dal modo in cui si muoveva. Continuava a fissarlo mentre armeggiava con il macina-caffè, aggiungeva cucchiaiate di panna a tazze fumanti, disegnava con il latte su cappuccini in fase di preparazione, o mentre scambiava due chiacchiere con un tizio troppo giovane per essere il titolare del locale. 
I movimenti erano morbidi, come una danza flessuosa e silenziosa, ma al contempo avevano un ordine preciso. 
Non lo aveva mai visto prima. Non era un cliente abituale del Cassandra, ma aveva la netta sensazione di avere un'estraneità con il barista. 
Aveva ricavato qualche informazione semplicemente studiandolo.
Era alto e aveva i capelli rossicci come il pelo di un criceto, portati a ritroso dalla lacca. Gli occhi erano piccoli e dalla forma ovale e allungata, e Jongdae pensò una seconda volta che assomigliasse a un tenero criceto. 
Il pomo d'Adamo sporgeva appoggiandosi al colletto della camicia bianca panna, le cui maniche erano ripiegate fino all'orlo dei gomiti, e dalle quali ne spuntavano due braccia muscolose e dalla carnagione molto chiara. Sul polso sinistro si chiudeva un orologio digitale. 
I pantaloni grigi accordavano con la camicia inamidata ed erano sostenuti sopra la vita da due bretelle a strisce nere e bianche,che si agganciavano tramite delle fibbie e passavano sopra le sue spalle. 
Aveva notato poi il cartellino bianco, spillato in vicinanza del cuore, che presentava un insieme di caratteri e lettere dalla calligrafia disordinata e imprecisa. Sembrava che qualcuno ci avesse scritto sopra in fretta e furia, o semplicemente non aveva una delle calligrafie migliori. Riuscì a decifrare gli strani "hangŭl" solo quando il barista rivolse il torace nella sua direzione, e poté concentrarsi nel leggere il nome. 
-...Min...Seok.- mormorò a voce bassa, per non farsi sentire.
Dunque si chiamava "Minseok". Voleva forse insinuargli che avrebbe potuto chiamarlo direttamente per nome, invece di sussurrare un scusi?, sollevando il braccio? Era questo che gli suggeriva? Perché questi pensieri lo turbavano così tanto?
Per Chen era sempre stato facile socializzare con qualcuno ed entrare in confidenza in poco tempo. Era quel ragazzo a strapparlo dal suo benessere e a trasmettergli una strana insicurezza e paura.
Perché se lo avesse incastrato mentre lo guardava, a Chen sarebbe bastato distogliere lo sguardo e puntarlo distrattamente da qualche altra parte. Tuttavia il barista era un ragazzo perfettamente normale,come le persone sedute ai tavoli. Non c'era nulla di particolare per cui differisse dagli altri. 
Forse erano la voce leggermente più nasale, i capelli tinti di un rosso rame, le braccia lievemente più muscolose delle sue.
Lo aveva stregato con la sua semplicità.
O forse era proprio per il fatto che si chiamasse Minseok.
Quel ragazzo lo metteva in soggezione. Da quando aveva messo piede in quel posto, non riusciva a comportarsi normalmente. Sparare qualche battuta scema, canzonare gli amici con ironia e un pizzico di cattiveria,bere fino a star male. 
Era ciò che adorava fare: condurre una bella vita di risate e birre a volontà.
Pertanto,era giunto a pensare fino al ricordo della nonna, e ora sprofondava tra le viscere della vergogna. Gli sembrava ridicolo che avesse trascorso gli ultimi anni così,senza aver fruttato alcuna utilità e progresso per se stesso e il mondo. 
La nonna si sarebbe infuriata.
Non gli piaceva osservare a lungo la gente, e a lui non piaceva affatto essere osservato. E soprattutto, non avrebbe gradito che qualcuno lo scrutasse in profondità,come stava facendo Jongdae. 
Lo avrebbe detestato.
Quel ragazzo, che ora sapeva si chiamasse Minseok, sin dal momento in cui lo scacciapensieri aveva trillato il suo ingresso, lo faceva sentire disorientato e confuso.
In fin dei conti, stava pensando. Non accadeva da molto.
Jongdae evita di pensare. Pensare è un'operazione complessa. 
(**)
E non gli piaceva la sensazione che provava. La sua coscienza aveva ripreso postazione nella sua materia grigia, e aveva trovato molta confusione. Che aveva soffocato con l'alcool.
Jongdae pensò che gli fosse venuto un gran mal di testa.
-Vuole ordinare?-
Jongdae sobbalzò sul posto perché non si era accorto della ragazza materializzatasi dal nulla di fronte a lui. Sperò con tutto se stesso di non averla offesa. 
Sembrava rappresentare lo stereotipo dell'impiegata annoiata e con la puzza sotto il naso. E ironicamente dicendo, era davvero felice di prendere le sue ordinazioni! Una persona non gli aveva mai parlato con un muso così lungo e le sopracciglia tanto aggrottate.
Se era obbligata a lavorare anche la domenica, la colpa non era affatto sua e non aveva il diritto di guardarlo in cagnesco. Ignorò la sua scortesia e si concentrò sul menù. 
-Un cappuccino, grazie.- 
La ragazza annuì con fare annoiato e scribacchiò l'ordinazione sul taccuino che stringeva in mano.
-Basta così?-
-Basta così.-
-Come decorazione?- disse lei, senza staccare gli occhi dal blocchetto. 
-Come, scusi?-
-Che disegno vuole che ci sia sopra il cappuccino?-ripeté lei,un po' spazientita.
-Oh. Un...un cuore.-
La cameriera annuì di nuovo e Jongdae le restituì il menù,che lei rimise a posto insieme agli altri. 
Notò che la cameriera avesse sospirato due o tre volte,mentre prendeva la sua ordinazione.
I talloni della ragazza sbattevano violenti quando lei andò a schiaffare il foglietto dell'ordinazione sul bancone.
Minseok alzò di scatto il capo dalla cioccolata che stava preparando.
-Prepara un cappuccino al tavolo 11.- gli ordinò la ragazza.
Un cappuccino al ragazzo con gli occhiali, ricevuto.
