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Autore: Anna Wanderer Love    14/09/2014    7 recensioni
Seguito di "Shadows"
Nel Castello di Hogwarts vengono ritrovate due ragazze: Celeste e Rachel Elizabeth Dare.
Nessuno ha idea da dove siano spuntate; e loro non sanno come sono finite in quel luogo tanto diverso dal Campo Mezzosangue.
Nico, al Campo, impazzisce di dolore per la scomparsa della sua ragazza; ma un dio lo aiuterà a ritrovarla... forse.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shadows Cycle'
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I Need You:

Draco



 

Hogwarts, 20 marzo.

Celeste era sdraiata a pancia in su sull’erba morbida del parco. Era infagottata in una felpa nera, di due taglie più grandi della sua, e i suoi capelli castani erano sparsi a terra. Era all’ombra di un grande albero vicino alla sponda del lago e guardava verso l’alto, verso il cielo macchiato dalle foglie colorate di un timido verde smeraldo che annunciava l’arrivo imminente della primavera.
Stava ripensando a quello che era successo il giorno prima, non alla “litigata” con Piton e la preside, ma alla profezia. Che significato aveva? Perché non potevano essere lasciati tranquillamente in pace, per una dannata volta?
Perché lei e Nico non potevano stare tranquilli, dopo tutto quello che era successo appena un mese prima?
Sospirò, posando le mani sulla pancia, e inspirò profondamente.
Quella felpa era di Nico. Era arrivata al castello con quella indosso, e sebbene gli elfi l’avessero lavata conservava ancora una traccia del profumo del semidio. -Non è un po’ grande per te, quella felpa?
Celeste si voltò nella direzione in cui proveniva quella voce timida, e vide una ragazzina che la fissava. Si mise seduta, osservandola con un sorriso gentile.
Aveva la pelle color ebano, e i suoi ricci formavano una massa ordinata che le cadeva sulle spalle, ma i suoi occhi erano azzurri. Le labbra carnose erano sollevate in un sorriso timido.
-Ciao- la salutò Celeste. -Vieni qui.
La ragazza, che non poteva avere più dell’età della semidea, obbedì e si sedette di fianco a lei. Il mantello dell’uniforme indicava dallo stemma e dal colore dei risvolti che apparteneva a Tassorosso.
-Ciao.
Celeste le sorrise, provando un po’ di tenerezza nel vederla così chiusa.
-Comunque, per risponderti... questa felpa non è mia- sospirò, infilando le mani nelle tasche.
La ragazzina la guardò con i grandi occhi curiosi.
-Allora è del tuo ragazzo? Oh, scusa... n-non volevo...- cominciò a scusarsi, arrossendo.
-No, figurati. Sì, è del mio ragazzo. Come ti chiami?
-Shaunee.
-Piacere, Shaunee- Celeste tese la mano e la ragazzina l’afferrò. Aveva la pelle calda e morbida. -Io sono Celeste.
-Lo so- annuì la Tassorosso, sorridendole. Celeste rimase un po’ spiazzata, ma l’altra non ci fece caso. Una volta superata la timidezza iniziale diventava allegra e chiacchierona.
-Ero in infermeria quando i professori ti hanno portata da Madama Chips. Uno del mio anno mi ha spinta e sono caduta dalle scale.
Celeste inarcò un sopracciglio, sistemandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
-Apposta?
Il sorriso incerto della ragazza si spense, mentre curvava le spalle.
-Già.
-Come si chiama?
Shaunee la guardò incerta, come per decidere se valesse la pena raccontarle tutto o meno.
-Austin Spungen*. Serpeverde, ovviamente.
Una domanda sfuggì dalle labbra di Celeste prima che potesse fermarla.
-Perché odiate tutti i Serpeverde?
Shaunee la fissò come se all’improvviso avesse avuto tre teste. Anche Selene aveva accennato all’astio che girava nella scuola per i Serpeverde, assieme al racconto della guerra dell’anno prima, ma non avevano mai avuto modo di affrontare l’argomento più a fondo.
-Perché sono dei bastardi- rispose Shaunee, la voce improvvisamente aspra -o almeno la maggior parte. Sostenevano Voldemort e ancora adesso si credono il meglio della scuola. Prendono di mira quelli nati babbani o i mezzosangue e non li lasciano in pace....- la Tassorosso si interruppe improvvisamente, abbassando gli occhi sulle proprie caviglie, giocando nervosamente con il laccio della cartella.
-Come te?- Chiese con dolcezza Celeste. Lei annuì, stringendo le labbra.
-Non vedo quale sia il problema se tu sei una mezzosangue- disse sorridendo, facendo sparire la smorfia mogia dal viso dell’altra.
Shaunee la guardò con interesse.
-Ti va se andiamo nelle cucine a recuperare del tè e parliamo un po’?
 

