Capitolo – come
sempre – betato
da Joan Douglas.
Capitolo XVII
«E
per questa ragione abbiamo vinto noi».
«No,
io non credo proprio! Vi abbiamo teso una trappola e voi ci siete
cascati in
pieno!».
«Sì,
ma poi vi abbiamo distrutte!».
Emmett
ed Alice, tra le risate generali, non avevano smesso un attimo di
rimbeccarsi
giocosamente su chi fosse il vincitore. Da quando la battaglia di neve
era
terminata, causa lo sradicamento del quarto albero, era iniziata la
lotta per
aggiudicarsi il titolo di vincitore. E ora, mentre tornavamo alla villa
a passo
quasi umano, la situazione era stava degenerando fino alle liti tra
infanti.
Era uno spasso osservarli.
«Emm,
ti ricordo che vi abbiamo ingannati utilizzando il vostro stesso
imbroglio!», risi,
dando man forte ad Alice.
«Ma
noi siamo riusciti a confondere Alice e senza imbrogliare, a differenza
vostra!», replicò e mi spintonò.
Scoprii che, anche se la sua mole era sensibilmente
maggiore rispetto alla mia, riuscì soltanto a farmi
indietreggiare.
«Ehi!».
Feci leva sulle gambe e mi lanciai con tutto il peso contro di lui, che
finì a
cinque metri di distanza, a terra. Scoppiai a ridere e diedi il cinque
ad
Alice.
«Senti,
solo perché sei una neonata non significa che
puoi-», ma non completò mai la
frase a causa di un eccesso di risate, provocato dalla palla di neve
che mi
aveva centrato la faccia in pieno.
Mi
voltai, pronta a rendere pan per focaccia a chiunque avesse osato, e mi
ritrovai davanti Edward e Jasper che ridevano di gusto. Capii, dal
sorriso
malizioso, che era stato Edward a tirarmi la neve. Mi chinai e nel giro
di una
frazione di secondo anche lui aveva una buona quantità di
neve spiccicata tra i
capelli e in faccia.
«Guerra!».
Emmett
aveva già caricato le braccia, ma Rosalie stroncò
il suo entusiasmo sul
nascere.
«Se
ti azzardi a lanciarmi altra neve addosso farò diventare le
minacce di
stamattina realtà».
Emmett
osservò Rose per un momento, poi allargò le
braccia e lasciò cadere tutto a
terra. Evidentemente Rosalie era il tipo di persona che mantiene le sue
promesse – o minacce –, che riguardano sempre buoni argomenti.
L’arrendevolezza
di Emmett alimentò le risate generali mentre raggiungevamo
il limitare del
bosco.
Una
volta arrivati alla villa, quando Emmett fece per entrare, Esme lo
bloccò.
«Ragazzi,
preferirei evitare di distruggere la casa dei nostri parenti
disseminandola di
neve». Lei e Carlisle erano stati in silenzio per tutto il
viaggio di ritorno,
limitandosi ad osservarci o a ridere quando riprendevamo la battaglia,
senza
farsi coinvolgere. Per un attimo mi soffermai sul maglioncino di Esme,
sporco
di neve ma intatto. Immaginai che, chiunque si fosse battuto contro di
lei, non
avesse avuto il cuore di rovinarglielo.
«Diamoci
una ripulita qua fuori, prima di entrare»,
terminò.
Facemmo
come ci aveva detto. Essere dei vampiri alle prese con la neve poteva
avere i
suoi pregi – ad esempio, niente vestiti fradici –
ma, poiché la neve a contatto
con la nostra temperatura non si scioglieva, risultava anche
più difficile
eliminarla. Impiegai diversi minuti solo per liberare i capelli, avevo
neve
ovunque. Forse avremmo dovuto prevedere
un’eventualità del genere e lasciare
dei vestiti puliti in giardino. Anzi, niente forse.
Improvvisamente
avvertii un tocco freddo alla base del collo e subito qualcosa di
altrettanto
freddo mi accarezzò lentamente la schiena, per poi
depositarsi sul fondo, sotto
la maglietta. Edward, mezzo passo dietro di me, ghignò
soddisfatto.
Assottigliai
lo sguardo.
«Pensavo
che la battaglia fosse finita», mormorai.
Lui
si abbassò sulla mia gola, baciandomi nell’incavo
del collo e io abbandonai la
testa sulla sua spalla. «Infatti, ora bisogna stipulare la
pace». Con le dita
seguì lo stesso percorso della neve ma, una volta sui miei
fianchi, la spazzò
via per sostituirla con la sua mano. Cercai di ricordare a me stessa
che non
eravamo soli e che mugolare non sarebbe stato esattamente educato.
