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Autore: __Fire__    15/09/2014    2 recensioni
Il Vecchio Mondo non esiste più. Le guerre l'hanno raso al suolo centinaia e centinaia di anni fa e solamente un piccolo gruppo di Innocenti è sopravvissuto e ha avuto l'arduo compito di ricostruire il mondo per renderlo perfetto.
Nel Nuovo Mondo non esistono azioni come rubare, uccidere, stuprare e persino fare del male è impossibile, questo perchè tutti noi abbiamo un microchip che inibisce queste azioni ed è solo grazie a questo che l'uomo è riuscito a vivere in pace e serenità per molti anni.
Il microchip ci ha dato la pace, inibendo l'indole cattiva e meschina dell'uomo, ma nessuno ama ricordare che il chip ha anche il potere di controllare le nostre menti e renderci bambole del Governo.
Ma il chip ha dei limiti...
Io sono Jean e su di me il microchip non funziona...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo diciassette anni quando un debole impulso mi fece alzare dal letto e salutare la mia famiglia per unirmi al IX plotone nella Prima Guerra del Nuovo Mondo. Ero uscita di casa piena di paura e di indecisione. Non seguire quell'impulso e restare a casa avrebbe significato controlli e accertamenti da parte del Governo, seguirlo poteva significare semplicemente la morte e io avevo vissuto troppo poco per morire, non avevo ne sofferto ne amato, non avevo quasi neanche vissuto. Per anni ero stata nascosta alla società a causa di una “malformazione” del microchip dentro il mio cervello, ma quando avevo compiuto quindici anni il Governo si accorse di me e per più di un anno mi era stato alle calcagna cercando un qualsiasi pretesto per mettermi in gabbia o farmi direttamente fuori. E fu proprio grazie a loro che diventai furba, scaltra e svelta, adulta per certi versi. Avevo cominciato ad ascoltare quelle lieve scosse, quei bassi impulsi e avevo imparato a decifrarli per sopravvivenza.

 

La Prima Guerra del Nuovo Mondo è iniziata proprio a causa di quel piccolo pezzo di metallo che ormai noi tutti abbiamo nel cervello.

Inizialmente le motivazioni erano nobili; noi essere umani non siamo capaci a vivere in pace tra di noi e con la natura che ci circonda e così abbiamo prima iniziato a distruggere ciò che avevamo intorno e poi, insaziabili, abbiamo cominciato con guerre, fraticidi e genocidi che ci hanno reso più bestie che uomini. Fu per questo motivo che trecentocinquantasette anni fa i potenti della Terra hanno preso alcuni innocenti, bambini e neonati con solo pochi adulti, e li hanno nascosti dentro un bunker scavato nelle profondità della Terra prima di sganciare un'arma che distrusse l'intera popolazione umana terrestre. Nessuno al di fuori del bunker sopravvisse. Quando uscirono dal bunker le persone non trovarono altro che il nulla. Eppure dal nulla riuscirono a tirare fuori un'unica città, perfetta e costruita sulla fiducia reciproca e, lentamente quella città cominciò a popolarsi e vennero eletti i rappresentanti del Governo, i Primi Uomini.

Loro erano giusto e stilarono poche e semplici regole che non violavano la libertà delle persone, ma sancivano duramente chi provava a creare ancora disordine e discordia tra gli uomini.

I Primi Uomini provarono a non intervenire e a lasciare che gli uomini si controllassero da soli, ma ben presto capirono che la natura umana non era votata alla pace e così svilupparono un microchip estremamente potente. Questo piccolo aggeggio veniva attaccato al cervello dei neonati e mandavi impulsi che inibivano le azioni aggressive e violente, ma non solo quello. I Primi Uomini erano umani e capirono che il potere era la chiave per tutto, il potere era ciò che sempre gli uomini bravano e loro adesso ce lo avevano. Il microchip infatti serviva anche per controllare gli uomini, per renderle macchine senza coscienza e ubbidienti, pronte a svolgere qualsiasi ordine imposto, anche quello di uccidere.

