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Autore: yeahitsmarts    15/09/2014    2 recensioni
2020, anno in cui chiuse definitivamente l'ultima industria petrolifera, nonché ultima fabbrica rimasta in piedi. Dopo quest'evento la terra conobbe soltanto distruzione e rovina.
2146, centoventisei anni più tardi ci troviamo al termine dell'era della terra. Le prime tre – aria, acqua e fuoco –, durate mediamente poco più di quarant'anni per una, hanno completamente devastato e ridimensionato quella che una volta era la terra. Intere isole sommerse, città distrutte, luoghi spariti completamente dalle cartine geografiche. Nessuno ha più il coraggio di chiedersi che fine abbiano fatto posti come le Hawaii, le Maldive e la stessa Nuova Zelanda, nessuno tiene più il conto dei giorni, dei mesi. Kaia è poco più che una diciassettenne quando perde anche sua madre e si ritrova a vivere in uno scorcio di casa assieme a suo fratello maggiore, Andrew. Costretta ai lavori nei campi, decide di specializzarsi nello scasso e furto nelle ricche abitazioni dei signori della madrepatria.
Finché l'ennesima scossa non le cambia radicalmente la vita...
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Seven devils - Florence and the Machine.

Quando ero più piccola mio fratello era solito raccontarmi la storia di Cassandra, un'antica guerriera spietata di sangue e determinata, che combatteva per la libertà del proprio popolo.
«Lo sai dov'è la vecchia America?» domandava ogni volta a fine racconto. Io sbadigliavo e dicevo di sì e nella mia testa quell'immenso paese prendeva forma.
«E sai cosa avviene oggi in quella parte di mondo, vero?» annuivo energicamente con il capo ricordando ogni singola parola riguardo quel continente tanto lontano.
«Vedi Kaia, combattere è inutile, si scatenano soltanto nuove guerre e morti. La storia di Cassandra serve d'esempio a tutti noi. Quella donna, pur di soddisfare il suo egoismo, ha preferito cominciare una battaglia che ancora oggi non si è del tutto conclusa... Chiunque ora è pienamente convinto di dover reclamare i propri diritti versando altro sangue, non è assurdo?» all'epoca non capivo e pendevo dalle sue labbra perché tutto quel che Andrew diceva era per me oro colato.
«Trai insegnamento da Cassandra e ripeti dopo di me...» ma non gli lasciavo neanche il tempo di proseguire perché, sospirando ed infilandomi sotto le coperte, recitavo a memoria: «Ascoltare i grandi signori, eseguire il proprio dovere e comprendere il proprio posto nella società è tutto quel che da grande dovrò fare». Dopo di che mi schioccava un bel bacio sulla tempia e raggiungeva la mamma nell'altra camera per parlare di lavoro e politica.

Mentre corro tra le persone disperate e tra i palazzi distrutti, ricordo con malinconia quei momenti. L'operazione chirurgica non solo si era portata via le gambe di mio fratello ma anche quella poca bontà che aveva dentro di sé. Sulla sedia a rotelle, solo e con un'espressione spesso imbronciata, non lo vedevo più sorridere. Capitava raramente, quando tornavo a casa con della selvaggina fresca o della frutta di stagione, ma erano attimi che duravano pochissimo, giusto il tempo di cogliere un'ombra di felicità nel suo sguardo che la magia spariva poco dopo.
La piazza dell'esecuzione ancora brulica di gente e proprio al centro c'è un palo ad impedire il passaggio. Alcuni controllori della giustizia se ne stanno nelle loro divise verde scuro a dividere la folla, tirando calci e spintonando un gruppo di ragazzini lontano da lì. Mi avvicino alla calca, trattenendo il respiro e soffocando l'impulso di piangere e gridare e, a grandi falcate, mi dirigo verso uno di loro.
«La prego mi faccia passare...» lo imploro tirandolo per la manica della divisa.
L'uomo mi squadra semplicemente, mette in bella vista il manganello di ferro e scuote il capo: «No, di qua non si passa».
