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Autore: allegretto    15/09/2014    5 recensioni
Ci vuole un incidente per far sì che tutti si rendano conto di quanto seriamente Jensen stia male. Ma come possono Jared, la famiglia Ackles e i suoi amici aiutarlo, quando lo stesso Jensen rifiuta ogni tipo di aiuto esterno? L'unico modo che essi conoscano, anche a costo di perdere per sempre la stima e l'affetto di questa persona!
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quindici

 

 

L'aria era irrespirabile, quando Jared scese dall'auto davanti al tribunale di Dallas. Non solo già alle dieci del mattino la temperatura era vicina ai quaranta gradi ma quel giorno l'umidità avrebbe fatto invidia a quella percepita in Cambogia. Come se stesse respirando acqua, pensò Jared passandosi un fazzoletto sul viso grondante di sudore. E la sua agitazione non migliorava affatto la copiosa perdita di liquidi del suo corpo.

Fu affiancato dal padre e dal fratello di Jensen e insieme si avviarono verso la scalinata che li avrebbe portati a varcare la soglia dell'imponente edificio della procura statale ma si fermarono bruscamente. Una mezza dozzina di giornalisti e fotografi stazionavano sui gradini e quando riconobbero Jared gli si affollarono tutti intorno, iniziando a bombardarlo di domande.

“Quale sarà il verdetto, Mr Padalecki? Andrà in clinica Jensen Ackles? Verrà estromesso dalla serie, Jensen?”

Pierce uscì fuori di corsa e cercò di creare un varco per permettere loro di guadagnare il più in fretta possibile l'atrio del palazzo di giustizia e sottrarsi a quell'orda di maniaci della notizia a tutti i costi. Giunti al riparo, si sedettero su alcune panche di marmo, cercando di calmarsi. Nell'attendere di essere convocati dagli avvocati della difesa non restò altro che dare un'occhiata ai dipinti appesi al muro raffiguranti i procuratori del passato o ad alcuni arazzi riportanti scene storiche sull'indipendenza del Texas. Nel frattempo Alan aveva ricevuto una telefonata da Morgan, il quale, assieme a Sheppard, stava facendo ritorno a Dallas dopo i quattro giorni passati nella prigione della contea. Il racconto aveva rasserenato molto l'anziano genitore che poi aveva ragguagliato i suoi compagni.

Dopo un breve cenno di Pierce, si accodarono ai componenti dello studio legale e li seguirono in una saletta del primo piano. Là, l'avvocato civilista illustrò come si sarebbe svolta l'udienza e cosa avrebbe detto il giudice. A Jared premeva sapere se Jensen fosse già nell'edificio e se avesse potuto vederlo.

“Si, il trasferimento è avvenuto circa due ore fa. Tra poco dovrei incontrarlo per gli ultimi ragguagli”, spiegò l'avvocato.

“Posso venire anche io?”, chiese Jared, speranzoso.

“Teoricamente no, ma guardo se posso farti passare come uno dei miei assistenti”, rispose il legale, mentre scorreva la lista dei suoi sottoposti.

Mentre Jared e Pierce stavano camminando lungo un corridoio, entrambi pensavano alla stessa persona, però con aspettative diverse: il primo sperava ardentemente in un Jensen, spaurito e tremante, voglioso di essere rassicurato e impaziente di andare in clinica; il secondo temeva che l'aggiunta del 'Corpo Volontario della Croce Rossa' non avesse sortito gli effetti sperati, non perché non avesse protetto a dovere la merce preziosa, ma piuttosto l'avesse resa più forte e baldanzosa.

Bastò un'occhiata a Pierce per avere conferma dei suoi timori. A parte un leggero tremito alle mani, il viso e la postura del giovane indicavano una persona calma e tranquilla. Jensen e Jared, dopo un primo momento di smarrimento e incredulità, si abbracciarono e stettero in quella posizione per alcuni momenti. Pierce li lasciò fare, poi con un leggero colpo di tosse richiamò la loro attenzione.

“Allora Jensen come sono andati questi quattro giorni?”, chiese, poi, facendo cenno loro di sedersi.

“Bene. Anzi, sono proprio pronto a farmi tutti e tre i mesi che mi darà il giudice”, esclamò lui sicuro, tra gli sguardi increduli di Jared e quelli rassegnati di Pierce.

“Vuoi tornare là dentro?”, chiese Jared, allibito.

“Si, si, ho chi mi protegge e so come è l'ambiente. Perciò posso benissimo restare là”, affermò con convinzione Jensen.

“Ma devi disintossicarti!”, insistette Jared, prendendolo per un braccio.

“Ah, lo posso fare benissimo dietro le sbarre e senza il ricorso dei psico-farmaci”, replicò Jensen, allontanandosi da lui.

“Non ci riuscirai! Non in un luogo dove puoi procurarti qualsiasi cosa, se puoi pagare!”, ribatté Jared, esasperato. “Non te lo permetterò, Jensen!”, aggiunse, poi, avanzando verso di lui e afferrandolo per le spalle. “Non lascerò che ti distruggi, come ho fatto in questi anni. Non farò più finta di niente, perciò tu andrai in clinica e volente o nolente ti depurerai dall'alcol e diventerai una persona responsabile!”, sentenziò Jared.

“Non ti azzardare ad intrometterti nella mia vita, Jared!”, esplose Jensen, spingendolo via in malo modo, tanto che Jared, scontrandosi con una sedia, stava quasi per cadere.

“Signori, per favore, comportiamoci da persone civili”, li redarguì l'avvocato.

Dopo alcuni minuti di silenzio assoluto, carico di tensione, durante i quali Jensen si era appoggiato a una finestra e guardava di fuori e Jared si era seduto tenendosi la testa fra le mani, quest'ultimo si alzò e si avvicinò a Jensen.

“Intromettermi nella tua vita?”, domandò Jared, in tono ferito. “Tu non sai cosa stai dicendo, Jensen!”, aggiunge, poi. “Io sono la tua vita!”, affermò, infine, tentando di abbracciarlo.

Jensen si divincolò dalle sue forti braccia e lo spinse via.

“Jensen, sei confuso. Lo capisco. L'astinenza, la paura, la tensione, tutto sta alterando il tuo essere. Comprendo tutto, ma non venirmi a dire che vuoi tornare là dentro perché non ti credo. E' una pessima recitazione la tua”

Jensen alzò le spalle e fece una smorfia di disgusto, ma rimase fermo davanti a Jared. Quest'ultimo tento di accarezzarlo sul viso ma Jensen urlò: “Lasciami stare!”

