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Autore: Nyktifaes    14/09/2014    4 recensioni
Mi risvegliai di soprassalto con la sensazione di essere sbalzata. Mi aggrappai alla base della poltroncina, spaventata. Impiegai qualche secondo per ricordare che sedevo su un sedile e che mi trovavo su un aereo. È sorprendente quanti dettagli si possano registrare in pochi secondi di panico. Ricordo perfettamente i visi spaventati dei passeggeri, la hostess che si aggrappava ad una fila di sedili, la mascherina che usciva dal soffitto dell’aereo, a un soffio dal mio viso, un boato. E poi il buio.
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Primo capitolo di Twilight. Bella si trova sull'aereo che la deve portare a Forks, ma qualcosa va storto.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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Capitolo – come sempre – betato da Joan Douglas.




Capitolo XVII

 

«E per questa ragione abbiamo vinto noi».

«No, io non credo proprio! Vi abbiamo teso una trappola e voi ci siete cascati in pieno!».

«Sì, ma poi vi abbiamo distrutte!».

Emmett ed Alice, tra le risate generali, non avevano smesso un attimo di rimbeccarsi giocosamente su chi fosse il vincitore. Da quando la battaglia di neve era terminata, causa lo sradicamento del quarto albero, era iniziata la lotta per aggiudicarsi il titolo di vincitore. E ora, mentre tornavamo alla villa a passo quasi umano, la situazione era stava degenerando fino alle liti tra infanti. Era uno spasso osservarli.

«Emm, ti ricordo che vi abbiamo ingannati utilizzando il vostro stesso imbroglio!», risi, dando man forte ad Alice.

«Ma noi siamo riusciti a confondere Alice e senza imbrogliare, a differenza vostra!», replicò e mi spintonò. Scoprii che, anche se la sua mole era sensibilmente maggiore rispetto alla mia, riuscì soltanto a farmi indietreggiare.

«Ehi!». Feci leva sulle gambe e mi lanciai con tutto il peso contro di lui, che finì a cinque metri di distanza, a terra. Scoppiai a ridere e diedi il cinque ad Alice.

«Senti, solo perché sei una neonata non significa che puoi-», ma non completò mai la frase a causa di un eccesso di risate, provocato dalla palla di neve che mi aveva centrato la faccia in pieno.

Mi voltai, pronta a rendere pan per focaccia a chiunque avesse osato, e mi ritrovai davanti Edward e Jasper che ridevano di gusto. Capii, dal sorriso malizioso, che era stato Edward a tirarmi la neve. Mi chinai e nel giro di una frazione di secondo anche lui aveva una buona quantità di neve spiccicata tra i capelli e in faccia.

«Guerra!».

Emmett aveva già caricato le braccia, ma Rosalie stroncò il suo entusiasmo sul nascere.

«Se ti azzardi a lanciarmi altra neve addosso farò diventare le minacce di stamattina realtà».

Emmett osservò Rose per un momento, poi allargò le braccia e lasciò cadere tutto a terra. Evidentemente Rosalie era il tipo di persona che mantiene le sue promesse – o minacce –, che riguardano sempre buoni argomenti.

L’arrendevolezza di Emmett alimentò le risate generali mentre raggiungevamo il limitare del bosco.

Una volta arrivati alla villa, quando Emmett fece per entrare, Esme lo bloccò.

«Ragazzi, preferirei evitare di distruggere la casa dei nostri parenti disseminandola di neve». Lei e Carlisle erano stati in silenzio per tutto il viaggio di ritorno, limitandosi ad osservarci o a ridere quando riprendevamo la battaglia, senza farsi coinvolgere. Per un attimo mi soffermai sul maglioncino di Esme, sporco di neve ma intatto. Immaginai che, chiunque si fosse battuto contro di lei, non avesse avuto il cuore di rovinarglielo.

«Diamoci una ripulita qua fuori, prima di entrare», terminò.

Facemmo come ci aveva detto. Essere dei vampiri alle prese con la neve poteva avere i suoi pregi – ad esempio, niente vestiti fradici – ma, poiché la neve a contatto con la nostra temperatura non si scioglieva, risultava anche più difficile eliminarla. Impiegai diversi minuti solo per liberare i capelli, avevo neve ovunque. Forse avremmo dovuto prevedere un’eventualità del genere e lasciare dei vestiti puliti in giardino. Anzi, niente forse.