«Ma lì c'è casa mia, c'è mio fratello! Devo vedere come sta!» per la prima volta mi accorgo di provare qualcosa nei confronti di Andrew che non sia né rabbia né rancore ma semplicemente preoccupazione.
Il controllore però non si lascia intenerire e mi invita – poco gentilmente – a spostarmi di lato per lasciar passare i suoi colleghi. Per la prima volta nella mia vita chino il capo di fronte a lui, faccio un cenno con la testa ed indietreggio.
Per poi lanciarmi in una corsa sfrenata.
Sento qualcuno alle mie spalle che grida di fermarmi mentre il rumore dei loro anfibi sul terreno si fa sempre più lontano e indistinto. Possono strillare quanto vogliono, non saranno di certo i loro ordini a impedirmi di andare da mio fratello. Se non fosse una faccenda così urgente mi sarei già fermata a riprendere un po' d'aria ma il tempo scorre velocemente e casa mia è ancora distante.
Andrew sbagliava riguardo Cassandra e la sua storia, sbagliava a farmi ripetere in continuazione che avrei dovuto servire solo la mia madrepatria senza reagire mai. Io non sono una loro pedina, non faccio parte di questo gioco.
Oggi mi ribello di nuovo.
Corro e continuo a farlo nonostante le gambe stiano per cedere. Non m'importa perché devo andare da mio fratello, devo farlo ad ogni costo. Schivo persone, salto i resti di vecchie abitazioni, non mi fermo neanche quando vedo un gruppo di ragazzini soli che piangono perché non trovano più la loro mamma. Non ho tempo di incoraggiarli dicendogli che va tutto bene perché anche la mia situazione potrebbe essere critica.
Rallento il passo non appena mi rendo conto di trovarmi già da un po' nella parte nord della città. Un gruppo di controllori mi osserva con circospezione ma non dice nulla riguardo la mia piccola fuga di poco fa.
Buon per me.
Proseguo su per la salita, svolto a sinistra e lo spettacolo davanti ai miei occhi è a dir poco raccapricciante. È già forse la quinta carcassa che vedo trasportare con noncuranza su uno sgangherato carretto di legno, ma non è di una persona qualsiasi.
Helen.
Prego che non sia lei, che quelli non siano i suoi lunghi capelli grigi sempre ben raccolti in una morbida treccia, ma quando mi avvicino ogni singolo dettaglio mi conferma la triste verità. Nonostante le braccia piegate in modo disumano e quegli orribili tagli su tutto il corpo ora nudo, sul volto ha un'espressione di pace. L'uomo che traina il carretto mi lancia un'occhiata fugace senza dire nulla e si ferma, allontanandosi appena.
Vorrei poterlo ringraziare per quell'ultimo momento che mi sta concedendo con Helen ma non appena provo a sussurrare qualcosa, tutto ciò che ne viene fuori sono soltanto degli amari singhiozzi.
Non serve a niente coprirmi la bocca con la mano perché continuo a piangere disperatamente per questa perdita.
«Helen...» la chiamo piano sperando in una sua risposta «Helen perché mi lasci sola?». Sto nuotando nella consapevolezza che domani, al sorgere del sole, non la troverò più in veranda a dondolarsi sulla sua amata sedia.
Quell'ombra di sorriso sulla sua faccia però rivela qualcos'altro. È un flash, un attimo, e tutto diventa finalmente più chiaro.
«Ora capisco» il pianto comincia a contenersi finché le lacrime smettono di solcarmi il volto «Ti sei ricongiunta con la tua famiglia! Oh Helen, spero soltanto che il posto in cui ti trovi adesso sia migliore di questo mondo che non ti ha amata abbastanza...».
Sfiorandole la candida pelle, ritiro immediatamente la mano perché quel freddo contatto mi ha ricordato, per l'ennesima volta, che il sangue non scorre più nel suo corpo.
Helen è morta, esattamente come Daria, ed io posso solo che accettare questa terribile realtà.