Tutto ciò andò avanti tranquillamente e solo raramente il Governo si avvalse della facoltà di controllare la mente delle persone, ma tre anni fa qualcosa si ruppe.

Un uomo, un singolo uomo non controllato dal microchip riuscì a trovare altri come lui, altri come noi, che si erano da sempre nascosti impauriti da quello che i Primi Uomini avrebbero potuto fargli e presto iniziarono una ribellione. Gli uomini col microchip erano incapaci di proteggersi a causa del microchip e in molti furono uccisi. Così il Governo mandò impulsi a chi aveva un'indole guerriera e mandò sempre più impulsi legati all'aggressività, in modo che quelle persone potessero difendersi e difendere gli altri. Probabilmente in qualche modo si avvalsero anche della facoltà di controllare quelle persone, ne ero sicura, ma non me.

Nessuno sapeva perchè il microchip non funzionava su alcune persone, ma era così, ed io ero una tra queste perciò la mia mente apparteneva solamente a me.

Era stato il governo ad assegnarmi al IX plotone, quello più giovane ed inesperto ed io sono tutt'ora convinta che lo fece per togliermi di mezzo, ma riuscii a sopravvivere e non solo.

Doveva essere una semplice ricognizione per cercare superstiti, feriti, eppure mi ritrovai davanti a Mark, il capo dei ribelli, colui che aveva dato vita a quella guerra senza fine. A quel punto ricordo solamente di aver fatto una lieve pressione sul grilletto e di aver sparato, centrandogli il cuore.

Avevo diciassette anni e avevo ucciso un uomo.

 

 

« Jean muoviti che dobbiamo andare »

urlò Josh da dietro la porta del bagno, bussando due volte. Era straziante condividere un bagno con altre tre persone, ma sarebbe stato peggio tornare a casa dopo la guerra. Ero cambiata tanto, ero cresciuta e maturata, ma sopratutto non ero più la dolce bambina che i miei genitori avevano salutato con le lacrime agli occhi, ero diventata un'assassina. Allacciai la zip del giubbotto di pelle nera e mi diedi una sistemata ai capelli prima di uscire, aprendo la porta con rabbia

« Josh c'è un bagno solo e sono sempre l'ultima! Un attimo di pazienza! -

dissi un poco scocciata, ridendo non appena trovai lo sguardo di Mya e Shae, le mie uniche amiche. Josh a quanto pare era rimasto in mutande e l'unica cosa che in realtà voleva era entrare in bagno per potersi riappropriare dei pantaloni che quelle due scapestrate gli avevano nascosto.

« Quando mai ho accettato di vivere con voi tre »

mormorò entrando in bagno come un uragano per mettersi i pantaloni, prima di uscire imbarazzato e arrabbiato.

Mya, Shae e Josh erano le uniche persone che rimanevano del IX plotone oltre a me, un gruppo di venticinque persone ridotto a quattro. Tutti eravamo cambiati e nessuno aveva voluto tornare a casa, così avevamo deciso di prenderci un appartamento in affitto e di vivere insieme, ma ovviamente per Josh non era facile visto che era l'unico uomo della casa, decisamente poco abituato alle lunghe routine femminili nel vestirsi e acconciarsi.

« Abbiamo cinque minuti per arrivare allo stadio e siamo già in ritardo »

borbottò, guardando l'orologio in continuazione mentre entrava nell'ascensore che ci avrebbe portato al piano terra. Quando era finita la guerra i pochi rimasti dei plotoni erano stati indirizzati verso la Sicurezza e noi stavano costituendo la sesta squadra, quella solitamente con i compiti più noiosi. Eravamo giovani, fin troppo per affidarci la protezione del Governo e delle lussuose case dei Primi Uomini e così ci rifilavano a sorvegliare gli eventi sportivi e i rari concerti musicali.

« Bene guido io allora »

dissi prendendo le chiavi della macchina dalle dita flosce di Josh, creando il suo stupore, ma non si azzardò a riprendersele perchè sapeva che io guidavo in maniera decisamente più veloce, e spericolata, di lui e quando si era in ritardo quello era l'unico motivo e infatti in meno di tre minuti arrivammo allo stadio, sirene spiegate e piede sull'acceleratore perennemente.