“Non permetterò che tu butti via così la tua vita”, ribadì Jared, risoluto.

“A te interessa solo che io torni a lavorare, così non perderai il tuo stipendio...”, disse Jensen, andando verso l'avvocato, al quale chiese quanto sarebbe durata l'udienza.

Pierce gli rispose che sarebbe durata al massimo quindici minuti, doveva solo dire al giudice dove voleva scontare la pena e di non parlare se non direttamente interrogato. Jensen annuì e andò verso la porta, senza degnare di una sola occhiata Jared.

Il difensore aprì la porta e fece un cenno a un poliziotto che il colloquio era finito e che il prigioniero poteva essere scortato alle celle in attesa dell'udienza.

Jared rimase seduto su una sedia con lo sguardo perso nel vuoto, poi si alzò e andò verso l'uscita ma Pierce lo bloccò. “Voglio che tu legga attentamente questo documento e poi mi dica se sei d'accordo oppure no”, esclamò, porgendogli un foglio.

Jared lo lesse con attenzione e annuì.

“Ottimo. Allora firmalo”, replicò Pierce, porgendogli la sua Marker argentata.

Jared, senza esitazioni, appose la sua firma e uscì dalla stanza quasi di corsa.

Jensen tornò nella cella comune dilaniato da una miriade di sensazioni, una in contrapposizione all'altra. La più eclatante fu quella della delusione: mai si sarebbe aspettato tale atteggiamento in Jared. Lui sempre così remissivo nei suoi confronti, ora si schierava apertamente contro di lui. Sicuramente suo padre lo aveva convinto ad agire in quel modo.

Erano quasi le dodici quando iniziarono a prelevare i prigionieri dalle gabbie. Jensen fu ammanettato e scortato al piano superiore.

Fu fatto entrare in quella che sembrava una cappella di una delle tante congregazioni protestanti sparse per il paese. Le pareti erano dipinte di verde da terra fino ad una riga nera che correva all'altezza della vita; al di sopra era tutto color crema.

Il pavimento era coperto da una moquette verde e c'erano nove file di panche di legno chiaro che sembravano banchi di chiesa. Nell'ultima fila sedevano il padre e il fratello di Jensen.

Suo padre sedeva impettito con un'espressione neutra. Mentre Josh aveva accennato a un timido sorriso verso il fratello minore, Alan non aveva neanche fatto quello sforzo.

Fu fatto sedere sulla prima fila di panche accanto ad altri detenuti. Davanti a sé molti avvocati tra cui il suo. Non c'erano molto visitatori, giusto i suoi parenti e pochi altri.

In quel mentre entrò anche Jared e si andò a sedere affianco ai due Ackles e il più anziano lo consolò con una pacca sul braccio. Aveva il viso arrossato e gli occhi lucidi e un'infinita tristezza sul volto. Jensen seppe in quell'istante quale sarebbe stato il suo futuro. Lo fissò per qualche istante con uno sguardo fiammeggiante e poi si girò verso lo scranno del giudice. In cuor suo non volle crederci e finché non avesse visto con i propri occhi quel tradimento, non avrebbe perso la speranza!

Entrò il giudice. Era un uomo sui cinquanta anni, bianco, con i capelli brizzolati e un'espressione distesa ma arcigna. Indossava una toga nera e aveva con sé una bottiglietta di acqua minerale che posò sulla scrivania.

Jensen cercò di interpretare la sua gestualità per comprendere che tipo fosse. Era crudele o benevolo? Avrebbe rispettato l'accordo o avrebbe tenuto conto degli ultimi sviluppi e quindi aumentato la pena?

Il giudice osservò la fila dei detenuti e disse: “Buongiorno. Sono qui per esaminare i rilasci su cauzione e gli accordi per la detenzione alternativa”

Aveva la voce bassa e profonda. La pronuncia era perfetta, quasi senza accento. Forse non era originario del Texas, pensò Jensen.

“Avete tutti ricevuto la descrizione delle accuse?”, chiese, poi, guardando la fila degli uomini vestiti con le loro tute arancioni, tipiche di coloro che erano in attesa di giudizio.

Tutti annuirono, compreso Jensen.

Poi proseguì: “Quando sentite pronunciare il vostro nome, vi alzate e andate a mettervi accanto al vostro difensore. Potrete parlare solo se interrogati”

Una donna, seduta a lato del togato, probabilmente un cancelliere, sfogliò un registro e annunciò ad alta voce: “Mark Cassidy”

Costui, un giovane bianco con la barba incolta e lo sguardo assonnato, si alzò e affiancò un uomo che non lo degnò neanche di uno sguardo. Un avvocato d'ufficio, sicuramente. Costui disse che l'imputato viveva con la madre, malata terminale, bisognosa di cure e lavorava in un fast-fodro. Era un drogato con precedenti penali come il furto con scasso. Stessa imputazione di quella volta.

Il giudice lo osservò con intensità e poi dichiarò che la cauzione era di venticinquemila dollari e quindi ne avrebbe dovuto pagare solo duemilacinquecento, ovvero il solito dieci per cento. A Jensen sembrò una decisione clemente e questo gli diede speranza nel pensare che anche a lui potesse essere riservata la stessa sorte.

“Jensen Ackles”, esclamò, all'improvviso, il cancelliere.

Jensen si alzò in piedi e raggiunse Pierce.

“Lei è accusato di guida in stato di ebbrezza, danneggiamento di proprietà statale e di terzi, evasione dai domiciliari, guida senza patente”, lesse il giudice da una cartellina, con tono piatto.

“Come si dichiara?”, chiese, poi, alzando lo sguardo e osservando il giovane con severità.

“Colpevole, Vostro Onore”, rispose Jensen.

“Bene. Ammettere la colpa è già il primo passo verso l'espiazione”, affermò il giudice, sfogliando nuovamente tra i fogli davanti a lui. “E' consapevole che qui in Texas questi reati sono gravi?”

“Si, Vostro Onore. Non intendo, però, ripetere tali fatti. Glielo posso assicurare”, replicò Jensen, con un tono e un'espressione sincera.

“Ne sono certo, anche perché a quel punto verrà gettato in prigione e buttata via la chiave senza appello”, ribatté il giudice, ammiccando. “Ora ascolterò per cinque minuti le tesi della Procura e poi ne darò facoltà alla Difesa, infine enuncerò la mia decisione”, esclamò il magistrato, facendo segno al procuratore di iniziare la sua replica.

