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Autore: B e l l e    15/09/2014    4 recensioni
[GIALLO] Fuggita da Chicago con il cuore in pezzi, Mandy si trova costretta a tornare a casa dopo tre anni. Si troverà immersa in emozioni che credeva ormai perdute, rivedrà persone che aveva deciso di allontanare per sempre e... le sue tanto amate fiamme diventeranno complici di una morte inattesa. Un giallo da risolvere, una fiamma riaccesa... un fuoco che neanche la pioggia primaverile potrà placare.
[ATTENZIONE: linguaggio colorito.]
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La storia partecipa al contest a turni "Giallo a scelta multipla" di Faejer.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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 Lost again

 

Mi gratto la testa bagnata. Sotto quale vaso è nascosta la chiave di riserva? E soprattutto, c'è sempre una chiave di riserva nascosta sotto un vaso? Tre anni fa era il terzo a destra. Mi accuccio e lo sollevo. Niente. Non c'è nessuna maledetta chiave là sotto.
E adesso? Mi maledico ancora e ancora per essere tornata a Chicago. In particolar modo, per essere tornata proprio adesso che i miei sono a Manhattan. Non potevo prevederlo. Non potevo sapere che Stefan mi avrebbe lasciata proprio la sera stessa che mia madre e mio padre sarebbero partiti alla volta di New York per il corso d'aggiornamento, e nella furia di levarmi di torno non ci ho affatto pensato. Sono completamente distrutta. Fanculo, voglio solo entrare in casa mia. Dopo una nottata a litigare e a piangere, finita sulle scomode poltroncine dell'aeroporto con uno zaino riempito dello stretto indispensabile – cose che non avrei mai lasciato nell'attico di Stefan; dopo un viaggio di sei ore, seguito da altre due di attesa per controlli a due stranieri dall'aria losca, il traffico, la pioggia incessante... dopo tutto questo, non merito una doccia e una cioccolata calda, rannicchiata in soffitta?
Invece di piangerti addosso, guarda sotto gli altri vasi, idiota! – mi dico, schiaffeggiandomi mentalmente.

Passo in rassegna tutte le piante posizionate con cura sul portico dalla signora delle pulizie – sarà sempre Dora? Nelle rare telefonate, i miei genitori non hanno mai fatto riferimeto a cambiamenti di questo tipo, ma d'altronde, come hanno cambiato la posizione della chiave, possono aver cambiato anche il personale. Analizzo ogni gamba del tavolo, rovescio le sedie, frugo tra le siepi che circondano il portico, alzo il tappetino. ARGH! Niente di niente! Sembro una pazza schizzofrenica, o peggio, una ladra. Ma io voglio solo entrare in casa mia, maledetta la miseria! Sto per scoppiare in lacrime dalla disperazione. I miei dovrebbero tornare fra tre giorni, sempre se non viene loro in mente di passare a New York il fine settimana. Non c'è una cabina telefonica nel giro di miglia – chi le usa più – e il mio cellulare, chissà che fine ha fatto. Sono completamente nella merda! Mi siedo sfinita sul dondolo e chiudo gli occhi, cercando di trovare una soluzione. Poi mi viene chiesto perché odio tanto Chicago.
La soffitta! Certo, se passa qualcuno vengo davvero scambiata per una ladra, ma... può essere l'ultima speranza.
La soffitta, grande quanto un monolocale – probabilmente progettata per essere una depandance – ha anche un'entrata esterna, oltre alla porta in cima alle scale del secondo piano. Non è collegata all'allarme, inoltre la serratura è vecchia. Con una forcina dovrebbe aprirsi.
Raccatto lo zaino e salgo le scale esterne fino alla porta della soffitta. Mi tolgo una forcina dall'ammasso informe di capelli bagnati e annodati e faccio per infilarla nella serratura. Quasi cado in avanti, quando, appoggiando la mano sulla maniglia della porta, quest'ultima, cigolando, si apre. Chi diavolo ha lasciato la porta della soffitta aperta?
Non ho tempo per queste domande. Un'incredibile puzza di bruciato mi invade le narici e, sbirciando nell'oscurità, dietro la porta, riesco a vedere solo fumo.
Bene, è andata a fuoco la soffitta. Com'è possibile?
Mi alzo il foulard fino alla punta del naso ed entro, tastando il muro per cercare l'interruttore della luce. Se mi vedesse quello scemo di T-Jay, direbbe che sembro uno di quegli hooligans inglesi degli anni ottanta. Pff. L'Europa. Perché non ci ho pensato prima. Invece di tornare a Chicago sarei potuta partire per l'Inghilterra o per l'Italia, magari per la Francia, come Il Maestro. Ma cosa ne sapevo io che Il Maestro era volato a Parigi?
Finalmente, dopo aver percorso mezza soffitta, attaccata al muro in cerca di un interruttore, inciampando di qua e di là, riesco ad accendere la luce.
Un urlo mi si strozza in gola. Rimango senza fiato, la bocca spalancata, l'espressione di terrore negli occhi. Le gambe mi cedono e cado in ginocchio. Lo spettacolo che mi si prospetta davanti è tanto assurdo, quanto, purtroppo, reale. Provo a sbattere gli occhi, ma tutto resta com'è. Non è la stanchezza che mi gioca brutti scherzi. È tutto vero.
Steso davanti a me, sul pavimento in pietra, un corpo semicarbonizzato con gli occhi scuri spalancati, fissi su di me. La puzza di bruciato è incredibilmente forte, a quella distanza, e il fumo che avvolge il cadavere rende il tutto più surreale.
Rimango pietrificata a fissare il viso inerme di quella che un tempo era la mia migliore amica. Non riesco a capacitarmi di avere davanti il corpo senza vita della persona con cui sono cresciuta, con cui ho vissuto ogni momento, bello o brutto che fosse, della mia vita fino a tre anni fa. La persona che accusai di tradimento, quel giorno di fine aprile, senza ascoltare la sua versione dei fatti – non che ciò che mi ero trovata davanti lasciasse troppo all'immaginazione – e che lasciai, senza una parola, per qualcosa che, probabilmente, la maggior parte delle persone reputa irrilevante rispetto ad un'amicizia durata più di dieci anni, si trova qui, davanti a me, priva di vita ed io non... non vedo più niente.