Faccio cenno all'uomo di riavvicinarsi e di proseguire questa silenziosa marcia funebre a cui assisterò soltanto io e mentre vedo il carretto allontanarsi verso l'orizzonte, so che non sono l'unica ad aver perso qualcuno di speciale in questa triste notte. Ripenso a quei ragazzini di poco prima che forse non rivedranno mai più la donna che li ha messi al mondo, a quella bambina che correva incontro all'anziano, al cane che si aggirava da solo tra le macerie di un vecchio palazzo probabilmente per cercare il proprio padrone.
Domani la vita tornerà normale, le strade verranno distrattamente pulite, qualcuno si prenderà la briga di cercare i corpi dei propri cari nelle fosse comuni per dar loro una degna sepoltura e il mercato in piazza brulicherà di gente come se niente fosse accaduto.
Tutti finiremo per dimenticare questo triste avvenimento, esattamente come il terremoto di tantissimo tempo fa che portò via mia madre.
Stringo i pugni mentre tento di moderare il respiro: era tanto che non pensavo più a lei, alla sua figura snella e a quelle lentiggini che la rendevano un'eterna bambina nonostante l'età. Ho perso lei, Daria ed Helen, non voglio che Andrew sia il prossimo.
Il ricordo di mia madre scaturisce in me rabbia e frustrazione perché quel giorno, chi non riuscì a trascinarla fuori dalla casa, fui proprio io. Pensai a darmela a gambe piuttosto che scavare tra i macigni e la polvere e chi oggi ne ha pagato la conseguenza siamo io e mio fratello.
Sembra che la mia storia sia già stata scritta da qualche parte, fatta solo di morte e distruzione in cui l'unica responsabile di tanto dolore sia proprio io.
Cercando di cacciar via quel pensiero dalla testa, indietreggio e mi dirigo lentamente verso al strada di casa. Tutta la fretta che avevo prima ora è passata. L'immagine di Andrew che giace inerme tra le macerie, senza vita e con gli occhi rivoltati, mi dà il voltastomaco. Nel caso in cui fosse morto non vorrei neanche vedere il suo cadavere sul carretto, nulla che possa farmi dimenticare com'era in vita, con i riccioli scuri spesso spettinati e la barba incolta.
Rallento il passo, mantengo un'andatura regolare e gli occhi incollati al suolo: non ne voglio sapere più niente di distruzione, terremoti e corpi senza vita. Alcune voci in lontananza catturano la mia attenzione così decido di individuarne la posizione e di avvicinarmi al gruppo di persone a cui appartengono. Non mi ci vuole molto per capire di cosa stiano parlando e, soprattutto, dove si trovino.
La parte dove si trovava il piccolo cucinotto ora è completamente distrutta. Riconosco il vecchio tavolo cigolante dove la sera, prima che la mamma morisse e prima che Andrew perdesse entrambe le gambe, ci riunivamo per mangiare il pesce pescato da mio fratello. A terra, tra macigni enormi, calcinaccio e polvere, sono sparpagliati alcuni pezzi di coccio e vecchie fotografie sgualcite e rotte, cimeli di famiglia che non posseggono alcun valore se non quello affettivo.
Quando la calca si accorge della mia presenza, tace all'istante. Qualcuno mi sta guardando con occhi tristi ma nessuno di loro si azzarda a dire una sola parola, nemmeno per confortarmi o darmi una cattiva notizia. Nulla.
Tutto quel che ricevo sono occhiate oblique e sorrisi appena accennati.
Cercherò le risposte che voglio da sola.
Muovo qualche passo e mi dirigo verso le macerie di quella che una volta era casa mia. Il pensiero di dove andrò a dormire neanche mi sfiora perché l'unica cosa che adesso mi ossessiona è trovare Andrew. Possibilmente vivo.
Devo raccontargli di Greg e suo figlio, devo confessargli cosa faccio in realtà quando vado a lavorare nei campi, devo scusarmi per tutte le volte in cui non sono stata abbastanza paziente con lui. Devo farlo.