« Bene, dobbiamo andare in alto in modo da avere una miglior visuale di tutto lo stadio, come al solito non accadrà niente »

disse Josh sbuffando per poi dirigersi verso l'ascensore che ci avrebbe portato al tetto. Eravamo riconoscibili dalla nostra tenuta di lavoro ben poco originale; giubbotto di pelle nera, maglia sotto nera, pantaloni in pelle nera e poi, per me e le altre ragazze, stivaloni alti quasi fino al ginocchio.

« Josh stai calmo, non siamo in ritardo »

sussurrai guardandolo e alzandogli il viso in modo che distogliesse lo sguardo dall'orologio che continuava incessantemente a guardare. Era il più grande del gruppo con i suoi soli ventitrè anni e aveva una magnifica pelle scura con alcune lentiggini sul naso, occhi nerissimi e capelli rasati, alto e imponente di fisico, resistente alla fatica e al dolore. Lui si era addossato la responsibilità di ventiquattro persone in quanto comandante del IX plotone a soli vent'anni ed era riuscito a tenerne in salvo solo tre e di questo non si era mai rappacificato. Lui si dava la colpa per tutto quello che era successo, anche della morte dei nostri amici e compagni.

Arrivammo sul tetto e, come al solito tutto era calmo, così cominciammo a parlare.

Mya ci stava informando della sua nuova ragazza conosciuta appena due giorni fa in un club. Mya era una ragazza ventiduenne ricca di felicità, solare fino all'inverosimile e molto estroversa, oltre che particolare e facilmente notabile grazie ai suoi capelli una volta biondi e ora tinti di un adorabile rosa shocking, la pelle diafana e due occhi da cerbiatta circondati da fin troppo abbondante trucco

« Come fai a metterti insieme ad una persona che hai conosciuto solo due giorni fa? »

chiese abbastanza sconvolta Shae. Lei aveva la stessa età di Mya, ma era completamente diversa. La pelle era olivastra, gli occhi grandi e scuri e i capelli di un bellissimo castano caldo che teneva sempre racchiusi in una treccia laterale. Era graziosa, così graziosa che mai penseresti potesse essere letale in guerra. Shae aveva anche gusti diversi da Mya, infatti era da tre anni che cercava di avere una sola opportunità con Josh, che però non sembrava neanche accorgersi della sua corte spietata.

« Beh, c'è chi si mette insieme ad un ex traditore e chi si mette insieme ad una ragazza dopo due giorni...e sono sicura che lei è quella giusta »

disse tutta contenta Mya, sorridendo e mostrando il piercing sul labbro inferiore. Vidi Josh roteare gli occhi e sorridere appena, le braccia conserte e la posizione del corpo rigida.

« Come sta Blake? »

chiese Shae dopo qualche secondo di silenzio, guardandomi con un sorriso amabile. Era incredibile come prima mi odiasse mentre adesso andavamo estremamente d'accordo. All'inizio Shae mi odiava perchè mi vedeva come sua rivale d'amore, ma non appena la guerra era finita avevo chiarito con lei che io non provavo niente per Josh, ma per sua sfortuna lui ancora non aveva deciso di aprirsi verso un'altra persona.

« Sta bene, sta facendo una non so che ricerca da qualche parte nella foresta. Non lo vedo da due settimane ormai »

dissi accennando un sorriso, ma abbassai comunque lo sguardo. Mi mancava Blake, il calore del suo abbraccio, la sua voce, le sue odiose battute e il suo profumo avvolgente. Mi mancava tutto di lui, anche perchè dovevo dargli una notizia che sicuramente gli avrebbe fatto piacere. Avevamo quattro anni di differenza, quasi cinque, e molte volte si sentiva. Io ero ancora quasi una bambina con i miei vent'anni appena compiuti, mentre lui, praticamente venticinquenne era un uomo già maturo, eppure ci trovavamo bene insieme.