🔼  🔺  🔼
 

-Dannazione!- Esclamò isterica Selene. Sbuffò, passandosi una mano nei capelli, e si girò di nuovo, mordendosi a sangue il labbro. Il suo cuore batteva a mille, ed era consapevole che ben presto Piton sarebbe arrivato per il suo controllo quotidiano.
Sua madre aveva insistito molto perché fosse lui a seguirla, controllando che le sue braccia fossero integre, ma la Corvonero non aveva la più pallida idea del motivo.
-Porca puttana- imprecò, portandosi una mano alla fronte, salvo poi ricordarsi che era macchiata di sangue e che ormai la sua fronte era macchiata di rosso.
Sentì dei passi veloci nel corridoio e trasalì. Finalmente intravide la bacchetta posata sul letto, ma prima che potesse scattare e prenderla la porta si aprì e la ragazza vide gli occhi di Piton posarsi subito sul suo palmo.
-N-non è come sembra!- Esclamò, in panico nel vedere il ghiaccio bollente in quelle iridi scure -Io... sono andata a sbattere contro un elfo che aveva delle forbici in mano! Non mi sono tagliata! Lo chiami, glielo chieda!
Piton la fissò per qualche istante, poi emise un lungo sospiro e si avvicinò rapido. Le prese il braccio e con un semplice colpo della bacchetta richiuse la piccola ferita e fece sparire il sangue. Poi alzò lo sguardo e mormorò un incantesimo, così che il liquido denso sparisse dalla fronte della ragazza.
-Sei un disastro, Clarkson- mormorò lugubre, mentre la Corvonero si tirava su le maniche del maglione color oltremare e controllava le braccia.
-Quindi mi crede?- Chiese sbalordita la ragazza.
Piton le lanciò un’occhiata fulminante, ma che non ebbe nessun effetto sull’allegria della studentessa. Perplesso, si chiese che diamine potesse essere successo per farla sorridere in quel modo. Ma poi si disse che non erano affari suoi.
-So riconoscere una bugia quando la vedo, Clarkson- rispose tagliente, mettendo via la bacchetta e facendo finta di non accorgersi del brivido che attraversò il corpo minuto della studentessa a quelle parole. Trattenne un ghigno.
Ha paura che usi la Legilimanzia.
-Oh.
Piton si voltò e fece per uscire dalla stanza, ma Selene lo trattene.
-S-signore.
Severus si girò, seccato, e vide che ora la Clarkson era tremendamente seria. I suoi occhi grigi avevano assunto il colore di una tempesta e si tormentava le mani.
-Forse... posso dirle una cosa? Non credo che le importerà, però...
Severus fece un cenno secco col capo, voltandosi di più verso la ragazza.
-Ecco io... ho visto Malfoy** l’altro giorno e non sembrava che stesse affatto bene. Era seduto in un corridoio, e piangeva... ma quando mi sono avvicinata, ecco, mi ha scagliato contro uno Schiantesimo- l’espressione della Clarkson era incerta, e Severus serrò la mascella. -Penso che... magari potrebbe controllare come sta.
Severus annuì, ma la studentessa lo fermò ancora una volta.
-E per favore, signore. Ieri Shaunee, di Tassorosso, stava per rompersi un braccio perché Spungen l’ha spinta giù dalle scale.
Severus si immobilizzò, serrando le labbra e assottigliando le palpebre. Per qualche secondo il suo sguardo di ghiaccio si fermò sulla ragazza, in piedi in mezzo alla stanza, col fiato sospeso in attesa di sentire il suo verdetto.
Non disse niente. Se ne andò, ma stava già pensando alla lettera da scrivere per convocare Spungen e alle parole da dire a Draco.