-Con o senza disegno?-
-Fagli un cuore.- 

* * * *

La ragazzina sbuffò rumorosamente un'altra volta, alzando gli occhi al cielo.
-Ho detto che non lo faccio.- sibilò.
-Cosa ti costa?! Ascolta Stephanie, io ho ventun'anni e sono in grado di gestire un locale che va avanti da secoli. Tu non puoi sostituire Seulgi questo mercoledì? E' solo per questa volta, poi non te lo chiederò più!-
-Lasciami dire una cosa,cugino. Prima di tutto: non ho deciso io di lavorare qui. Se le mie amiche mi vedono conciata in questo modo, con questo brutto gilet e il cappellino ridicolo in testa non mi rivolgeranno più la parola! Sai quanto possa influire sulla reputazione di una ragazza popolare? Pensi che io possa ancora continuare con sta messa in scena? Sto dietro ad un bancone ad accogliere la gente che viene qui e che ha bisogno di una come me, solo per scegliersi un tavolo da soli! E mi rendo ridicola di fronte a tutta sta gente che mi chiama e mi ferma anche solo per un bicchiere d'acqua!!-
-Smettila di introfulare sempre 'sta storia! Ormai lavorerai qui per un po', per aiutare tuo padre che ha un debito con il mio. Quindi, anche se sei mia cugina, dovrai aiutare anche tu al café.- le intimò Joonmyun.
-Che non significa fare il lavoro per gli altri! E non è colpa mia se quell'incapace di Seulgi si è ammalata. Quando ritorna dovrebbe recuperare il triplo, se non il doppio, del lavoro che le spetta.-
-Piantala Stephanie. Seulgi sta davvero male e merita qualche giorno per guarire. Inoltre,che lavori il triplo o il doppio, non sono affari tuoi perché sono io a occuparmi di queste cose.-
-Sei proprio un cugino rompipalle, Joonmyun, non te l'ha mai detto nessuno? Sei sempre a far la predica a tutti,ma fatti i cazzi tuoi!!- sbottò Stephanie.
Stephanie gli voltò le spalle e batté furiosamente i tacchi in direzione della porta.
-Dove stai andando?!- urlò lui, dalla scrivania.
-Ooh,ma vaffanculo.-
-Stephanie!!!-
Stephanie uscì dall'ufficio del cugino,richiudendosi la porta alle spalle e tirò l'ennesimo sospiro del giorno. Il turno non era ancora terminato, ma ne aveva già le palle piene per oggi.  Lavorare in quel locale le faceva schifo, come le persone che vi entravano per mangiare tantissimo e ingrassare come maiali. O forse era l'idea stessa del lavoro che la ripugnava. 
Perché a differenza delle sue amiche doveva lavorare in un posto così scadente? Queste guadagnavano soldi posando per riviste e vendendo le loro snelle figure femminili, mentre lei era costretta a lavorare come cameriera. L'avevano colpita nell'orgoglio. 
Non avrebbe mai accettato di lavorare un giorno in più, solamente perché una cameriera si era ammalata. Joonmyun sembrava non cedere con le sue intenzioni, e le avrebbe girato intorno continuatamente finché non si sarebbe arresa. 
Incrociò le braccia al petto e si guardò in giro. 
Minseok cercò di riportare la concentrazione sul proprio lavoro e di prendere le distanze dalla ragazzina che sbuffava come un toro furioso, per non venire contagiato del suo malumore.
Giustappunto, una ragazzina. E lui definiva "ragazzini" i bamboccioni immaturi con le tasche piene di soldi e la testa vuota. 
Per chi non conoscesse la ragazza che serviva le vivande con la felicità paragonabile a quella di un piede, Stephanie era la cugina di Joonmyun, il suo capo.
La famiglia di Joonmyun faceva un sacco di soldi, essendo proprietaria di prestigiose aziende, catene di ristoranti e caffetterie famose, e Minseok non si sorprendeva se il suo capo iniziava a blaterare dei suoi viaggi oltremare in paesi come gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone. 
Poi era tornata la cugina da una vacanza negli Stati Uniti, insieme al padre che nonostante avesse non pochi debiti, continuava a viziare la figlia. 
Il padre di Joonmyun aveva proposto allora a quello di Stephanie di farla lavorare part-time al suo café, perché nella caffetteria serviva una mano in più. 
Era entrata nel locale come un fulmine a ciel sereno e ogni giorno costituiva l'origine del malumore di Minseok.
-Oppaa!-
E la detestava con tutto se stesso quando lo appellava in quel modo. Quando lo chiamava 'oppa'. 
Lui non era il suo oppa, e lei non era la sua dongsaeng. Tutta l'ipocrisia della ragazzina era concentrata su quel 'oppa' troppo squillante e acuto.
-Stephanie.- disse, sforzando un sorriso.
-Ho bisogno del tuo aiuto,oppa.-
Ecco. 
Non un "come stai,oppa? Mah,adesso che mi parli,male...perché me lo chiedi? No, perché voglio approfittarmi della tua natura gentile che non sa rifiutare nulla...",era stata diretta.
Più schietta di così non poteva essere!
-Oppa, hai sentito anche tu mio cugino ed io litigare prima,vero?-
Persino i delfini dell'Oceano Pacifico erano in grado di percepire le tue urla,pensò Minseok.
Lui annuì.
-Per favore,oppa, io non posso lavorare questo mercoledì perché sono molto impegnata! Lui lo sa che ho molti impegni, ma si ostina a rendermi la vita difficile! Non puoi lavorare tu, al posto di Seulgi?-
Se avessero inventato il premio della persona più irritante esistente al mondo, Stephanie lo avrebbe vinto almeno 40 volte di seguito. 
-Aspetta, lasciami controllare solo la mia agenda.- mormorò, nascondendo la stizza che gli mozzava il fiato.
Estrasse l'agenda tascabile dalla tasca del grembiule che gli cingeva i fianchi, e sfogliò le pagine fino al giorno "mercoledì 12 febbraio", sperando che sulla pagina inerente ci fosse scritto qualcosa. 
Era una piccola agenda con la consunta copertina nera, alla quale era collegata tramite un cavo nero a spirale (di quelli che ricordavano il cavo della cornetta del telefono) una penna minuta del medesimo colore, sempre a portata di mano.
