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Autore: littlelouder_    13/09/2014    2 recensioni
“Fisso davanti a me. E nel muro bianco intravedo i due occhi azzurri di Joe Peterson che mi guardano in cagnesco, rossi per il troppo alcool e fumo.
"Perché l'avete fatto? Non potevate lasciarmi qua? Vi dava troppo fastidio vedermi in libertà?" urlo. Ho le mani che mi tremano tantissimo, il fiato corto, il petto che si alza e si abbassa velocemente.
"Lo facciamo perché tu non possa essere un pericolo per altri. Lo facciamo perché ti vogliamo bene, Michael."
Ingoio le lacrime.
"Un.. p-pericolo?" chiedo.
"Lo sai di cosa sto parlando, Michael." la sua voce era melodiosa e ammaliante.”
Una storia drammatica di un ragazzo che nasconde un segreto più grande di lui; ma quando la sua vita incontra ne incontra delle altre, inizierà per lui un'avventura tra amicizie, amori, tradimenti, e segreti inconfessabili nascosti nel loro più profondo cuore.
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quinto



Mi sveglio in modo tranquillo oggi e non come ieri sera. Appena apro gli occhi il buio mi investe, così schiaccio l’interruttore della luce alla mia destra. Il bagliore mi acceca per un primo istante, ma subito dopo mi abituo. Mi alzo faticosamente dal letto e vado in bagno a sciacquarmi il viso.
   Lo specchio è davanti a me, e il suo riflesso non è uno dei migliori. Ho i capelli stravolti, con ancora la forma del cuscino. La pelle pallida e delle occhiaie scure mi scarniscono il volto già magro da tempo. I miei occhi castani si soffermano sul livido che ho sulla mandibola sinistra. La macchia violacea si è espansa fin quasi a toccare la guancia, e sembra uno schizzo riuscito male di un pittore. Sorrido al pensiero, ma appena mosso i muscoli facciali, un dolore lancinante mi blocca seduta stante. Storcio un po’ labbra in una smorfia e incontro i miei occhi. Sono così stanchi, spenti e totalmente impauriti. E istintivamente gli occhi dorati dei gemelli si fanno più vividi nella mia mente.
    Afferro lo spazzolino e mi lavo con foga i denti, fino a sentire il sapore del sangue mischiato a quello del dentifricio, poi sputo nel lavandino. Un sottile filo di bava e sangue mi fuoriesce dalla bocca.
Perdente. Perdente. Perdente. Perdente.
Le parole si insinuano nella testa, mi avvelenano, mi confondono fino a farmi perdere l’equilibrio, così agguanto il bordo del lavandino per non cadere a terra sul pavimento freddo.
“Merda!” esclamo e con una manata butto giù tutto quello che si trova sul lavabo.
 
 
La lezione di arte la trovo noiosa oggi.
Il professor Kazunari ci ha consegnato solo un foglio e ci ha detto di disegnare un qualcosa che ci rappresenti. E io non so cosa fare. Insomma, non ho nessuna idea. Il vuoto assoluto.
Do un’occhiata agli altri e li vedo tutti lavorare: alcuni si cimentano con passione e divertimento, altri proprio non ce la fanno e scarabocchiano qualcosa sul foglio, tanto per. E io? È passata un’ora e ho ancora il foglio bianco. Sbuffo un poco e appoggio il viso sulla mano, per consolarmi.
“Qualche problema?” sento chiedere dal professore. Mi sta guardando con quei suoi piccoli occhi neri a mandorla e le sopracciglia inarcate.
Tiro su un sorriso finto e nego con la testa, perchè ormai sono diventato bravo a fingere di stare bene. Lui annuisce e ritorna a controllare il pc. Ed ecco il mio secondo giorno al campus: tremendamente depresso, incapace di disegnare neanche un fiore, impaurito da alcuni bulli pazzoidi, e il tutto con il viso livido. Sospiro.
Il silenzio in aula viene interrotto da un rumore. Qualcuno ha bussato alla porta della classe; i miei compagni di corso hanno il punto di domanda sopra la loro testa. E pure io.
“Avanti.” acconsente il professore.
Magicamente appare il Rottweiler con la sua solita tuta blu, lo chignon elegante e gli occhi freddi, calcolatori. Prima di parlare ci guarda tutti, uno per uno, senza soffermarsi troppo. Quando le sue iridi blu incontrano le mie castane mi si gela il sangue. Il suo sguardo è quello di un leone in cerca della sua preda.