Perché è mio fratello e senza di lui non sarei quella che sono ora.
Non sento voci alle mie spalle, decido quindi di addentrarmi ancora di più all'interno della struttura nonostante ci sia il pericolo che possa cadermi addosso qualcosa.
«Andrew» soffio appena mentre una nuvola di polvere mi fa starnutire «Andrew dove sei?».
Nessuna risposta ma niente panico.
Respiro affondo e proseguo fino ad arrivare davanti all'entrata di camera sua dove la porta, chiusa, è inaccessibile per via di un enorme trave. Buttarla giù o provare a toglierla sarebbe da incosciente ma arrivata a questo punto importa qualcosa?
Ho trascorso l'intera vita facendo cose stupide e non è di certo questo il momento di tirarsi indietro. Provo a tirargli un calcio, due, tre.v Al decimo penso di abbandonare questa folle ricerca e di tornarmene per strada a piangere la scomparsa di mio fratello.
«Kaia?» È un sussurro appena accennato e mi stupisco di come invece sia riuscita a sentirlo.
Andrew.
«Andrew? Andrew! Dove sei? Tutto bene?» prima che possa rispondere ricomincio a prendere a calci la trave più forte nella speranza che si spezzi.
La sua voce è sovrastata dai colpi che assesto al palo di legno ma quando capisco che non c'è nulla da fare, mi lascio cadere a terra rannicchiandomi sul pavimento irregolare.
«Kaia... Non credo che durerò ancora a lungo!» volto il viso in direzione della porta, so perfettamente che non lo vedrò mai più, non da vivo, e lo intuisco da quel tono di voce flebile.
«Che dici?» sbotto arrabbiata «Qualcuno ti tirerà fuori di lì, ne sono sicura! Devi solo tenere duro. Ce la farai Andrew, ce la farai».
Lo dico più per me stessa che per lui perché devo convincermi che lo vedrò di nuovo domani mattina e che la sua voce, ancora impastata di sonno, tuonerà sino alla cucina solo per chiedermi di aiutarlo con la carrozzella.
Lo sento mugugnare e me lo immagino sdraiato a terra, paralizzato dal dolore e dalla consapevolezza che presto anche lui lascerà questo mondo.
«Speravo venissi a salvarmi, proprio come hai fatto con la mamma»
«La mamma è morta per colpa mia»
Contro ogni aspettativa, lo sento ridacchiare di cuore: «La mamma è morta perché non ce la faceva più a vivere nelle bugie. Quante cose non sai di te, Kaia! Hai tutta una vita davanti prima di buttarti così facilmente giù».
Non capisco cosa voglia dire né dove voglia arrivare. I documenti parlano chiaro: Jenna Burns, di Londra, è deceduta in età avanzata a causa di un trauma cranico.
E soprattutto perché sua figlia non è stata abbastanza coraggiosa da portarla in salvo.
«Dove vuoi arrivare?»
«Quella che a te è sembrata solo sfortuna era invece un gesto premeditato. Sì, quel masso le è caduto addosso...» fa una breve pausa, a lui manca molto più che a me e parlarne gli procura ancora tanto dolore «Per puro caso ma la sua intenzione era quella di morire ormai da un po'. Aspettava solo il momento giusto. Non sentirti in pena per lei e neanche per me. Starò meglio».
Non ci voglio credere, non riesco neanche a pensare che mia madre si sia... Suicidata. È impossibile. La vita all'epoca era difficile per tutti, non che le cose siano cambiate di tanto, ma per arrivare ad un gesto simile doveva essere decisamente disperata. Ed io non mi sono accorta di nulla.
Tacciamo per un po', gli unici rumori all'interno della casa sono alcuni assi di legno scricchiolanti e i nostri respiri. Forse la gente che se ne sta in strada si è dimenticata di noi, forse hanno dato per spacciata anche me.
Sorrido mestamente, è arrivato il momento di rivelarglielo.
«Andrew?»