“Grazie Vostro Onore. Sarò breve e coinciso. La procura dello Stato vuole il risarcimento per i danni subiti, per sé e per la parte lesa, vuole assicurarsi che tali reati non accadano più e che l'accusato possa ritornare alla sua vita normale in salute e dopo l'espiazione di una congrua pena, ovvero il massimo previsto per questo reato. Siamo favorevoli a concedergli la facoltà di trascorrere tale periodo in un centro di disintossicazione statale. Per quanto riguarda le sanzioni legate all'uso del veicolo sul territorio dello stato, proponiamo il ritiro della patente per cinque anni e due anni in quello federale. Abbiamo concluso, Vostro Onore”, terminò il titolare dell'accusa sedendosi al suo posto.

Il giudice annuì meditabondo e dopo aver scritto alcune annotazioni su un foglio davanti a lui, fece un cenno alla controparte di iniziare la requisitoria.

“Grazie, Vostro Onore. Jensen Ackles è un uomo di successo. Attore brillante, regista, marito e figlio amato. Come tutti i rappresentanti del mondo dorato di Hollywood si è lasciato travolgere dalla celebrità, dal denaro e dal lusso e ha smarrito la dritta via. Con questo, noi non lo giustifichiamo ma possiamo soltanto indicargli come ritornare a essere un uomo stimato e rispettato, oltre a essere ligio alle leggi.

“La sua famiglia, il cui padre e fratello maggiore sono presenti in aula oggi, non lo ha mai abbandonato e intende seguirlo e supportarlo fino alla completa guarigione, assieme alla vasta cerchia di preziosi amici, di cui un rappresentante è oggi qui con noi”, continuò l'avvocato, indicando le tre persone sedute in fondo alla sala “ e lo aiuteranno lungo questo arduo cammino”, continuò poi.

“Invochiamo la clemenza della corte, partendo dal presupposto che tutti possiamo smarrire la via maestra e ci è concesso, in virtù del concetto che sbagliare è umano, sperare in una seconda possibilità. Ho finito, Vostro Onore”, terminò Pierce, sedendosi al suo posto.

Il giudice Snow aveva ascoltato con molta attenzione le parole dell'avvocato difensore, aveva osservato i volti dei parenti stretti del giovane e dell'amico, analizzato le loro reazioni al discorso del titolare della difesa e si era sorpreso un paio di volte nel notare l'intensa emozione sul volto del più giovane convenuto tra quelli che appoggiavano l'accusato.

“Jensen Ackles”, esclamò il giudice e ciò fece scattare in piedi Pierce e con qualche attimo di ritardo il suo cliente, un po' timoroso.

“Questa corte vorrebbe essere severa nei suoi riguardi, ribadendo che i suoi reati sono abbastanza gravi in questo stato, soprattutto quelle leggi infrante di cui lei dovrebbe esserne a conoscenza in quanto nato qui a Dallas e fino all'età di diciotto anni fruitore dei diritti e doveri del Texas e ciò mi porta a pensare che i soldi, la fama e il successo facciano passare in secondo piano tutto ciò che sia legale e giusto.

“Mi rendo però conto che lei, impersonando un giovane che tiene alla propria famiglia e lotta contro il male, sia un simbolo positivo per i giovani e Dio sa solo di quanto i nostri ragazzi abbiano bisogno di questo. Quindi più presto tornerà ad impersonare quel giovane cacciatore di demoni e meglio sarà per tutti. Perciò mi atterrò al primo accordo fatto dal suo avvocato con la procura prima che lei prendesse la sciagurata decisione di andarsene a spasso per la città senza patente e probabilmente ubriaco”, concluse il giudice, riordinando le carte. Poi aggiunse, sottovoce: ”Per quel reato, lei ha già fatto quattro giorni di reclusione e sono più che sufficienti, per uno abituato al lusso dei grandi alberghi”

Jensen, impalato accanto al suo avvocato, aveva la testa confusa. Aveva capito più o meno il succo del lungo discorso e si era meravigliato che si fosse preso la briga di andarsi a leggere la trama del telefilm, ma non ricordava assolutamente quali fossero i dettagli di quel primo compromesso. Aveva barlumi di rimembranza su quanto gli era stato detto all'ospedale, ma quel giorno era rimasto troppo sconvolto da quello che era successo per poter ricordare qualcosa. Lo aveva tranquillizzato, però, il sospiro di sollievo e il sorriso di Pierce esternato quando il giudice aveva pronunciato quelle parole.

“Questa corte la condanna a 90 giorni di reclusione nella casa penale di North Pond, tramutabili in altrettanti giorni di ricovero in una clinica statale per disintossicarsi dall'abuso di alcol. Dovrà pagare 3000 dollari di ammenda per risarcire lo stato e sarà quantificato un ammontare per il indennizzare la parte civile lesa. Le verrà ritirata la patente per cinque anni all'interno dei confini texani e per due anni sul territorio federale.

“Per rientrarne in possesso dovrà sostenere un esame teorico-pratico e avrà un periodo di prova di almeno un anno”, dichiarò, con fermezza, leggendo da un documento. Poi si tolse gli occhiali, alzò il viso e piantò i suoi occhi in quelli di Jensen. “Le è tutto chiaro?”, chiese, poi.

Jensen, intimorito da quello sguardo così penetrante, annuì lentamente. Pierce lo toccò su un gomito e gli disse sottovoce di esternare con la voce il suo assenso.

“Si, Vostro Onore”, gracchiò allora Jensen, con voce tremolante.

“Ottimo”, replicò il togato. “Ora mi deve dire cosa vuole fare: andare a North Pond per novanta giorni o essere ricoverato in una clinica statale?”, chiese, poi, sempre con il tono usato in precedenza.

Tutti gli astanti ai quali stava a cuore il benessere di Jensen trattennero il fiato. Il momento della verità era arrivato. Alan aveva la fronte imperlata di sudore, nonostante un robusto ventilatore facesse volteggiare le pale sul soffitto e smuovesse l'aria con efficacia. Josh continuava a inghiottire a vuoto, cercando di liberarsi la gola da un grumo che gliela ostruiva e gli impediva di respirare bene. A Jared tremavano le mani. Era un tremito incontrollato. Non sapeva dove metterle o come fermare quella spirale di terrore che gli stava invadendo il corpo. Pierce aveva messo già una mano su una cartellina, posta in cima a una pila di fogli che aveva messo davanti a sé.