Arriccia le labbra e questa cosa mi fa ritornare alla mente Carter. Accidenti a me. Ho pensato e ripensato al suo strano comportamento di ieri pomeriggio, ma non sono riuscito a cavarne un ragno dal buco. Un attimo prima è dolce e simpatico e quello dopo ti caccia via con una freddezza micidiale.
   Chissà se lo incontrerò oggi a mensa, penso.
“Cosa vuole?” chiede in tono pacato il professor Kazunari.
Non lo guarda negli occhi quando gli risponde.
“Sto cercando Yona Szrimay. Lei lo ha visto, per caso?” domanda il Rottweiler.
Kazunari ci pensa un attimo e poi scuote il capo.
“Provi a chiedere al professor Banner, magari ne lui sa qualcosa.”
La guardia del campus mostra un ottavo di sorriso.
“La ringrazio. Mi scuso per l’interruzione. Buon lavoro, ragazzi.”
E mi si ferma il cuore quando sento il coretto che le risponde.
 
 
L’ora del pranzo arriva prima del previsto. Maledizione, penso. E adesso che faccio? Se Carter ha deciso di non parlarmi io dove vado? Conosco solo lui..
Cammino piano e con il vassoio in mano, pronto a prendere il pranzo del mio secondo giorno al campus. Penso ai miei genitori, ai miei nonni. Perfino a mia cugina Charlotte. Lei era l’unica che mi voleva bene; l’unica che mi sorrideva con quei suoi occhi scuri e i capelli color prugna che scuoteva sempre per renderli più gonfi del solito.
Sorrido al pensiero di lei. Mi manca così tanto, penso abbattuto.
   La cuoca mette nel mio vassoio del pesce e dell’insalata e una piccola scatoletta di senape. La guardo confusa.
“Ehi Marie! Scommetto cinque verdoni che al nostro Michael non piace la senape. Dico bene?” e vedo già quel suo sorriso tutto suo, quando allarga la bocca e gli si vedono tutti i denti perfetti, e le fossette nelle guancie che lo rendono ancora più carino del solito.
Mi giro e mi rendo conto di non essere più arrabbiato con lui. Lui, e i suoi capelli biondo scuro, i pochi centimetri in più che ha di me, e la pelle un po’ ambrata.. non mi ero mai accorto di questo suo particolare.
Appoggia il braccio sulla mia spalla destra e poi si rivolge alla cuoca.
“Marie.. dagli della maionese!”
E come per magia, ecco che scambia le confezioni in un batter d’occhio.
“Questi sono per te.” dice e gli offre i cinque dollari.
“Ma.. Carter..” balbetta lei.
“Oh sta’ zitta e prendili!” esclama sornione e così ci allontaniamo. Camminiamo in silenzio, e intravedo già il tavolo dove è seduta Arwen. Però Carter mi afferra dalla maglia e mi fa voltare verso di lui. Stavolta è serio; il suo sguardo è fermo, non più allegro come prima.
“Mi volevo scusare per ieri. Non è stato carino da parte mia, lo ammetto. Ma.. beh vedi.. è un po’ complicata la situazione e non vorrei metterti nei guai.. già ci sei per i gemelli quindi..” e incomincia a balbettare, a fermarsi e a riformulare la frase. Abbassa la testa diventata un peperone rosso e si gratta la nuca imbarazzato.
“Ehi.” lo blocco toccandogli il braccio. “Tranquillo. Hai avuto le tue buone ragioni. Ma sappi che ti avevo già perdonato.”
Gli brillano gli occhi adesso. E’ così carino, penso, che potrebbe far tenerezza anche ad American Psycho.
“Grazie.” e in quella parola c’è di tutto, non solo un enorme gratitudine.
   Quando arriviamo al tavolo e ci sediamo vicini, Arwen mi fissa per almeno cinque secondi, e poi distoglie lo sguardo, senza dire una parola.
Io mangio avvolto da un mantello di silenzio e fisso il piatto e mi tormento con una domanda: e adesso cosa faccio?.
Così prendo coraggio e alzo gli occhi, e senza farmi notare troppo analizzo Arwen. Non l’ho mai guardata per davvero, perché ero troppo occupato a perdermi nei ricordi all’interno dei suoi occhi blu; ma adesso, mi rendo conto che è una bella ragazza. Normale, con un po’ di curve nei fianchi e dei chili in più nella pancia, il volto tondo ma delicato e una cascata di capelli lisci che le arrivano più su del seno. Appena abbasso lo sguardo sulle sue mani aggrotto le sopracciglia. Mai viste dita così piccole, delicate ma anche molto rovinate: le unghie sono così tanto corte da poter vedere la carne, e le pellicine sono ovunque, per non parlare del sangue che ricopre il tutto come se fosse smalto.