«Sì?»
«C'è una cosa che avrei dovuto dirti da tempo ma non ne ho mai avuto il coraggio»
«Ah, so anche questo» tossisce ed io sento i muscoli irrigidirsi mentre il senso di colpa pervade nel corpo. Possibile che sia a conoscenza della mia doppia identità?
«Sei... Sei sicuro?» domando per conferma.
«Certo! Ho sempre sospettato il tuo amore per Greg!»
Mi tiro su di scatto e scuoto il capo cercando di togliere la polvere dai capelli. Mi viene da ridere per quello che ha detto, soprattutto per il tono di voce che ha usato: se l'avessi avuto accanto gli avrei già tirato una gomitata tra le costole.
Ma lui è lì, oltre questa porta, a combattere contro la morte come se niente fosse. Poggio una mano sulla ruvida superficie di legno e sospiro: «No, come diavolo ti è venuto in mente? Sono secoli che non si vede più in giro» mento.
«Sì, ma la gente del posto dice che usi spesso la sua barca e che te ne prendi sempre cura, credevo fosse un modo carino per sentire meno la sua mancanza»
«Hai molta fantasia...»
Di nuovo quel silenzio imbarazzante. So che questi saranno gli ultimi momenti che passo in sua compagnia quindi decido di sfruttarli tutti a mio favore in modo tale che il passaggio nell'aldilà non sia poi così drastico e spiacevole, per quanto sia possibile.
«Andrew, la verità è che sono una Rinnegata» dall'altra parte però, nessuna reazione.
«Lo faccio da quando è morta la mamma e da quando tu non hai più le gambe. Non potevamo vivere solo con la tua pensione e il mio misero lavoro da contadina e tu lo sai meglio di me. Daria, la ragazza di ieri, rubava nelle case dei ricchi signori con me. Ho rischiato la vita, sai? Ma sono fuggita in tempo e non ho la minima idea di cosa il futuro abbia in serbo per me» dopo una breve pausa finalmente si decide a parlare.
«L'ho sempre detto alla mamma che avresti ripreso da quell'altro» sbuffa, forse sta trattenendo le lacrime. Mi domando come riesca a mantenere la voce così tranquilla dato che io sto di nuovo per scoppiare in mille singhiozzi.
«Anche da bambina non sei mai riuscita ad incarnare completamente lo spirito dei Maddox, avevi quella strana luce che ti distingueva da noi» si blocca.
«Che vuoi dire? Andrew, non capisco! Non sto capendo nulla!» grido e lancio pugni sul muro, sulla trave, sulla porta, dove mi capita. Sento le nocche bruciare ma non importa perché l'accumulo di tutto ciò che è accaduto in questi giorni si sta riversando solo ora in un unico, terribile, momento.
«Kaia ti voglio bene, mi dispiace averti trattata con sufficienza durante l'ultimo periodo. Lo sai vero? Lo sai che ti voglio bene, oh Kaia, Kaia, Kaia» la voce si affievolisce un poco alla volta fino a sparire del tutto.
Trattengo il respiro.
«Andrew?» deve rispondere, deve per forza.
«Andrew?» provo a chiamarlo più forte mentre sento calde lacrime solcarmi silenziose il viso.
« Andrew? Andrew!» la mia voce sovrasta ogni tipo di cigolio in questa casa, sto gridando con quella poca forza che mi è rimasta in corpo mentre continuo a sperare in una sua qualsiasi reazione. Ma da oltre la porta non giunge alcun rumore e dopo svariati tentativi capisco che è tutto inutile. E che mio fratello non c’è più.