« é stato perdonato definitivamente vero? Non ha più il braccialetto? »

chiese Mya avvicinandosi a me, cominciando ad intrecciare le dita facendole scrocchiare, suo gesto usuale quando era nervosa o annoiata.

Blake era stato uno degli ultimi ribelli ad essere trovato ed ero stata io durante un'incursione nel Territorio Nero a mettergli le manette ai polsi e consegnarlo alla legge. Nessuno sapeva perchè è stato risparmiato dalla decapitazione, nessuno sapeva cosa aveva raccontato per avere in cambio la salvezza, ma riuscì a scampare alla morte anche se passò almeno un anno in cella e ancora un altro anno con un braccialetto elettronico che monitorava tutti suoi movimenti.

« Sì, ora è libero »

risposi sorridendo stringendo un braccialetto che mi aveva regalato poco prima di andare nella foresta. Ci eravamo innamorati dentro le prigioni. Io ero una dei suoi carcerieri, ma dopo giorni di rispose non date cominciai ad aprirmi a lui, parlavamo e scherzavamo per tutto il tempo della mia sorveglianza e non appena lui fu fuori decidemmo di provare a stare insieme. Inizialmente nessuno aveva approvato. I miei genitori erano andati su tutte le furie e mio padre aveva rischiato di ammazzarlo la prima volta che l'aveva visto...seriamente.

Mi ricordo perfettamente che gli era saltato alla gola cercando di strozzarlo, ma Blake era più forte e muscoloso di mio padre e il suo attacco non aveva sorbito nessun effetto. Mio padre era stato estremo, ma anche Josh non aveva preso bene quella notizia, sia perchè aveva sperato che tra noi potesse nascere qualcosa, sia perchè Blake era un traditore, uno di coloro che aveva ucciso uno dei nostri compagni di plotone, lui era il nemico. Mya e Shae erano state più comprensive e avevano capito. Avevano capito che avevo provato a lungo a resistere a quell'impulso che mi spingeva contro di lui, ma alla fine avevo ceduto ed era stata la cosa più bella che avessi potuto fare.

« Ti manca e si vede »

disse Mya avvicinandosi per darmi una dolce pacca sulla schiena. Sorrisi amaramente. Parlare e ricordarmi di Blake mi rattristava, sopratutto perchè mi manca e anche tantissimo. Stava sempre via troppo a lungo, per troppo tempo e sopratutto non avevo mai sue notizie perchè era impossibile mettersi in contatto all'esterno della Recinzione, una barriera elettromagnetica che ci proteggeva dal mondo esterno. Vidi Josh allontanarsi un poco, prendere un pacchetto di sigarette dalla tasca del giubbino di pelle e accenderla subito, portandola nervosamente alla bocca.

« Non dovresti fumare, fa male »

dissi andandogli vicino, allontanandomi dalle ragazze che stavano parlando di fondotinta, mascara e rossetti. Josh accennò un sorriso e tirò la sigaretta con rabbia.

« Da che pulpito viene la predica... »

mormorò facendo un altro tiro fino a quasi finire la sigaretta. Fumavo anche io, avevo iniziato quasi per gioco con solo qualche tiro, ma presto e incoscientemente mi ritrovai a fumare in tutti i momenti dove ero nervosa, senza neanche accorgermene tiravo fuori una sigaretta e fumavo

« Josh sono passati due anni, ormai dovrebbe esserti passata e per di più hai una ragazza bellissima e dolcissima che non vede l'ora di avere solamente un'occasione »

dissi guardandolo negli occhi cercando di uscire dalla nuvola del suo fumo, quasi invano. Quell'odore forte e acre mi dava fastidio adesso, pungeva il naso e sembrava seccarmi la gola e impastarmi la bocca

« Non sei una ragazza facile da dimenticare Jean »

aveva sussurrato prima di prendere una ciocca dei miei capelli. Erano rossi come il fuoco vivo con sfumature aranciate, quasi come il sole al tramonto ed erano lunghi e mossi. Nel Nuovo Mondo solamente lo 0.25% di persone avevano i capelli rossi e questo mi aveva reso una presa appetibile e desiderabile. Ero una delle poche, una rarità. Gli presi la mano e lo guardai negli occhi scuri