 

"È viva! È solo svenuta"

...


"Signorina, mi sente? Si svegli, signorina"

...

Sento un dolore alla testa, come se avessi sbattuto forte contro qualcosa di duro... e delle voci.
Qualcuno mi scuote e mi schiaffeggia piano. Sento dei passi e altre voci confuse. La puzza di bruciato invade di nuovo le mie narici. Mi torna in mente ciò che ho visto appena entrata in soffitta, ma ancora non riesco a realizzarlo.
Apro gli occhi e mi trovo davanti due grandi iridi azzurre, a pochi centimetri dal mio viso, che mi scrutano.
"Va bene, agente, faccio io"
Vedo il padrone di quegli occhi alzarsi ed allontanarsi di poco, mentre un altro signore, più anziano, mi si avvicina e si accovaccia davanti a me.
"Sa dirmi il suo nome, signorina?" mi chiede, scrutandomi con attenzione.
"Amanda Riders" rispondo confusa, tirandomi su, a sedere, e guardandomi intorno per la prima volta da quando ho aperto gli occhi.
La mia soffitta è piena di gente: oltre all'uomo davanti a me, ci sono due poliziotti in divisa, tre portantini dell'ambulanza e un uomo con un camice, piegato sul corpo semicarbonizzato della mia migliore amica.
"Co... cosa diavolo...?" provo a dire, guardando l'uomo più vicino a me.
"Lei è svenuta. Ci abbiamo messo una buona mezz'ora per farla rinvenire" risponde lui in tono pacato. Poi, come se sapesse già cosa stavo per chiedere, mi mostra il distintivo. "Polizia di Chicago. Siamo stati avvisati da un testimone che ha detto di aver visto del fumo uscire da una soffitta. Sono il Commissario Stevens e devo chiederle di seguirmi in centrale, dove chiariremo tutta questa situazione".
Spalanco gli occhi e mi giro di scatto verso il corpo di Jenny, ormai coperto completamente. Finalmente realizzo cosa è successo. Realizzo che la mia migliore amica è... morta. Non c'è più.
Un dolore atroce invade il mio petto e gli occhi mi si riempiono di lacrime.
"S..sono in arresto?" mi rivolgo di nuovo al commissario, con voce tremante, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
"No, signorina. È solo un fermo. D'altronde, è stata trovata sulla scena del crimine e, anche se crediamo si tratti di suicidio, non possiamo escludere nessuna pista".


