La
Principessa
e la Draghessa
(Ovvero:
Il
Principe e il Povero versione HP)
1.
Rose Weasley e Emily Dragan
La
piccola Rose aveva innanzi a sé l’enorme ingresso
del Ministero della Magia:
gli ascensori dorati; la fontana interamente in marmo bianco; le decine
di
persone che correvano senza mai scontrarsi, come gli ingranaggi di un
orologio
ben calibrato, senza la minima imperfezione. Tutti questi elementi
rendevano
quel luogo incredibilmente affascinante, e ogni volta che sua madre
parlava del
suo lavoro, Rose non ascoltava più di due parole,
perché immancabilmente
s’immergeva nei ricordi di quel posto magico, che sognava di
poter visitare
ogni giorno.
All’improvviso,
davanti ai suoi occhi si parò un grosso oggetto, alto e
incredibilmente rosso: suo padre.
“Non
siamo qui in gita” disse molto serio.
“Perciò non fermarti ogni due secondi,
intesi?”
Rose
annuì. Prese la mano di suo padre e si lasciò
portare verso uno degli
ascensori.
“Buongiorno
signor Weasley” salutò cordialmente una guardia
vicino agli ascensori. “E
buongiorno anche a lei signorina”
“Per
lei non è un buon giorno, la sto portando da sua
madre” disse Ron sempre con la
stessa espressione seria. La guardia abbassò lo sguardo
verso la bambina, e la
guardò con una faccia fintamente spaventata.
“Non
vorrei essere nei tuoi panni, piccola”.
La
bambina capì che la guardia stava scherzando, ma non
riusciva a sorridere. Lei
e suo padre entrarono in un ascensore vuoto, e una volta chiuse le
sbarre
dorate gli tirò il braccio, per ottenere la sua attenzione.
“Cosa
c’è?” sospirò Ron.
“Scusami”
pigolò Rose.
Ron
sospirò ancora. Sua figlia aveva il viso chino, ed era
intenta a fissarsi le scarpette
rosse che stamattina le aveva premurosamente allacciato. Non che lei
non
sapesse farlo, ma gli piaceva aiutare Rose a vestirsi, e lo avrebbe
fatto fin
quando non sarebbe stata abbastanza grande da vergognarsi a cambiarsi
di fronte
a lui. E questo sperava accadesse il più tardi possibile.
“Non
pensi di essere abbastanza grande e intelligente da sapere che in
questi casi
non ha senso chiedere scusa?”
“Lo
so” rispose lei a voce bassa.
Ron
sapeva che la bambina voleva dire altro, ma aspettò
pazientemente che fosse lei
a parlare. E dovette aspettare solo pochi secondi.
“Però
non è colpa mia se Matt mi ha buttato a terra!”
“Non
è un buon motivo per fargli mangiare le merendine di zio
George, non credi?”
disse saccente Ron. Si era preparato la risposta, ma non avrebbe mai
immaginato
che Rose avrebbe contrattaccato.
“Mamma
dice che non devo avere i vostri prodotti, ma tu me li regali
sempre” disse con
ancor più saccenteria Rose. “Perciò
è colpa tua”
Le
porte si aprirono su un corridoio pieno di maghi e streghe indaffarate,
che non
notarono la faccia scioccata del noto Ronald Weasley e il sorrisino
furbo della
bambina riccioluta accanto a lui. Ron la sollevò per le
ascelle e, sebbene non
fosse proprio piccola, la portò senza problemi fino alla
fine del corridoio,
vicino a una porta che segnava il nome di Hermione Weasley.
“Tu
non puoi veramente credere che la mamma darà ragione a
te” esclamò Ron a Rose,
ancora in braccio al padre.
“Mi
metterà in punizione, ma poi si arrabbierà anche
con te”. Un piccolo ghigno
spuntò nel volto della bambina. “Mamma ti
farà dormire sul divano”
Rose
aveva ragione, e Ron lo sapeva bene. Avrebbe tolto giochi e libri alla
figlia
per una settimana, ma lui si sarebbe ritrovato a dormire in quella
lastra di
pietra che quei venditori Babbani avevano osato chiamare divano.