Improvvisamente avvertii un tocco freddo alla base del collo e subito qualcosa di altrettanto freddo mi accarezzò lentamente la schiena, per poi depositarsi sul fondo, sotto la maglietta. Edward, mezzo passo dietro di me, ghignò soddisfatto.

Assottigliai lo sguardo.

«Pensavo che la battaglia fosse finita», mormorai.

Lui si abbassò sulla mia gola, baciandomi nell’incavo del collo e io abbandonai la testa sulla sua spalla. «Infatti, ora bisogna stipulare la pace». Con le dita seguì lo stesso percorso della neve ma, una volta sui miei fianchi, la spazzò via per sostituirla con la sua mano. Cercai di ricordare a me stessa che non eravamo soli e che mugolare non sarebbe stato esattamente educato.

Avvertii qualcuno schiarirsi rumorosamente la voce. Nel suono per metà infastidito e per metà divertito riconobbi Emmett. Istantaneamente feci un passo avanti e Edward si staccò da me, sbuffando.

In quel momento ero indecisa se essere più infastidita o più imbarazzata per l’interruzione. Ci saremmo dovuti dare un contegno.

Emmett rise delle nostre facce. «Spiacente, piccioncini, ma in questa famiglia certe cose si fanno solo dopo il matrimonio. Non è vero, Carlisle?».

Lui abbozzò un sorriso e annuì.

Se prima ero imbarazzata in quel momento avrei voluto scavarmi la fossa da sola. Perché continuavo a dimenticare che in quella casa il più giovane aveva vissuto la recessione dei venti?

«Okay, basta, ci rinuncio». Ringraziai Rosalie e i suoi problemi con la neve per aver allontanato l’attenzione dal nostro siparietto. Mollai una gomitata nelle costole a Edward e mi avvicinai a Rose. Avrei potuto giurare che, dietro di me, lui stesse sorridendo.

I capelli della vampira erano un disastro, se possibile anche peggio dei miei. Ad entrambe sarebbe convenuto lavarli. Lei dovette avere lo stesso pensiero perché vagò con lo sguardo per tutto il giardino, fino a soffermarsi sul rubinetto dell’acqua poco lontano. Dubitavo che sarebbe riuscita a fare uscire qualcosa di meno solido del ghiaccio.

Un tono ripetuto, squillante, si diffuse nell’aria, proveniva dall’interno della casa. Carlisle si voltò di scatto e, togliendosi in fretta le scarpe, schizzò verso la porta. «Scusate, è il mio».

Tesi l’orecchio, finché non avvertii Carlisle parlare. «Pronto? Sì, sono io. Salve dott. Parker, ieri ho telefonato perché…».

Smisi di ascoltare e mi voltai verso gli altri: mi resi conto che non era stata l’unica a tendere un po’ troppo l’orecchio.

Esme si sciolse in un sorriso. «Carlisle sta cercando un ospedale in cui esercitare, non riesce a stare troppo tempo lontano da chi ha bisogno di aiuto».

«Sì, è un’esigenza di tutti i dottori: non riescono a stare troppo tempo senza aprire qualcuno», rise Emmett.

Esme alzò gli occhi al cielo e finse di ignorarlo. «Su, ragazzi, via le scarpe ed entriamo. Bella, Rose… Voi legate i capelli, magari».

Stavo per rispondere, ma Rosalie mi precedette. «In realtà pensavo di lavarli direttamente qua fuori, così evitiamo di creare pasticci in bagno».

«Mi sembra un’ottima idea. A dopo, ragazze».

Un momento, ragazze? No no, io non sarei rimasta sola con Rosalie per così tanto tempo. Una cosa era accettarci reciprocamente, un’altra lavarsi i capelli assieme stile best friends forever.

Nel giro di un attimo gli altri sparirono oltre la soglia dell’ingresso e io mi ritrovai in giardino, sola con Rosalie. Anche Edward si era limitato a rivolgermi un semplice sorriso, prima di seguire gli altri. Il che era quanto meno sospetto, dato che non gli era mai andato a genio il modo in cui mi aveva trattata Rosalie fino a una manciata di giorni prima.

La seguii fino al rubinetto, diversi metri più vicino al fianco roccioso del monte. Tentò di aprirlo ma era, come avevo previsto, bloccato.