« Devi farlo...per te. Hai già ventitrè anni e io voglio vederti con in braccio un bambino. Saresti un ottimo padre »

dissi toccandolo ad una spalla dolcemente. La vita si era allungata e le persone riuscivano a vivere fino a centocinquanta anni, ma purtroppo il tempo per riuscire a crearsi una famiglia si era infinitivamente accorciati. A trentacinque anni era impossibile avere figli e a trent'anni era già molto difficile. Josh aveva ventitrè anni e se voleva avere una famiglia doveva sbrigarsi diciamo, perchè già a ventisette anni molte persone diventavano sterili.

Josh sorrise e spense la sigaretta in un posacenere vicino.

« Devo trovare la ragazza adatta prima, ci dovrò vivere fino a cento cinquantanni almeno »

ovviamente era saggio, forse fin troppo per un semplice ragazzo di quell'età. La guerra, la morte, il dolore, la fame, il freddo, la sete...tutte queste cose le avevamo provate sulla nostra pelle quando eravamo troppo giovani per provare tutto quello.

Sorrisi e annuii prima di guardarlo prendere un'ulteriore sigaretta e accenderla in un gesto nervoso e meccanico

« Tu saresti un'ottima mamma. Mi ricordo ancora quando tranquillizzasti quella bambina, durante la guerra. Eravamo rimasti solo noi in quella zona e c'era appena stato un massacro e te l'hai trovata in mezzo alle macerie. Non dormivamo da giorni, non mangiavamo eppure l'hai presa in spalla, l'hai curata e l'hai tranquillizzata, eri stata bravissima »

ricordò Josh facendo per accarezzarmi la guancia, ma io mi spostai appena. Quel gesto mi sembrava fin troppo intimo e non volevo che lui fraintendesse qualcosa.

« Sono più giovane di te... »

gli ricordai senza però sorridere. Sì, io avevo solo vent'anni, ma Blake ne aveva quasi due in più di Josh, il tempo si stava accorciando e ogni anno mi sembrava quasi di dover affrettare le cose, mi sembrava di non avere più opportunità, occasioni. Cinque anni mancavano alla soglia dei trent'anni per Blake, ma comunque ogni anno che passava si sarebbe rivelato sempre più complicato.

« Ma Blake ne fa venticinque tra qualche giorno. Lo sai che non è più come nel Vecchio Mondo, sia le donne che gli uomini diventano sterili presto »

mormorò lui avvicinandosi. Sapevo quello che stava dicendo, sapevo cosa stava dicendo ed era quasi una frecciatina nei miei confronti perchè mi stava dicendo che potevo avere di meglio, qualcuno di più giovane che mi avrebbe potuto dare quello che più volevo; una famiglia.

« Josh non incominciare... »

dissi roteando gli occhi. Sapevo dove voleva andare a parare, sapevo che lui mai avrebbe smesso di provarci e sopratutto di sperarci in qualcosa tra noi. Qualcosa di impossibile, qualcosa che sapeva non sarebbe mai accaduto, eppure non demordeva

« Io ho già una famiglia, siete voi e Blake »

ero decisa, guardavo gli occhi scuri di Josh e non avrei voluto più toccare quell'argomento. Non volevo più scegliere tra i miei amici e la persona che amavo, non volevo discutere e continuare a dimostrare le cose

« Non quel tipo di famiglia Jean...Quello che tu veramente vuoi è una famiglia tua composta da un padre, te e dei bambini a cui dare tutto l'amore che hai e ne hai tantissimo Jean...e Blake ha sempre detto che non si sente pronto, che non sa se vuole diventare padre...dammi un'opportunità, una sola e sarò il compagno più fedele, affidabile e affettuoso che potrai mai desiderare, costruiremo una famiglia numerosa e... »