Avvertii
qualcuno schiarirsi rumorosamente la voce. Nel suono per
metà infastidito e per
metà divertito riconobbi Emmett. Istantaneamente feci un
passo avanti e Edward
si staccò da me, sbuffando.
In
quel momento ero indecisa se essere più infastidita o
più imbarazzata per
l’interruzione. Ci saremmo dovuti dare un contegno.
Emmett
rise delle nostre facce. «Spiacente, piccioncini, ma in
questa famiglia certe
cose si fanno solo dopo il matrimonio. Non è vero,
Carlisle?».
Lui
abbozzò un sorriso e annuì.
Se
prima ero imbarazzata in quel momento avrei voluto scavarmi la fossa da
sola.
Perché continuavo a dimenticare che in quella casa il
più giovane aveva vissuto
la recessione dei venti?
«Okay,
basta, ci rinuncio». Ringraziai Rosalie e i suoi problemi con
la neve per aver
allontanato l’attenzione dal nostro siparietto. Mollai una
gomitata nelle
costole a Edward e mi avvicinai a Rose. Avrei potuto giurare che,
dietro di me,
lui stesse sorridendo.
I
capelli della vampira erano un disastro, se possibile anche peggio dei
miei. Ad
entrambe sarebbe convenuto lavarli. Lei dovette avere lo stesso
pensiero perché
vagò con lo sguardo per tutto il giardino, fino a
soffermarsi sul rubinetto
dell’acqua poco lontano. Dubitavo che sarebbe riuscita a fare
uscire qualcosa
di meno solido del ghiaccio.
Un
tono ripetuto, squillante, si diffuse nell’aria, proveniva
dall’interno della
casa. Carlisle si voltò di scatto e, togliendosi in fretta
le scarpe, schizzò
verso la porta. «Scusate, è il mio».
Tesi
l’orecchio, finché non avvertii Carlisle parlare.
«Pronto? Sì, sono io. Salve
dott. Parker, ieri ho telefonato
perché…».
Smisi
di ascoltare e mi voltai verso gli altri: mi resi conto che non era
stata l’unica
a tendere un po’ troppo l’orecchio.
Esme
si sciolse in un sorriso. «Carlisle sta cercando un ospedale
in cui esercitare,
non riesce a stare troppo tempo lontano da chi ha bisogno di
aiuto».
«Sì,
è un’esigenza di tutti i dottori: non riescono a
stare troppo tempo senza
aprire qualcuno», rise Emmett.
Esme
alzò gli occhi al cielo e finse di ignorarlo. «Su,
ragazzi, via le scarpe ed
entriamo. Bella, Rose… Voi legate i capelli,
magari».
Stavo
per rispondere, ma Rosalie mi precedette. «In
realtà pensavo di lavarli
direttamente qua fuori, così evitiamo di creare pasticci in
bagno».
«Mi
sembra un’ottima idea. A dopo, ragazze».
Un
momento, ragazze? No no, io non sarei rimasta sola con Rosalie per
così tanto
tempo. Una cosa era accettarci reciprocamente, un’altra
lavarsi i capelli
assieme stile best friends forever.
Nel
giro di un attimo gli altri sparirono oltre la soglia
dell’ingresso e io mi
ritrovai in giardino, sola con Rosalie. Anche Edward si era limitato a
rivolgermi un semplice sorriso, prima di seguire gli altri. Il che era
quanto meno
sospetto, dato che non gli era mai andato a genio il modo in cui mi
aveva
trattata Rosalie fino a una manciata di giorni prima.
La
seguii fino al rubinetto, diversi metri più vicino al fianco
roccioso del
monte. Tentò di aprirlo ma era, come avevo previsto,
bloccato.
«Credo
dovremmo usare un tubo da giardino», disse.
«Non
penso servirebbe a molto, il rubinetto mi sembra bloccato».
Rimase
piegata davanti ad esso e mi rispose senza guardarmi. «Temo
che tu abbia
ragione». Tentò un’ultima volta di
aprirlo. «Ci tocca lavarci dentro, pazienza.
Qualcuno dirà addio al suo bel bagno».
Mi
ero già voltata per entrare in casa, ma Rosalie
parlò di nuovo.