«Credo dovremmo usare un tubo da giardino», disse.

«Non penso servirebbe a molto, il rubinetto mi sembra bloccato».

Rimase piegata davanti ad esso e mi rispose senza guardarmi. «Temo che tu abbia ragione». Tentò un’ultima volta di aprirlo. «Ci tocca lavarci dentro, pazienza. Qualcuno dirà addio al suo bel bagno».

Mi ero già voltata per entrare in casa, ma Rosalie parlò di nuovo.

«Bella», mi chiamò. Oh no, ti prego fai che non voglia rovinare questa splendida giornata. «Mi dispiace».

Cosa? Le dispiaceva?

Riprese a parlare, ma non si voltò.

«Mi dispiace di essermi comportata in quel modo odioso, senza nemmeno darti la possibilità di farti conoscere. Sono stata un’egoista immatura». Finalmente si alzò in piedi e mi guardò. Ero frastornata. Lei si stava scusando?

«Ti ha obbligata Edward a farlo?», mi insospettii.

Lei in risposta rise e scosse i capelli, ancora intricati di diamanti di ghiaccio. «No, non mi ha obbligata nessuno». Smise di ridere e mi sorrise, incerta. «Mi sono solo resa conto di non essere stata giusta nei tuoi confronti».

Non dissi nulla, ancora stordita dalla situazione. Ma i vampiri potevano essere storditi?

«Non amo i… cambiamenti, mi spaventano, in un certo senso. Sto bene nella mia routine, nell’equilibrio che mi sono costruita, giorno dopo giorno». Fece una pausa. «E poi stavo così bene lì, a Forks. Finalmente un posto in cui potevamo avere una vita pubblica pressoché normale, semplice e senza problemi. Equilibrio perfetto. E poi sei arrivata tu». Accennò nuovamente un sorriso, questa volta quasi imbarazzata. «Non voglio dire che tu abbia rovinato tutto, non sarebbe giusto e nemmeno lo penso, per lo meno non più. Non è certo stata colpa tua se quell’aereo è caduto e nemmeno lo è se hai infranto il patto con i licantropi. Anche quella è stata una negligenza d’altri, non tua». Sospirò, osservandomi. Si aspettava che le rispondessi qualcosa? Mi morsi il labbro, tentando di arrovellare una risposta decente.

«Beh, sono… felice, sì, che la pensi così. E… mi dispiace di avere, uhm, incasinato la tua quotidianità». Perfino io capii che l’ultima frase suonava più come una domanda, che come un “scuse accettate”.

«Non intendevo questo, beh a parte per ciò che è venuto dopo la rottura del patto. Il fatto è che il tuo arrivo è stata la prima cosa un minimo… eclatante, penso di poter dire così, da cinquant’anni a questa parte. Ha rotto la routine della famiglia. Il cambiamento più grande è stato per Edward, ovviamente, ma tutti noi abbiamo dovuto fare i conti con una nuova arrivata, neonata, per giunta». Si bloccò nuovamente e mi rifilò un’occhiata significativa. Non intendeva dire che fossi una cattiva novità, ma semplicemente una novità. E le novità portano sempre cambiamenti. E lei non amava i cambiamenti.

Annuii, per farle capire che avevo afferrato il senso del discorso.

La sua espressione mutò e nel suo sguardo potei scorgere un lampo particolare, che prima, ne ero certa, non c’era.

«C’è anche un’altra ragione, ed è davvero mortificante ammetterlo. Io… sono sempre stata molto ammirata, mettiamola così, dagli uomini. Anche quando ero umana, dai dodici anni, nessun uomo mi ha mai ignorata. Sono sempre stata molto fiera della mia bellezza anche se, alla fine, è stata lei la mia rovina». Per un attimo il suo sguardo si perse nel vuoto, lontano decenni e decenni. Non capivo dove volesse arrivare – di certo non si sentiva minacciata dalla mia bellezza dato che io ero bella come una vampira, lei praticamente era una dea – ma capii a cosa si riferisse.

Mi affrettai ad annuire, non volevo sentire di nuovo quella storia, né costringere Rosalie a raccontarla. «Lo so».

«Lo sai?», rimase interdetta. «Te l’ha raccontato Edward?»

«Non proprio, ma ha accennato al perché Carlisle ti abbia trasformato».

Annuì. «Fu il mio fidanzato, lui e i suoi amici. Ci saremmo dovuti sposare di lì a sette giorni».