Suicidio? Jennifer non lo avrebbe mai fatto. Jenny amava la vita. Come può essere cambiata così tanto in questi tre anni? Cosa le può essere successo di così grave da farle desiderare di morire?
Sono seduta davanti alla scrivania del commissario Stevens, con una coperta addosso, in attesa dell'interrogatorio, e non posso far a meno di pensare alla mia migliore amica. Le lacrime sono riuscite a scappare e mi hanno rigato il viso per tutto il tragitto in volante. Grazie al cielo, mi hanno risparmiato le manette. Non posso credere di trovarmi in una centrale di polizia, appena messo piede a Chicago, con dei sospetti sul fatto che possa aver ucciso una persona. Okay, nessuno mi ha ancora accusata, ma poco ci manca. Sono furiosa, distrutta moralmente, stanca morta – ci hanno messo mezz'ora a farmi riprendere i sensi – bagnata e sporca. Può andare peggio di così? Sì, potrebbero rinchiudermi davvero e addio Mandy.
Finalmente il commissario si decide a parlare.
"Allora, signorina Riders. La soffitta dove abbiamo trovato lei e un cadavere semicarbonizzato, è casa sua?" chiede.
"Sì" rispondo lievemente.
"Conosceva la vittima?"
"Sì" ripeto.
"Può dirmi il suo nome? Non abbiamo trovato documenti sul corpo".
"J..Jennifer Lewis, nata a Chicago il dieci novembre del novanta" dico automaticamente, con voce tremante. Jenny è morta, non ci posso credere.
"Bene. Quando è arrivata in soffitta, la signorina Lewis era viva?" chiede.
"No. Ho trovato la porta della soffitta aperta e, quando ho acceso la luce, mi sono trovata il suo corpo davanti, avvolto dal fumo" racconto.
"C'era qualcun altro in casa? Vive sola?"
"Non c'era nessuno, per quanto ne so, i miei genitori sono a New York da ieri sera".
Vedo il viso del commissario farsi pensieroso. "La morte pare risalga a non più di qualche ora fa, ma saremo più precisi dopo l'autopsia. Comunque, provvederemo a contattarli. Da quanto non entrava in soffitta?".
"Da tre anni!" rispondo.
Il commissario mi guarda perplesso, così proseguo: "Ho lasciato Chicago tre anni fa e sono arrivata solo da poche ore, con un volo da San Francisco".
"Quante ore fa?" chiede ancora. Sta per caso insinuando qualcosa?
"Mah... il volo doveva atterrare all'una del pomeriggio, ma temo sia arrivato in ritardo. Poi, sono stata due ore in attesa per uscire dal terminal, poi il pullman, il traffico... credo di essere entrata in casa per le sei" spiego, cercando di ricordare ogni dettaglio del mio rientro.
Il commissario incrocia le braccia e mi guarda serio.
"Dunque, lei non ha un alibi concreto, se non l'orario stampato sul biglietto aereo". Ecco, adesso sta insinuando qualcosa. Spalanco gli occhi. Non ho mai amato la polizia, anzi, mi è sempre stata parecchio sulle scatole, tanto per non essere volgare.
"Senta, sono distrutta fisicamente e moralmente. Le pare il caso di accusarmi di omicidio? Jennifer era la mia migliore amica! Non la vedevo e non la sentivo da tre anni, sono arrivata in soffitta e l'ho trovata morta!" Le lacrime cominciano a scendere di nuovo sul mio viso e faccio fatica a continuare il discorso.
"Perché non ha chiamato il 911, quando ha trovato il cadavere?" chiede ancora il commissario, non curandosi del mio stato emotivo.
"Perché sono rimasta scioccata e... a quanto pare sono svenuta!" quasi urlo in faccia a quel maledetto poliziotto. Sono sfinita, non ne posso più.
Squilla il telefono e Stevens risponde. Dice a qualcuno di portare qualcosa dentro e poco dopo entrano due agenti. Il primo ha in mano due bastoni, con due calzini bruciati appallottolati ai lati di ognuno. L'altro ha una bottiglia. Guardo gli agenti appoggiare sulla scrivania gli attrezzi e vedo il commissario esaminarli.
"Conosce questa roba, signorina?" mi chiede, posando di nuovo gli occhi su di me.
"Sì" rispondo "sono i miei vecchi attrezzi per giocare col fuoco... sa, sputafuoco e roba varia..." la faccio semplice. Voglio uscire da quel posto il prima possibile.
"Lei sa giocare col fuoco? E la sua amica?"
"Io sì, Jenny no. Ha sempre avuto paura. Non capisco come possa aver trovato il coraggio di prendere in mano un bastone infuocato..." dico, più a me stessa che a lui.
"Pensa che la signorina Lewis possa essersi suicidata, usando quei bastoni?" chiede ancora il commissario, stirandosi i baffi con le dita.
"Assolutamente no. A meno che in questi tre anni, Jennifer non sia cambiata completamente, posso ciecamente escludere che si sia avvicinata al fuoco e, soprattutto, che si sia suicidata". Chiudo gli occhi, poi li riapro e vedo il commissario alzarsi e posizionarsi davanti a me.
"Capirà, signorina Riders, che se escludiamo l'ipotesi suicidio, lei rimane la prima indiziata. Nonostante ciò, prendiamo atto della sua deposizione. Le indagini proseguiranno, interrogheremo tutte le persone vicine alla vittima. Finché la sua innocenza non verrà confermata, non ha il permesso di lasciare la città e deve tenersi a disposizione per nuovi interrogatori" conclude.
Sospiro e annuisco. Mi chiede i recapiti telefonici, ma posso dargli solo quello di casa, con la promessa di presentarmi domani, dopo aver comprato un cellulare nuovo, per lasciare il numero.
"La scena del crimine deve rimanere intatta. Abbiamo provveduto a chiudere entrambe le porte che conducono di sopra. Può tornare tranquillamente a casa sua, ma non deve per nessun motivo entrare in soffitta". Annuisco e faccio per togliermi la coperta dalle spalle, ma mi blocco. Non posso entrare in casa. Spiego al commissario la situazione delle chiavi: "le assicuro che ne ho una copia in camera, da qualche parte, ma devo passare dalla soffitta per entrare".
Risolvo la situazione facendomi accompagnare in casa da un agente, che attende finché non trovo il mazzo di riserva e che chiude di nuovo la soffitta portandosi via le chiavi di entrambe le porte. Tanto, non ci sarei entrata comunque. Non so se avrò mai più il coraggio di salire lassù.