Jensen, conscio di quanto stava per dire e indifferente alla reazione che avrebbe suscitato la sua decisione, affermò con sicurezza: “North Pond, Vostro Onore!”

Un singulto scappò dalle labbra di Jared, il quale si portò una mano alla bocca per evitare di gridare. Alan si alzò lentamente dalla panca, diede una stretta alla spalla di Jared e senza dire una sola parola uscì dalla sala, mestamente.

Il giudice strabuzzò gli occhi. Non credeva alle proprie orecchie. Chiunque altro avrebbe fatto salti di gioia a non dover finire in quel girone infernale del penitenziario di contea. Poi osservò lo strazio dei convenuti, l'uscita del padre affranto e la compostezza e relativa calma dell'avvocato difensore. Aveva un asso nella manica e stava per esibirlo.

“Vostro Onore, vorrei porre alla attenzione della corte questo documento. Posso avvicinarmi?”, chiese Pierce, mostrando un foglio.

Jensen cercò in tutti i modi di prendere possesso di quel pezzo di carta ma l'avvocato, ovviamente, non glielo permise. Il siparietto tra loro due divertì un poco il giudice, il quale intuì la vera natura della tranquillità del difensore.

Fece, perciò, segno a un agente di mettersi a lato del condannato in modo che si calmasse. A Jensen tale mossa non piacque affatto ma si sedette composto.

“Vostro Onore, questa è la procura che dà la facoltà al tutore di Jensen Ackles di agire in vece sua quando lui non sia in grado di farlo e secondo questo atto firmato dal medico che lo ha avuto in cura all'ospedale di Dallas”, spiegò Pierce, sottovoce, mostrando un secondo foglio al giudice. “il signor Ackles è in preda a una forte astinenza alcolica per cui non sarebbe in grado di intendere e volere con lucidità”, concluse il difensore.

Il magistrato prese i due fogli e li studiò con attenzione, poi li passò al procuratore che fece altrettanto. “Va bene. Potete accomodarvi”, esclamò Snow, tenendo fra le mani il modulo compilato e firmato da chi aveva assunto la procura.

“Jared Padalecki, lei è stato nominato da questa corte l'amministratore legale di Jensen Ackles, il quale viene dichiarato 'incapace di intendere e volere' in modo temporaneo. Accetta l'incarico?”, chiese il giudice, rivolgendosi verso un giovane, seduto sulla panca, palesemente nervoso e sull'orlo di una crisi di panico.

Jared, ormai in uno stato di isterismo incontrollato, si alzò in piedi e dopo aver chiuso gli occhi e sospirato sconfitto, rispose: “Si, Vostro Onore”

Jensen scattò in piedi immediatamente: “Maledetto bastardo!”, urlò in direzione di Jared. “Ti sei fatto abbindolare dalla mia famiglia. Meno male che dicevi che volevi solo il mio bene! Spero ti possa venire un colpo e rimanerci secco”, continuò, cercando di dirigersi verso Jared.

“Ordine! Ordine!”, gridava il giudice, picchiando con il martelletto su un piccolo ceppo di legno posto sulla sua scrivania.

“Come puoi farmi rinchiudere là dentro? Come?”, urlò, cercando di divincolarsi tra due agenti di polizia che cercavano di tenerlo fermo.

Jensen fu costretto a sedersi con la forza e solo con la presenza di altri poliziotti e di un manganello spuntato fuori all'improvviso, si calmò.

“La avverto, signor Ackles. Se darà di nuovo in escandescenze in questa aula le aggiungerò anche l'imputazione di 'oltraggio alla corte' e quindi a trenta giorni in più di reclusione e a mille dollari di ammenda”, affermò il giudice Snow, ad alta voce.

Jensen sbuffò ma non disse nulla. Della multa non gliene importava nulla ma un mese in più poteva far saltare il suo contratto con la Warner Bros. Niente però gli avrebbe impedito di spaccare la faccia a quel traditore appena ne avesse avuto l'occasione, fuori da quel tribunale.

“Riformulo la domanda fatta precedentemente: sceglie la reclusione a North Pond o in una clinica statale?”, chiese il giudice, rivolto a Jared.

Colui che doveva rispondere lanciò un'occhiata fugace a Jensen che stava dall'altra parte della sala, colui per cui il suo cuore batteva in ogni momento della giornata, alla sua unica ragione di vita. Poi, anche se Jensen aveva il capo chino e costretto ad ascoltare le sue parole e ben sapendo di andare contro la sua volontà e che ciò avrebbe sancito la fine della loro amicizia e il tramonto definitivo del sogno di poter tornare insieme, rispose con un filo di voce: “Clinica statale, Vostro Onore!”

Jensen rimase immobile ma non per questo avrebbe accettato supinamente quella decisione; era abbastanza intelligente da capire che quella non era la sede appropriata per sfogare la sua rabbia.

“Benissimo. Il procuratore le fornirà una lista di siti dover poter condurre la disintossicazione. Invito le parti a trovare la sede entro stasera per evitare ulteriori conseguenze”, sentenziò il giudice.

“Grazie, Vostro Onore!”, disse l'avvocato difensore, sollevato. “Un'ultima richiesta, se me lo consente”, aggiunse poi.

Il giudice fece il gesto di procedere.

“Potremmo dare la possibilità al signor Ackles di andare a casa stasera e poi domani mattina recarsi in clinica con calma?”

“Se il procuratore è d'accordo e il tutore si impegna a consegnarlo senza indugi entro le dodici di domani mattina, per me va bene”, dichiarò il giudice, poi si rivolse al giovane, seduto al banco della difesa: “Spero signor Ackles di non rivederla più in un'aula di giustizia, perché sarò meno clemente la prossima volta”, affermò il togato, prima di allontanarsi.

Jensen fu scortato nelle celle di detenzione provvisoria ad aspettare la convocazione del suo avvocato, quando quello avrebbe avuto la lista in mano. Fu scortato da ben quattro agenti e non degnò neanche di uno sguardo nessuno. Tenne gli occhi bassi e lo sguardo fisso.