Rimasi spiazzata e la tristezza che mi aveva colta la prima volta che Edward mi aveva accennato qualcosa di quella storia tornò, più forte di prima. Era stata tradita da una persona che amava, dall’uomo con il quale avrebbe dovuto passare il resto della sua vita. «È orribile, Rose. Mi… dispiace, davvero. Immagino che ora non sia facile fidarsi delle persone».

Lei scosse il capo, puntando nuovamente lo sguardo nel mio e fui certa che fosse tornata al presente. «Non te lo sto dicendo perché voglio la tua compassione o per giustificarmi. Immagino che c’entri anche la mia diffidenza nel modo in cui mi sono comportata, ma non è questo che intendevo quando ti ho parlato di un’altra ragione. Non sono mai stata indifferente a nessun uomo, mai. Con una sola eccezione: Edward. Lui era libero e io ero così bella dopo la trasformazione… Ma lui non mi guardò mai come qualcosa di più di una sorella. Anzi, mi disprezzava proprio. Me la presi parecchio, per anni ho provato del risentimento nei suoi confronti, ma vedendo che tutte le femmine che incontrava gli erano indifferenti, mi misi l’anima in pace. Poi sei arrivata tu e lui è praticamente impazzito per te. Non lo sopportavo».

Mi immobilizzai. «Cosa? Come… Tu ami Emmett, non puoi-».

«No no!», rise. «Non sopportavo il fatto che lui guardasse te e non me, non perché io provi qualcosa per lui, ma per pura frivolezza. Sono fatta così, mi dispiace. Amo Emmett, non potrei desiderare uomo migliore. E io e Edward, l’avrai notato, non andiamo proprio d’amore e d’accordo».

Buttai fuori l’aria che, mi ero resa conto, mi si era bloccata nei polmoni. Non che avessi bisogno di respirare, ma era un gesto istintivamente umano.

«Quindi non… insomma, non c’è problema, immagino».

Rise ancora, non so cosa trovasse di tanto divertente in quella conversazione.

«Il problema c’è, ma è mio e io ti sto chiedendo scusa per averlo creato. Perché dieci giorni fa, quando è successo quel disastro con Tanya, ho visto la disperazione di mio fratello. Temeva di poterti perdere e ho capito che non avevo alcun diritto di mettere i bastoni tra le ruote del vostro rapporto. Lui merita la sua felicità e, se sei tu, ben venga. Senza contare il fatto che, comunque, io e Tanya non siamo mai andate particolarmente d’accordo. E nemmeno gli altri sono stati felici di ciò che è successo. Non vogliamo raffreddare i rapporti, ma, ad esempio, entrambe le parti erano concordi sull’evitare che i Denali partecipassero alla nostra battaglia in famiglia», terminò.

Mi presi sette secondi e mezzo per valutare la situazione. Capivo Rosalie, per lo meno in parte – la questione sulla bellezza e l’invidia non era nelle mie corde – e l’idea di farmi odiare meno mi attraeva troppo per non perdonarla. E, in fondo, forse l’avevo giudicata troppo prematuramente. Mi chiesi come avrei reagito io se qualcuno, un nuovo membro della famiglia, fosse arrivato da un giorno all’altro, avesse incasinato tutto e ci fossimo ritrovati a dover scappare da un branco di lupi inferociti. La riposta era scontata.

«Capisco, Rosalie. E accetto le tue scuse, davvero. Voglio porgertele anch’io per la questione dei licantropi, in fondo è stata davvero colpa mia».

Lei sorrise e annuì.

«Trovo davvero assurdo il fatto che io ti abbia accolta nello stesso modo in cui fui accolta da Edward. E, nonostante tutto, anche io e te ci stiamo preparando a convivere in armonia».

Mi lasciai scappare una risata, mentre un peso spariva dal mio petto.

«Forse c’entra qualche strana reazione psicologica, dovremmo chiedere a Carlisle».

Sorrise. «Non dico che diventeremo sorelle per la pelle nel giro di un paio d’ore, ma potremmo provare a essere amiche, no?».

Sorrisi anch’io. «Amiche».