«Bella»,
mi chiamò. Oh no, ti prego fai che
non
voglia rovinare questa splendida giornata. «Mi
dispiace».
Cosa?
Le dispiaceva?
Riprese
a parlare, ma non si voltò.
«Mi
dispiace di essermi comportata in quel modo odioso, senza nemmeno darti
la
possibilità di farti conoscere. Sono stata
un’egoista immatura». Finalmente si
alzò in piedi e mi guardò. Ero frastornata. Lei
si stava scusando?
«Ti
ha obbligata Edward a farlo?», mi insospettii.
Lei
in risposta rise e scosse i capelli, ancora intricati di diamanti di
ghiaccio.
«No, non mi ha obbligata nessuno». Smise di ridere
e mi sorrise, incerta. «Mi
sono solo resa conto di non essere stata giusta nei tuoi
confronti».
Non
dissi nulla, ancora stordita dalla situazione. Ma i vampiri potevano
essere
storditi?
«Non
amo i… cambiamenti, mi spaventano, in un certo senso. Sto
bene nella mia
routine, nell’equilibrio che mi sono costruita, giorno dopo
giorno». Fece una
pausa. «E poi stavo così bene lì, a
Forks. Finalmente un posto in cui potevamo
avere una vita pubblica pressoché normale, semplice e senza
problemi.
Equilibrio perfetto. E poi sei arrivata tu».
Accennò nuovamente un sorriso,
questa volta quasi imbarazzata. «Non voglio dire che tu abbia
rovinato tutto,
non sarebbe giusto e nemmeno lo penso, per lo meno non più.
Non è certo stata
colpa tua se quell’aereo è caduto e nemmeno lo
è se hai infranto il patto con i
licantropi. Anche quella è stata una negligenza
d’altri, non tua». Sospirò,
osservandomi. Si aspettava che le rispondessi qualcosa? Mi morsi il
labbro,
tentando di arrovellare una risposta decente.
«Beh,
sono… felice, sì, che la pensi così.
E… mi dispiace di avere, uhm, incasinato
la tua quotidianità». Perfino io capii che
l’ultima frase suonava più come una
domanda, che come un “scuse accettate”.
«Non
intendevo questo, beh a parte per ciò che è
venuto dopo la rottura del patto.
Il fatto è che il tuo arrivo è stata la prima
cosa un minimo… eclatante, penso
di poter dire così, da cinquant’anni a questa
parte. Ha rotto la routine della
famiglia. Il cambiamento più grande è stato per
Edward, ovviamente, ma tutti
noi abbiamo dovuto fare i conti con una nuova arrivata, neonata, per
giunta».
Si bloccò nuovamente e mi rifilò
un’occhiata significativa. Non intendeva dire
che fossi una cattiva novità, ma semplicemente una
novità. E le novità portano
sempre cambiamenti. E lei non amava i cambiamenti.
Annuii,
per farle capire che avevo afferrato il senso del discorso.
La
sua espressione mutò e nel suo sguardo potei scorgere un
lampo particolare, che
prima, ne ero certa, non c’era.
«C’è
anche un’altra ragione, ed è davvero mortificante
ammetterlo. Io… sono sempre
stata molto ammirata, mettiamola così, dagli uomini. Anche
quando ero umana,
dai dodici anni, nessun uomo mi ha mai ignorata. Sono sempre stata
molto fiera
della mia bellezza anche se, alla fine, è stata lei la mia
rovina». Per un
attimo il suo sguardo si perse nel vuoto, lontano decenni e decenni.
Non capivo
dove volesse arrivare – di certo non si sentiva minacciata
dalla mia bellezza
dato che io ero bella come una vampira, lei praticamente era una dea
– ma capii
a cosa si riferisse.
Mi
affrettai ad annuire, non volevo sentire di nuovo quella storia,
né costringere
Rosalie a raccontarla. «Lo so».
«Lo
sai?», rimase interdetta. «Te l’ha
raccontato Edward?»
«Non
proprio, ma ha accennato al perché Carlisle ti abbia
trasformato».
Annuì.
«Fu il mio fidanzato, lui e i suoi amici. Ci saremmo dovuti
sposare di lì a
sette giorni».
Rimasi
spiazzata e la tristezza che mi aveva colta la prima volta che Edward
mi aveva
accennato qualcosa di quella storia tornò, più
forte di prima. Era stata
tradita da una persona che amava, dall’uomo con il quale
avrebbe dovuto passare
il resto della sua vita. «È orribile, Rose.