 

🔼  🔺  🔼


Rachel stava camminando per i corridoi del castello. Era pomeriggio, circa le quattro, e la luce del sole entrava dalle grandi finestre illuminando il corridoio dove stava camminando. Non aveva la più pallida idea di dove le sue gambe la stessero portando, ma le stava bene così. Un’altra piccola avventura.
Non c’era nessuno in giro, erano tutti fuori a godersi il sole primaverile, così come Celeste, ma lei voleva esplorare la scuola, possibilmente tentando di non perdersi e fallendo miseramente.
Era arrivata davanti alle scale a chiocciola che portavano verso la torre, ma non sapeva se fosse nell’ala nord, est, sud od ovest del castello. Il suo senso dell’orientamento era pari a zero. Percy gliel’aveva ripetuto miliardi di volte.
Con un’occhiata curiosa Rachel afferrò il corrimano che si attorcigliava su sé stesso e cominciò a salire gli scalini di pietra. C’erano piccole finestrelle ogni cinque gradini. Dopo qualche manciata di secondi Rachel arrivò alla cima delle scale, e restò a bocca aperta.
-Wow- sussurrò, sgranando gli occhi.
Dalla cima della torre si vedeva tutto, ma proprio tutto: il castello, il parco, il lago, un ammasso di case che poteva essere un villaggio distante qualche chilometro dalla scuola, le colline e le montagne.
Rachel rimase incantata. Sarebbe stato un paesaggio perfetto per dipingere.
Tenendo gli occhi fissi sul profilo dolce e frastagliato delle montagne lontane si avvicinò a passi lenti al bordo del parapetto. Appoggiò lo stomaco al metallo freddo, rabbrividendo mentre il vento le soffiava in faccia, accarezzandole il busto. Strinse le dita sulla pietra, inspirando l’aria fresca. I suoi occhi verdi catturavano ogni sfumatura, ogni istante, il modo in cui la luce e le ombre dipingevano i contorni delle colline e del castello.
Poi sentì un rumore, e si voltò.
Le sue labbra si schiusero mentre i suoi occhi trovavano la fonte di quel rumore. Sentì un’ondata di imbarazzo assalirla, mentre le guance le diventavano rosse. Deglutì.
-Oh, io... m-mi dispiace, non volevo... v-vado...
Fece per correre via, ma la trattenne.
-No... aspetta.
Rachel si fermò. Infilò le mani nelle tasche dei jeans prima di girarsi e dirigersi con passo incerto verso di lui.
Era seduto sui gradini di pietra che portavano ancora più su. Il mantello era abbandonato sulla pietra ai suoi piedi, ma non sembrava importargli. I risvolti erano verdi, così come lo stemma appuntato sul petto e la cravatta che indossava, allentata.
Le maniche della camicia erano arrotolate fino ai gomiti, poggiati sulle ginocchia.
I suoi occhi erano di un colore indefinito tra l’azzurro e l’argento, ma erano rossi per il pianto. I suoi capelli, invece, erano di un biondo chiarissimo. Il viso era affilato, regale, ma pallido.
Il ragazzo si strofinò il braccio sulle guance per asciugare le lacrime e si schiarì la gola, mentre lei lo fissava incerta.
-Scommetto che andrai a raccontarlo in giro- disse a bassa voce, con un tono così amaro che Rachel si sentì male solo a pensare a cosa poteva averlo ridotto in quelle condizioni.
Con passi veloci si avvicinò e si sedette sul gradino sotto quello dov’era lui. Il ragazzo la fissò sorpreso, anche se il suo volto era impassibile.
-Perché dovrei?- Ribatté con dolcezza.
Lui la guardò aggrottando le sopracciglia bionde.
-Perché così mi rovineresti ancora di più l’esistenza. Draco Malfoy, il Serpeverde, il traditore, il Mangiamorte, che piange.
Rachel schiuse la bocca in una O perfetta. Era lui Draco Malfoy? Selene ne aveva accennato, sia a lui che ai Mangiamorte, ma non sapeva molto su di loro, se non che erano al servizio di un folle pazzo crudele di nome Voldemort con manie di grandezza che avevano ammazzato centinaia di persone.
-Non potrei mai farlo- mormorò, sentendo una viva compassione farsi strada nel suo petto. -Non dovrebbe farlo nessuno- aggiunse, più decisa.
Draco si strofinò la fronte con le lunghe dita pallide, sospirando. La guardava confuso, senza capire chi fosse quella strana ragazza.
-Non ti ho mai vista prima.
Lei fece un sorriso per cercare di alleggerire l’atmosfera. -Infatti sono qui da qualche giorno. Mi chiamo Rachel. Rachel Elizabeth Dare
Gli tese la mano, e lui l’afferrò. La sua pelle era calda, morbida, anche se leggermente umida.  Vide una scintilla di comprensione nei suoi occhi chiari, di ghiaccio.
-Sei una delle ragazze che hanno trovato nella Foresta Oscura?
Rachel storse un angolo della bocca in una strana smorfia.
-In realtà nei sotterranei. Celeste nella foresta. Io nei sotterranei, mentre stavo morendo di freddo.
Un sorriso debole spuntò sulle labbra di Draco Malfoy.
-Già, lì non fa molto caldo, in effetti.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Rachel sospirò e si girò verso di lui.
-Senti, ti va se mi mostri questa parte del castello... e parliamo un po’?