Josh era convinto, mi teneva le mani strette nelle sue, gli occhi spalancati e le parole che uscivano come acqua di fiume dalla sua bocca

« Sono incinta Josh.... »

sussurrai, la sua figura indefinita, acquosa e traballante. Le lacrime presto cominciarono a scendere sulle guance fino ad inumidirmi le labbra. Il giovane si zittì subito e mi guardò sconvolto, lo sguardo che vagava dal mio viso alla pancia velocemente. Non era certo questo il modo con cui avrei voluto dirglielo, ma sentirlo parlare di creare una famiglia insieme e farsi altri castelli in aria proprio non ce l'ho fatta a rimanere in silenzio.

« Cinque mesi fa Blake mi ha detto che ha capito che il tempo a nostra disposizione era ormai poco e che si sentiva pronto ad essere padre. Sono quasi quattro mesi che sono incinta »

dissi tra le lacrime, le mani che si posarono sulla pancia solo leggermente arrotondata. Ancora non si vedeva niente, solo un lieve arrotondamento quasi impercettibile dagli altri, anche se a me sembrava evidente.

« Perchè...perchè hai aspettato così tanto a dircelo? »

chiese Josh mentre piangeva silenziosamente. Sapevo che doveva essere stato un duro colpo per lui, ma quello era l'unico modo per fargli capire che ormai non c'era più nessuna speranza per un eventuale noi e che doveva mettersi l'anima in pace.

« Io lo amo Josh...lo amo più di ogni altra cosa al mondo e darei la vita per lui e so che per lui è lo stesso. Tu sei il mio migliore amico, il fratello maggiore che non ho mai avuto, ma ti ho sempre detto che tra noi non poteva esserci niente più di questo e mi dispiace che tu abbia continuato a sperarci »

mormorai asciugandomi le lacrime con il dorso della mano con rabbia. Se lui avesse smesso di credere in un noi tutto questo non sarebbe successo, lui non avrebbe sofferto e neanche io.

Vidi Josh aprire e chiudere la bocca un paio di volte prima fissare un punto dietro di me

« Scappa »

 

 

Avevo cominciato a correre a più non posso, il fiato che sembrava mancare. Nello Stadio in pochi secondi era scoppiato il caos, la gente aveva cominciato ad alzarsi e urlare, qualcuno era riverso a terra senza vita. Non avevo la minima idea di cosa stava succedendo e Josh non mi aveva dato neanche il tempo di capire se potevo dare una mano, se potevo rendermi utile. Mi aveva preso il polso con forza e mi aveva gettato sulle scale di emergenza prima di prendere la pistola dalla fondina e guardarsi intorno, sparando a qualcuno che non riuscivo a vedere. Shae e Mya? Loro? Erano vive, stavano bene, erano ferite? Non ne avevo idea e avrei voluto tornare su, cambiare senso di marcia e tornare alla cima per aiutare eppure le mie gambe continuavano a scendere le scale in metallo velocemente. Dovevo andare a chiamare aiuto, rinforzi, era questo che pensavo, ma la verità era che scappavo perchè avevo paura di rimanere ferita e perdere il bambino che portavo in grembo. Per una volta avevo scelto di essere codarda e scappare, avevo scelto di essere egoista. Arrivai alla fine delle scale e un rumore di sparo mi fece bloccare, seguito poi da un dolore lancinante alla spalla. La vista si annebbiò per qualche secondo, ma riuscii a rimanere in piedi e a vedere davanti a me quella figura nemica. Era un uomo, i capelli bianchi e la pistola in mano che tremava. Tirai fuori la pistola dalla fondina e lo centrai in pieno petto, facendo accasciare il corpo senza vita in pochi secondi. Tenni la pistola a portata di mano e lasciai il braccio destro senza vita, il sangue che usciva dalla ferita a fiotti inzuppando il giubbino di pelle nera fino a renderlo lucido. Passai lentamente davanti al cadavere. Non conoscevo quella persona, ma sicuramente non era stata in guerra altrimenti non avrebbe mancato il colpo. Doveva avere quasi settanta anni e sul petto aveva dipinto un simbolo in rosso, ma non riuscii a capire di che cosa si trattava perchè dei passi frettolosi mi fecero scappare verso uno sgabuzzino in ombra. Era minuscolo, basso, stretto, buio e umido, ma purtroppo non troppo nascosto come pensavo. Le persone che stavano scendendo le scale sicuramente ci sarebbero passate davanti e, vedendo il corpo, avrebbero potuto decidere se controllare e allora non avrei avuto via di scampo. Mi sdraiai a pancia insù e su una specie di scaffale e tirai una tendina ingiallita che mi coprì fino al collo, lasciando fuori la testa. Se avrebbero guardato dentro sicuramente mi avrebbero visto. Cercai di trattenere il respiro e di non pensare alla spalla che stava creando una pozza di sangue sotto di me