 

 

 

 

Guardai in basso, stupita. C’erano solo alberi, alberi a perdita d’occhio, e neve. Visti da lì sembravano un’enorme coperta verde, arricchita da ricami di cotone bianco. Sfiorai la parete rocciosa che, in quel punto, era stata scavata dalle intemperie fino a formare una rientranza, una piccola grotta scura e accogliente, riparata dal vento e dalle bufere. La pietra, per quanto aguzza e plumbea, lì sembrava quasi accogliente e protettiva. Il posto non era tanto grande, ma quanto bastava perché due persone potessero muoversi liberamente senza rischiare di cadere e sfracellarsi al suolo. Comunque io e Edward non avevamo quel problema.

«Perché mi hai portata qui?», domandai, osservandolo mentre si sporgeva un poco oltre la grotta, verso il cielo. «Facciamo trekking notturno?».

Si voltò e mi raggiunse, qualche passo indietro rispetto a lui.

«No, voglio farti vedere una cosa. Questa dovrebbe essere la notte giusta e», osservò l’orologio che portava al polso. «Anche l’ora giusta. Sediamoci».

Si sedette sul bordo del pavimento della grotta, lasciando penzolare le gambe nel vuoto. Lo imitai.

Per diversi minuti non capii cosa stessimo aspettando, ma lui non staccava gli occhi dal cielo.

«Edward, non capisco».

«Ssh, guarda», mi zittì indicando l’alto.

Feci come mi aveva detto, ma di nuovo non accadde nulla. Quando ero sul punto di chiedergli se si aspettasse una stella cadente o qualcosa del genere, avvertii un rumore. Più che un rumore, era un sibilo quasi impercettibile. Si diramava nell’aria, arrivava ovunque ma non aveva un’origine.

Capii solo quando, pochi istanti dopo, l’orizzonte si illuminò di vermiglio. Delle onde di colore invasero lentamente il cielo. Salivano verso l’alto e oscillavano, si muovevano e si scambiavano tra loro, fino a che non si impadronirono dell’intera volta celeste. Il cielo, le stelle, erano avvolte da turbini e maree color del sangue. Al loro cospetto il paesaggio notturno cambiò le sue vesti per ricoprirsi di porpora regale.

Non avevo mai visto niente di più meraviglioso. Era come se un miliardo di rubini fossero stati disposti sull’orizzonte e ora stessero riflettendo la loro luce nel mondo.

«È la cosa più bella che abbia mai visto», mormorai, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello spettacolo.

«L’aurora boreale è meravigliosa, sì, ma non posso dichiararmi d’accordo con te», rispose, circondandomi con un braccio.

«Perché non l’avevamo ancora vista? Siamo qui da due settimane, ormai», chiesi, accoccolandomi su di lui.

«Il tempo e la luce ci sono stati nemici. In realtà l’aurora c’è stata, ma non spettacolare come stanotte», rispose.

Mi voltai per osservare Edward e rimasi incantata dai giochi che la luce creava sulla sua pelle diafana. Gli sfiorai una guancia e lui si abbassò un poco, permettendomi di accarezzargli le labbra con le mie.

«Pensavo che l’aurora boreale fosse verde, al massimo azzurra, non rosso sangue», mormorai.

Lui sorrise e allontanò il viso dal mio, per rivolgere lo sguardo al cielo.

«Lo è, di solito. Ma ci sono dei giorni, ogni dieci anni, in cui il cielo si ricopre di rosso. Oggi è uno di quei giorni».

«Un’aurora boreale rosso sangue per due vampiri, mi sembra quanto meno azzeccato», ridacchiai.

Fece scontrare le nostre fronti e questa volta fu lui a baciarmi, premendo le labbra sulle mie con più forza.

«Grazie per questa meraviglia», sussurrai sulla sua bocca.

«Ciò che desideri, quando lo desideri. Per sempre».

Mentre ci baciavamo quelle parole mi vorticarono in testa, rimbalzando da una parte all’altra e producendo un caos infernale nel silenzio della notte.

Per sempre.

E le parole attirarono altre parole, dette tempo prima e da voci diverse.

“Sembrerà quasi che stiamo annunciando il nostro matrimonio”.

“Tranquilla, per quello possiamo aspettare ancora un po’. Qualche mese al massimo”.

“Certe cose non si fanno prima del matrimonio”.

Improvvisamente “per sempre” stava acquistando un nuovo significato nella mia mente.

Mi staccai da lui, ansante, ed ebbi la conferma che, in fondo, lui mi leggesse nel pensiero.