“Come te le sei fatta?” le domando incuriosito. Lei sobbalza e poi si guarda le mani; con la coda dell’occhio vedo Carter sogghignare. Un flashback di ieri, con lui che sorride davanti al fuoco, mi fa rizzare i peli delle braccia.
“Ehm.. scassinavo le porte e le finestre..” risponde incerta.
“Cioè?”
“Infilava le dita nelle serrature, girava le chiavi et violà!” dice Carter sorridendo un poco.
La guardo allibito. E’ davvero capace di fare una cosa del genere?, mi domando guardandola. Dall’esterno sembra una ragazza così dolce e innocua, ma ho appena capito che non è così. L’apparenza inganna a volte.
“Non ti faceva male?” chiedo con una smorfia.
Arwen storce le labbra e poi scuote la testa e i capelli si muovono un po’.
“Mi ci sono abituata.”
Alzo le sopracciglia e rido divertito.
“Quindi sei una ladruncola.”
“Ti sorprende così tanto?” domanda incuriosita.
“No.. è solo che tu.. beh..” inizio a incespicare con le parole. Mi maledico subito.
“Sei strana.” finisce la frase Carter, rivolgendo un’occhiata maliziosa ad Arwen.
“E’ una vita che me lo dicono.” dice amareggiata.
“Ma io sono forse l’unico a cui piace il fatto che tu lo sia.”
E mi accorgo, sorpreso, di quanto una ragazza possa arrossire in così poco tempo. Arwen ha il viso in fiamme e fissa Carter, stupita. Lui ha lo sguardo forte, sicuro, e gli brillano gli occhi color nocciola e le sorride come se non ci fosse nulla di più al mondo di così meraviglioso. Inizio a sentirmi di troppo in questo momento, così continuo a mangiare l’insalata, abbassando la testa.
Sento un colpo di tosse e poi tutto torna normale, come se prima il tempo si fosse fermato solo per loro due.
   Ed è proprio quando Carter sta aprendo la bocca che una figura alta e snella si avvicina a noi, con il volto stanco e imbronciato.
Senza dire nulla si siede affianco ad Arwen e butta la borsa di pelle marrone chiara sul tavolo. Poi sospira. Carter sembra sorpreso in un primo momento, ma poi ecco che gli spunta in volto il suo solito sorriso sornione.
Appoggia la sua mano sinistra sulla mia schiena e allunga il braccio destro davanti al ragazzo.
“Caro Michael, ti presento il mio fantastico ex compagno di stanza, GD!”
L’altro alza gli occhi su di me come se mi vedesse per la prima volta e poi muove la mano, per salutarmi. Non dice altro. Arwen gli passa un panino al salame. “Lo vuoi?”. Ma lui scuote la testa lentamente. “Non mi va.. prima ho fatto rifornimento.” Lei annuisce senza dire altro.
“Sembri un cadavere che cammina, che ti è successo?” gli domanda Carter.
“Lavori extra. Due balle che non t’immagini. Io un giorno la strangolo quella pazza!” dice rivolgendosi al Rottweiler. È più grande di me, si vede, ma ha un viso così.. stanco.
Arwen se la ride sotto i baffi, e lui se ne accorge.
“Vacci tu a pulire i cessi dei maschi tutto il giorno! Non puoi neanche immaginare lo schifo!” poi si rivolge a Carter, senza degnarmi di uno sguardo. “Ma si può sapere quanto sporchiamo noi?” e strabuzza gli occhi.
“Dillo che ti piace almeno un po’.” scherza Carter. Poi si volta verso di me e alza le sopracciglia.
“Come prima impressione?”
Rimango perplesso.
“E tu chi saresti?” chiede GD.
“Michael Bolitar, il novellino.” lo informa Arwen tra un morso di un panino e un sorso di aranciata.
GD alza il sopracciglio chiaro sorpreso.
“Ah davvero? E dimmi Michael.. ti piace stare qui?” domanda sarcastico.
Faccio no con la testa.
“Neanche a me!” esclama a voce alta, alzando le braccia chiare.
Vedo Carter che mi si avvicina e che mi dice: “Devi sapere che lui è qui da quasi cinque anni.”
Lo guardo sconvolto. Cinque anni?, penso. Come ha fatto a sopravvivere in un posto del genere?
“E che cosa hai fatto per doverci stare così tanto tempo?” gli chiedo.