"Pranzo con i parenti (balza,balza,balza!!)" era previsto per il 12 febbraio, e lo aveva scritto con una penna di inchiostro rosso. Non scriveva quasi mai sull'agenda con l'inchiostro rosso, perché utilizzava la penna rossa esclusivamente per ricevimenti cui non voleva partecipare, a cui avrebbe mancato con noncuranza e senza avere bisogno di fornire spiegazioni.
Non vi avrebbe partecipato. E se lo avessero telefonato (ma dubitava che i suoi genitori lo avessero fatto), avrebbe risposto che un imprevisto lo aveva fermato al lavoro e che non poteva raggiungerli. 
Semplice.
Sapeva che dopo aver confessato la propria omosessualità i membri della famiglia non lo consideravano neanche più un parente. Cercavano in tutti modi di nascondere la vergogna di avere un cugino,un nipote,un figlio frocio. Non sopportavano di condividere lo stesso sangue con una persona malata.
E continuavano a fargli sentire lo schifo dentro, invitandolo ancora ai pranzi di famiglia. Dove lo schernivano con i loro sguardi cattivi, pentendosi di avere invitato, di essere seduti insieme a una persona malata.
Avrebbe fatto un favore a entrambe le schiere se non si fosse presentato. Minseok non li avrebbe rivisti e loro avrebbero pranzato tranquillamente, senza storcere il naso per la sua presenza "contronatura" e "immorale".
Lavorare al Cassandra gli piaceva, e non lo affaticava molto: preparava bevande e sorrideva ai clienti. E lo ammaliava l'odore del caffè macinato, il chiacchierare vivace dei clienti e il profumo delicato dei dolci. 
-Non ho niente da fare mercoledì.- snocciolò.
-Fantastico!! Questo vuol dire che mi aiuterai, oppa??- trillò lei raggiante.
Davvero una ragazzina irritante. 
Non lo faccio mica per te, pensò.
-Sssì.-
-Oppa,grazie! Sei il migliore! Jjang!-
Minseok sforzò un sorriso e quando Stephanie corse a dirlo a Joonmyun, sospirò rumorosamente.

Come accadeva abitualmente, al Cassandra fecero il proprio ingresso persone di ogni genere e di ogni tipo. Turisti del lontano Occidente curiosi e intenzionati a vuotare le tasche per oggetti privi di alcuna utilità (come d'altronde maggior parte dei souvenir esistenti); persone solitarie desiderose di caffè e cioccolata per colazione; allegre comitive di giovani ragazzi; donne in dolce attesa e con un'insaziabile fame, vecchiette rimpatriate in piccoli clan.
Ma per ogni individuo che entrava nel locale, il pensiero che Chen, quel giorno, non fosse ancora venuto balenava silenziosamente in mente a Minseok. 
E senza volerlo, ne rimaneva deluso ogni volta che alla soglia dell'entrata compariva qualunque persona che non fosse lui. 
Chen aveva cominciato a presentarsi al Cassandra nel bel mezzo di una giornata di novembre, quando dicembre rammendava i primi indumenti invernali e cominciava a dissigillare le porte ai giorni rigidi, e continuava a venire puntalmente quasi tutti i giorni, dopo una giornata di scuola.
Lo guardava di sbieco, quando gli capitava di sollevare il capo, e raccoglieva un'informazione in più a un nuovo sguardo veloce. 
Gli occhiali che gli restituivano un'immagine buffa e impacciata non venivano necessariamente indossati sempre. Infatti Chen, così Minseok aveva dedotto, ci vedeva benissimo eccome. Sia da lontano che da vicino.
Era strano che Chen indossasse quegli strani occhiali dalla montatura spessa e quadra, perché aveva la vista sana e non strizzava gli occhi per focalizzare le cose intorno o per leggere i cartelli incollati alle pareti del Cassandra.
Aveva sentito che fosse costume tra i giovani indossare grossi occhiali (di quelli per cui venivano presi di mira i "nerd" e i "quattrocchi" ), sprovvisti di vere lenti e con due spazi tra le montature. Le mode non smettevano mai di sbalordirlo.
Chen, però, non sembrava avere molti anni in meno rispetto a lui. Era lui, Minseok, che dimostrava la metà degli anni che portava!
Chen era adorabile. Era forse la persona con il viso più tenero che avesse mai conosciuto. Ma non era una tenerezza femminile. 
Chen era delicato e morbido, come il viso dei giovani soggetti dei dipinti di Caravaggio. Era terribilmente uomo e allo stesso tempo soffice. 
I lineamenti un po' spigolosi del viso rivelavano chiaramente un aspetto di uomo,  ma i sorrisi accennati dalle labbra rosate e gli occhi che roteavano di qua e di là, quando si ritrovava a spiccicare qualche parola mugolata con Minseok, restituivano un'immagine tenera e adorabile. 
Quando Chen socchiudeva le palpebre e schiudeva le labbra attorno la tazza, gli occhi sembravano scomparire, come se al posto degli occhi rimanessero solamente due fessure ammantate da ciglia lunghe e rade, e Minseok concentrava l'attenzione sulle altre parti del corpo, come il naso allungato, la bocca piccola, le sopracciglia sottili, il viso troppo magro e le dita affusolate.
E lo contemplava di sfuggita, ponendo il lavoro prima di tutti. L'unica minima distrazione che concedeva a se stesso, durante il lavoro, era guardare Chen. E dopo non poco tempo che lo osservava, era venuto a galla che non fosse l'unico a scambiare occhiate. 
La prima volta che i loro sguardi si incrociarono contemporaneamente, Minseok gli aveva sorriso con fare professionale. 
Regola number one del Cassandra: sorridi sempre al cliente.
Più tardi, sentiva gli sguardi furtivi del ragazzo addosso e di questo si compiaceva. Faceva finta di non notarli, e quando lo scopriva mentre lo fissava, gonfiava le guance in un sorriso che faceva diventare rosso Chen. 
Dapprima Minseok pensava che fosse un ragazzo più che taciturno, timido. Che avesse un mare di cose da dire, anche battute stupide che facevano ridere, ma che se le tenesse per sè come se temesse di sbagliare qualcosa.