« Una è scappata...Eravate in quattro poco prima dell'attacco »

era una voce maschile che stava parlando, calma e pacata come se niente fosse successo, come se tutto fosse normale. Non avevo idea di chi fosse, non mi sembrava di aver già sentito quella voce

« é Jean, la Fenice. Non appena ha sentito gli spari è scappata per chiedere rinforzi, non è pericolosa, è giovane e avventata »

Non appena sentii quelle parole le lacrime cominciarono a rigare il mio viso e per poco non singhiozzai. Speravo di aver sentito male, speravo che fosse solamente un'allucinazione o tutto quello fosse un incubo, ma purtroppo il dolore alla spalla era troppo reale

« Avevi il compito di tenere tutte e tre le donne, una ti è scappata e non è una a caso. Non ti conviene tradirmi »

la prima voce risuonava minacciosa e i passi si stavano lentamente avvicinando. Mi tappai la bocca con la mano sinistra e guardai due ragazzi fermarsi davanti allo sgabuzzino. Uno aveva i capelli biondo cenere, era alto e muscoloso e portava una canotta nera che lasciava intravedere un simbolo e una cicatrice lunga dalla spalla fino al gomito, sottile e ancora rossa, ma non era su di lui che i miei occhi erano puntati, ma su Josh, dritto al suo fianco che stava guardando verso di me, gli occhi scuri che sembravano implorare perdono.

« Ecco cosa ha fatto quell'unica donna che tu ti sei fatto scappare »

urlò l'altro ragazzo andando probabilmente verso il cadavere. Josh stava continuando a guardare nella mia direzione e io non potevo fare altro che guardarlo e chiedermi perchè aveva fatto una cosa del genere, perchè ci aveva vedute, noi che eravamo la sua famiglia.

« é avventata, stupida e giovane, ma ha ucciso uno dei miei uomini! Domani pagherà per questo -

aveva sibilato il primo uomo e vidi Josh camminare verso di lui, deciso. Presi la pistola misi un dito sul grilletto. Non avevo neanche portato un secondo caricatore perchè era da anni che non succedeva niente. Li sentii bisbigliare qualcosa, ma non riuscii a capire niente di quello che si erano detti. Probabilmente Josh gli aveva detto che ero in quello sgabuzzino e adesso stavano venendo ad ammazzarmi. Forse perchè avevo scelto un altro al suo posto?

Mi sembrò un'eternità e per tutto quel tempo smisi quasi di respirare, pronta a sparare e a morire. Il mio ultimo pensiero andò a Blake. Era al sicuro al di fuori della recinzione? Oppure erano anche arrivati fino a la? E sapevo quello che stava succedendo qua dentro? Avrebbe saputo della mia morte? Josh l'avrebbe cercato e ucciso? E sapeva che lo amavo con tutta me stessa? Era questo quello che più mi interessava, era questo quello che volevo lui sapesse. Che io lo amavo e che avrei desiderato si ricostruisse una famiglia, trovato qualcun'altro che lo amasse quanto lo amavo io e continuare la sua vita.