Le sue parole rimbombano forte nella mia testa. La consapevolezza di non vederlo più domani, di non udire più la sua voce e di non poterlo più aiutare con la sedia a rotelle mi prende alla sprovvista. Che ne sarà di me? Che ne faranno del suo corpo? Me lo immagino immobile, a terra, con un’espressione di pace sul volto. Anche tu hai accolto la morte con rassegnazione lasciandoti cullare beato tra le sue braccia? Proprio in questo momento vorrei che facesse visita anche a me. Me la raffiguro nella mente come una bella donna, vestita di nero, il corpo slanciato e le labbra piene. Ecco, ora la vedo. Cammina verso di me, ha la pelle pallida, gli occhi vitrei che fanno quasi paura. Sta farfugliando qualcosa, dice che non devo temerla perché si prenderà cura di me. Sono stanca, sento le palpebre pesanti ma non riesco a chiuderle: il buio mi inghiotte e tutto ciò che riesco a vedere sono immagini di morte e distruzione. Un’altra voce sta dicendo qualcosa: «C’è anche la mamma con te?»
Sono io che sto parlando.
Vorrei dormire ma non posso, la donna continua a guardarmi, sorride malvagia mentre mi ripete che non devo preoccuparmi. Ma non posso addormentarmi, devo vegliare su mio fratello, devo restare sveglia finché qualcuno non verrà a prendere il suo corpo per portarlo via. Dopo di che potrò anche riposare, forse in eterno.
La morte chiama il mio nome «Kaia, Kaia» ed ha un suono così meraviglioso. Adesso mi abbandono a lei, adesso lascio che mi prenda con sé.
«Stai attenta a mio fratello» biascico nell’istante in cui poggia le sue labbra fredde sulla mia fronte e mentre un brivido mi percorre la schiena, finalmente, lascio che l’oscurità si impossessi di me.

«Eccola, è qui!».
Qualcuno mi afferra per un braccio e mi scrolla violentemente, facendomi sbattere più e più volte la testa contro il ruvido pavimento. Tossisco appena senza aprire gli occhi, magari se fingo di essere ancora addormentata mi lascerà stare.
«Kaia, per l’amor del cielo, alzati ed esci subito di qui». Patrick.
Non voglio prendere ordini da lui, non oggi. Non voglio più prenderli da nessuno.
«Lasciami morire in pace» farfuglio mentre ruoto la testa di lato e mi copro il viso con il braccio libero. L’uomo però insiste, mi percuote con forza finché non mi sento tirare su di peso. Poi qualcosa mi colpisce in pieno la guancia, sento la pelle pizzicare per l’impatto con la sua nodosa e forte mano e solo così riesco finalmente a lasciare il sonno da parte e degnarlo di un’occhiata sprezzante.
Il suo gesto mi ha sorpreso così tanto che non riesco a spiaccicare una sola parola, lo fisso soltanto con la bocca spalancata e lo sguardo carico d’odio e rancore.
«Come diavolo ti sei permesso?» grido infine mentre mi allontano da lui.
«Non mi parlare in questo modo! Lavori per me o forse te lo sei dimenticata?» il tono di voce è autoritario ma c’è qualcosa che non mi convince del tutto, quasi come se questo piccolo teatrino fosse una messa in scena.
Poco prima di ribattere mi rendo conto che non siamo da soli. Tre controllori della giustizia stanno setacciando quel che resta di casa mia mentre un quarto uomo, forse un Seguace di Ippocrate, traccia alcuni segni irriconoscibili su un pezzo di carta. Mentre continuo ad osservarlo intensamente si accorge di me e, mettendo il taccuino da parte, mi raggiunge sorridendo raggiante.
«C’è qualche problema qui?» chiede gentile scrutandomi a lungo. Mi sento in imbarazzo ma non sarà di certo quel contatto visivo a far si che sposti lo sguardo altrove. Piuttosto ricambio la sua occhiata e fingo un’espressione serena, quasi ad imitare la sua, e rispondo: «No, perché dovrebbe esserci qualche problema? Mio fratello è soltanto morto ed io non ho potuto dirgli addio come avrei voluto ma questa forse è una faccenda che non la riguarda».
L’uomo sussulta mentre Patrick mi pesta un piede e mi afferra il polso, facendomi perdere l’equilibrio.