Aveva provato a chiacchierarci insieme, per fargli fuoriuscire dalle labbra la voce flebile che non sentiva quasi mai chiaramente, iniziando a prendere personalmente le sue ordinazioni, presentarsi alla cassa quando doveva pagare e salutandolo per primo quando era all'entrata.
Avrebbe voluto scuoterlo, artigliando salde le mani intorno i suoi avambracci, e fargli dire tutto ciò che sembrava trasmettere con le sue occhiate segrete.
E toccarlo. Sui polsi che uscivano dalle maniche che velavano le braccia, erano verdi le vene che proseguivano il loro percorso sul palmo. Avrebbe voluto toccarlo proprio lì, a metà strada tra l'avambraccio e il palmo, per sentire le pulsazioni del cuore. 
E poi portarsi le dita sulla labbra, per assaporare il sapore della sua pelle. 
Voleva conoscerlo più a fondo, sapere tutto di lui. Era un bisogno che lo tormentava.
Chen lo tormentava anche a distanza, perché quel giorno non era ancora venuto.
Chen era tutta una necessità. Necessità che Minseok andasse ad accoglierlo per primo, che prendesse le sue ordinazioni, che gli facesse un cappuccino, che gli facesse lo scontrino e gli desse il resto.
Perché aveva la netta sensazione che gli occhi scrutatori di Chen fossero in grado di guardargli dentro l'anima, e non lo sopportava.
E non capiva perché glielo lasciava fare. Era solo curioso di sapere, perché proprio per lui, Minseok, Chen avesse la fissa di osservare.
Aveva ottenuto il nome, il quale lo lasciava sbigottito. Chen era senza dubbio un nome cinese. 
E il giorno di novembre in cui lo aveva visto, Minseok aveva pensato che Chen fosse un ragazzo cinese. Chen poi gli si era rivolto con un perfetto accento coreano e Minseok non aveva più avuto dubbi circa la sua nazionalità. 
Ritornando al mondo reale e al suo lavoro, Minseok ascoltava le signore con la testa dispersa tra i villi delle pellicce che lo benedivano e lo giudicavano un perfetto genero per le loro figliole. 
Peccato, però, che non lo sarebbe stato, anche se avesse voluto. A Minseok piacevano i maschi. 
E per dirla franca, gli piaceva il cazzo. Come alle ragazze eterosessuali, a lui piacevano i maschi.
E non lo pensava perché fosse un ninfomane. Non faceva sesso da mesi.
Da quando il pugno di Mitsuo lo aveva raggiunto sullo zigomo e si era ritrovato a terra con il viso dolorante, non era più stato con nessuno. 
Era a conoscenza della suscettibilità di Mitsuo, del suo temperamento sempre nervoso e del suo carattere di merda, ma era rimasto ugualmente con quello stronzo finché lo aveva preso a pugni. 
Aveva solo avuto paura di rimanere da solo, quando stava solamente aspettando il momento in cui gli avesse fatto del male. 
Le signore si sarebbero scandalizzate se avessero saputo che a Minseok piaceva il cazzo. Non per essere volgare, ma le persone pensavano che essere gay fosse diventato una moda.
Io sono gay, e lo sono veramente perché sono attratto dagli uomini. Se lo avesse detto francamente, non avrebbero più fiatato.
Perché non era un "malato" inconsapevole delle proprie azioni, che se ne usciva di avere attrazione per i maschi. 
La gente non accettava la realtà che esistessero al mondo persone come lui, che preferivano le braccia di un uomo, invece di quelle di una donna, che lo chiudessero in un abbraccio.
Da sempre le persone hanno il vizio di giudicare. Non possono farne a meno. Rovinando la vita delle altre persone, continuano a trasmettere i loro stereotipi e concetti sbagliati alle generazioni future. 
E a non farsi mai i cazzi propri, sospirò.
***


-Minseok-hyung, io stacco ora, tu vieni?- una matassa di capelli bruni si materializzò, trasferendo il movimento anche alle punte che ondeggiarono, e sbucò nel suo campo visivo.
-Ah, Channie! No grazie, devo ancora sistemare questi ultimi scatoloni nella dispensa.- 
-Ti aiuto?- domandò Chanyeol, e Minseok non fece che notare la profondità della sua voce.
-Ti ringrazio, ma non voglio farti mandare all'aria il tuo appuntamento con Sora- ammiccò Minseok, strizzando l'occhio.
-Ho capito, ahahah! Allora a venerdì?- 
-Mercoledì, per essere precisi. Indovina chi è stato fregato dalla cuginetta?-
-E' meglio che tu sia cauto con le parole, hyung. Quella lì può aver messo in giro delle telecamere e se ti sentisse, può tranquillamente comprarti e rivenderti!- lo ammonì Chanyeol.
-Non mi meraviglio. Ma mi piace lavorare qui e può anche essere che mi diano un aumento...-
-Lo spero per te, hyung. Ora è meglio che vada. Vorrà dire che ci terremo compagnia a vicenda!- disse Chanyeol, sfoggiando un sorriso con tutti i denti.
-Va',va'! Hai lavorato tanto oggi. E vedi di combinare qualcosa di buono!- gli augurò Minseok.
Minseok lo seguì con la coda dell'occhio mentre chiudeva nervosamente la cerniera lampo del giaccone che aderiva alle spalle, e nascondeva le orecchie dietro le ciocche di capelli mori che spuntavano da un cappello nero.
Non aveva un aspetto molto differente da quello in divisa, Chanyeol appariva più umano e giovane in quelle vesti normali. Faceva comunque un grande effetto.
Chanyeol si sistemò per l'ennesima volta lo zainetto sulle spalle e sospirò con un tremolio nelle braccia.
-Hey, aspetta!- lo richiamò a gran voce Minseok.
-Eh? Cosa?- sobbalzò il più giovane e si voltò con aria interrogativa.
Minseok lo raggiunse sulla soglia della porta, rimboccandosi le maniche, e allungò le mani verso Chanyeol, che era più alto di parecchi centimetri.
Gli tastò ripetutamente le guance con i palmi aperti, mentre gli occhi del ragazzo s'ingrandivano per lo stupore, e spostò le ciocche dietro le orecchie. 