Mi… dispiace, davvero. Immagino che
ora non sia facile fidarsi delle persone».
Lei
scosse il capo, puntando nuovamente lo sguardo nel mio e fui certa che
fosse
tornata al presente. «Non te lo sto dicendo perché
voglio la tua compassione o
per giustificarmi. Immagino che c’entri anche la mia
diffidenza nel modo in cui
mi sono comportata, ma non è questo che intendevo quando ti
ho parlato di
un’altra ragione. Non sono mai stata indifferente a nessun
uomo, mai. Con una
sola eccezione: Edward. Lui era libero e io ero così bella
dopo la trasformazione…
Ma lui non mi guardò mai come qualcosa di più di
una sorella. Anzi, mi
disprezzava proprio. Me la presi parecchio, per anni ho provato del
risentimento nei suoi confronti, ma vedendo che tutte le femmine che
incontrava
gli erano indifferenti, mi misi l’anima in pace. Poi sei
arrivata tu e lui è
praticamente impazzito per te. Non lo sopportavo».
Mi
immobilizzai. «Cosa? Come… Tu ami Emmett, non
puoi-».
«No
no!», rise. «Non sopportavo il fatto che lui
guardasse te e non me, non perché
io provi qualcosa per lui, ma per pura frivolezza. Sono fatta
così, mi
dispiace. Amo Emmett, non potrei desiderare uomo migliore. E io e
Edward,
l’avrai notato, non andiamo proprio d’amore e
d’accordo».
Buttai
fuori l’aria che, mi ero resa conto, mi si era bloccata nei
polmoni. Non che
avessi bisogno di respirare, ma era un gesto istintivamente umano.
«Quindi
non… insomma, non c’è problema,
immagino».
Rise
ancora, non so cosa trovasse di tanto divertente in quella
conversazione.
«Il
problema c’è, ma è mio e io ti sto
chiedendo scusa per averlo creato. Perché
dieci giorni fa, quando è successo quel disastro con Tanya,
ho visto la
disperazione di mio fratello. Temeva di poterti perdere e ho capito che
non
avevo alcun diritto di mettere i bastoni tra le ruote del vostro
rapporto. Lui
merita la sua felicità e, se sei tu, ben venga. Senza
contare il fatto che,
comunque, io e Tanya non siamo mai andate particolarmente
d’accordo. E nemmeno
gli altri sono stati felici di ciò che è
successo. Non vogliamo raffreddare i
rapporti, ma, ad esempio, entrambe le parti erano concordi
sull’evitare che i
Denali partecipassero alla nostra battaglia in famiglia»,
terminò.
Mi
presi sette secondi e mezzo per valutare la situazione. Capivo Rosalie,
per lo
meno in parte – la questione sulla bellezza e
l’invidia non era nelle mie corde
– e l’idea di farmi odiare meno mi attraeva troppo
per non perdonarla. E, in
fondo, forse l’avevo giudicata troppo prematuramente. Mi
chiesi come avrei
reagito io se qualcuno, un nuovo membro della famiglia, fosse arrivato
da un
giorno all’altro, avesse incasinato tutto e ci fossimo
ritrovati a dover
scappare da un branco di lupi inferociti. La riposta era scontata.
«Capisco,
Rosalie. E accetto le tue scuse, davvero. Voglio porgertele
anch’io per la
questione dei licantropi, in fondo è stata davvero colpa
mia».
Lei
sorrise e annuì.
«Trovo
davvero assurdo il fatto che io ti abbia accolta nello stesso modo in
cui fui
accolta da Edward. E, nonostante tutto, anche io e te ci stiamo
preparando a
convivere in armonia».
Mi
lasciai scappare una risata, mentre un peso spariva dal mio petto.
«Forse
c’entra qualche strana reazione psicologica, dovremmo
chiedere a Carlisle».
Sorrise.
«Non dico che diventeremo sorelle per la pelle nel giro di un
paio d’ore, ma
potremmo provare a essere amiche, no?».
Sorrisi
anch’io. «Amiche».
Guardai
in basso, stupita. C’erano solo alberi, alberi a perdita
d’occhio, e neve.
Visti da lì sembravano un’enorme coperta verde,
arricchita da ricami di cotone
bianco. Sfiorai la parete rocciosa che, in quel punto, era stata
scavata dalle
intemperie fino a formare una rientranza, una piccola grotta scura e
accogliente,
riparata dal vento e dalle bufere. La pietra, per quanto aguzza e
plumbea, lì
sembrava quasi accogliente e protettiva. Il posto non era tanto grande,
ma
quanto bastava perché due persone potessero muoversi
liberamente senza
rischiare di cadere e sfracellarsi al suolo. Comunque io e Edward non
avevamo
quel problema.