«Deve scusarla, ha avuto una giornata difficile e sa, accettare la scomparsa di un proprio caro non è un affare tanto facile… » tenta di giustificarmi Patrick mentre io ancora ribollo di rabbia.
Il medico fa un gesto annoiato con la mano per l’aria e si stringe nelle spalle, senza più entusiasmo: «In effetti, signorina…»
«Maddox!» suggerisce l’altro.
«Sì, Maddox… Prima che il suo supervisore venisse a svegliarla stava delirando nel sonno, parlava a proposito di una certa donna vestita di nero» ridacchia sotto i baffi e strappa il foglio di carta su cui stava scrivendo prima per poi lanciarlo ai miei piedi «Credeva che la morte fosse venuta a prenderla. Deduco fossero allucinazioni e deliri per il troppo stress» si schiarisce la voce e accenna un inchino sarcastico «Ora, se volete scusarmi, ho cose più importanti a cui pensare, problemi molto più grandi rispetto al suo, signorina Maddox» e senza aggiungere altro, se ne va.
Patrick afferra il pezzo di carta al posto mio e mi trascina in strada, sotto lo sguardo vigile dei controllori.
«Sei impazzita per caso? Rispondermi in quel modo davanti a tutte quelle persone per di più durante il tuo orario di lavoro!» sbotta diventando tutto rosso in viso «Lo sai cosa ti sarebbe potuto capitare? Lo sai Kaia o devo forse ricordartelo?» scuoto il capo ma la mia reazione sembra non toccarlo minimamente perché continua il suo monologo più furioso che mai «Potevano imprigionarti per mancato rispetto verso il tuo rango o, peggio ancora, ucciderti! Vuoi davvero questo? Vuoi davvero arrenderti proprio ora?».
Non riesco più a trattenermi.
Ripenso alla triste situazione di Greg e suo figlio, alla loro speranza spezzata con la morte di Daria. Ripenso anche a lei, al suo corpo ciondolante davanti a tutta la piazza. Helen, mio fratello, morte e distruzione ovunque. Questo terremoto non ha risparmiato nessuno. Tento invano di aprire la bocca per poi scoppiare in singhiozzi. Piango, il corpo è scosso da fremiti, la voce è rotta, non riesco a dire nulla. Sento le braccia di Patrick circondarmi il corpo e trasmettermi tutto il calore che solo un padre saprebbe dare. Mi è rimasto solo lui.
«Sei stata forte tutta la vita» sbuffa piano mentre asciuga le ultime lacrime sul mio volto «Adesso è arrivato il vero momento di stringere i denti e far capire a tutti quanto vali. Io credo in te, so che farai grandi cose».
Per quanto apprezzi le sue parole, so che non è così. Non devo dimostrare niente a nessuno, ora più che mai sarò costretta a vivere la vita che qualcun altro ha prefissato per me. Sarò il paio di braccia in più che serve nei campi, una bocca da sfamare e un capo da chinare come questo branco di corpi senza idee e valori. Riprendiamo a camminare lontani dal centro della città, verso il molo dove la mia barca è l’unica cosa che sembra non essere andata a pezzi.
Perché io lo sono, mi sono frantumata in una sera e non credo che riuscirò mai a rimettere insieme tutti i cocci.
«Non devi venire obbligatoriamente a lavoro. Forse faresti meglio a farti un giro in barca, magari riuscirai un po’ a calmarti».
Mi stringo nelle spalle, momentaneamente non c’è niente che riesca a distrarmi da tutti i pensieri che mi frullano per la testa.
Poco prima di salpare mi ritorna in mente il foglio di carta e il seguace di Ippocrate. «Cosa voleva quel medico da me?» domando a Patrick mentre la barca prende a dondolare dolcemente nell’acqua. Lontani da entrambe le rive c’è pace. Qui il tempo e lo spazio non sono cambiati, è tutto immobile e perfetto. Questa bagnarola è una piccola isola dove c’è salvezza e non è successo nulla. Qui la catastrofe di poco prima sembra soltanto un enorme bugia, un falso ricordo.
