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. Perché non…
Da
sotto un tavolo è difficile percepire cosa succede in una
stanza intera. Per
questo motivo Rose ed Emily continuarono a parlare tra di loro, anche
dopo che
qualcosa fu appoggiato sul tavolo, facendolo ondeggiare ritmicamente e
producendo
dei rumori insoliti.
“Scusa
se ti ho spinto” disse Rose porgendo la manina a Emily
“A volte non controllo
la mia magia”.
“Tranquilla,
non mi sono fatta niente!” disse Emily sorridendo. Si sedette
sulle ginocchia e
si sistemò la spallina del vestitino.
“Perché
eri nascosta qua sotto?” chiese Rose.
“Non
ero nascosta, mi stavo annoiando e mi sono messa a esplorare questa
stanza”
spiegò Emily. “Quando mi sono infilata qua, ho
sentito qualcuno che entrava, e
mi sono vergognata a uscire”. Dopo il suo racconto sorrideva
ancora, ma le sue
guance si erano colorate di rosso.
“Io
invece mi sono nascosta perché sono entrati due ragazzi che
si baciavano, e non
mi andava che mi vedessero”.
Si
sentì un forte colpo, e diverse urla. Rose distinse
chiaramente le parole
‘Mancanza di pudore!’ e ‘Licenziati in
tronco!’, poi cadde un silenzio strano,
imbarazzante. Dei passi e un nuovo colpo le fecero intuire che erano
sole nella
stanza.
“Forse
possiamo uscire” disse Rose “Credo che se ne siano
andati”. Lei ed Emily alzarono
la tovaglia di qualche centimetro, e videro che non c’era
nessuno. Uscirono dal
loro nascondiglio gattonando, e si alzarono. Rose si lisciò
il vestito, levando
un po’ di polvere che la fece starnutire.
“Să
vă binecuvânteze”
disse Emily.
“Che
cosa
hai detto?” domandò Rose stranita. Emily non
capì lo
stupore della bambina, poi sembrò rendersi conto di qualcosa.
“Scusa,
volevo dire salute” esclamò Emily “A
volte mi scappa qualche parola in rumeno”.
Il
volto di Rose s’illuminò.
“Tu
parli il rumeno?” domandò eccitata.
“Certo,
vengo dalla Romania” disse tranquillamente Emily.
Era
la prima volta che Rose incontrava una persona straniera, e che
riusciva a
parlarci. Una volta aveva incontrato un omone con una grossa barba
grigia che
doveva parlare con suo zio Harry, ma non faceva altro che gesticolare e
gridare
delle parole incomprensibili in uno strano e sconosciuto dialetto
russo. Zio
Harry cercava di farsi capire con qualche parola russa, e nel frattempo
chiedeva a chiunque passasse di trovare qualcuno che lo parlasse
veramente.
Probabilmente mescolò un po’ le due lingue,
perché a un certo punto i membri
del ministero non riuscirono a comprenderlo, e l’uomo russo
si arrabbiò tanto
da lanciargli un incantesimo che gli graffiò la faccia.
Questa bambina invece aveva
un’ottima pronuncia, migliore di quella di suo fratello Hugo.
“Romania?”
domandò eccitata Rose “E hai mai visto un
drago?”
“Sicuro!”
disse Emily “Mio papà conosce un uomo…
Forse lo conosci anche tu, si chiama
Charlie Weasley, è tuo parente?”
“Sì,
è mio zio!” esclamò felicissima Rose.
Per quanto adorasse suo zio Charlie, lo
aveva visto poche volte. L'ultima volta era venuto a trovarli per
Natale, due
anni fa.
“Mi
aveva detto che assomigliavo a sua nipote, ma chi pensava che eravamo
praticamente gemelle?”
“Già”
disse Rose “Chissà che faccia farà
quando lo scoprirà. Tu quando torni in
Romania?”
“Spero
mai” disse Emily, perdendo il cipiglio allegro tenuto finora.
“Perché
no?” chiese Rose, che avrebbe dato tutti i suoi averi (e suo
cugino James) per
poter andare in Romania. Poi le ritornarono in mente le parole di sua
madre.
“Perché
non puoi uscire da casa?”
“Esatto,
è terribile!” si lamentò Emily
“Soprattutto perché papà invece esce
ogni
giorno”.