“Hai
vinto, non dirò alla mamma cosa hai fatto” disse
Ron sconfitto.
La
bambina fece un sorriso dolcissimo e abbracciò forte il
padre, che però non
rispose con lo stesso entusiasmo. Rose si staccò da Ron
preoccupata: spesso
combinava dei guai, ma lui la perdonava sempre. Una volta aveva persino
fatto
volare via Leotordo per lo spavento (con un piccolo aiuto di
Grattastinchi e un
grosso secchio pieno d’acqua), ed era tornato solo dopo
parecchi giorni. Per
quell’occasione non era potuta andare dai nonni e dai cugini
per un mese, e si era
beccata una delle sfuriate più violente di Ronald Weasley.
Il giorno dopo,
però, era tornato il solito papà caloroso di
sempre.
Adesso
invece non la stava sgridando, e non dava segni di voler mostrare
affetto alla
figlia. Rose incominciò a pensare che forse
aveva esagerato un po’.
“Papino”
disse con voce flebile. “Sei tanto arrabbiato con
me?”
“Sì”
rispose leggermente alterato “Tu conosci le regole dei maghi
meglio di molti
adulti, sai che non bisogna esporsi di fronte ai Babbani
però continui a fare
magie di proposito!”
“Di
solito sorvolo sui guai che provochi, ma è la quarta volta
che ho dovuto far
cancellare la memoria ai tuoi compagni e alla maestra,
quest’anno. Sai quanto è
frustrante avere una figlia così intelligente che
però si comporta in modo così
infantile? Le tue azioni si riflettono su di me e su tua madre,
facendoci
sembrare dei pessimi genitori”.
Rose
si sorprese di avere gli occhi lucidi. Per essere una bambina di sette
anni le
capitava molto raramente di piangere. Ma la nota di delusione che
captò nella
voce del padre riuscì a riempirle gli occhi di lacrime.
Anche
Ron vide che sua figlia stava per piangere. Voleva farle capire di aver
sbagliato, ma aveva esagerato. Gli capitava spesso: i concetti che Rose
riusciva a esprimere gli facevano dimenticare di avere una bambina
davanti a
sé, non un adulto. La fece scendere dalle sue braccia, per
ricordarsi quanto
piccola fosse, e poi si abbassò lui per starle vicino.
“Io
ti voglio un mondo di bene” accompagnò la frase
con un dolce bacio sulla fronte.
“Sei la mia principessa, lo sai, ma devi cercare di
comportarti in modo più
regale e posato”.
Rose
si rasserenò a quelle parole, e rise.
“Ho
capito papà, devo controllarmi” disse Rose.
“Ma non è facile, sento la magia
che mi scorre dentro come un fiume!”
“E
questo mi fa molto piacere” disse Ron. “Ma anche i
fiumi devono essere
controllati, altrimenti rischiano di danneggiare le cose intorno a
loro”.
Rose
annuì, per far intendere che aveva capito il concetto.
Sapeva che era sbagliato
fare magie, e che metteva nei guai i suoi genitori più che
se stessa, ma era
più forte di lei: le piaceva la sensazione di forza che si
ritrovava in corpo
quando sprigionava la magia. Quando lo faceva, non era più
la bambina petulante
che risponde a ogni domanda della maestra; quando usava la magia, era
un
tornado in miniatura, capace di spaventare tutti quelli che la
prendevano in
giro. Non era giusto perché loro non potevano difendersi
alla stessa maniera,
le diceva sempre sua madre, e lei anche lo sapeva. Ma una parte di
sé (che i
suoi parenti chiamavano ‘Ronesca’) la faceva agire
d’istinto, senza ragionare,
causando così l’ennesimo guaio.
“Ora
entriamo da tua madre e le diciamo qualcosa per spiegarle
perché sei qui”
esclamò Ron.
“Forse
è meglio che mi porti con te in negozio, così non
dovremmo mentire alla mamma”
disse Rose con non curanza.