Patrick tentenna un poco, mi mostra la carta straccia e rassegnato sputa tutto d’un fiato: «Non era un medico, Kaia. La madrepatria reclama la tua casa…». Sono spiazzata ed ho di nuovo paura.
«Dicono che da sola non sarai in grado di pagare le spese per rimetterla in sesto e, peggio ancora, non potrai comprarne una nuova. Con la morte di tuo fratello ti è stata anche tolta la pensione di invalidità quindi resti solo tu e il tuo mestiere da… Bracciante». “Ascoltare i grandi signori, eseguire il proprio dovere e comprendere il proprio posto nella società è tutto quel che da grande dovrò fare”.
Ma come faccio, proprio ora, a eseguire tali compiti? Proprio adesso che ho più bisogno di aiuto la mia amata madrepatria mi lascia morire in povertà togliendomi la casa e la libertà di scegliere o di appellarmi a qualcuno.
«Ma… Non possono…»
«Possono eccome. Mi dispiace così tanto…»
«Dove andrò a dormire? Dove porterò quel che rimane di casa mia?» ripenso a tutte le fotografie, ai piccoli oggetti di famiglia con un certo valore affettivo, agli attrezzi di lavoro di mio fratello, al tavolo cigolante della cucina…
«Kaia» il mio nome suona come un insulto nonostante il tono dolce e l’espressione affabile di Patrick, ho come l’impressione che sia sinonimo di “disgrazia” «Ti confischeranno tutto e tu andrai… Andrai…»
«Al centro sfollati» concludo io.
Se c’è una cosa che posso dire di non aver mai visto a Londra è proprio il centro sfollati, l’enorme edificio diroccato a sgangherato dove abitano tutte quelle persone che non hanno più famiglia, soldi e lavoro. Persone come me. Ho sempre cercato di stargli alla larga, le storie che girano su quel posto sono orribili. Una volta mia madre disse che lì non vi erano umani ma robot dagli occhi spenti e le facce tristi. “Sono persone abbandonate” aggiungeva poi, a bassa voce “Abbandonate a se stesse e dagli altri”.
«Cos’altro dice il foglio?» domando timidamente, temendo una qualsiasi risposta. Ed ecco, ecco lo sguardo tormentato che speravo di non vedere mai sul volto di Patrick. Ingoia il groppo in gola, sembra quasi che voglia mettersi a piangere assieme a me: «Verranno a prenderti al tramonto ai campi, quando avrai finito il tuo turno».


Non ci posso credere... Sono tornata ad aggiornare. Non ho la minima idea di quanto tempo sia stata ferma con la scrittura ma poco importa perché dopo mesi e mesi di pausa sono ancora qui. In realtà metà di questo capitolo era già pronto, l'altra metà ho finito di scriverlo durante il mio lunghissimo viaggio in Inghilterra. Esatto, la vacanza di una sola settimana si è trasformata in un'avventura di tre mesi. Cittadina pazzesca, esperienze indimenticabili e una bella location per una prossima storia, potevo chiedere di più? Il quinto è in fase di lavorazione!
Sinceramente, al momento, questo è uno dei miei pezzi preferiti, soprattutto quando si parla della visione che Kaia ha della morte. Spero di aver reso bene l'idea della sua allucinazione.
Pareri, critiche e consigli sono ovviamente ben accetti! Scusatemi ancora l'immensa pausa ma lì stare al pc era veramente l'ultimo dei miei pensieri. Tornerò presto, Kaia ha ancora molto da raccontarvi e la sua avventura - a differenza della mia che si è conclusa proprio oggi con l'inzio della scuola - è appena cominciata. 
Un abbraccio, vi aspetto prossimamente ♥ Ah, quasi dimenticavo! Per chi volessi iscriversi ho aperto un gruppo su Facebook dove posterò informazioni in più sui vari racconti, curiosità ed altre cose (: ovviamente ci sarà spazio per parlare anche di altro! Vi aspetto!

 
  
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