GD allarga le braccia e spalanca un po’ gli occhi felice.
“Hai davanti a te il più famoso pusher di New York City!”
Mi si secca la gola in un istante. Ecco perché sembra così stanco, si trascina con i piedi e ha gli occhi un po’ rossi.
“Quando hai detto ‘rifornimento’ prima..” azzardo. GD sorride compiaciuto.
“Si, hai capito.” e mi liquida in colpo solo.
   Faccio la stessa cosa che ho fatto con Arwen. Lo analizzo così bene che noto ogni cosa: la camicia larga e stropicciata, la cravatta verde che porta larga, i jeans di qualche taglia in più. Ed è il suo viso chiaro e delicato come quello di una ragazza, che mi sconvolge di più: due occhi di un verde così chiaro da sembrare trasparente; per non parlare della sua bizzarra acconciatura. Ha il lato sinistro rasato e dall’altro invece, gli penzola fino alla clavicola una lunga treccia biondo paglia. Anche questa – come il suo abbigliamento – tutta disordinata e con i ciuffi che gli ricadono vicino agli occhi.
“Hai detto che eravate compagni di stanza. Cosa è successo?” domando a Carter.
“Isaac Maxwell. Ecco cosa è successo.”
“Ah, adesso ricordo.” commenta Arwen.
Faccio segno di continuare.
“Isaac e il suo compagno di stanza, Joseph, non erano buoni amici, si odiavano proprio. Per quanto mi ricordo, litigavano sempre; in mensa li vedevo ognuno in tavoli diversi.” inizia a raccontare.
“Una volta si erano picchiati in aula di scienze, ve lo ricordate?” si intromette Arwen.
GD annuisce. “Avevano dovuto chiamare il Rottweiler per farli smettere e si erano beccati due settimane e mezzo di lavori extra.”
“Wow.” sussurro.
“Dopo aver terminato gli extra se ne erano tornati in stanza e lo giuro su tutto quello che volete, io avevo sentito dal piano di sopra le urla. Evidentemente si erano menati di nuovo, ma nessuno andava a bussare per vedere cosa succedeva.”
“Quindi non si può avere più un compagno di stanza perché temono che ci si possa picchiare come loro due?” cerco di capire.
Arwen alza le spalle. “Più o meno.”
“E adesso dove sono?”
E’ Carter a rispondere. “Isaac è partito un anno fa, i suoi genitori lo hanno portato in un riformatorio in West Virginia..”
“.. e Joseph se n’è andato via.” finisce GD.
“E dove?” domando.
Silenzio. Arwen abbassa la testa e facendo finta di nulla, continua a mangiare il suo panino al salame. Carter fa un’espressione che mi fa salire la bile allo stomaco: non c’è nulla di buono in questa storia.
“La sera, quando avevano smesso di litigare, il Rottweiler era andata a controllare se era tutto a posto. In stanza non c’era nessuno.. tranne il cadavere di Joseph appeso alla corda..” dice GD.
“Era stato Isaac, in preda ad un attacco di follia.” la voce di Carter è bassa e smorta e mi rendo conto di quanto possa essere stato un duro colpo per lui e per gli altri all’interno del campus.
  
 
All’improvviso il brusio all’interno della mensa cresce e non mi sembra normale una cosa del genere. Guardo gli altri confuso e loro si voltano.
“Oh-oh.” GD sembra essersi trasformato in una statua di sale: immobile, muto come un pesce e tremendamente rosso in viso. Mi giro anche io e all’entrata delle mensa, vicino al cestino, stanno entrando un gruppo di ragazzi assieme ad una sola ragazza.
Guardo meglio e intravedo un ragazzo alto e muscoloso, con una zazzera di capelli neri e con la carnagione olivastra. E più lo fisso più mi accorgo di una cosa che adesso mi fa inorridire.
“Io lo conosco quello.” dico agli altri, indicando il ragazzo vestito tutto di nero da testa a piedi. GD tossisce e poi mi guarda, ma mi guarda per davvero, come se fosse la prima volta in vita sua.
“Sul serio?” domanda incredulo. Io annuisco.
“Ovvio, tutti lo conoscono qui al campus. Si è fatto una brutta reputazione quello là.” interviene Carter.
“Non intendevo qui.. l’ho visto in tv un po’ di tempo fa..”
“In tv?” chiede curiosa Arwen, e adesso sembra presa dalla conversazione, tanto da lasciar perdere il cibo.
“A-ha. Per un mese esisteva solo lui per i giornalisti e i telegiornali. Come si fa a dimenticare un tipo così?”