-Carino! Ora sei a posto!-
Così Minseok riponeva gli ultimi scatoloni nella dispensa del locale, accessibile per mezzo di una porta retro il bancone, mentre canticchiava alcuni versi di una canzone trot.
-Salgo collina, dopo collina, ma ne resta sempre un'altra. E' una salita interminabile...-
Minseok allungava le braccia verso le scatole di cartone e le trasportava in dispensa, sollevando un manto di polvere al suo passaggio. 
Vivere in questo mondo, vivere questa vita è più piccante del peperoncino.-
Gli scatoloni erano verticalmente allineati, sovrapposti l'uno sull'altro, e creavano una palazzina di cartone in miniatura. Trasportarle non richiedeva un grande sforzo per il giovane, perché aveva i muscoli nelle braccia e usciva sempre vincitore in "braccio di ferro".
L'ultimo scatolone rimasto era il più pesante di tutti. Sollevando con le mani la parte sottostante del solido, Minseok mosse qualche passo verso il magazzino. Alla cieca, con gli occhi che non riuscivano a vedere dove andasse, poiché lo scatolone occupava interamente il suo campo visivo, finendo poi col cozzare contro un muro.
Dal tintinnio acuto che emisero gli oggetti interni alla scatola, il ragazzo dedusse che lo scatolone contenesse bicchieri e tazze di ceramica. Posizionò lo scatolone contro il muro, per chiudere gli occhi e riprendere fiato. Era uno di quei momenti in cui la vista gli mancava per qualche secondo, e tutto si colorava di nero pece. Però passava dopo qualche secondo, ormai ci era abituato. 
Dicevano che fosse dovuto ad un calo di pressione, e che avveniva spesso se ci si alzava dal letto troppo in fretta.
-Tutto apposto?- sentì mormorare alle spalle una voce maschile. Minseok riaprì lentamente gli occhi, ma non si scostò dal muro e non si mosse.
Riconobbe in lontananza un rumore di passi veloci avvicinarsi e dopo qualche secondo, sentì una pressione sulle mani che alleggerì il peso della scatola. La scatola scese piano, estendendo le dimensioni del suo campo visivo, e scorse un ragazzo dall'espressione preoccupata. Minseok si chiese se visioni del genere fossero allucinazioni dovute, appunto, al calo di pressione.
Le nocche e le dita di Minseok avvertivano la pelle di Chen come una morbida carezza. Le mani di Chen erano fredde, come se avesse dimenticato i guanti a casa, ma erano morbide e lisce al tocco. Le dita erano lunghe e affusolate, con le unghie corte che affondavano nella sua pelle ma non riuscivano a fargli male, i palmi premevano sui dorsi di Minseok, caricandosi metà del peso dello scatolone.
Sul mento e sopra le labbra spuntava una leggera peluria (molto probabilmente si era fatto la barba la mattina dello stesso giorno), Chen teneva la bocca socchiusa e guardava vago Minseok, come se stesse elaborando le parole da dire, quando roteò inibito gli occhi in basso.
-Ehm...Dove lo mettiamo?- disse Chen, abbassando gli occhi in un movimento impacciato.
In questo momento Minseok sorrideva, non con le labbra, ma con il cuore e le pulsazioni erano risolini compiaciuti che Chen non era in grado di udire. 
Sei venuto, alla fine. 
-Lì dentro,- rispose, con la testa piegata di lato -insieme agli altri scatoloni.- imprimendo bene nelle orecchie il suono della sua voce.
Minseok camminò avanti, coincidendo l'andamento dei passi con quelli di Chen, che andava a passi indietro ed entrava nella dispensa, sollevando insieme a lui lo scatolone.
Chen e Minseok riposero insieme l'ultimo scatolone che era rimasto e Minseok si pulì le mani, spolverandole sul grembiule.
-Grazie.- disse Minseok sorridendogli, quando ebbero finito. 
-No, figurati...- rispose Chen, tornando a fissarsi le scarpe. Erano con la punta consunta e i lacci aggrovigliati, colori che ostentavano la loro vivacità.
-Senti, per ringraziarti ti va se ti offro qualcosa?- propose Minseok con confidenza.
-Ma no, non disturbarti!...- protestò l'altro.
-Non mi disturbo affatto, anzi mi fa piacere!- replicò bonario, -E' l'unico modo in cui posso sdebitarmi, sappilo. Perché a casa mia non potrei offrirti nulla!- spiegò con una buffa smorfia.
Stranamente Chen rise, una risata leggera che non aveva mai sentito risuonò nell'aria, e Minseok osservò bene il mutamento nel viso del ragazzo. Gli occhi si erano fatti più piccoli, formando delle piccole rughe circostanti, le guance erano piene e acquistavano un colore più roseo e brillante, la bocca si apriva e scopriva tutti i denti bianchi. Aveva anche la risata tenera, pensò.
Chen ritornò ad essere cupo, come se temesse di essersi lasciato troppo andare. 
-Lo dovrò offrire qualcosa alla persona che mi ha, diciamo, impedito di restare accovacciato contro il muro, con una scatola quasi tra le gambe, per una giornata intera...no?- insisté divertito.
Chen annuì stupidamente, non avendo azioni alternative in mente se non annuire come uno scemo.
Quando furono fuori dal magazzino, la mano di Minseok corse dentro i calzoni e Chen poté udire un tintinnio insolito nella tasca dei pantaloni, dalla quale vide tirare fuori un mazzo di chiavi. Minseok prese tra le dita le chiavi una ad una, e quando trovò quella giusta, la inserì nel chiavistello e girò, producendo un rumore sordo.
-Allora,cosa vuoi che ti preparo?- chiese iniziando ad armeggiare con il macina-caffè, -Solito cappuccino?- 
-Sì, un cappuccino va benissimo.- disse Chen con una certa ebollizione nella voce e a Minseok non sfuggì il bagliore che trapassò i suoi occhi. 
Minseok voltò le spalle al più giovane per raggiungere lo scaffale dei bricchi e le tazzine, ignaro del fatto che Chen avesse da dire qualcosa.
Chen cercò di portare lo sguardo da qualche altra parte (e non sulle natiche di Minseok), tentando di ignorare il tarlo, la curiosità e il bisogno di sapere una cosa, che gli divorava l'anima. Lo sguardo, tuttavia, ritornava sempre sul sedere del ragazzo più anziano e la sua disinvoltura andava a puttane. Era una sensazione insopportabile e non gli piaceva.