Non appena aveva pronunciato quelle parole così pesanti, Jared era corso fuori dall'aula alla ricerca di un angolo privato dove poter sfogare quelle lacrime che stavano tracimando dai suoi occhi. Non trovò di meglio che rifugiarsi nei bagni, dove, dopo essersi accertato che non vi fossero occhi indiscreti, diede libero sfogo alla sua frustrazione. Sapeva che un giorno Jensen gli avrebbe riconosciuto l'alto valore del suo gesto ma in quel momento gli pesavano come macigni sul cuore quelle parole pronunciate in aula, dette sicuramente più per la rabbia che per coerenza.

Sapeva, per esperienza, che chi arrivava a maledire qualcuno durante uno sfogo di rabbia, in fondo al suo animo era consapevole di quello che diceva e che una parte del proprio essere era intriso di cattiveria, ma Jensen era un'anima pura e mai e poi mai avrebbe pensato a quelle cose. Si sentiva soffocare in quello spazio angusto, perciò si ritrovò all'esterno e per fortuna passò da una porta laterale, visto che sulla scalinata stazionavano ancora alcuni giornalisti. Decise così di camminare, anche se la calura estiva era intensa e il sole implacabile. Si ritrovò seduto su una panchina nel parco principale della città. Rivide l'espressione ferita sul viso di Jensen tramutarsi in odio; riascoltò le sue parole ed ebbe l'impressione che dita gelide si chiudessero intorno al suo cuore e lo stringessero in una morsa sempre più potente.

Jensen era incredulo. Aveva un disperato bisogno di bere, alcolici ovviamente. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per bere anche solo una goccia di birra o di whisky. La testa gli stava per scoppiare. Aveva l'emicrania da ore e andava sempre peggio, per non parlare della nausea e del tremore che ormai si era impadronito di tutto il suo corpo. La zona delle celle risuonava di urla e risate. Quella cacofonia di rumori gli impediva di pensare, di analizzare cosa era accaduto in quell'aula e gli aumentava il malessere.

Intanto si era accorto che era ancora innamorato di Jared o meglio non aveva mai smesso di esserlo. Aveva solo accantonato la questione, dopo l'ultimatum del network per il quale loro lavoravano. Nell'attimo in cui Jared aveva preso la decisione di decidere al posto suo, quel sentimento era morto. Defunto, per sempre. In quell'attimo le loro esistenze erano cambiate in modo radicale e lui capiva di non essere ancora riuscito ad assorbire e a valutare ciò che era accaduto. Il tradimento di Jared era qualcosa di inspiegabile.

Le ore trascorsero lentamente e man mano che il pomeriggio diradava nella sera, Jensen rimase l'unico fruitore della guardina giudiziaria. Aveva pranzato con un tramezzino e una lattina di Coca-cola e aveva in tutti i modi cercato di farsi portare una birra, corrompendo agenti e funzionari ma nessuno cedette, anche se lo conoscevano bene e sapevano che poteva pagare ogni cifra pronunciata per arrivare all'agognato liquido amarognolo.

Alle sei fu accompagnato nell'ufficio dei colloqui con gli avvocati e vi trovò Pierce da solo.

“Spero che ti sia calmato. A momenti mandavi tutto all'aria. Meno male che c'era il giudice Snow, notoriamente considerato un 'bonaccione'”, lo redarguì Pierce, indicandogli una sedia dove sedersi.

“Nomina pilotata?”, chiese Jensen, ammiccando.

“Non faccio quelle cose. La corruzione è un boomerang in questi ambienti. Ti si ritorce sempre contro. Siamo solo stati fortunati”, rispose l'avvocato un po' risentito.

“Delle quattro cliniche che erano sulla lista, ne abbiamo scelto una, consona al tuo status e che offre servizi di qualità. Ha già accolto altre celebrità come David Duchovny”, spiegò il difensore, allungando alcuni fogli stampati dal computer che illustravano le meraviglie del resort 'Blue Sky'.

“A me non interessa. Io avevo già fatto la mia scelta”, esclamò Jensen, buttando a terra i pezzi di carta.

“Dovrai darti una calmata. Dove stai andando non tollerano certe scenate”, sbottò Pierce.

Jensen accusò il colpo e tirò su gli incartamenti finiti sul pavimento.

“Hai sentito il giudice? Ti ha concesso la possibilità di trascorrere la notte a casa. Ad Austin devi esserci entro le dodici di domani mattina. Andrai con i tuoi genitori ma ti seguirò anche io. Devo firmare dei documenti”, dichiarò Pierce, ignorando il gesto di Jensen, mettendo gli ultimi documenti nella sua valigetta e chiudendo la serratura a scatto.

Jensen non disse nulla. Fece spallucce con aria scocciata e si alzò dalla sedia.

“Promettimi una cosa, però?”, chiese il difensore, avvicinandosi al giovane. Jensen fece un cenno con la testa per invitarlo ad andare avanti, “Non metterai piede fuori da casa tua finché non dovrai uscire domani mattina. Siamo intesi?”

Jensen annuì.

Pierce lo osservò attentamente. Sembrava sincero. “Se ciò dovesse accadere, ti cercherai un altro avvocato. D'accordo?”

Il giovane annuì nuovamente.

“Desidererei sentire la tua voce. Credo di essermelo guadagnato in fin dei conti, no?”, chiese retoricamente Pierce, risentito dall'atteggiamento del suo cliente ma che considerava anche suo amico

“Va bene, Tom. Ho capito. Non sono stupido fino al punto da non capire che se ne sono uscito abbastanza indenne lo devo a te”, esclamò Jensen, riconoscente. “Rimane il fatto che hai contribuito però a fregarmi e non credo perdonerò mai Jared per quello che mi ha fatto!”, aggiunse poi, con lo sguardo irato.

“Jared ti ha salvato la vita. Ora non comprendi ma tra qualche mese capirai”, replicò l'avvocato, avvicinandosi alla porta.

“Non credo proprio”, replicò Jensen, sicuro.

Il viaggio verso Richardson avvenne nel silenzio più assoluto. Jensen aveva preteso che lo accompagnasse Pierce da solo. Non avrebbe passato neanche cinque minuti in compagnia di Jared o di suo fratello Josh. Non con quei continui sguardi di disapprovazione che gli lanciavano continuamente.

Giunto a casa, si diresse immediatamente in camera sua, in quanto sapeva benissimo che avvicinarsi

al mobile bar gli sarebbe stato impedito a tutti i costi. Solo dopo aver sentito chiudere violentemente la sua porta, tutti si rilassarono.