🔼  🔺  🔼
 

Montana, 20 maggio.
 

Hector stava finendo di pulire la spada dalla striscia di sangue di mostro che era rimasta sulla lama. Era stata una giornata stancante per lui e Ajax, ma alla fine erano riusciti a scovare l’arpia che stava terrorizzando il piccolo paesino nel nord del Montana.
Co un sospiro posò l’arma e si stese sul letto della stanza che avevano affittato quella mattina. Suo fratello si stava facendo la doccia. Era tardi, ma Hector non riusciva a dormire.
Si passò una mano tra i capelli e con una smorfia si alzò. Afferrò il pugnale che teneva nascosto sotto il letto e prese la giacca.
-AJAX! Io vado a fare un giro!- Urlò verso il bagno.
Sentì la rispostaccia del fratello e ridacchiò. Aprì la porta e spuntò nel corridoio verde pistacchio. Si mise il cappotto, controllando bene che non si vedesse l’elsa del pugnale spuntare dalla tasca, e si diresse verso le lucide scale in mogano che giravano su sé stesse, portando alla hall.
Dietro al bancone non c’era nessuno, così Hector scrollò le spalle e uscì.
L’aria fredda lo colpì come uno schiaffo. Faceva un freddo cane.
Le vie del paese non erano affollate, solo un paio di persone camminavano di fretta. Era mezzanotte, o poco più, e Hector decise di andare a fare quella passeggiata verso le montagne. Seguì la via principale, svoltando in un paio di vicoli bui e angusti. Dopo una decina di minuti spuntò al limitare del sentiero che costeggiava il bosco.
Con un sospiro profondo rilassò le spalle. Ora che la città era alle sue spalle ed era presumibilmente solo si sentiva meglio.
Era una sua caratteristica, quella di stare sempre in guardia. Ma la mascherava bene, col sorriso spontaneo e gli occhi allegri. Ajax invece non si curava di apparire quello che non era. Aveva la caparbietà e l’orgoglio dei figli di Ares, ma la furbizia di Ermes, che probabilmente derivava dalla loro madre. Che poi non avevano nemmeno conosciuto.
Hector si slacciò i bottoni della giacca e se la sfilò. Rabbrividì, mentre l’aria gli attraversava il tessuto sottile del maglione e gli pungeva la pelle.
I suoi ricci color miele sembravano splendere alla luce tenue della luna, circondata da una spolverata di stelle. Il semidio alzò la testa al cielo. Amava la notte.
Respirò riempiendosi i polmoni di fresca aria di montagna.
Un pensiero malinconico passò per la sua mente, seguito da molti altri. Ricordi, parole e frasi cominciarono ad ammassarsi nella sua testa, con un unico filo conduttore: Laura.
Hector rammentava perfettamente la sensazione delle loro labbra unite, quella notte a Stromboli, poco dopo la tragedia scampata di Nico.
Era andata da lui, sul promontorio, e aveva rischiato di cadere venti metri più sotto, nel mare. L’aveva presa al volo, per un vero miracolo divino. E poi l’aveva baciata.
E lei era scappata via piangendo.