«Perché
mi hai portata qui?», domandai, osservandolo mentre si
sporgeva un poco oltre
la grotta, verso il cielo. «Facciamo trekking
notturno?».
Si
voltò e mi raggiunse, qualche passo indietro rispetto a lui.
«No,
voglio farti vedere una cosa. Questa dovrebbe essere la notte giusta
e»,
osservò l’orologio che portava al polso.
«Anche l’ora giusta. Sediamoci».
Si
sedette sul bordo del pavimento della grotta, lasciando penzolare le
gambe nel
vuoto. Lo imitai.
Per
diversi minuti non capii cosa stessimo aspettando, ma lui non staccava
gli
occhi dal cielo.
«Edward,
non capisco».
«Ssh,
guarda», mi zittì indicando l’alto.
Feci
come mi aveva detto, ma di nuovo non accadde nulla. Quando ero sul
punto di
chiedergli se si aspettasse una stella cadente o qualcosa del genere,
avvertii
un rumore. Più che un rumore, era un sibilo quasi
impercettibile. Si diramava
nell’aria, arrivava ovunque ma non aveva un’origine.
Capii
solo quando, pochi istanti dopo, l’orizzonte si
illuminò di vermiglio. Delle
onde di colore invasero lentamente il cielo. Salivano verso
l’alto e
oscillavano, si muovevano e si scambiavano tra loro, fino a che non si
impadronirono dell’intera volta celeste. Il cielo, le stelle,
erano avvolte da
turbini e maree color del sangue. Al loro cospetto il paesaggio
notturno cambiò
le sue vesti per ricoprirsi di porpora regale.
Non
avevo mai visto niente di più meraviglioso. Era come se un
miliardo di rubini
fossero stati disposti sull’orizzonte e ora stessero
riflettendo la loro luce
nel mondo.
«È
la cosa più bella che abbia mai visto», mormorai,
senza riuscire a distogliere
lo sguardo da quello spettacolo.
«L’aurora
boreale è meravigliosa, sì, ma non posso
dichiararmi d’accordo con te»,
rispose, circondandomi con un braccio.
«Perché
non l’avevamo ancora vista? Siamo qui da due settimane,
ormai», chiesi,
accoccolandomi su di lui.
«Il
tempo e la luce ci sono stati nemici. In realtà
l’aurora c’è stata, ma non
spettacolare come stanotte», rispose.
Mi
voltai per osservare Edward e rimasi incantata dai giochi che la luce
creava
sulla sua pelle diafana. Gli sfiorai una guancia e lui si
abbassò un poco,
permettendomi di accarezzargli le labbra con le mie.
«Pensavo
che l’aurora boreale fosse verde, al massimo azzurra, non
rosso sangue»,
mormorai.
Lui
sorrise e allontanò il viso dal mio, per rivolgere lo
sguardo al cielo.
«Lo
è, di solito. Ma ci sono dei giorni, ogni dieci anni, in cui
il cielo si
ricopre di rosso. Oggi è uno di quei giorni».
«Un’aurora
boreale rosso sangue per due vampiri, mi sembra quanto meno
azzeccato»,
ridacchiai.
Fece
scontrare le nostre fronti e questa volta fu lui a baciarmi, premendo
le labbra
sulle mie con più forza.
«Grazie
per questa meraviglia», sussurrai sulla sua bocca.
«Ciò
che desideri, quando lo desideri. Per sempre».
Mentre
ci baciavamo quelle parole mi vorticarono in testa, rimbalzando da una
parte
all’altra e producendo un caos infernale nel silenzio della
notte.
Per
sempre.
E
le parole attirarono altre parole, dette tempo prima e da voci diverse.
“Sembrerà
quasi che stiamo annunciando il nostro matrimonio”.
“Tranquilla,
per quello possiamo aspettare ancora un po’. Qualche mese al
massimo”.
“Certe
cose non si fanno prima del matrimonio”.
Improvvisamente
“per sempre” stava acquistando un nuovo significato
nella mia mente.
Mi
staccai da lui, ansante, ed ebbi la conferma che, in fondo, lui mi
leggesse nel
pensiero.
«Che
c’è, pensi di non riuscire a sopportarmi per
l’eternità?», chiese, anche lui
con il fiato corto.