Sono digiuna da tutto il giorno, ma non ho intenzione di cenare. Ho buttato tutti i vestiti in lavatrice, sono stata un ora sotto la doccia e mi sono fatta una tazza di cioccolata calda. Adesso la sto sorseggiando sotto le coperte del mio letto. I miei genitori non hanno spostano neanche un soprammobile mentre ero via e la mia camera è pulita e ordinata. Mh, forse qualcosa hanno spostato, perché io, ordinata, non sono mai stata. Sorrido amaramente. Sono in casa mia, nel mio letto, al sicuro... ma mi sento persa. Di nuovo. Persa come tre anni fa, quando scappai.
Al piano di sopra si è consumato un omicidio, mentre cercavo di tornare a casa. Sì, un omicidio. Mi rifiuto di credere che Jennifer Lewis si sia suicidata. Pensare che, fino a poche ore fa, non avrei nemmeno voluto sentirla nominare, mentre adesso mi pento di non aver mai ascoltato ciò che aveva da dirmi, di non aver mai letto le sue email o risposto alle sue telefonate. Adesso che Jenny non c'è più, sento forte il bisogno di abbracciare quella che era la mia migliore amica. Quella che ho abbandonato tre anni fa. Vorrei tornare a quel giorno e cambiare le cose: fermarmi a capire cosa è successo. Ormai è troppo tardi.
Finisco la cioccolata e poso la tazza sul comodino. La polizia interrogherà tutti i membri del The Flames. Volente o nolente dovrò rivederli. Può essere stato uno del gruppo a farla fuori? E perché poi? Savannah ha detto che si è fidanzata con T-Jay... oddio, stento ancora a crederci. T-Jay è irascibile, permaloso e rissoso, ma non credo che arriverebbe mai a tanto. Save non farebbe del male ad una mosca. Il Maestro è a Parigi. May... no: Simon è la persona più buona del mondo e poi... da quanto avevo capito, si era innamorato di lei. Perché ucciderla dopo tre anni? Chiunque sia stato, che tempismo! Voleva incastrarmi per caso? Chi ce la può avere tanto con me e Jenny per ucciderne una ed incastrare l'altra? Sbuffo. Nessuno poteva incastrarmi intenzionalmente perché nessuno sapeva che sarei tornata. Nessuno. Nemmeno i miei genitori. Nemmeno Stefan sapeva che sarei tornata a Chicago.
Sbadiglio. Sono distrutta. Ci penserò domani.
Buonanotte mondo crudele e... VAFFANCULO!



 

   
 
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