“Lui
dice che non si diverte quando esce, però non smette! In
più non posso vedere
nessuno dei miei amici. L’unica cosa bella che posso fare
anch’io è andare da
tuo zio Charlie. Là posso giocare all’aperto, e
forse, se continuo ad aiutarli,
mi faranno cavalcare un drago”.
Gli
occhi e la bocca di Rose erano spalancati al massimo.
“Oramai
però non ha importanza, tanto mi sto trasferendo
qui”.
“Qui
in Inghilterra?” disse Rose sconvolta “Ma non vuoi
cavalcare un drago?”
“Non
sono sicura che si può fare davvero, penso me
l’hanno detto per scherzo” disse
Emily “E comunque non lo voglio fare”.
Preferì
non dirle che secondo lei era una pazza, e che al suo posto avrebbe
rinunciato
volentieri anche al cibo per due minuti vicino a un drago.
“Tu
come mai sei qui al Ministero?” chiese Emily a Rose.
“La
mia mamma lavora qui” spiegò Rose
“Però doveva parlare con una famiglia rumena,
e mi ha detto di uscire”.
“Allora
forse sta parlando con i miei genitori!” disse Emily
entusiasta “Andiamo da
loro?”
Rose
fece un cenno con la testa, e scortò Emily da sua madre. Una
volta vicina alla
porta, però, non bussò. Dall’ufficio
uscivano delle urla spaventose e confuse,
e qualcuno aveva buttato a terra una delle sedie che sua madre teneva
di fronte
alla sua scrivania, per i visitatori.
“È
il mio papà” sussurrò Emily
“Sta urlando in rumeno”.
“E
che dice?” domandò a bassa voce Rose.
“La
tua mamma è qua dentro?”
“Sì”
“Allora
è meglio non dirtelo”
Rose
stava per chiedere lumi sul perché, ma non ce ne fu bisogno:
stavolta era sua
madre a urlare.
“GUARDI
CHE CAPISCO BENISSIMO IL RUMENO, E NON SONO NESSUNA DI QUESTE
COSE!” tuonò
Hermione, spaventosa e arrabbiata come mai Rose l’aveva
sentita, e come mai
sperava di doverla risentire “Vi sto solo illustrando la
decisione della
Commissione d’Aiuto per la Romania, che tra l’altro
non ha niente a che fare
con il mio ufficio. Ambasciator non porta pena, o non si Schianta il
gufo per
la Strillettera, se preferite”.
“Mia
moglie è inglese, ha diritto di tornare a Inghilterra con
sua familia”
gridò il padre di Emily. Il suo
inglese era peggiore di quello della figlia, e con un accento molto
forte.
“Le
ho già spiegato che molti inglesi sono bloccati in Romania,
mio cognato in
primis” disse Hermione con tono pacato, molto diverso da
quello di prima “Date
le circostanze, siete fortunati a dover aspettare solo un mese di
verifica per
potervi trasferire qui”.
“Un
mese che dovremo trascorrere in Romania, senza sapere se passeremo la
verifica”
disse la voce di una donna, la madre di Emily. Il suo inglese, al
contrario del
marito, era molto pulito, ma risentiva di una cadenza strana, un
miscuglio tra gallese
e altro.
“Essendo
lei del Galles la verifica è solo una
formalità” spiegò Hermione
“Sono certa
che la passerete, a meno che non portiate con voi cuccioli di
drago”.
“No,
solo Draghessa” disse ridendo il padre di Emily.
“Nostra
figlia” chiarì la madre di Emily. Rose
s’immaginò la sua di mamma, dopo la
parola draghessa. A lei non piacevano i draghi: suo papà le
aveva spiegato che
aveva avuto una brutta esperienza con un drago; Rose le aveva risposto
che si
sarebbe fatta legare alla sua coda, pur di vedere un drago.
Si
è capito che a Rose piacciono i
draghi, vero?
“Uffa,
non posso ancora venire qua in Inghilterra” sbuffò
Emily irritata.
“Be’,
tra un mese potrai venire, non è un gran problema”
disse pratica Rose “Così
magari puoi vedere ancora i draghi…”.
“Non
vedevo l’ora di venire qua, mamma dice che ci sono dei parchi
grandissimi pieni
di giochi…”.
“E
forse zio Charlie te li farà cavalcare! Sarebbe
bellissimo!”