Fu preparata la cena e MacKenzie si arrischiò ad andare a bussare alla porta della camera di suo fratello per chiedergli se volesse mangiare con loro ma ottenne una risposta negativa con tono lugubre. Non acconsentì neanche che gli venisse servita in camera.

Donna non prese bene quella decisione ma poteva fare ben poco. Se non voleva mangiare, peggio per lui, pensò mentre serviva la cena ai suoi ospiti.

Jared era consumato dalla voglia di andare da lui e di fargli capire che non aveva avuto altra scelta, che nessuno gliela aveva imposta e che riteneva di essere nel giusto. Mangiò poco e poi chiese se poteva andare a coricarsi nella stanza di Mac. Donna gli disse che poteva fare quello che voleva e cercò di confortarlo facendogli una carezza sul viso, quando aveva captato l'infinita tristezza nei suoi occhi. “Se hai bisogno di parlare, io ci sono”, esclamò lei, prima che lui uscisse dalla sala da pranzo.

Lui annuì e mormorò un breve ma intenso “Grazie”

Passando accanto alla porta della camera di Jensen, percepì la televisione accesa. Non era alto il volume ma riuscì a decifrare che si trattava di un canale sportivo e che stava trasmettendo una partita di football con i Dallas Cowboy. Gli venne ancora di più il magone ripensando al passato: erano soliti vedere insieme la partita, facendo un tifo chiassoso per la propria squadra e inveendo contro gli avversari. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter entrare in quella stanza e potersi sdraiare accanto a Jensen. Si sentiva in quel momento l'uomo più infelice della Terra.

Il mattino dopo scese molto presto in cucina a farsi un po' di caffè prima che tutti gli altri si riversassero per la casa. Là trovò Morgan e Jensen. Il secondo lasciò la stanza appena lui vi mise piede. Morgan rimase seduto al tavolo, sorseggiando dalla propria tazza.

“Immagino cosa ti abbia detto su di me...”, borbottò Jared, versandosi anche lui la bevanda nera fumante in una tazza.

“Più che altro abbiamo parlato di quanto sia stato stupido e irresponsabile...”, ribatté Morgan, allungandosi per prendere un altro biscotto alle noci pekan.

“Eh bè, quello era sottinteso ma lui non capisce. Si comporta come un bambino capriccioso!”

“Ahahah, le mie stesse parole. Vorrei proprio tornare a North Pond per terminare quello che avevo iniziato là....”

“Per fortuna andrà in clinica, ma anche quello non lo comprende”, sussurrò Jared, sedendosi davanti al suo amico.

“Jared, lo capirà. Fra qualche mese, ti chiederà scusa e sarà tutto come prima. Conosco la terapia che fanno fare in quelle cliniche. Gli inculcano il concetto di chiedere perdono e di rendersi disponibili verso chi hanno offeso”, spiegò Morgan.

“Spero gli ficchino in testa anche un po' di saggezza. Non sarebbe male”

“Non credo facciano miracoli, però!”, ghignò Morgan, afferrando un altro biscotto.

Jared accennò a un sorriso.

“Non c'eri ieri sera a cena. Dove sei andato?”, gli chiese, tanto per fare un po' di conversazione.

“Mark ed io abbiamo assaporato la libertà andando fuori a cena in un ristorante messicano e poi avevamo un debito da saldare”, rispose l'attore più anziano. “Volevamo andare in albergo ma io avevo dimenticato il trolley qui e così siamo passati di qui per le due. Meno male che lo abbiamo fatto, comunque”, continuò.

“E come mai?”, chiese Jared, stupito.

“Abbiamo beccato Jensen che si stava scolando un paio di birre in giardino”, rispose Morgan, sospirando. “Te l'ho detto avrei voluto essere a North Pond in quel momento...”

“Poi mi spiegherai cosa è successo nel carcere della contea”, esclamò Jared, dubbioso.

“Si, prima o poi lo racconterò. Non ne vado fiero ma forse è l'unico modo per far capire a quel testone quanto sia deficiente ”, ribatté lui, sibillino.

Non appena la cucina iniziò a riempirsi di persone alla ricerca di caffè fresco, Jared preferì salire nella stanza e prepararsi per il viaggio. Dopo mezz'ora Josh iniziò a chiamare a gran voce coloro che dovevano affrontare le ultime miglia per arrivare ad Austin e quando tutti avevano già preso posto in auto e lui, il designato autista, tamburellando le dita sul cruscotto, impaziente, in attesa del fratello minore, stava per scendere dalla macchina per andarlo a prendere e portarlo giù con la forza, lo vide uscire dalla porta di casa con un borsone a tracolla.

“Alla buon'ora, Jensen! Tra un po' tramonta il sole”, esclamò, irato, fulminandolo con lo sguardo.

“Eh bè, potevi venire a vedere dove fossi finito...”, replicò lui, asciutto.

“Certo, se venivo a cercarti, alla clinica ci arrivavi con qualche dente in meno”, sibilò Josh, mettendo in moto.

Donna e Alan sul sedile posteriore non fecero commenti ma i loro sguardi erano eloquenti. Peggio di così non poteva andare.

Jared salì in auto con Pierce e salutando MacKenzie e gli altri con un cenno del capo, si accinse a intraprendere quel viaggio così lungo e tormentato.

Le autostrade texane sono un incubo e il traffico, benché sempre caotico e abbastanza congestionato, era scorrevole quella mattina, merito delle otto corsie per direzione e le ampie carreggiate. L'ora di punta mattutina era appena terminata e complice la giornata uggiosa, l'avvicinamento ad Austin risultò essere tranquillo e veloce, nonostante il ritardo precedentemente accumulato.

Nell'auto degli Ackles il silenzio permeava ogni spazio ed era stato interrotto solo da Donna quando aveva fatto girare le sue caramelle alla menta. All'uscita della superstrada verso la periferia della capitale del Texas, Josh aveva rallentato, fino a quasi fermarsi, per attendere l'arrivo dell'auto dell'avvocato e alle occhiate interrogative di Jensen, il fratello maggiore non aveva dato risposta. Quando furono superati dalla BMW di Pierce, Jensen sbuffò mentre Josh rimetteva in moto il Suv sogghignando in modo diabolico.

Josh smise subito quando sentì suo fratello minore tendersi per il nervosismo e la rabbia che covava dentro di lui. Lo conosceva bene e sapeva perfettamente che se quell'ira fosse esplosa, quella giornata non si sarebbe conclusa bene per ognuno di loro.