Una figura si presentò davanti allo sgabuzzino e riconobbi subito Josh. Si guardò per qualche secondo in giro prima di entrare e camminare verso di me lentamente, la pistola nella fondina

« Non ti avvicinare »

singhiozzai, le lacrime che scendevano senza tregua e la pistola alzata contro di lui. Non mi interessava se mi avrebbero scoperto e ucciso, doveva pagare. Nonostante la pistola, nonostante la minaccia, lui continuò ad avanzare fino ad arrivare a pochi metri da me e mettersi in ginocchio. Potevo vedere gli occhi lucidi e le mani che tremavano, quasi come tre anni fa in trincea, ma qui non eravamo io e lui contro tutti; eravamo io contro di lui.

« Solo perchè ti amo Jean, sei l'unica che ho mai amato e so che sei l'unica donna che vorrei avere al mio fianco per tutto il resto della mia vita. Ti ho salvato solo per questo. Magari domani potremmo avere un'opportunità, magari domani potrai amarmi anche te »

mormorò Josh portando una mano prima al viso, accarezzandolo dolcemente e poi alla pancia leggermente rigonfia. Non avevo la forza di fare nulla, non avevo neanche la forza di ribattere a quello che aveva detto perchè un pensiero terribile cominciò a riempirmi la testa, facendomi rabbrividire e speravo di non aver ragione. Lo vidi avvicinarsi e poi mi trovai le sue labbra sulle mie, ma non appena capì che non avrei risposto al bacio subito divenne più aggressivo. Una sua mano andò a stringermi i capelli con forza e tirarli e istintivamente aprii le labbra e subito mi ritrovai la sua lingua in bocca, e solo dopo qualche secondo lui si staccò, le labbra rosse e un poco gonfie, il fiato corto.

« Non potrei mai amarti »

dissi vedendolo alzarsi. La sua mano corse alla pistola nella fondina, la prese e la puntò verso di me. Trovai anche la forza di sorridere un poco. Veramente lui pensava che in quel modo avrei cambiato idea? Non ero un giocattolo, non ero un oggetto e avevo la mia coscienza e la mia testa.

« Solo perchè ti amo »

ripetè prima di uscire dallo sgabuzzino, lasciandomi sola.

 

 

Aspettai un tempo assolutamente lunghissimo prima di alzarmi e uscire da quel posto. Tutti se ne erano andati e a terra rimanevano solamente i corpi della gente uccisa. Non guardai nessuno, impaurita di riconoscere qualcuno, e uscii dallo stadio camminando nell'ombra fino ad un appartamento. Per strada non avevo trovato nessuno, nessun passante e nessun soldato di ronda e anche i cani e i gatti sembravano spariti.

Presi la chiave dentro un vaso ed entrai nell'appartamento di Blake. Si trovava a quasi due kilometri di distanza da quello che dividevo con gli altri ed era piccolo, ma funzionale e sopratutto sapeva di casa e di Lui. Corsi subito verso un armadio e trovai tutto l'occorrente per medicarmi. In guerra facevamo da soli e così avevo imparato ad estrarre un proiettile, disinfettare e ricucire quel genere di ferita.

Avevo paura. Avevo paura di quello che sarebbe successo domani, avevo paura di perdere tutto ciò che conoscevo. Andai nella stanza da letto del ragazzo e mi raggomitolai sul letto posando la testa sul suo cuscino lasciandomi cullare dal suo dolce profumo.

Mi addormentai come un sasso dopo pochi secondi e mi svegliai solamente quando sentii un impulso debole alla testa. Mi alzai con le lacrime agli occhi, mi lavai e cercai di rendermi presentabile. Lasciai i capelli sciolti e nascosi la ferita al braccio, indossai gli stivali e lasciai la pistola in un nascondiglio della casa prendendo come armi due pugnali. Erano stati fatti appositamente per me, erano lunghi e sottili e sulle due impugnature c'erano due Fenici. Misi gli stivali, uscii di casa e mi avviai con tutte le altre persone del quartiere, tutti che guardavano davanti a loro, zitti, gli occhi che sembrava fossero spenti, i movimenti meccanici.

Avevo sperato di aver capito male, ma a quanto pare le mie speranze erano state vane.  

 

   
 
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