«Che c’è, pensi di non riuscire a sopportarmi per l’eternità?», chiese, anche lui con il fiato corto.

«No, certo che no», sorrisi, ma il mio stomaco era di nuovo pieno di farfalle. Come la prima volta, quando eravamo rimasti soli e lui aveva suonato per me, quando ci eravamo dati il nostro primo bacio, le farfalle graffiavano le pareti del mio petto. Danzavano, sconclusionate, da una parte all’altra, nel caos più dolce e timoroso che esista. Quella notte era perfetta, armoniosa e spettacolare allo stesso tempo. Perché impedire alle farfalle di coronare la notte già perfetta, di esprimere finalmente con la voce ciò che loro urlavano da sempre? Sapevo che la risposta ero io, io e la mia insicurezza cronica che nemmeno il veleno aveva potuto sanare. Quel sentimento che sentivo agitarsi dentro da diverso tempo ormai, ma a cui ero riuscita a dare un vero nome solo pochi giorni prima, era stanco di aspettare. Le farfalle volavano, eccitate e spaventate.

Ma quando lui mi accarezzò la guancia con il palmo della mano e fece quel sorriso imperfetto che mi aveva conquistata, seppi che non avevo nulla da temere.

«No, Edward. Io ti amo».

Assurdo come quelle tre piccole parole possano tormentare una persona fino a sfinirla, a farle credere di non essere abbastanza, a farla rimuginare e aspettare.

A farle temere il momento in cui, mettendo a nudo la propria anima e i propri sentimenti, potrebbe farsi male. Assurdo come un solo sguardo possa cambiare tutto e far diventare ogni insicurezza solo un ricordo illogico.

«Temo che la mia risposta sia piuttosto scontata, perdonami quindi se ti dico semplicemente che ti amo anch’io».

E le farfalle furono libere di invadere il mio intero corpo, libere di essere manifestazione di pura e concreta felicità.

Edward impiegò diversi minuti per staccarsi nuovamente da me, una scintilla divertita negli occhi.

«Dimmi, allora: qual è il problema?», chiese.

Non riusciva ad abbandonare il discorso e io non sapevo se esserne orgogliosa o divertita.

«Stiamo insieme da nemmeno un mese», risi.

«Quasi un mese. Un mese domani», mormorò.

Sorrisi ma non replicai, sfregando il naso contro il suo.

«Presto riuscirò a infilarti un anello al dito, puoi starne certa», rispose e potrei giurare di non averlo mai sentito così deciso.

«Parli come se ne avessi uno in tasca proprio ora».

«Potrebbe essere, sai?»

Fissai il mio sguardo nel suo e capii che non scherzava. Mi persi nell’ambra delle sue iridi, nel loro calore, e vi trovai tutto ciò che avevo sempre cercato: dolcezza, comprensione, affetto, decisione, passione, intelligenza, amore.

In quegli occhi trovai la soluzione al concetto di eternità che mi tormentava da quando avevo completato la trasformazione.

Perché improvvisamente “per sempre” stava acquistando un nuovo significato nella mia mente, e niente mi era mai sembrato più perfetto.

 

 

 

 

E, oh mio Dio.

Cioè, oh mio Dio.

Siamo alla fine, alla frutta, alla conclusione, the end.

Non riesco a realizzare, davvero, non riesco e non posso. Dopo quasi tre anni, questa storia ha visto la sua conclusione. Ieri, mentre scrivevo il capitolo, giuro di aver bloccato a stento le lacrime. Niente più problemi, Edward e Bella stanno insieme, si amano (OMG SI AMANO gbhjnk) e sono pronti per il loro “e vissero per sempre felici e contenti”.

Voi riuscite a crederci? Io no. Non dopo così tanto tempo, non dopo i problemi, le assenze, lo scoraggiamento e i mesi.

Però è così. Ci siamo. *piange nell’angolino*

Ora la pianto, giuro. Anche perché la storia non è ancora completa, manca l’epilogo uwu Che verrà pubblicato entro (salvo professori stronzi che riempiono di verifiche dai primi giorni) la settimana **

Ci leggiamo tra una settimana, nei commenti finali. Mi riconoscere, sarò quella che allaga tutto EFP con le sue lacrime çwç

Come sempre grazie a tutte per le recensioni, siete meravigliose! <3

Love you all,

Vero

   
 
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