Grazie al navigatore installato sull'auto di suo padre, Josh trovò con facilità il viale di accesso alla clinica e mentre lo percorreva, sentiva sua madre esprimere giudizi positivi. Alan esternò speranza che nessuno tra giornalisti o fotografi avessero trovato quel luogo.

“Guarda Jensen, potrai finalmente leggere tutti quei libri che dici sempre di non avere mai tempo di fare, sotto quegli alberi, seduto sulle panchine o sdraiato sul prato!”, esclamò Donna, entusiasta.

Jensen roteò gli occhi e non rispose. In quel momento voleva solo un'unica cosa: affrontare Jared e riversargli addosso tutta la sua amarezza e delusione. Scese dall'auto e andò verso il bagagliaio posteriore, aspettando Josh che lo aprisse per prendere il suo borsone di cuoio. Sua madre gli diede un trolley dove disse di aver riposto i pigiami e le tute che aveva all'ospedale, insieme ad altra biancheria, aggiungendo che gli sarebbe servita sicuramente.

Jensen si mise la tracolla della borsa attorno al collo e afferrò il manico del trolley e riconoscente diede un buffetto al viso di sua madre, la quale elargì un sorriso affettuoso a quel suo figlio così sfortunato. Avrebbe potuto essere felice: era famoso, guadagnava molti soldi, faceva un lavoro che gli piaceva molto, era sposato con una bella ragazza. Non lo era, non lo era mai stato tranne che per pochi anni durante i quali era stato con Jared, fino al momento in cui il network, per il quale entrambi lavoravano, aveva imposto loro di troncare ogni tipo di relazione omosessuale e di condurre una vita etero ed avere dei figli, pena la rescissione del contratto. Jared era disposto a lasciare tutto e uscire allo scoperto, Jensen non se l'era sentita. Aveva preferito la carriera alla felicità. E questo era il frutto di quella scelta, pensò Donna, guardando suo figlio mentre si avviava verso l'entrata della struttura.

In quel momento arrivò un taxi. Tutti si girarono a vedere chi stesse arrivando e si augurarono che non fosse qualche giornalista disposto a tutto pur di avere una foto scoop. Josh e Jared si avvicinarono minacciosamente all'auto ma si fermarono quando si aprì lo sportello posteriore. Ne scese una donna, fasciata in un raffinato abito di seta bianca di Chanel, completato da scarpe e borsa di vernice nera e un cappello di paglia che sembrava assolutamente fuori luogo ma era graziosissimo.

Rimasero tutti allibiti. Mai e poi mai si sarebbero aspettati di trovarsi di fronte a Danneel.

“Dani! Che ci fai qui?”, chiese Jensen, infastidito.

“Bè, non potevo di certo perdermi questo momento. Sono sempre tua moglie, no?”, replicò lei, mettendosi sulle punte dei piedi per baciare suo marito.

“Certo, soprattutto quando è il momento di pagare da Chanel che ti ricordi chi è tuo marito, vero?”, ribatté lui, allontanandola.

“Non è vero!”, esclamò lei, rattristata dall'atteggiamento di Jensen.

“Cosa vuoi Danneel?”, chiese Alan, esplicito.

“Ah, vedo da chi ha preso le maniere da gentiluomo Jensen”, rispose lei, sarcastica. “Non posso essere qui per supportare mio marito in questa difficile giornata per lui?”, chiese lei, risentita.

“No!”, esclamarono in coro Josh e Alan Ackles.

Lei esternò un'espressione offesa, mettendo il broncio. “Quanto dovrai stare qui dentro?”, chiese poi lei rivolta solo a Jensen ed ignorando gli altri.

“Tre mesi”, rispose lui, con un sussurro.

“TRE MESI?”, sbottò lei, ad alta voce. “E io come faccio?”, aggiunse, poi, lasciandosi travolgere dall'ansia.

“Eh, per tre mesi non succede nulla. Se hai paura a stare da sola, puoi sempre andare a stare dai miei genitori”, rispose Jensen, accennando a un sorrisetto ironico.

“Non è che ha a che fare con i conti bloccati?”, chiese Donna, sospettosa.

Danneel si affrettò a negare ma il lieve rossore sulle sue guance l'aveva tradita.

“Mr Ackles? Jensen Ackles?”, chiese un uomo con un camice bianco.

Jensen si svoltò e si trovò davanti a un giovane, più o meno della sua età, con un caldo e amichevole sorriso dipinto in volto.

“Sono il dottor Thompson. Il suo terapista e capo dello staff medico che la seguirà nei prossimi mesi. Piacere di conoscerla”, si presentò e allungò la mano destra per farsela stringere dal suo paziente in segno di saluto.

Jensen gliela strinse, più per un riflesso condizionato che per puro gesto di cortesia. Il dottor Thompson poté facilmente vedere il marcato disinteresse negli occhi del giovane.

“Se è pronto, compiliamo i moduli per l'ammissione, così ne inviamo una copia alla procura di Dallas”, spiegò lui, tenendo aperta la porta per farlo passare.

“I familiari possono attendere qui. Il vostro congiunto potrà salutarvi non appena avrà terminato la parte burocratica”, continuò il terapista, impedendo a Donna di seguire suo figlio.

“Mr Padalacki?”, chiese poi consultando un foglio davanti a sé.

“Padalecki, ma mi chiami pure Jared. E' più semplice così”, rispose il giovane, con tono lieve, avanzando verso il dottore.

“Bene, Jared. Mi segua. Anche lei dovrà compilare i documenti e firmarli”

Jensen lanciò un'occhiata di odio verso di lui e si scostò di scatto per farlo passare, andando a sbattere contro il muro. Lo psicologo intuì che fra loro due c'era dell'astio ma non disse nulla. Tutto ciò, però, sarebbe stato utile durante le future sedute di psicoterapia con il suo nuovo paziente.

“Le va bene una relazione dettagliata su Mr Ackles una volta alla settimana?”, chiese il medico, rivolto al tutore di Jensen, dopo aver compilato gli spazi inerenti ai dati anagrafici del paziente.

Jared alzò gli occhi e guardò Jensen, seduto su una poltrona poco distante da loro. Stava guardando fuori. I viali alberati erano invitanti, Lì si potevano fare lunghe passeggiate tra il fresco degli alberi e assaporare quella tranquillità che a Jensen era mancata in quegli ultimi tempi.

“Si, va benissimo”, rispose poi, distogliendo lo sguardo.