“Certo,
e magari nel frattempo ti faccio testare ogni prodotto Tiri Vispi
Weasley”
disse sarcasticamente Ron.
“Davvero?”
“Ovviamente
no, non voglio che i clienti scappino”.
“Perché
dovrebbero scappare?”. L’ultima frase non la
pronunciò Rose, e nemmeno Ron.
Hermione
era poco distante dai due, con molti fascicoli in mano e una faccia
perplessa.
“Hermione,
che bello rivederti” disse Ron cercando di distrarla.
“Ci
siamo salutati a casa nostra neanche due ore fa” disse
Hermione alzando un
sopracciglio. Brutto segno.
“Non
posso essere felice di vedere mia moglie?” esclamò
Ron contrariato.
“Perché
Rose è qui e non a scuola?” disse Hermione
ignorando il marito. Ron stava
velocemente elaborando una scusa, ma fu preceduto da Rose.
“A
scuola un ragazzino aveva i pidocchi, perciò ci hanno fatto
uscire prima. Papà
mi ha già controllato, non ho nulla, ma preferisce non
portarmi in negozio, per
sicurezza”. La risposta di Rose era stata esposta
così bene che Ron si chiese
se sua figlia gli avesse mai detto la verità, nei suoi sette
anni di vita.
“E
ho preferito portarla qua perché non mi andava di disturbare
i nostri genitori”
aggiunse Ron. “In fondo per te non è un problema,
no? Dici sempre che vuoi
passare più tempo con i ragazzi”.
“Sì,
ma non a lavoro” disse Hermione a bassa voce, rivolta solo a
Ron. “Non voglio
che sappia cosa sta succedendo in Romania”.
“Basterà
non dirle tutto, ma solo il minimo per non spaventarla”
bisbigliò Ron.
Hermione
annuì.
“D’accordo,
la controllo io” disse Hermione.
Ron
sorrise e baciò Hermione, un po’ per
ringraziamento, un po’ come premio personale.
Non è per niente facile imbrogliare sua moglie.
“Io
ora vado, ci vediamo più tardi”
Si
allontanò salutando le due da lontano, e Rose gli fece
l’occhiolino. Quella
bambina era impossibile da controllare!
Ma
non poteva fare a meno di amarla
anche per questo.
***
La
giornata era passata piacevolmente sia per Rose che per Hermione.
Entrambe si
adoravano a vicenda, e si divertivano anche solo parlando di quel che
facevano
a lavoro, o a scuola, nel caso di Rose. In generale non mentivano
l’una
all’altra, ma Rose sapeva che sua madre non poteva parlarle
di tutti i suoi
lavori, e Hermione sapeva che Rose combinava più guai di
quelli che le
raccontava; però non se la prendevano, e andavano avanti
come se non ci fosse
nulla da nascondere. Almeno fino alle quattro e dieci di quel
pomeriggio. In
quel preciso istante, dal camino dell’ufficio di Hermione
fuoriuscirono delle
scintille verdi, e si alzò la voce di un uomo.
“Weasley,
è in ufficio?” gracchiò
l’uomo. “Può rispondere?”
Hermione
si abbassò verso il camino e gli rispose. “La sto
ascoltando Crown”
“Una
famiglia rumena sta per arrivare nel suo ufficio, sai cosa fare,
vero?”
Hermione
annuì, e il volto scomparì così
com’era apparso. Lei si voltò verso la bambina,
che stava guardando fuori dalla finestra magica.
“Mi
dispiace Rose, ma per un po’ dovrai stare fuori dal mio
ufficio” disse Hermione
dispiaciuta.
Anche
Rose cercò di sembrare dispiaciuta per quella notizia, ma in
realtà stava
facendo i salti di gioia dentro di sé: aveva una scusa per
allontanarsi da sua
madre e curiosare in giro per il Ministero.
“So
cosa stai pensando, ma non puoi gironzolare per il Ministero”
disse Hermione a
Rose, distruggendole i piani che stava già formulando nella
sua piccola testa. “Dovrai
rimanere qui vicino, altrimenti non potrai leggere per una
settimana”.