“E
potrò giocare con tutti i bambini che incontro, senza che la
mamma mi porti
subito a casa…”.
“Non
so che dare per vivere da te!”
L’ultima
frase l’avevano pronunciata contemporaneamente, guardandosi
dritte negli occhi.
Continuarono a fissarsi per qualche secondo, poi, a entrambe, venne
un’idea.
Un’idea assurda, pazzesca, molto complicata e che certamente
le avrebbe messe
nei guai se le avessero scoperte.
Ma
non sarebbe stato questo a fermarle, non il disubbidire ai genitori.
***
L’ufficio
di Hermione Weasley era sempre, impeccabilmente in ordine. Per lei era
fondamentale
mostrare la sua capacità d’organizzazione, e
niente era efficace come un
ufficio ordinato e pulito, in qualsiasi circostanza. Suo marito Ron e
il suo
amico Harry le facevano notare che una maniacale attenzione
all’ordine era
spesso indice di pazzia, ma in generale non osavano criticare le sue
decisioni
a riguardo. Si sa che i pazzi vanno assecondati, si dicevano.
Per
questo aveva una specie di tic all’occhio, al momento. Le
sedie e il divano che
lei teneva sempre nello stesso punto ora erano completamente fuori
posto, e le
sedie erano anche ribaltate. I rotoli di pergamena che aveva
diligentemente
compilato e ordinato sopra la scrivania erano diventati dei coriandoli
sparpagliati nel pavimento. La scrivania di solito immacolata
presentava una grossa
macchia d’inchiostro nero, finito anche nel suo vestito da
lavoro verde.
“Io
chiede scusa” disse lentamente la voce di un uomo
“Io no controlla mie mani e
mia rabbia”
Il
tic di Hermione sembrò peggiorare, ma se c’era una
cosa per cui era famosa (a
parte l’aver contribuito alla fine di Voldemort) era la sua
fermezza: se non
voleva perdere il controllo, nulla poteva distoglierla dal suo intento.
“L’importante
è che avete accettato il compromesso” disse
Hermione. Trasse un profondo
respiro, prese la bacchetta e con un elaborato movimento di polso
sistemò il
suo ufficio.
“Pero un mese è
troppo tempo!” esclamò di
nuovo l’uomo. Prima che potesse fare un qualche movimento, la
moglie gli mise
una mano sul braccio.
“Boris
è preoccupato perché gli scontri nelle strade
aumentano, così come gli attacchi
dei giganti” disse lei rivolta a Hermione “Teme che
ci possano attaccare nel
cuore della notte, senza darci la possibilità di
difenderci”
“Capisco
le vostre preoccupazioni, davvero” disse Hermione
“Noi inglesi abbiamo avuto lo
stesso problema, senza che nessuno Stato ci aiutasse”.
“E
tutta la Romania è grata dell’aiuto che ci state
dando”. Mentre sua moglie
diceva questa frase, Boris sbuffò alzando gli occhi al cielo.
“Mandare
Auror che uccide rumeni è aiuto? Grazie tante!”
esclamò Boris sarcastico “Fa
parlare me, Angel” aggiunse prima che la moglie potesse
parlare.
“Auror
attacca a maghi oscuri, ma anche a rumeni, senza guardare, senza
controllo!
Miei amici morti due mesi fa, Auror inglesi li uccide”
“Questo
lo ritengo improbabile” disse ferma Hermione “Il
Capo dell’Ufficio Auror è il
mio migliore amico…”.
“Potter,
sì, lui non controlla più Auror, chieda a
incapace!” gridò Boris.
“Signor
Dragan, non le permetto di mancare di rispetto ai miei cari!”
esclamò Hermione.
Stava avendo serie difficoltà a mantenere il suo
autocontrollo.
“E
io volio che guerra finisce, ma
prima
suo amico deve controllare Auror, o niente finisce!”
Boris
e Hermione si lanciavano sguardi di sfida, per vedere chi sarebbe stato
il
primo a continuare il diverbio, pronti a scaricare la tensione che
entrambi
sopportavano da mesi.
Perché
sì, Boris aveva ragione: gli Auror mandati da Harry erano
stati soggiogati
dalla Forza Oscura che stava cercando di impadronirsi della Romania.