-Posso guardarti mentre prepari il cappuccino?- azzardò titubante. Minseok girò il capo nella sua direzione e lo guardò con un bricco di metallo tra le mani, sorpreso per l'approccio che non aveva previsto dal ragazzo. 
Chen interpretò quell'occhiata come segno di perplessità e si affrettò a spiegare:
-Intendo dire, ecco...E' da un po' di tempo che vorrei sapere come lo si prepara.-
-Certo, avvicinati pure.-
Le spalle di Minseok si trovavano a pochi centimetri da quelle di Chen, e pensò che se si fosse avvicinato un poco, si sarebbero toccati. Come prima.
-Vedi, innanzitutto si prende del latte freddo e lo si versa in un bricco, la cui grandezza e misura dipende da quanti cappuccini si preparano.- iniziò a spiegare.
Chen annuiva come ipnotizzato alle indicazioni che pronunciavano le labbra di Minseok, benché non avesse ascoltato che qualche frase. Ce l'aveva troppo vicino.
-Versi poi il latte nell'espresso, tenendo in questo modo il bricco con una mano e la tazza dall'altra.- le mani di Minseok avvolsero quelle di Chen, -Così,ecco. La schiuma. Quando disegni un cuore, occorre versare il latte in centro finché vedi che la tazza è piena per tre quarti. Lo versi da una giusta distanza, altezza adeguata, della tazza. Quindi, man mano che lo versi, la schiuma sale più velocemente. Adesso, vedi, basta che agiti il bricco, lo sollevi purché il disegno assuma forma e gli passi attraverso.-
Un cuore latteo comparve sull'espresso dalle mani di Chen guidate da quelle di Minseok.
-Basta aggiungere un po' di cacao e il cappuccino è perfetto.- concluse infine, tendendo una delle due tazze verso Chen.
-Kamsahamnida,- ringraziò quando ebbe la tazza tra le mani -Grazie.-
Entrambi avvicinarono alle labbra il cappuccino, bevvero qualche sorso, senza dire nulla. 
Il fianco destro di Minseok era rannicchiato contro la superficie legnosa del bancone e concentrava tutto il peso del corpo lì, come se volesse riposare. Quando il silenzio iniziò ad essere opprimente e noioso, la voce di Minseok lo spezzò.
-Ti ho aspettato.- ammise dopo tre sorsi.
-Come?- gli occhi di Chen erano due pozzi scuri, sgranati per l'incredulità.
-Ti ho aspettato,- ripeté, questa volta guardandolo negli occhi - Vieni qui quasi tutti i giorni e mi chiedevo se fosse successo qualcosa. Ho memorizzato persino il tavolino in cui siedi e cosa prendi di solito. -
-Ah- Minseok lo aveva preso alla sprovvista. -No...non è successo niente. E' che ho ripetuto un anno, mi sono trasferito in città e mia madre mi ha iscritto a dei corsi pomeridiani. Oggi si sono prolungati più del solito e ho cercato di venire fin qui, sperando che non aveste già chiuso.- dichiarò.
Minseok lo guardò prima con un'occhiata attenta e dopo con curiosità, sorvolando oltre l'argomento "perché hai ripetuto un anno".
-E in quale scuola sei ora?-
-Al liceo Seung Ri.-
Gli occhi di Minseok s'illuminarono e gli angoli della bocca saettarono verso l'alto.
-Ma è la mia scuola!- disse con una mezza risata. -Beh, diciamo che lo è stata. E' lì che mi sono diplomato. E se mi ci fai pensare, l'ultima volta che l'ho visitata è stato tre anni fa, alla consegna dei diplomi. Chissà se è cambiata, dopo che me ne sono andato. C'era anche un mio professore di materie scientifiche, il più simpatico e bravo di tutti, che aveva una certa età. Quanto mi piacerebbe rincontrarlo ancora! E...come si chiamava già? Il professore...Kwon....Kwon Man...- Minseok ripeteva il nome con viso arcigno, cercando di rievocare i ricordi del liceo e il nome completo del caro professore, biologo e scrittore.
-Man Woo?-
-Sì, Man Woo! Proprio lui!- esclamò Minseok, alzando involontariamente la voce - Che bella cosa. E tu di che cosa ce l'hai? Biologia o mate?- domandò a Chen.
- Di entrambi - soffiò Chen.
-Anch'io ce l'avevo di entrambe le materie. Era davvero un bravo professore. Fa ancora le battute sui suoi capelli?- disse ridendo.
 -Sì, qualche volta accenna qualcosa di strano sui suoi capelli. Che tipo ne aveva tantissimi prima e lunghi, ma negli ultimi dieci anni gli son caduti quasi tutti...-
-Il solito professore Han! Sai, è un professore con molto sarcasmo e prende le cose alla leggera, ma è una brava persona. Dovrei invitarlo a prendere qualcosa qui, glielo offro io. Così mi faccio due risate in compagnia del vecchio Han Man Woo.-
Parlarono del più e del meno, e Minseok raccontò episodi divertenti accaduti a scuola, durante le ore del professore che conoscevano entrambi. Venne a galla anche il fatto che avessero avuto altri due insegnanti in comune, che entrambi giudicarono incapaci e svogliati. 
Parlarono tanto, e quando il tempo passò, non si sentirono più soli. 
Chen si sentiva strano. Aveva un gran caldo, nonostante fosse una gelida giornata di febbraio, e il lupetto del maglione lo pressava come due salde mani intorno al suo collo. Si era ritrovato con la gola secca, per quanto aveva parlato, e tracannò un sorso del cappuccino ormai tiepido. Si chiese se anche Minseok avesse la gola secca.
La sorpresa era comunque rimasta. Era sorpreso che Minseok avesse camminato per gli stessi corridoi che percorreva lui ogni giorno. La curiosità lo riempiva mentalmente di domande. 
Andava bene a scuola? Era abile nello studio, quanto nella preparazione delle bevande? I suoi voti erano alti o a stento raggiungevano la sufficienza? 
I ragazzi lo notavano per i corridoi? Sapevano che tra la folla ci fosse un ragazzo di nome Minseok? Era stato popolare, a tal punto che tutti sapevano chi era, o era un ragazzo calmo che passava inosservato? 