“Ma
ho appena incominciato a leggere un nuovo libro di Mark
Twain…”.
“Motivo
in più per non disubbidirmi” sentenziò
Hermione.
“Che
cosa sta succedendo in Romania?”
Hermione non si
aspettava quella domanda. Era
riuscita a nasconderle tutte le pratiche che riguardavano il caso, come
aveva
fatto a capire che c’erano dei problemi?
“Perché
mi fai questa domanda?” disse cautamente Hermione. Forse Rose
aveva solo
intuito qualcosa, ed era meglio capire subito fin dove il suo intuito
l’aveva
portata.
“Tu
e papà avete bisbigliato a voce troppo alta” disse
tranquillamente lei. “Lo
fate spesso, pensate che io e Hugo non vi sentiamo, invece ascoltiamo
ogni
parola”. Si gustò la faccia imbarazzata della
madre per un po’, poi fece la
domanda che stava trattenendo da tutta la giornata.
“Zio
Charlie sta bene?”
“Sì,
sta bene” sospirò Hermione.
“Allora
perché dici che mi spaventerebbe sapere che succede in
Romania?” domandò Rose
dubbiosa.
“Ho
esagerato” disse Hermione ridendo. “Pensavo che
l’avresti trovato spaventoso
perché là ai bambini non è permesso
uscire, e non possono mangiare la
cioccolata”.
Rose
assunse una faccia così scioccata che Hermione non
poté evitare di scoppiare a
ridere.
“Ma
allora è il posto più brutto del
mondo!” esclamò inorridita Rose. “Come
fa lo
zio Charlie a viverci?”
“Dove
abita lui è come se non facesse parte della Romania,
né di qualsiasi altro
stato” spiegò Hermione. “È un
luogo libero”
“Che
bello” disse incantata Rose. “Quanto mi piacerebbe
andarci”
E
non era la prima volta che lo pensava. Quando immaginava il suo futuro,
vedeva
il Ministero o lo zio Charlie in groppa a un drago, e cercava mille
modi per
combaciare i due sogni; diventava Ministro e rendeva i draghi nuovi
mezzi di
trasporto, al posto delle scope; oppure spostava il rifugio dei draghi
in
Inghilterra, così da poter essere un impiegata ministeriale
di giorno e una
domatrice di draghi la notte.
“Se
il sogno ad occhi aperti è finito” la
canzonò Hermione “Ora dovresti uscire”.
Rose
sbuffò irritata, eseguendo quello che le venne ordinato. Non
ascoltò le istruzioni
di sua madre, ma la vide indicare una sala d’attesa dove di
solito vedeva gente
strana che aspettava di essere chiamata da un ufficio.
Incominciò a camminare
mentre sentiva che la madre chiudeva la porta del suo ufficio.
Hermione
poggiò la fronte contro la porta, frustrata. Non aveva
mentito alla figlia,
Charlie non correva nessun pericolo, dove si trovava ora. Una parte di
sé,
però, continuava a ripeterle che era stato stupido ridurre a
del cioccolato
mancato i disagi delle famiglie rumene in quel periodo. Si chiese
perché non le
aveva spiegato le reali condizioni della Romania. Non voleva
spaventarla? No,
Rose non si sarebbe spaventata di una cosa così lontana da
casa, soprattutto
dopo aver saputo che lo zio era al sicuro. La verità era
che, per quanto
volesse rendere i figli indipendenti, per quanto li spingesse a cercare
le
risposte a tutte le loro domande, non voleva che vedessero quanto il
mondo potesse
essere orribile e crudele. E sapeva troppo bene che una guerra era la
perfetta
sintesi di quello che voleva nascondere ai suoi figli.
***
Rose
era seduta in una poltroncina della sala d’attesa da circa
cinque minuti, ma
già non ne poteva più di stare ferma. Non
c’era nessuno con cui chiacchierare,
né qualcosa da leggere; gli unici oggetti presenti nella
stanza erano noiosamente ordinari
per trovarsi al
Ministero della Magia. C’erano cinque poltroncine di pelle e
un tavolo coperto
da una pesante e vecchia tovaglia verde, e sopra al tavolo una caraffa
di caffè
riempiva una tazza di ceramica ogni volta che qualcuno si avvicinava al
tavolo.