Quando erano tornati al Campo l’aveva vista gettarsi tra le braccia di un ragazzo corvino, e allora aveva capito tutto. Stava con un altro.
Come sempre, Hector aveva ingoiato la delusione, l’amarezza e la rabbia ed era andato avanti. Laura aveva provato a parlargli, ma le era sempre sfuggito. Ajax aveva capito tutto e aveva fatto in modo di partire il più presto possibile, senza fare domande. Di quello Hector gli era grato.
Il figlio di Ares si morse il labbro, passandosi una mano tra i capelli color miele.
Doveva smetterla di pensare a lei, si sarebbe fatto solo più male.
Un rumore improvviso lo fece trasalire, e in un secondo solo Hector aveva in mano il pugnale, voltato verso le tenebre del bosco. C’era un silenzio inquietante, ma non aveva paura. C’erano solo cinque cose di cui aveva paura.
Aspettò, paziente. Lentamente una figura emerse dagli alberi. Hector ci mise qualche istante a riconoscerla. Aveva i capelli più lunghi dell’ultima volta che l’aveva visto, gli occhi molto più cupi. Indossava i jeans neri e gli anfibi e un maglione nero.
-Nico?
Hector raddrizzò la schiena, portando la mano che impugnava il pugnale lungo il fianco. Sorrise nel vedere il sorriso incerto dell’amico.
-Hector- mormorò il figlio di Ade.
-Che bello rivederti! Però hai un aspetto orribile, sinceramente. Cos’è successo?
Il sorriso di Nico si era trasformato in una smorfia stentata.
-Ho bisogno del tuo aiuto.

 

*Spungen = primo cognome scelto dalla Rowling per Draco Malfoy (eheheh ho piani anche per Draco, tranquilli :D)
** in questa storia Draco rifà l’anno come Hermione, perché non ha preso il diploma per aver saltato buona parte delle lezioni per rimanere con la sua famiglia al servizio di Voldemort.




ANGOLINO DEGLI SCUDI PER DIFENDERSI DAGLI AVADA KEDAVRA DELLE LETTRICI:
NON è colpa mia se mio padre ha aggiustato il pc dopo DUE mesi!!!!!! Scuuuusaaatemi T.T farò da martire quando avrò finito la storia, okay? :D
La cosa buona è che ho scritto un po' di capitoli in questo tempo, la cosa brutta è che è cominciata la scuola e dipenderà dalla mia mummia... prof, ehm, di greco la frequenza con cui aggiornerò :D
Questo è una specie di capitolo di passaggio, quando l'ho scritto, un po' di tempo fa non avevo molta ispirazione, ma è fondamentale per due cose: l'ingresso di Hector (AMOOOOREEEE :3) e Ajax e la conoscenza di Draco e Rachel. La parte in cui Hector parla di Laura è tuuuutta descritta, raccontata nella mia oneshot Mi dispiace, incentrata appunto su loro due e su quel bacio. Si svolge dopo la presunta morte di Nico in Shadows. Mi sa che sto spoilerando alla grande -.- ahah.
Ora vi lascio, graaaazzie mille per le recensioni, sono pazzesche!! Mi diverto troppo a leggervi mentresclerate eheh!
Un bacione!
Anna

 
   
 
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