“Già.” fa GD con il viso appoggiato alla mano destra, e gli occhi fissi sul ragazzo all’entrata.
“E tu ti ricordi una cosa così? Saranno passati anni!” esclama Arwen.
Alzo le spalle e poi mi volto verso di lui, che ormai si è sistemato in un tavolo con la sua compagnia di amici. Sta ridendo, e sembra che lo stia facendo per davvero.
“Me lo ricordo perché mio padre aveva detto una cosa su di lui. Lo aveva chiamato ‘mostro psicopatico’.”
“Aveva chiamato così anche te?” la domanda di Carter mi spiazza. Lo guardo senza parole, con la bocca semi aperta, gli occhi stralunati e le mani che tremano da morire. E lui, coni suoi occhi color nocciola e la sua carnagione ambrata, abbozza un sorriso a mo’ di scusa e si volta verso Arwen, senza aggiungere altro.
“Cosa mi racconti, Michael?” domanda GD per cambiare discorso, visto il silenzio che si era creato all’improvviso.
Mi sembra di stare sott’acqua.. sento le voci, ma lontane, non le sento bene.. e tutto mi sembra offuscato. GD sbatte la mano sul tavolo per attirare la mia attenzione; così alza un sopracciglio, in attesa della mia risposta.
“Ehm.. oggi..” balbetto. “.. oggi è venuto il Rottweiler in classe.” sparo a caso.
Adesso si sono rianimati tutti, perché mi guardano come se fossi la cosa più strana del mondo.
“Il Rottweiler? Sul serio? E che voleva?” chiede Arwen che intanto si era spostata più avanti con le braccia.
“Cercava qualcuno, ma non l’ha trovato. Così Kazunari le ha detto di andare a cercare da Banner.” le rispondo. E in quell’istante giuro di aver sentito Carter trattenere il respiro.
“Chi cercava?” domanda lui.
Cerco di ricordare il nome del ragazzo, ma ho un vago ricordo.
“Uhm.. non era americano.. il cognome era abbastanza strano.”
“Tipo?” mi incita Arwen.
“Non lo so.. ma se non sbaglio il nome era Yona..”
Carter scatta in piedi in un battibaleno e guarda Arwen con una preoccupazione mai vista prima d’ora.
“Ehi, che ti succede?” gli domando. Lui scuote la testa e si risiede lentamente e poi beve un sorso d’acqua.
“Niente, mi ero ricordato di una cosa.. scusate.” e abbassa gli occhi.
 
 
E’ d’è quando ci stiamo per alzare dal tavolo che una ragazzina minuta, con un piatto in mano e il viso impaurito, ci si para davanti.
“Che c’è?” domanda brusco GD.
Lei balbetta e allunga le braccia verso Carter, offrendogli il piatto con la minestra. Lui lo prende titubante e lo appoggia nel tavolo.
“E questo cosa dovrebbe significare?” le chiede.
“Ehm.. è p-per te..” risponde, iniziando ad attorcigliare il bordo della maglia rosa.
“L’aveva capito.” dice GD.
“Oh, sta’ zitto.” l’ammonisce Arwen.
“M-mi han-no detto d-di darlo a-a te..” continua la ragazza.
Carter si immobilizza.
“Chi? Chi ti ha detto di farlo?”
Ma lei non né vuole sentire, così rimane zitta, intrecciando le braccia dietro la schiena.
“Hilary.. chi ti ha ordinato di darlo a me?” Carter inizia a perdere la pazienza, si vede. Gli tremano le braccia e la sua voce s’incrina e i suoi occhi sembrano più scuri del solito. All’improvviso le afferra la spalla con una velocità impressionante e la ragazza si risveglia.
“Dimmelo.” le ripete.
“I-i gemelli..” confessa infine.
Carter lascia cadere il braccio sul fianco, e sospira. Hilary scappa via singhiozzando, e noi la guardiamo finché non sparisce fuori dalla mensa. Quando sento lo stupore di Carter mi volto a guardarlo. Mi si blocca il cuore per un secondo. Lo giuro. Inizio a sudare solo a vedere la sua espressione: incredulo, spaventato, arrabbiato, triste, intimidito.. tutto insieme e anche di più. Abbasso lo sguardo anche io come lui e rimango sbalordito.
   Nella minestra, disegnata in rosso con il ketchup, c’è una svastica.










*Nota autrice*
SCUSATE IL RITARDO. Prometto di non farlo più! Spero vi piaccia :) Vi aspetto con le recensioni!

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