La
poltroncina dove Rose si era seduta era accanto alla porta
d’ingresso, messa in
modo tale che nessuno che aprisse la porta potesse vederla
dall’uscio. Infatti,
i due ragazzi che spalancarono la porta del salottino non videro Rose,
e non si
preoccuparono di controllare meglio.
“Sei
sicuro che non ci disturberà nessuno qui?”
“Tranquilla
Jessica, non viene mai nessuno in questo vecchio salottino”.
E
iniziarono a intrecciarsi le lingue in bocca, appoggiati alla porta
spalancata
che non faceva vedere loro Rose, ma che non copriva i suoni da loro
emessi.
L’ultima
volta che Rose si era ritrovata in una situazione del genere (era
successo più
di una volta), l’avevano sgridata pesantemente,
perché pensavano che lei li
stesse spiando di proposito. Quella volta non le aveva dato fastidio
essere
sgridato senza colpe, perché la faccia di suo zio Percy
mentre urlava, metà
arrabbiato e metà imbarazzato, l’aveva fatta
morire dal ridere; ma stavolta
sarebbe stata sua madre a rimproverarla, e non c’era niente
di divertente in
questo.
Scrutò
velocemente la stanza, e pochi attimi prima che la porta si chiudesse
Rose si
era già fiondata sotto il tavolo. La tovaglia non filtrava
neanche il più
piccolo raggio luminoso, così che lei non potesse
né vedere né essere vista.
Almeno, non dai ragazzi che gemevano poco lontani da lei.
“Wow!”
Rose
si voltò verso la fonte di quell’esclamazione, e
si ritrovò davanti a sé: con
altri vestiti, certo, e sperava di non fare quella faccia ogni volta
che
guardava qualcosa di straordinario, ma era proprio lei.
“E
tu chi sei?” disse meravigliata la bambina uguale a Rose.
“Chi
sei tu, piuttosto!” esclamò Rose quasi offesa. Si
riteneva unica, non le
piaceva proprio vedere un’altra lei.
“Mi
chiamo Emily Dragan” disse sorridente. “Qual
è il tuo nome?” ripeté poi.
“Rose
Weasley” disse cauta. “Come fai a essere uguale a
me?”
Il
sorriso andò via da Emily.
“Sei
tu che sei uguale a me!” esclamò indignata.
“Non
fare quella faccia, devi essere contenta di essere uguale a
me!”.
“Non
ho voglia di essere uguale a una bimba presuntuosa come te”.
Puntellò Rose con
l’indice, e ricevette una spinta tale da ritrovarsi a terra.
Con i capelli
sparsi sul pavimento e la spallina del vestito di Emily spostato, Rose
notò
qualcosa.
“Cos’è
quello?” disse Rose indicando una macchiolina sulla pelle.
“Mamma
dice che è una voglia” spiegò Emily
“Secondo mio papà assomiglia alla fiamma di
un drago, mi chiama ‘Piccola Draghessa’, anche se
mamma di che quella parola
non esiste. Tu non ce l’hai?”
“No,
non ho voglie” rispose Rose, allargando il colletto della
T-shirt per mostrare
la spalla sinistra.
“Oh,
ma allora non sei uguale a me” disse Emily sorridendo. Ora
che la sua unicità
era stata salvata, anche Rose sorrideva, curiosa di conoscere di
più la bambina
davanti a lei.
Note personali (definirmi autrice è esagerato)
Se conoscete il romanzo citato nel titolo, sapete già che cosa accadrà alle due bambine. Ma che conseguenze ci saranno? Verranno scoperte? E per quale motivo Emily era sotto il tavolo?!
Queste e altre domande avranno risposta nei prossimi capitoli, perciò restate in ascolto!
Un grosso abbraccio,
Alexia96