«No,
certo che no», sorrisi, ma il mio stomaco era di nuovo pieno
di farfalle. Come
la prima volta, quando eravamo rimasti soli e lui aveva suonato per me,
quando
ci eravamo dati il nostro primo bacio, le farfalle graffiavano le
pareti del
mio petto. Danzavano, sconclusionate, da una parte all’altra,
nel caos più
dolce e timoroso che esista. Quella notte era perfetta, armoniosa e
spettacolare allo stesso tempo. Perché impedire alle
farfalle di coronare la
notte già perfetta, di esprimere finalmente con la voce
ciò che loro urlavano
da sempre? Sapevo che la risposta ero io, io e la mia insicurezza
cronica che
nemmeno il veleno aveva potuto sanare. Quel sentimento che sentivo
agitarsi
dentro da diverso tempo ormai, ma a cui ero riuscita a dare un vero
nome solo
pochi giorni prima, era stanco di aspettare. Le farfalle volavano,
eccitate e
spaventate.
Ma
quando lui mi accarezzò la guancia con il palmo della mano e
fece quel sorriso
imperfetto che mi aveva conquistata, seppi che non avevo nulla da
temere.
«No,
Edward. Io ti amo».
Assurdo
come quelle tre piccole parole possano tormentare una persona fino a
sfinirla,
a farle credere di non essere abbastanza, a farla rimuginare e
aspettare.
A
farle temere il momento in cui, mettendo a nudo la propria anima e i
propri
sentimenti, potrebbe farsi male. Assurdo come un solo sguardo possa
cambiare
tutto e far diventare ogni insicurezza solo un ricordo illogico.
«Temo
che la mia risposta sia piuttosto scontata, perdonami quindi se ti dico
semplicemente che ti amo anch’io».
E
le farfalle furono libere di invadere il mio intero corpo, libere di
essere
manifestazione di pura e concreta felicità.
Edward
impiegò diversi minuti per staccarsi nuovamente da me, una
scintilla divertita
negli occhi.
«Dimmi,
allora: qual è il problema?», chiese.
Non
riusciva ad abbandonare il discorso e io non sapevo se esserne
orgogliosa o
divertita.
«Stiamo
insieme da nemmeno un mese», risi.
«Quasi un mese. Un mese domani»,
mormorò.
Sorrisi
ma non replicai, sfregando il naso contro il suo.
«Presto
riuscirò a infilarti un anello al dito, puoi starne
certa», rispose e potrei
giurare di non averlo mai sentito così deciso.
«Parli
come se ne avessi uno in tasca proprio ora».
«Potrebbe
essere, sai?»
Fissai
il mio sguardo nel suo e capii che non scherzava. Mi persi
nell’ambra delle sue
iridi, nel loro calore, e vi trovai tutto ciò che avevo
sempre cercato:
dolcezza, comprensione, affetto, decisione, passione, intelligenza, amore.
In
quegli occhi trovai la soluzione al concetto di eternità che
mi tormentava da
quando avevo completato la trasformazione.
Perché
improvvisamente “per sempre” stava acquistando un
nuovo significato nella mia
mente, e niente mi era mai sembrato più perfetto.
E,
oh mio Dio.
Cioè,
oh mio Dio.
Siamo
alla fine, alla frutta,
alla conclusione, the end.
Non
riesco a realizzare, davvero,
non riesco e non posso. Dopo quasi tre anni, questa storia ha visto la
sua
conclusione. Ieri, mentre scrivevo il capitolo, giuro di aver bloccato
a stento
le lacrime. Niente più problemi, Edward e Bella stanno
insieme, si amano (OMG
SI AMANO gbhjnk) e sono pronti per il loro “e vissero per
sempre felici e
contenti”.
Voi
riuscite a crederci? Io no.
Non dopo così tanto tempo, non dopo i problemi, le assenze,
lo scoraggiamento e
i mesi.
Però
è così. Ci siamo. *piange
nell’angolino*
Ora
la pianto, giuro. Anche
perché la storia non è ancora completa, manca
l’epilogo uwu Che verrà
pubblicato entro (salvo professori stronzi che riempiono di verifiche
dai primi
giorni) la settimana **
Ci
leggiamo tra una settimana,
nei commenti finali. Mi riconoscere, sarò quella che allaga
tutto EFP con le
sue lacrime çwç
Come sempre grazie a tutte
per le
recensioni, siete meravigliose! <3
Love
you all,
Vero