Aveva avuto la ragazza? Si era mai innamorato? 
A tutte le domande Chen si rispose che se Minseok era così buono e gentile, sarebbe passato inosservato, non gli sarebbe piaciuto farsi vedere. E pensò che una ragazza non meritasse di stare con un ragazzo così buono, non fosse abbastanza per lui. Minseok meritava di più. 
Minseok continuava a parlare, e Chen non si accorse che Minseok aveva lasciato a mezz'aria una frase e che ora lo guardava. Minseok se ne era accorto eccome.
Allungò una mano verso Chen, e quando questi alzò il capo sorpreso, espose il palmo.
-La tazza vuota.- spiegò con il palmo aperto.
Chen comprese e mugugnò qualcosa di incomprensibile, restituendo la tazzina che Minseok depose nel lavello insieme alla sua. L'avrebbe lavata con calma al prossimo turno, la sera stessa, aspettando che il locale venisse riempito.
Quando tornò a guardare Chen, con una mano sul fianco, questo lo guardava con un'aria smarrita e Minseok pensò che in una tacita preghiera, forse desiderava un abbraccio.
Notò che sulla bocca piccoli residui del cappuccino incorniciavano il labbro superiore e mormorò:
-Hai...qualcosa sul labbro.- Chen umettò le labbra con un gesto quasi infantile.
-No, qui - 
Minseok allungò inconsapevolmente una mano sul viso di Chen e con le dita gli pulì il labbro, mentre Chen sgranava gli occhi per il gesto improvviso.
Minseok realizzò allora una cosa importante, che aveva ignorato perché il pensiero lo imbarazzava troppo.
Che per tutta la giornata, aveva pensato alle labbra di Chen. Aveva desiderato baciarle, sin dal primo momento in cui lo aveva visto entrare dalla porta del Cassandra, quella domenica troppo fredda per essere novembrina. Per ogni parola che veniva mugolata da un Chen impacciato, per ogni occhiata che scopriva essere destinata a lui, per ciascun cuore latteo che nasceva sulla schiuma di un cappuccino, l'immagine sfocata che si era fatto in mente marcava i suoi contorni e ne veniva fuori un'immagine diversa.
Non erano più delle labbra maschili che baciava Minseok, era Minseok che baciava Chen.
Quando si era ritrovato a pochi centimetri dalle sue labbra, aveva sentito Chen respirare. 
Trarre un lieve respiro che Minseok avvertì caldo e avvolgente sul collo. 
Allora lo aveva baciato. Aveva raggiunto la sua bocca spingendo in avanti il busto e fondendo le labbra con le sue, con un movimento veloce da sorprenderlo. 
Il gesto istintivo di Chen fu quello di schiudere le labbra e di chiudere gli occhi, mentre Minseok lo coccolava di piccoli baci umidi e riprendeva fiato ad ogni bacio. 
Il cuore batteva per le sensazioni che stava provando, per la scia di baci umidi che gli lasciò Minseok sulla bocca, uno rapido e tenero sulla guancia; le labbra di Minseok ritornarono subito su quelle di Chen che ebbero un fremito. Chen cominciò a muovere le labbra, perché oltre ad essere baciato desiderava a sua volta baciare Minseok, cominciò a premerle contro e ad affondare nella bocca dell'altro. 
Una mano calda lo raggiunse sulla guancia. L'altra arrivò un momento più tardi, avvolgente e morbida. Lo stava divorando con i suoi baci, con il viso tra le sue mani e le labbra che si toccavano e s'incontravano.
Sembrava che il destino avesse da sempre stabilito che quell'occasione li avrebbe portati a baciarsi così, con le mani di Minseok sulle guance lisce di Chen e le braccia tremanti di quest'ultimo abbandonate lungo i fianchi. Minseok sembrava non avere intenzione di fermare i suoi baci, malgrado Chen potesse udire il cuore suo e quello di Minseok che battevano nello sterno frenetici e all'impazzata. 
Chen sentiva via via il fiato mancare di più e circondò dolcemente i palmi intorno ai polsi del ragazzo che riaprì gli occhi e allontanò piano il viso, con aria interrogativa e sorpresa. 
Chen sentiva il viso avvampare di calore e imbarazzo, e guardò Minseok che aveva il fiato corto e le guance e le labbra arrossate. 
Chen stava per ritornare sulla bocca di Minseok, quando una voce li fece sobbalzare e scostare i propri corpi vicini. 
-Perché la luce è ancora accesa?...- sentì pronunciare da una voce maschile cui stentava di ricordarne il proprietario.
Chen e Minseok si erano scostati l'uno dall'altro in modo brusco, e ora erano parecchio distanti i loro corpi e lontane le labbra inumidite dai baci, che iniziavano a disperdere calore e a sentirsi infreddoliti; quando Joonmyun fece capolino con una mano tra i capelli e gli occhi socchiusi.
-Minseok? Perché sei ancora qui?- domandò sinceramente sorpreso, e quando si accorse della presenza di Chen, che aveva le mani congiunte e girava letteralmente i pollici, salutò cortese -Ciao! Sei un nostro cliente?-
Chen rispose che lo era e Joonmyun gli rivolse un sorriso fraterno, mentre si avviava verso il bancone. Poggiò gli avambracci sulla superficie legnosa e liscia, trovandosi faccia a faccia con Minseok.
-Minseok, non c'è bisogno che lavori fino a quest'ora, lo sai. Se c'era ancora un cliente, potevi chiamarmi e lasciarmi chiudere il locale! E sono indignato che tu sia il solo rimasto qui. Non mi dire che Chanyeol ti ha lasciato qui da solo e se n'è andato per i fatti suoi!!- lo rimproverò.
-Non preoccuparti, Joonmyun. Nessuno mi ha lasciato solo e quel povero ragazzo non c'entra niente. Mancavano comunque degli scatoloni da sistemare in magazzino e l'ho lasciato andare perché aveva un appuntamento con una ragazza, ed è arrivato lui che mi ha aiutato. Così gli ho offerto un cappuccino.-
E ci siamo anche baciati.