“Per quanto riguarda le misure di contenzione, e purtroppo potrebbero essere necessarie se non collaborasse a pieno alla terapia, possiamo avere carta bianca oppure vuole inserire delle limitazioni?”, chiese Thompson, un po' nervoso. Quella parte era sempre un po' complessa per i familiari. “Ovviamente sarà informato immediatamente”, aggiunse, poi, premuroso.

Jared lo guardò stranito. “Quali misure di contenzione?”, chiese poi, ansioso.

“Mah, niente di eclatante. Dosi doppie di psico-farmaci oppure blanda contenzione a letto o in poltrona. Cose così...”

“Ah, bè, se non si può fare in un altro modo...”, replicò Jared, non sapendo bene cosa dire. Non si era proprio aspettato quel risvolto.

“Eh, noi dobbiamo disintossicarlo con le buone o con le cattive e non mi sembra molto propenso a seguire le direttive, a quanto vedo”, ribatté Thompson, preoccupato per l'atteggiamento del suo paziente.

“Si, non è una persona molto facile da rapportarsi. Soprattutto se si fa sopraffare dall'ira”, affermò Jared, anche lui pensieroso. Conosceva molto bene il caratteraccio di Jensen. A volte era proprio irascibile.

“Ah, allora va bene. Metta una firma qui dove mi autorizza a usare forme di coercizione fisica, in caso di bisogno”, disse il dottore, facendo segno a Jared dove apporre la sua firma.

Completata quella fase furono concessi a Jensen cinque minuti per salutare tutti i familiari. Un inserviente gli aveva preso i bagagli, portandoli nella sua stanza.

Jared era già uscito fuori e stava parlando con Alan e Josh di quella questione che era sorta al momento delle firme, quando fu afferrato per una spalla e girato di scatto, trovandosi davanti un furente Jensen.

“Sporco bastardo traditore! Come hai osato vendermi in questo modo!”, urlò, spintonandolo via. “Non vedevi l'ora di liberarti di me, vero?”, continuò Jensen, dando manate contro il petto di Jared che impotente si lasciava sospingere verso il centro del cortile.

“Jensen...”, mormorò Jared.

“Lo sai perfettamente cosa succederà quando mi rifiuterò di prendere quelle dannate pillole che mi intontiranno come un ebete. Hai firmato per farmi rinchiudere e per farmi maltrattare come e quanto vogliono!”, sbraitò come un indemoniato. “Che razza di uomo può fare questo al suo migliore amico?”, rincarò la dose.

“Il tipo che vuole solo il tuo bene, Jensen”, Jared tentò un autodifesa. “Te l'ho detto prima. Questa volta non starò da una parte a vederti distruggere la tua vita e la tua carriera”

“Ah, lo sapevo. La mia carriera....certo ti interessa solo questo...”

“Non è come pensi tu. Ti voglio bene, Jensen, ma non posso lasciare che annienti tutto questo”, replicò Jared.

La rabbia di Jensen esplose all'udire quelle parole e prima che qualcuno potesse fermarlo, alzò un pugno e colpì con violenza Jared in pieno volto. Il giovane quasi perse l'equilibrio per la violenza del colpo ma riuscì con uno scatto della schiena a non cadere, portandosi però le mani al viso.

“JENSEN!”, gridò Alan, correndo verso suo figlio, afferrandolo per le spalle e scrollandolo. “Cosa stai facendo? Ti dà di volta il cervello?”, gridò.

Jensen si divincolò dalla stretta del padre e si riavvicinò di nuovo a Jared, il quale si teneva una mano sulla parte sinistra della faccia.

“Non voglio più vederti! Ti odio per quello che mi hai fatto. Non appena potrò, chiamerò i produttori e rescinderò il contratto. Così staremo a vedere cosa farai senza di me”, urlò come un forsennato.

Donna Ackles scoppiò a piangere. Era l'epilogo di tutta quella dolorosa vicenda e lei non sopportava di vedere suo figlio dare in escandescenze proprio verso colui che considerava l'unica persona che fosse in grado di renderlo felice.

Per fortuna due infermieri uscirono fuori sul piazzale, attirati dalle urla, e acchiapparono Jensen portandolo all'interno della struttura. Jensen si lasciò guidare senza opporre resistenza.

Agli astanti non rimase altro che andarsene e riprendere la loro vita come se quel triste finale non fosse mai accaduto, anche se era difficile da dimenticare.

Qualcuno aveva sistemato gli oggetti personali di Jensen nell'armadio della sua camera e provveduto a togliere tutto ciò potesse essere usato come arma impropria. Fu trovato un quaderno tra i suoi effetti e fu consegnato al dottor Thompson.

Era fasciato con una carta color avorio e disegnata e colorata artigianalmente, raffigurante un arcobaleno. Sulla prima pagina c'era scritto: Ti amo e sarà sempre così, qualsiasi cosa tu farai o dirai e qui ci sono i motivi per cui sono arrivato alla conclusione che la mia vita è vuota senza di te!

Tuo, Jared.

Il dottore lo sfogliò brevemente e poi lo ripose in una cartellina con il nome Ackles nel suo archivio. “Meno male, se lo avesse trovato ora lo avrebbe distrutto e con esso tutta la sua vita”, borbottò, chiudendo a chiave il cassetto.

Riteneva quello un caso assai complesso ma aveva un'arma in più per arrivare alla guarigione. Quel diario lo avrebbe aiutato a sbrogliare quell'intricata matassa!

 

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Angolo di Allegretto

E' stato un capitolo assai difficile da scrivere. Un po' per le mie limitazioni fisiche e un po' per quello che dovevo descrivere. L'ho fatto abbastanza lungo in modo da essere considerato quasi come se ne fossero due assieme.

Ho fatto delle ricerche sulle cliniche americane per la disintossicazione e quelle in Texas sono quelle più coercitive. Sono basate sia sulla psicoterapia, sia sulla somministrazione di psico-farmaci più o meno forti e sulla contenzione fisica.

Penso di riuscire a terminare la storia nei prossimi due capitoli e vi assicuro che saranno molto più sereni e romantici. Attendo come sempre i vostri consigli e suggerimenti che cerco di inserire nella storia (come quello di far avere il diario di Jared a Jensen tramite la madre).

Ringrazio con grande piacere e riconoscenza quanti hanno la pazienza di aspettare i miei aggiornamenti ritardatari, ormai arrivati ad ere geologiche. Vi voglio bene!

 

 

 

 

 

  
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