Non erano
stati controllati grazie alla Maledizione Imperius, semplicemente erano
passati
al fronte nemico, senza una vera spiegazione. Auror impassibili e che
aveva
combattuto per anni le Forze Oscure in questo momento stavano
devastando le
città rumene, non fermandosi davanti agli innocenti, o ai
vecchi colleghi e
amici inglesi. E per questo Harry lavorava giorno e notte, e il solo
motivo per
cui non era andato personalmente in Romania era che il Ministro
preferiva che
lui rimanesse a Londra, per controllare anche gli Auror rimasti nel
territorio
inglese; nulla escludeva che il cambio di bandiera non potesse accadere
anche
ai membri rimasti in Gran Bretagna. Harry stava affrontando un periodo
difficile, e i rappresentanti delle altre nazioni non facevano altro
che aumentare
lo stress che si trascinava dietro. E se alcuni si erano mostrati
disponibili a
collaborare per terminare in fretta la guerra, altri si allontanarono
immediatamente; in particolare il ministro russo aveva aggredito il suo
amico,
tagliando così non solo il suo volto, ma anche ogni
possibile ponte fra Regno
Unito e Russia.
E
Hermione, come poche altre volte nelle loro vite, non poteva fare nulla
per
aiutarlo. Nulla, tranne che difenderlo nella discussione con Boris.
***
“Leggi
molto, sei allergica ai mirtilli, ti piacciono i draghi, il tuo cugino
preferito è Albus, quello che detesti è James
perché ti fa sempre un sacco di
scherzi” elencò Emily accucciata sotto il tavolo
dove si erano conosciute lei e
Rose.
“Tua
mamma si chiama Herr… Hemmi…”
“Chiamala
semplicemente mamma, non penso sia un problema” disse Rose
mentre si slacciava
le scarpette. “Sei sicura che non dovrò parlare il
rumeno?”
Emily
annuì.
“Non
conosco nessuno che lo parla, anche i miei amichetti parlavano inglese,
e la
mamma vuole che papà si eserciti, quindi parlo inglese anche
con lui”.
Emily
sfilò dalla testa il suo vestitino, producendo un dolce
tintinnio. Una catenina
d’oro stava oscillando attorno al suo collo, mentre un grosso
ciondolo ovale sbatteva
contro il petto della bambina.
“Cos’è
quella?” chiese Rose indicando la collana.
“Oh,
è il ciondolo di nonna Agnes” spiegò
Emily. “Me l'ha dato la mamma, è il suo
più caro ricordo della nonna”.
“Devi
darmelo, altrimenti poi si accorgerà dello
scambio”.
“Non
posso!” esclamò Emily. “Ho promesso di
non togliere mai la collana. In più”
aggiunse, “mi ha detto che nessuno deve vedere che ho io la
collana, neanche
lei”.
“Va
bene” disse Rose “Non parlerò mai della
collana, ma tu devi ricordarti di
vestirti e lavarti da sola”.
“Per
non far vedere la voglia, lo so”.
Le
due bambine finirono di spogliarsi e, in silenzio, ognuna mise i
vestiti dell’altra.
Una volta finito, uscirono da sotto il tavolo, soddisfatte.
Rose
non si conteneva dalla gioia. Continuava a sorridere, non diversamente
da come
aveva fatto Emily quando si erano incontrate; è questo la
rendeva ancora più
euforica.
“Ok,
quindi ora dobbiamo spiare l’ufficio di tua mamma e aspettare
che i miei
genitori escono” disse Emily “Poi io entro
nell’ufficio, mentre tu vai dai
loro, esatto?”
“Giusto!”
disse Rose. “e poi tra un mese tu devi fare in modo di essere
qui al Ministero,
così da poterci scambiare di nuovo”.
Era
un piano geniale. E sebbene non fosse tutta farina del suo sacco, Rose
non
riusciva a non compiacersi della sua capacità di escogitare
nuovi modi per
disubbidire ai genitori.
“E
sei sicura che funzionerà?” domandò
Emily.
“Nel
libro che ho letto funziona, e se non dimentichi i nomi dei miei
cugini, non ci
saranno problemi”.
“La
fai facile, hai un sacco di cugini” disse corrucciata Emily.
“Un
sacco di cugini con cui puoi giocare nel giardino della Tana,
all’aria aperta”
precisò Rose. “Mentre io invece
cavalcherò un drago!”
“Te
l’ho detto, era una battuta di tuo zio…”.
“Non
importa, lo convincerò io!”.