Chen spalancò gli occhi a quel pensiero e le guance si tinsero nuovamente di rosso. Si chiese come potesse Minseok parlare con quella naturalezza, incurante del fatto che avessero smesso di baciarsi un minuto fa. Forse con quella naturalezza cercava di nascondere il loro segreto. Il suo cuore batteva ancora furiosamente.
Ebbe il desiderio di scappare da quel posto, aveva caldo, era imbarazzato e non aveva il coraggio di incontrare gli occhi di Minseok. 
-Io...devo andare - mormorò in segno di scusa e mosse velocemente alcuni passi verso l'uscita, che quando Minseok lo bloccò lo stava quasi strattonando.
-Aspetta...- lo sentì dire con una leggera esasperazione nel tono. Minseok estrasse dalla tasca del grembiule marrone un'agenda nera e consunta ai lati, con una penna collegata ad un cavo a elica, e ne strappò una pagina, scribacchiando velocemente qualcosa. 
Chen riconobbe una serie di numeri sul foglietto lacero che gli porse la mano di Minseok e impiegò pochi secondi per capire che fosse il suo numero di cellulare.
-Questo è il mio numero - sussurrò in un soffio caldo.
Quando Chen metteva entrambi i piedi fuori dal locale e ormai si trovava alla fermata dell'autobus, Minseok realizzò che forse aveva fatto una cazzata. Non riusciva però a spiegarsi la sensazione di felicità che lo scuoteva tutto, dalla testa ai piedi. Era euforico.
Si umettò le labbra.
Sapevano di cappuccino.

(*) Il racconto di cui ho parlato nell'introduzione è chiamato "Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella domenica d'aprile" ed è stato uno delle tante cose che hanno ispirato questo capitolo, tra le quali il titolo.
(**) La citazione è presa dal libro Ecco la storia di Daniel Pennac
(***) La canzone che canticchia Minseok  nel ripostiglio è chiamata Peperoncino nella traduzione italiana e Red Pepper come titolo internazionale. Potete ascoltarla cliccando su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=d58GoGxe3ok

Angolo autrice: 
Ho aggiornato, finalmente. 
Con questo incipit penso che inizierò tutti gli angoli autrice che scriverò. E' sempre un piacere scriverli, perché è appunto l'angolo in cui posso blaterare in santa pace! Ho un sacco di cose da dire generalmente, ma con il tempo e la quantità di giorni e settimane che mi ci son volute per aggiornare, ne ho dimenticate un sacco! ...con vostra fortuna xD
Minseok e Chen mi hanno torturata con le loro parole la notte. Mi dicevano scrivi questo e l'altro! e io mi stupivo di quanto fossero pervertiti! No! Non vi faccio ancora andare a letto insieme, depravati!
Riguardo al capitolo, confesso che la prima parte mi piace meno della seconda.
E' un capitolo flashback, che racconta come si sono messi assieme i XiuChen, quindi niente canzone per questo capitolo xD 
La storia al presente, cioè Estate,arrivederci, antepone questo capitolo di 4 mesi. A fine giugno si incontrano i Kaisoo! :3 Penso di continuare con i loro flashback in un altro capitolo, perché vorrei "approfondire" la loro relazione e the first time lievemente e senza andare oltre il rating arancione.
Il capitolo prossimo potrebbe ritornare sui Kaisoo o introdurre la mia nuova coppia in cui è presente Lu Han :) 
Anyway! Il nostro Chen ha adottato questo soprannome quando si presenta con gli altri, perché il nome Jongdae non gli piace e gli ricorda troppe cose. L'introduzione è un'improvvisazione mia, perché non riuscivo a trovare una giusta citazione a cui ispirarmi. Ho letto un po' di libri, tra cui gli scrittori Murakami (uno scrittore che ho appena conosciuto e che vi consiglio absolutely), again Pennac xD, riletto Il buio oltre la siepe, abbandonato La Certosa di Parma perché non ce la faccio, riletto again Il giardino dei segreti... Generalizzando, la mia estate 2014 è stata un andirivieni di libri, tentativi nulli di farmi venire l'ispirazione e scrivere questo capitolo, scleri per le versioni greche e latine non venute, pianti di depressione e maratone di yaoi e kpop. Molto interessante.
L'introduzione è stata l'arma con cui difendermi dalla mancanza dei quattro mesi che sono passati dall'incontro dei XiuChen al loro bacio. I poveri ragazzi del racconto di Murakami erano perfetti per loro, ma hanno esitato. Ed è finita com'è finita, non provano più sentimenti per l'altro, e come domanda Murakami: Non pensa che sia una storia molto triste?
In questo ultimo periodo sono depressa. Sono susseguiti episodi poco piacevoli, uno dopo l'altro, ed è stato come ricevere improvvisamente una doccia gelata. Sono scombussolata e mi viene da chiedere: "Ma che c***o sta succedendo?"
Inoltre la situazione,ironicamente, è la migliore perché inizia pure scuola, o è già iniziata per alcuni più sfortunati. Spero di non essere l'unica che detesta a morire i propri compagni!
Sono in fase depressione pre-scuola e non so quando aggiornerò il prossimo capitolo! :c Cercherò di organizzarmi i giorni in cui rinchiudermi in casa per, non studiare, ma scrivere. 
Intanto, vi mando un grosso bacio e vi auguro un buon inizio scuola per chi inizia lunedì o per chi ha già iniziato. E se siete universitari vi compatisco e vi mando anche un abbraccio forte. E se non siete anche questo ve li mando lo stesso, davvero. 
Vi ringrazio perché mi leggete e mi rendete felice con la vostra lettura dei miei scritti, che cerco di migliorare leggendo tanto tanto.
Se volete, ditemi che cosa ne pensate del capitolo in una recensione o messaggio privato! E grazie per aver letto!
Atticus

P.s. Chanyeol è forse uno dei pochi etero in questa storia. Pensavo di metterlo con Baekhyun ma dimenticavo che sta assieme a Taeyeon! Quindi, non trovando altra gente adatta, l'ho messo con una tizia a caso. Spero che tra alcunedi voi sia il vostro bias e che vi abbia fatto piacere la sua comparsa! Ah, dato che io Sora non l'ho mai immaginata, potete fingere che al posto del suo nome ci sia il vostro xD
   
 
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